Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2015, n. 6741 - Infortunio di un apprendista operaio durante la guida del carrello elevatore. Quando si può parlare di condotta abnorme del lavoratore interruttiva del nesso causale


 

"In sintesi, si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; quest'ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio ed adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro."

"Non risulta, pertanto, corretto desumere l'interruzione del nesso causale dalla condotta imprudente del lavoratore, qualora sia stata accertata la violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi antinfortunistici volti a minimizzare il rischio poi concretizzatosi."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco M. - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
Z.I. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1982/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del 14/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/02/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giulio Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 14/11/2013, ha confermato la pronuncia di condanna emessa in data 11/05/2012 dal Tribunale di Pesaro nei confronti di Z.I., imputato in qualità di procuratore speciale della B. s.p.a. con delega alla cura degli adempimenti in materia antinfortunistica, del reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro commesso ai danni del dipendente L.A. e condannato alla pena di Euro 2.000,00 di multa.

2. Il fatto era stato ricostruito dai giudici di merito come segue:

il 27 novembre 2007 L.A., apprendista operaio addetto al magazzino, stava movimentando alla guida di un carrello elevatore un bancale in legno contenente quattro elementi portagriglia del mulino MIP 101 da stoccare in appositi scaffali, tra loro distanziati in misura tale da permettere il passaggio del carrello; egli aveva sistemato all'interno della cabina di guida del muletto tre "moraletti", ossia tre travetti in legno, uno dei quali si era incastrato nel montante della scaffalatura; il piede dell'operaio era rimasto incastrato tra i predetti listelli e la pedana del carrello, riportando la frattura del malleolo peroneale e la lussazione tibio- astragalica, con ampia ferita lacera.

3. Z.I. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata con unico motivo per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 43 c.p., comma 3 e art. 41 c.p., comma 2, nonchè vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione del nesso causale e dell'elemento soggettivo. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia valorizzato circostanze che conducono ad una ricostruzione causale dell'evento non conforme alle emergenze istruttorie. Ove fossero state correttamente valorizzate le deposizioni dei testimoni indicati dalla difesa, oltre al video ed alla consulenza tecnica di parte, si assume, la condotta della parte offesa sarebbe stata qualificata come abnorme ed eccezionale, avendo il lavoratore contravvenuto, con condotta imprevedibile, ai divieti impostigli in ordine alle modalità di utilizzo dei "moraletti". Tale corretta valorizzazione delle risultanze istruttorie avrebbe, dunque, secondo il ricorrente, consentito di affermare la recisione di qualsivoglia collegamento eziologico con la posizione di garanzia dell'imputato. Con riguardo all'elemento soggettivo del reato, nel ricorso si sostiene che il giudice di merito avrebbe dovuto accertare che l'evento dannoso fosse materialmente prevedibile e che la regola cautelare violata fosse preordinata ad evitare il concretizzarsi dello stesso; ma nel caso concreto, si assume, il responsabile della sicurezza aveva adempiuto a tutti gli obblighi normativamente impostigli, essendosi positivamente attivato per istruire il lavoratore sui rischi connessi alla specifica attività ed essendo illogico attribuire all'accessorio "moraletto" una funzione di rinforzo dei bancali, essendo dimostrato che lo stesso avesse solo la funzione di stabilizzazione, rispetto alla quale il materiale di composizione del bancale era assolutamente irrilevante.


Diritto


1. Il ricorso è infondato.

2. Deve premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, ditalchè - sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza della Corte di legittimità - deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906).

3. E', peraltro, ripetutamente affermato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il principio secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non sia tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti nè a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorchè non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l'omesso esame critico di ogni questione sottoposta all'attenzione del giudice di merito, qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez. 2, n. 9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.254107; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv. 253512; Sez. 4, n. 45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv. 241907).

