• Infortunio sul Lavoro
  • Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
  • Costruttore, Produttore e Venditore

Responsabilità, a seguito di infortunio, dell'amministratore unico di una ditta costruttrice di una macchina priva dei necessari mezzi di protezione.

La Cassazione afferma che: "l'imputato, quale amministratore unico della società costruttrice della macchina, in quanto diretto destinatario della normativa antinfortunistica, avrebbe dovuto accertarsi che la stessa fosse stata realizzata nel rispetto della detta normativa e, dunque, che i cilindri rotanti, di cui la stessa macchina era dotata, fossero protetti e segregati in maniera tale da impedire che gli stessi entrassero in contatto diretto con parti del corpo dell'operatore.

La mancata realizzazione di idonee protezioni dei congegni rotanti della lisciatrice, rappresenta chiara violazione della normativa richiamata nel capo d'imputazione, della quale l'imputato è stato correttamente ritenuto responsabile.

E' vero che, come si sostiene nel ricorso, è consentito al costruttore, nel caso in cui non sia possibile, per esigenze della produzione, proteggere le zone a rischio della macchina, di sopperire all'assenza di protezioni attraverso la predisposizione di un dispositivo che permetta il rapido arresto dei cilindri e quindi, di garantire, comunque, la sicurezza del lavoratore, ma è altresì vero che il congegno predisposto sulla macchina in questione, rappresentato dal pulsante posto alla sinistra dei cilindri, azionabile manualmente, non era assolutamente in grado di garantire alcunchè, come dimostra l'incidente occorso al P..



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) T.D., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 17/04/2007 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. FOTI GIACOMO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. FURIN Novelio.



