Cassazione Penale, Sez. 4, 08 luglio 2014, n. 29884 - Appalto e responsabilità in caso di infortunio


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
C.G. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2112/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del 21/03/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FODARONI Giuseppina che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito per la parte civile l'Avv. Zanchini Silvano il quale chiede la conferma della sentenza impugnata e deposita conclusioni e nota spese;
Udito il difensore Avv. Bunelli Roberto il quale insiste per l'accoglimento del ricorso e produce documentazione in relazione alla questione della sospensione condizionale della pena.



Fatto


1. Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Ancona confermava quella di primo grado, con la quale P.G. e C.G. erano stati ritenuti responsabili del reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore S.N.. Si trattava di un infortunio sul lavoro verificatosi in data (Omissis), contestato al P. nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. M. ZOOTECNICA, committente-appaltante i lavori di pulitura del capannone ove si era verificato l'infortunio, ed al C. quale appaltatore dei predetti lavori.

2. Le modalità dell'infortunio, come ricostruite dai giudici di merito, possono riassumersi come segue: nel pomeriggio del (Omissis) (sabato) S.N. si era portato insieme ad altro operaio presso uno degli stabilimenti della M. zootecnica S.r.l. destinati ad attività di allevamento aviario, per compiere operazioni preliminari alla pulizia del capannone in programma il successivo lunedì, essendo egli dipendente della ditta individuale C.G. appaltatrice dei lavori di pulizia della M., e, tra l'altro, allo stesso tempo dipendente della predetta M. svolgendo attività di pulizia per la C. nelle giornate libere dal lavoro per l'azienda di allevamento, come consentito nel settore; dette operazioni preliminari consistevano nel portare al secondo piano del capannone(oggetto delle pulizie) un mezzo meccanico; il collega era rimasto all'esterno ed il S. era salito nello stabile, aveva aperto il portone di alluminio che dava accesso al balcone - attraverso il quale occorreva fare entrare il mezzo - e, portatosi sul balcone delimitato da parapetti laterali e da cancello a due ante "a libretto" con apertura verso l'interno, di protezione dal vuoto, avendo incontrato difficoltà nell'apertura normale del cancello, lo aveva tirato e poi spinto in avanti per sbloccarlo, così determinandosi il cedimento della parte a due ante del cancello, staccatasi dalla rimanente struttura, con conseguente caduta in avanti del S. da un'altezza di metri 4,30. I giudici di merito evidenziavano altresì che: a) secondo la deposizione del tecnico della prevenzione, il quale aveva effettuato il sopralluogo, nei punti di distacco della porzione di cancello era stata riscontrata la presenza di cerniere marcatamente arrugginite ed il cedimento era stato causato dal cattivo funzionamento delle cerniere arrugginite ed inchiodate che, avendo reso difficile l'apertura normale, avevano indotto la manovra di forzatura verso l'esterno da parte dell'operatore, donde il distacco dal montante e la caduta; b) il tecnico della prevenzione aveva escluso la presenza sul balcone di ganci o punti di ancoraggio per eventuali allacci di cinture anticaduta, ed aveva altresì escluso la esistenza sui balcone di ganci o punti di ancoraggio per eventuali allacci di cinture anticaduta; c) erano state notificate prescrizioni al C. - ed al P. quale amministratore della M.- per violazione delle misure di prevenzione e sicurezza riguardanti la idoneità di parapetti a proteggere gli operatori dal pericolo di caduta nelle operazioni di posizionamento e di recupero di mezzi meccanici utilizzati per la pulizia e per altre attività, per il difetto di manutenzione del cancello e per la cattiva manutenzione delle cerniere; d) nelle prescrizioni risultava rilevata la inidoneità delle strutture di protezione e soprattutto della conformazione di apertura del cancello a costituire idonea protezione dai rischi per i lavoratori in altezza, essendo necessaria la presenza di parapetti fissi e non apribili manualmente o cancelli amovibili con apertura verso l'interno e con azionamento pneumatico o altro sistema equivalente con sensore azionabile direttamente dall'esterno o a chiusura automatica al termine delle operazioni di carico scarico, o di tramoggia appositamente dedicate: in sostanza, misure che consentissero lo svolgimento delle operazioni in quota senza la esposizione al rischio di cadute; e) risultava prescritta come modalità provvisoria l'uso di imbracatura di sicurezza da utilizzare sotto la sorveglianza di preposto ed individuando un apposito punto fisso di aggancio. Sulla scorta di tale ricostruzione i giudici di prima e seconda istanza avevano individuato profili di colpa a carico di entrambi gli atti, spettando al committente l'obbligo di garantire la conformità delle strutture, dove venivano eseguite le lavorazioni in appalto, alla normativa in materia di sicurezza, e all'appaltatore - datore di lavoro - l'obbligo di garantire lo svolgimento delle prestazioni in luogo di lavoro dotato delle necessarie misure antinfortunistiche; alla generale violazione del precetto di cui all'art. 2087 cod. civ. si associava la specifica violazione delle disposizioni indicate in addebito in relazione alla inidoneità dei mezzi di protezione delle cadute nel vuoto ed a difetto di manutenzione: a ciascuno dei due imputati era stata attribuita la titolarità della posizione di garanzia, nella qualità, rispettivamente, di committente (il P.) ed appaltatore (il C.) in considerazione della violazione di quanto previsto dall'art. 2087 c.c. e dal D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 27 e 374.