4. Esaminando la pronuncia impugnata, la Corte territoriale, dopo aver premesso il rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, condividendone l'impostazione logico-giuridica e ritenendola coerente rispetto alle acquisizioni istruttorie, è pervenuta alla conclusione che non potessero residuare dubbi in merito alla dinamica dell'infortunio, ricostruita sulla base della deposizione testimoniale dello stesso lavoratore e del funzionario della ASUR 3 di Fano; occorre, sul punto, sottolineare che la sentenza di primo grado aveva riscontrato analoga descrizione dell'infortunio nella dichiarazione scritta del consigliere delegato B.P.. In base a tali emergenze istruttorie, la Corte ha ritenuto provato che il lavoratore avesse prelevato tre travetti di legno lunghi circa 80 centimetri e li avesse posizionati sul pianerottolo della cabina del muletto, dietro alla sua gamba destra, facendoli sporgere all'esterno oltre la sagoma del carrello; nel momento in cui il carrello si era addentrato tra le scaffalature, distanziate tra loro in modo da permettere esclusivamente il passaggio del muletto e dotate di un meccanismo elettromagnetico che bloccava le ruote motrici in posizione parallela alle stesse, i travetti sporgenti avevano interferito con il montante della scaffalatura destra ed avevano provocato le lesioni al lavoratore, facendo fulcro sul predetto montante. Tanto premesso, nella sentenza impugnata si è ricondotta causalmente all'imputato la responsabilità dell'evento sul presupposto che l'utilizzo dei travetti fosse prassi abituale all'interno dell'impresa al fine di dare maggiore stabilità e migliore appoggio ai bancali di legno da sistemare sulle scaffalature, richiamando la testimonianza del funzionario della ASUR 3, che nell'immediatezza del fatto aveva rinvenuto altri travetti sotto i bancali in legno già posizionati sugli scaffali, necessari in quanto i bancali in legno sono meno resistenti a pesi rilevanti rispetto a quelli in metallo, ed aveva, pertanto, vietato l'uso di bancali in legno come ripiano di sostegno per l'immagazzinamento della merce. Il rischio concretizzatosi, nella sentenza impugnata, è stato descritto come diretta conseguenza dell'omessa previsione di una adeguata procedura di stivaggio, ossia come violazione della regola cautelare posta dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 2, contestata nel capo d'imputazione.

5. Occorre ricordare che, a norma del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 2, in vigore all'epoca del fatto, "Il datore di lavoro attua le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte...". Si tratta di specifica norma cautelare che impone al datore di lavoro obblighi di protezione, che si sostanziano nel mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature sicure, ed obblighi di controllo, che si sostanziano nel verificare che le medesime attrezzature mantengano nel tempo i requisiti di sicurezza e vengano utilizzate dal lavoratore secondo prassi efficaci al fine di ridurre al minimo ogni rischio.

5.1. Non si ravvisa alcuna erronea interpretazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35 (così come sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71) nelle pronunce dei giudici di merito, i quali hanno fornito in proposito motivazione congrua e satisfattiva, a proposito della violazione di tale norma da parte dell'imputato (nella sentenza di primo grado si legge, in proposito: all'epoca non vi era una precisa procedura riguardante le modalità di stivaggio della merce in magazzino...era previsto e consentito l'utilizzo, anche ai piani alti, di bancali in legno necessitanti di supporti ed aggiustamenti mediante appunto la sistemazione alla base dei moraletti...essi dovevano quindi essere necessariamente trasportati ed innalzati col carrello elevatore da parte dell'operatore addetto, il quale non poteva che sistemarli nella propria cabina di guida"), non essendo sufficiente per esonerare da responsabilità il titolare della posizione di garanzia l'aver adempiuto agli obblighi di informazione del lavoratore sui rischi specifici dell'attività. L'obbligo di garanzia gravante sul datore di lavoro con riguardo alle attrezzature da mettere a disposizione del lavoratore si estende, infatti, oltre l'informazione circa il loro corretto utilizzo: a monte, nel dovere di fornire attrezzature intrinsecamente rispondenti a requisiti di sicurezza; a valle, nel dovere di verificare che le procedure per l'uso di tali attrezzature da parte del lavoratore siano esse stesse rispondenti a canoni di sicurezza. E', dunque, legittima la sussunzione nell'ambito di operatività della norma in esame della condotta del datore di lavoro che abbia fornito al lavoratore una serie di tavole in legno lunghe 80 centimetri (moraletti) da trasportare senza alcuna regola di posizionamento lungo un corridoio di larghezza corrispondente alla sagoma del carrello, in aggiunta ai bancali destinati allo stivaggio della merce.

5.2. Nel ricorso si sostiene l'illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto che il "moraletto" avesse funzione di rinforzo piuttosto che di stabilizzazione, ma si tratta di doglianza che si pone in contrasto con il testo della sentenza impugnata, in cui la violazione della regola cautelare è stata desunta sia dall'omessa previsione di una adeguata procedura di stivaggio, sia dal consentito utilizzo di moraletti quali elementi di rinforzo e di stabilizzazione dei bancali.

6. Quanto al profilo di censura concernente il nesso di causalità, onde valutare la legittimità delle argomentazioni svolte in proposito dai giudici di merito è bene richiamare in sintesi alcuni principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di condotta cosiddetta abnorme del lavoratore, da valutare in applicazione dell'art. 41 c.p., comma 2, a norma del quale il nesso eziologico può essere interrotto da una causa sopravvenuta che si presenti come atipica, estranea alle normali e prevedibili linee di sviluppo della serie causale attribuibile all'agente e costituisca, quindi, un fattore eccezionale.