FattoDiritto

1 - Con sentenza del 17 aprile 2007, la Corte d'Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Biella, del 10.11.04, nella parte in cui T.D., nella qualità di amministratore unico della "C.M.T.C. s.r.l.", costruttrice della macchina denominata "Lisciatrice Foulard" n. (OMISSIS), è stato dichiarato colpevole del delitto di lesioni colpose gravi, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di P.N., per avere costruito e commercializzato detta macchina risultata non conforme alle disposizioni previste dalla vigente normativa in tema di sicurezza; in particolare, per non avere dotato di ripari e dispositivi di sicurezza e protezione la zona di imbocco dei cilindri rotanti, in violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 7 e art. 132, comma 1.
Con la stessa sentenza, detta Corte ha dichiarato estinta per prescrizione la contravvenzione di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 7 e 390, ed ha rideterminato la pena inflitta dal primo giudice in giorni venti di reclusione, sostituiti con la corrispondente pena pecuniaria di Euro 760,00 di multa, interamente condonata ex L. n. 241 del 2006.
Secondo quanto pacificamente accertato dai giudici del merito, l'operaio infortunato, dipendente della "Tintoria Specializzata di Sandigliano s.r.l.", nel tentativo di togliere dei resti della lavorazione dai rulli della macchina "Lisciatrice Foulard", posta all'interno di una cabina, era rimasto con la mano impigliata tra i due cilindri rotanti - che avevano continuato a girare, non essendo stato interrotto il ciclo lavorativo - ed aveva riportato gravi lesioni a causa delle quali aveva perso la mano.
Gli stessi giudici hanno rilevato che, secondo quanto emerso in sede di indagini e di accertamenti tecnici, la macchina in questione, racchiusa in una struttura di profilati e pannelli di plastica, era accessibile a chiunque, essendo la porta della cabina priva di chiusura.
Hanno, altresì, rilevato che la parte posteriore della stessa macchina alloggiava, privi di ripari e protezioni, i cilindri spremitori alla cui sinistra si trovava un pulsante di blocco e che la stessa, al momento dell'infortunio, aveva una velocità di quattro metri al minuto.
A tale proposito, sono state richiamate le testimonianze della parte offesa e di un compagno di lavoro, i quali hanno confermato che la macchina era liberamente accessibile, nonchè dell'ispettore dell'ASL di (OMISSIS), dott. F., e del consulente del P.M., ing. D., che hanno segnalato l'assenza di idonei ripari dei cilindri, in particolare di fotocellule, e l'insufficienza, ai fini della sicurezza e della prevenzione, del pulsante di arresto installato su un lato della macchina, utile per ottenerne l'arresto, non anche per impedire che l'operaio entrasse in contatto con i cilindri.
Nei motivi d'appello, l'imputato ha reclamato la piena conformità della macchina in questione alle prescrizioni di cui al citato D.P.R., art. 132 il quale prevede, ai commi 2 e 3, che nei casi in cui, come di specie, esigenze della lavorazione non consentano la dotazione di un meccanismo di bloccaggio, la macchina sia provvista di dispositivo rapido di arresto dei cilindri e di attrezzi appropriati che permettano all'operatore di eseguire i necessari interventi senza avvicinare le mani alla zona pericolosa.
Dispositivo ed attrezzi di cui la macchina era stata regolarmente dotata.
Egli ha, altresì, segnalato che la stessa macchina poteva funzionare a velocità molto ridotta, tale da escludere qualsiasi pericolo per l'operatore.
A tali argomentazioni, la Corte territoriale ha, anzitutto, rilevato la piena accessibilità della zona ove si trovavano i cilindri, stante l'assenza di idonea serratura alla porta della cabina al cui interno si trovava la macchina; cabina realizzata per esigenze di sicurezza dell'ambiente in relazione alla presenza di gas, secondo quanto affermato dalla parte offesa e da un compagno di lavoro.
Tale accessibilità, ha sostenuto la stessa Corte, avrebbe dovuto ancor più indurre il costruttore ad installare opportuni congegni di sicurezza che garantissero, in caso di necessità, l'immediato arresto dei rulli.
In particolare, hanno sostenuto i giudici della impugnazione che la parte posteriore della macchina, ove erano collocati i rulli, avrebbe dovuto essere munita, così come la parte anteriore, di fotocellule proprio al fine di garantire la sicurezza degli operatori, dato che i rulli erano ugualmente accessibili e rappresentavano un evidente rischio per chiunque vi si trovasse ad operare.
Nessuna garanzia, invece, poteva derivare dalla presenza del pulsante di arresto, che non avrebbe potuto essere considerato dispositivo di sicurezza poichè esso poteva solo bloccare, se azionato volontariamente, l'arresto della macchina, ma non era in grado di intervenire, come la fotocellula, automaticamente, interrompendo il movimento dei cilindri in caso di pericolo, rappresentato dall'imprevisto approccio ai rulli in movimento di un operatore distratto o incauto, maldestro o disinformato.
La macchina in questione, quindi, a giudizio dei giudici del merito, non era stata dotata dall'imputato, in violazione delle norme vigenti, dei necessari meccanismi di sicurezza, in tali termini individuando un preciso profilo di colpa a carico dello stesso.
Mentre irrilevante, secondo gli stessi giudici, doveva ritenersi, ai fini della sicurezza, la circostanza secondo cui la macchina avrebbe potuto lavorare a velocità ridotta fino a due metri al minuto; ciò sia perchè non risultava che, lavorando a tale velocità, si sarebbe evitato l'incidente, sia perchè non esistevano congegni che consentissero l'accesso alla zona pericolosa solo in caso di funzionamento della macchina a velocità ridotta.
 