3. Ricorre per cassazione il C. articolando motivi di censura che possono così sintetizzarsi: 1) inesistenza di condotte colpose addebitabili al C. ed insussistenza del nesso di causalità tra la ipotizzata posizione di garanzia del C. e l'evento: secondo l'assunto difensivo, il C. ed il S. si erano salutati nella mattinata del sabato (Omissis) dandosi appuntamento per il lunedì successivo; di tal che, le operazioni svolte poi dal S. nel pomeriggio di quel sabato, non potrebbero definirsi operazioni preliminari all'attività di pulizia in quanto sarebbero state frutto di autonoma iniziativa del S. stesso in una fase in cui al C. risultava "sottratta la possibilità attuale e concreta di signoreggiare la fonte di rischio" (così testualmente a pag. 3 del ricorso); 2) unico destinatario degli obblighi e degli oneri di manutenzione del cancello - nonchè dell'obbligo dell'eventuale adozione di un sistema idraulico comandato a distanza - era il committente, anche proprietario della struttura nonchè titolare del necessario investimento economico: il cancello era provvisto di parapetti tanto che, ove non avessero ceduto le cerniere del cancello stesso, l'evento non si sarebbe verificato; 3) il rischio che aveva dato luogo all'infortunio era un rischio generico concernente la struttura (i cardini), in quanto tale fonte di responsabilità del proprietario piuttosto che del committente, e quindi non riferibile all'attività lavorativa; 4) il C. sarebbe stato meritevole della concessione della sospensione condizionale della pena, avendo la cooperativa sociale "Geli e Terra Nuova" - onlus - corrente in (Omissis), con riferimento al requisito richiesto dall'art. 165 del c.p.p., manifestato la disponibilità a far svolgere al C. stesso attività non retribuita a favore della collettività.

4. All'odierna udienza il difensore del C. - con riferimento alla questione concernente il beneficio della sospensione condizionale della pena - ha prodotto una dichiarazione del Sindaco del Comune di (Omissis) di disponibilità ad impiegare il C. "nello svolgimento di attività di pubblica utilità non retribuita, per il periodo di tempo e secondo le modalità indicate in sentenza" (così testualmente si legge nel documento).



Diritto


1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

1.1. Le dedotte censure di vizio motivazionale in ordine alla ritenuta colpevolezza riguardano apprezzamenti di merito che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione. Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte narrativa relativa) e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio sul lavoro oggetto del processo. La Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio, posizione di garanzia del C., nesso di causalità tra la condotta omissiva contestata all'imputato e l'evento, comportamento del lavoratore) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dell'odierno ricorrente. Con le dedotte doglianze quest'ultimo, per contrastare la solidità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non ha fatto altro che riproporre in questa sede - attraverso considerazioni e deduzioni svolte anche in chiave di puro merito - tutta la materia del giudizio, adeguatamente trattata, in relazione ad ogni singola tematica, dalla Corte territoriale. Sicchè le critiche mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata si risolvono in censure che tendono, sostanzialmente, ad una diversa valutazione delle risultanze processuali non consentita nel giudizio in Cassazione. Ed invero, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dandone una corretta e logica interpretazione, con esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti; se abbiano, quindi, correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). E poichè il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o - a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 - da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame", tanto comporta, quanto al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che la parte ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 30.4.1997, n. 6402; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24; in termini sostanzialmente identici, ancorchè con riferimento alla materia cautelare, id., Sez. Un., 19.6.1996, n. 16; e non dissimilmente, id., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 25.10.1994, n. 19/1994; e, con riguardo al giudizio, id., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). Inoltre, l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, proprio perchè l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi - come s'è detto - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289; id., Sez. Un., 30.11.2000, n. 5854/2001; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24). Alla stregua di tali consolidati, ed ormai pacifici, principi, e dei conseguenti limiti del giudizio di legittimità in tema di vizio della motivazione, deve riconoscersi che la sentenza impugnata, quanto alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio in oggetto ed alla ritenuta colpevolezza del C., risulta priva di qualsiasi connotazione di illogicità.