6.1. Si deve, a tal fine, ricordare che, in una recente sentenza di questa Sezione (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 254094), sono state richiamate le pronunce della Corte nelle quali si è ritenuto che il comportamento del lavoratore avesse interrotto il nesso di causalità tra l'azione o l'omissione del datore di lavoro e l'evento e, in dettaglio, le seguenti:

1) un dipendente di un albergo in una località termale, terminato il turno di lavoro, si era diretto verso l'auto parcheggiata nei pressi e, per guadagnare tempo, invece di percorrere la strada normale, si era introdotto abusivamente in un'area di pertinenza di un attiguo albergo ed aveva percorso un marciapiede posto a margine di una vasca con fango termale alla temperatura di circa 80 gradi. L'area era protetta da ringhiere metalliche ed il passaggio era sbarrato da due catenelle, mentre non esisteva alcuna protezione all'interno dell'area stessa, sui passaggi che fiancheggiavano le vasche. In prossimità dell'area si trovavano segnali di pericolo. L'uomo, che conosceva molto bene la zona, aveva scavalcato le catenelle e si era incamminando lungo i marciapiedi, ma aveva messo un piede in fallo cadendo nella vasca e perdendovi la vita (Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 171215). La pronunzia assolutoria, confermata dal giudice di legittimità, era motivata dal fatto che il lavoratore conosceva benissimo i luoghi e fosse ben consapevole dei pericoli derivanti dal fango ad alta temperatura, dai vapori che ne emanavano e dal buio;

2) un operaio addetto ad una pala meccanica che si era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza spegnere il motore e, sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a mano la frizione difettosa sicchè il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto.

La Corte ha, in tale occasione, affermato il principio che la responsabilità dell'imprenditore deve essere esclusa allorchè l'infortunio si sia verificato a causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto, oppure a causa di inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche (Sez. 4, n. 3510 del 10/11/1989, dep. 1990, Addesso, Rv. 183633);

3) un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno, aveva inserito la mano all'interno dell'apparato, "eseguendo una manovra tanto spontanea quanto imprudente", per rimuovere residui di lavorazione, subendone l'amputazione. L'imputazione riguardava il reato di cui all'art. 590 cod. pen. in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 68 per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte d'appello aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai lavori. La Corte di Cassazione ha, invece, annullato con rinvio ai giudice di merito perchè verificasse se l'incongruo intervento del lavoratore fosse stato richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l'operazione compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la fresatrice fosse in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad obbligare l'operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la manualità dell'operatore era totalmente assorbita nell'introduzione del legno nell'apparato (Sez. 4, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv. 203223).

6.2. La condotta colposa del lavoratore è stata, in altra pronuncia, ritenuta idonea ad escludere la responsabilità dell'imprenditore, dei dirigenti e dei preposti in quanto esorbitante dal procedimento di lavoro al quale egli era addetto oppure concretantesi nella inosservanza di precise norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989, dep. 1990, Dell'Oro, Rv. 183199). In alcune sentenze il principio è stato ribadito, e si è altresì sottolineato che la condotta esorbitante deve essere incompatibile con il sistema di lavorazione o, pur rientrandovi, deve consistere in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, tali non essendo i comportamenti tipici del lavoratore abituato al lavoro di routine (Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv. 229564; Sez. 4, n. 9568 del 11/02/1991, Lapi, Rv. 188202); in altre si è sostenuto che l'inopinabilita può essere desunta o dalla estraneità al processo produttivo o dall'estraneità alle mansioni attribuite (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv. 214998; Sez. 4, n. 8676 del 14/06/1996, Ieritano, Rv. 206012), o dal carattere del tutto anomalo della condotta del lavoratore (Sez. 4, n. 2172 del 13/11/1984, dep. 1986, Accettura, Rv. 172160).

6.3. Se, dunque, da un lato, è stato posto l'accento sulle mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di includere anche l'inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione che l'infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro (Sez. 4, n. 3455 del 03/11/2004, dep. 2005, Volpi, Rv. 230770).

6.4. In sintesi, si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro;

quest'ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio ed adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro.

6.5. Non risulta, pertanto, corretto desumere l'interruzione del nesso causale dalla condotta imprudente del lavoratore, qualora sia stata accertata la violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi antinfortunistici volti a minimizzare il rischio poi concretizzatosi.

6.6. Anche sotto tale profilo la sentenza impugnata risulta, pertanto, esente da vizi.

7. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato; segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2015