2 - Avverso tale decisione ricorre, per il tramite del difensore, l'imputato che deduce: a) inosservanza ed erronea applicazione di norme, specificamente degli artt. 113 e 590 c.p., D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 7, 132 e 390, con riguardo all'affermazione di responsabilità; in proposito, rileva il ricorrente che del tutto inesistenti sarebbero i profili di colpa specifica individuati dai giudici del merito posto che, contrariamente a quanto da essi sostenuto, l'imputato non aveva violato alcuna delle disposizioni di sicurezza previste dal citato D.P.R., artt. 7 e 132; richiamati i contenuti di tali disposizioni di legge, in particolare dei commi 2 e 3 di tale ultima norma, si sostiene nel ricorso che l'imputato, in conformità al dettato normativo, aveva dotato la macchina di un dispositivo che permetteva, in caso di pericolo, l'arresto dei cilindri, nonchè di attrezzi che consentivano agli operatori di non avvicinare le mani nella zona a rischio; contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l'installazione, nella parte posteriore della macchina, di un pulsante che, se attivato, consentiva l'arresto della stessa, era del tutto conforme alla disposizione di cui al citato D.P.R., art. 132, comma 2, che impone l'installazione di un congegno che, in caso di pericolo, consenta il rapido arresto dei cilindri "mediante agevole manovra", concetto che presuppone proprio l'attivazione volontaria, e dunque manuale, del dispositivo di sicurezza; la dotazione era poi completata da attrezzi per interventi a distanza e dal suggerimento, accolto dall'acquirente della macchina, datore di lavoro dell'operaio infortunato, di collocare il macchinario all'interno di una cabina alla quale avrebbero dovuto avere accesso solo operai specializzati muniti degli attrezzi necessari; altro presidio di sicurezza era rappresentato dalla possibilità di selezionare una velocità lavorativa particolarmente ridotta, tale da escludere il pericolo di presa e di trascinamento delle mani dell'operatore; le caratteristiche costruttive della macchina erano, dunque, a giudizio del ricorrente, del tutto conformi alle prescrizioni di sicurezza di cui alle citate disposizioni di legge e l'infortunio era stato determinato solo dall'ingresso del lavoratore nell'area delimitata e dal mancato utilizzo degli strumenti in dotazione, circostanze imputabili al mancato esercizio, da parte del datore di lavoro, dei doveri di controllo, non al costruttore; b) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al regime sanzionatorio, in relazione al rigetto, in ragione della gravità delle lesioni riportate dal lavoratore infortunato, della subordinata richiesta di ridurre la pena inflitta e di irrogare la sola pena pecuniaria; diniego al quale i giudici del merito sarebbero pervenuti senza alcuna considerazione degli elementi ex art. 133 c.p., indicati nei motivi d'appello.
Conclude, quindi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