2.1. E va altresì evidenziato che già il primo giudice aveva affrontato e risolto le questioni qui sollevate dal ricorrente, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti ai fini dell'esame della posizione dell'imputato; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, la sentenza dei giudici di seconda istanza legittimamente integra quella del Tribunale e rende quindi ancor più incisiva e pregnante la valutazione delle risultanze probatorie acquisite, avendo la Corte territoriale fornito ulteriori ed autonome considerazioni a fronte delle deduzioni dell'appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione ("ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497). A fronte delle integrative pronunce di primo e secondo grado il ricorrente, come detto, ha formulato argomentazioni ripetitive di quanto già prospettato ai giudici di primo e secondo grado.

3. Per completezza argomentativa si impongono talune ulteriori precisazioni in relazione alle questioni più specificamente sollevate dal ricorrente in ordine ai profili di colpa allo stesso addebitati e dai giudici del merito ritenuti sussistenti.

3.1. Quanto alla posizione di garanzia, è giurisprudenza pacifica di questa Corte che nel caso di appalto, l'appaltatore rimane comunque garante della sicurezza delle persone a lui formalmente legate da rapporto di dipendenza: è stato invero affermato che l'appaltante risponde, come datore di lavoro, dell'assolvimento degli obblighi nei confronti dei dipendenti dell'appaltatore, ma non fa venir meno gli obblighi e le responsabilità dell'appaltatore quando (come nella concreta fattispecie) "sia dimostrato che quest'ultimo, lungi dall'operare come mero prestatore di lavoro, abbia conservato un potere di ingerenza nella gestione delle attività svolte dai dipendenti, di talchè la responsabilità dell'appaltante si aggiunge a quella dell'appaltatore che rimane pur sempre garante della sicurezza delle persone da lui formalmente dipendenti" (Sez. 4, n. 14361/02, Abbadini ed altro, RV. 221378); donde l'obbligo, per il C., di provvedere alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore, la cui prestazione indubbiamente era stata dal C. stesso utilizzata per l'esecuzione del contratto di appalto. Muovendo da tali premesse, risulta logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, il giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione oggetto del ricorso, avendo la Corte distrettuale fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su considerazioni fattuali incontrovertibili.

Nè rileva che i difetti del cancello di apertura del balcone attraverso il quale il lavoratore avrebbe dovuto far passare l'attrezzo da utilizzare per il lavoro - difetti che provocarono poi la caduta dall'alto del lavoratore - riguardassero l'immobile del P., posto che anche a carico dell'appaltatore, sussiste l'obbligo del rispetto delle disposizioni prevenzionali: nel caso di contratto di appalto, l'appaltatore è, infatti, certamente responsabile dell'integrità fisica dei lavoratori e della sicurezza del'ambiente di lavoro, aggiungendosi alla responsabilità dello stesso, come detto, anche quella del committente, appartenendo le norme antinfortunistiche al diritto pubblico ed essendo le stesse inderogabili in forza di atti privati (cfr., per utili riferimenti, Sezione 4, 8 luglio 1994, Vigani ed altro).

3.2. Nemmeno sono ravvisabili nel comportamento del S. - quale descritto nel capo di imputazione ed accertato dai giudici di merito (e peraltro nemmeno contestato dal ricorrente quanto alla sua oggettività) - profili di abnormità tali da interrompere il nesso di causalità tra la condotta colposa addebitata al C. e l'evento.

Va innanzi tutto sottolineato che le misure di sicurezza previste dalla normativa antinfortunistica sono state evidentemente ritenute dal legislatore indispensabili per la salvaguardia dell'incolumità del lavoratore con riferimento all'attività lavorativa cui le specifiche misure sono riferibili.

Giova poi precisare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati" (in termini, Sez. 4, 14 dicembre 1984, n. 11043; in tal senso, "ex plurimis", anche Sez. 4, n. 4784 del 13/02/1991 - dep. 27/04/1991 - imp. Simili ed altro, RV. 187538). Se è vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e altro).

4. Manifestamente infondata, e non deducibile nel giudizio di legittimità, è, infine, la questione della sospensione condizionale della pena nei termini quali posti dal ricorrente.

Ed invero, i presupposti del beneficio in argomento - non riscontrati come sussistenti in sede di appello in mancanza di adeguate ed idonee allegazioni documentali da parte della difesa - non possono essere rimessi in discussione in questa sede a seguito della documentazione prodotta dalla difesa nell'odierna udienza, essendo preclusa a questa Corte qualsiasi valutazione che comporti apprezzamenti di merito.

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè - non ravvisandosi cause di esonero - al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in Euro 1.000,00; il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese in favore della parte civile che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.



P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2014