3 - Il ricorso è infondato.
Quanto alle censure relative ai profili di colpa individuati a carico dell'imputato, rileva la Corte che, come hanno esattamente sostenuto i giudici del merito, l'imputato, quale amministratore unico della società costruttrice della macchina, in quanto diretto destinatario della normativa antinfortunistica, avrebbe dovuto accertarsi che la stessa fosse stata realizzata nel rispetto della detta normativa e, dunque, che i cilindri rotanti, di cui la stessa macchina era dotata, fossero protetti e segregati in maniera tale da impedire che gli stessi entrassero in contatto diretto con parti del corpo dell'operatore. La mancata realizzazione di idonee protezioni dei congegni rotanti della lisciatrice, rappresenta chiara violazione della normativa richiamata nel capo d'imputazione, della quale l'imputato è stato correttamente ritenuto responsabile.
E' vero che, come si sostiene nel ricorso, è consentito al costruttore, nel caso in cui non sia possibile, per esigenze della produzione, proteggere le zone a rischio della macchina, di sopperire all'assenza di protezioni attraverso la predisposizione di un dispositivo che permetta il rapido arresto dei cilindri e quindi, di garantire, comunque, la sicurezza del lavoratore, ma è altresì vero che il congegno predisposto sulla macchina in questione, rappresentato dal pulsante posto alla sinistra dei cilindri, azionabile manualmente, non era assolutamente in grado di garantire alcunchè, come dimostra l'incidente occorso al P..
Il dispositivo in questione, invero, per essere realmente efficace, avrebbe dovuto, in caso di pericolo, agire automaticamente ed istantaneamente per bloccare immediatamente il movimento dei cilindri, senza attendere l'intervento manuale dell'operatore che, ove anche possibile pur in condizioni di emergenza, non avrebbe comunque mai potuto essere efficace e tempestivo.
Il dispositivo di cui la lisciatrice era provvista non garantiva in alcun modo l'incolumità dell'operatore, poichè bloccava la rotazione dei cilindri solo se azionato volontariamente, sicchè l'arresto della macchina non interveniva in caso di "pericolo", bensì solo dopo che tale incolumità era già stata compromessa, essendo ormai avvenuto il contatto dei cilindri in movimento con parti del corpo del lavoratore.
Il congegno in questione, dunque, era assolutamente inidoneo a garantire l'incolumità dell'operatore che, per qualunque ragione, fosse entrato accidentalmente in contatto con i cilindri in movimento, di guisa che deve convenirsi che la macchina, realizzata dall'azienda di cui l'imputato era responsabile, non era conforme al dettato legislativo, che impone al costruttore di dotare le macchine di mezzi idonei a prevenire ed evitare gli infortuni, assunti con i sussidi dei dati di comune esperienza, prudenza, prevedibilità con riguardo all'attività svolta, in relazione alla quale era, nel caso di specie, certamente prevedibile che l'operatore potesse entrare accidentalmente in contatto con i cilindri della macchina lisciatrice.
Ancor più inefficace ai fini della sicurezza era la fornitura di attrezzi che consentivano all'operatore di non avvicinare le mani alla zona a rischio, posto che il loro concreto utilizzo era demandato all'operatore, oltre che condizionato alla loro effettiva utilità rispetto alle esigenze del momento, e dunque non in grado di escludere il rischio di contatto dell'operatore con i congegni della macchina.
Peraltro, l'interpretazione, da parte del ricorrente, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 132, comma 2, appare chiaramente strumentale e fuorviante, laddove non tiene conto del fatto che il dispositivo, che la norma richiamata pretende sia installato sulla macchina, senza precisarne le caratteristiche tecniche, deve essere in grado di "conseguire il rapido arresto dei cilindri", e di intervenire non quando l'incolumità dell'operatore sia stata già compromessa, ma "in caso di pericolo", e cioè quando tale incolumità può essere ancora garantita. Finalità che, come sopra rilevato, il pulsante d'arresto manuale non era in condizione di assicurare.
D'altra parte, come hanno giustamente osservato i giudici dell'impugnazione, il costruttore aveva ben presenti i rischi rappresentati dall'accessibilità dei cilindri e dall'assenza di idonee protezioni, tanto che la parte anteriore della macchina era stata dotata, non di pulsanti manuali, bensì di ben più efficaci fotocellule e di una cordina a strappo, in grado di arrestare istantaneamente il movimento dei rulli al minimo segno di pericolo.
Proprio la consapevolezza dei rischi ed il ricorso, per la parte anteriore della macchina, a congegni ben più efficaci, avrebbero dovuto indurre il costruttore a dotare anche la parte posteriore, dei medesimi congegni.
Anche il tema del funzionamento a velocità ridotta è stato esaminato dai giudici della impugnazione, i quali hanno coerentemente osservato, da un lato, che era inesistente la prova che a tale velocità il pericolo fosse del tutto scongiurato, dall'altro, che la possibilità per la macchina di lavorare a velocità più elevata non eliminava i rischi, atteso che la scelta della velocità era comunque affidata all'operatore.
Deve, dunque, concludersi nel senso che legittimamente sono stati, dai giudici del merito, rilevati profili di colpa a carico dell'imputato per avere egli violato, quale responsabile della società costruttrice della macchina lisciatrice le norme poste a tutela della salute dei lavoratori, individuate nel combinato disposto del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 7 e 132.
Infondate sono, infine, anche le censure relative al trattamento sanzionatorie in relazione al quale la Corte territoriale, nel rispetto della normativa di riferimento e richiamata la sentenza di primo grado, ha, sia pure in termini di sinteticità, sufficientemente motivato la decisione di confermare le pena, peraltro mite, infinta dal primo giudice.
Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2008