Cassazione Penale, Sez. 4, 27 febbraio 2015, n. 8904 - Infortunio di un lavoratore esperto e titolare della posizione di garanzia


 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
S.R. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2095/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del 05/03/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. POLICASTRO Aldo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

S.R. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., commesso in violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore L.N.;

fatto per il quale già in primo grado erano state concesse le attenuanti generiche e quella di cui all'art. 62 c.p., n. 6, con giudizio di equivalenza, e si era proceduto alla conversione della pena detentiva in quella pecuniaria corrispondente.

La Corte di merito, ripercorrendo gli argomenti già sviluppati in primo grado, individuava i profili di colpa nell'utilizzo di una macchina caricatore gommato non adeguata per lo spostamento dei carichi e nella manovra improvvida eseguita dall'imputato che, oltre ad essere il direttore tecnico e il procuratore institore della società datrice di lavoro, era anche colui che aveva utilizzato la macchina, allorquando aveva sollevato il carico senza attendere che il lavoratore infortunatosi, che stava cooperando alle operazioni, si spostasse efficacemente dalla zona di manovra, e senza utilizzare per comunicare quei gesti convenzionali che erano previsti come obbligatori.

La pena era ritenuta adeguata per la gravità del fatto, desunta dalla circostanza del duplice ruolo dell'imputato: titolare della posizione di garanzia e responsabile materiale dell'infortunio.

Con il ricorso si censura il giudizio di responsabilità sottoponendo a censura le considerazioni sviluppate nella decisione di condanna e evocandosi, a supporto della pretesa esenzione da responsabilità, la circostanza non controversa che il lavoratore infortunato era persona esperta, anzi addirittura più esperta dell'imputato: per l'effetto, doveva ritenersi proprio l'infortunato l'autore dell'evento dannoso.

In ogni caso, l'evento dannoso doveva ritenersi imprevedibile siccome riconducibile proprio ad un comportamento imprevisto dell'infortunato che si era posto troppo vicino al blocco di jersey che veniva trasportato.

Si contesta il trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo per il ruolo efficiente dell'infortunato, si insta per il giudizio di prevalenza delle attenuanti e per l'applicazione diretta della sola pena pecuniaria.

Diritto


Il ricorso è manifestamente infondato.

La censura sulla responsabilità è tipicamente di merito a fronte di una duplice conforme statuizione di responsabilità, laddove risultano adeguatamente ricostruiti il fatto, gli addebiti di colpa, il nesso causale, in termini qui non rinnovabili.

Nessun rilievo, rispetto alla adeguata ricostruzione del fatto, come verificatosi, può avere l'asserita competenza ed esperienza del lavoratore infortunato.

Non sarebbe certamente prospettabile, rispetto al prospettato coinvolgimento del lavoratore, il tema dell'interruzione del nesso causale, ove si consideri che l'incidente si è svolto durante l'attività lavorativa in occasione di una attività richiesta dal datore di lavoro, esso stesso impegnato in prima persona.

Valgono i seguenti principi.

Quello secondo cui, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (art. 41 c.p., comma 2), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (Sezione 4, 25 marzo 2011, D'Acquisto): ciò che qui è indubitate ove si consideri l'operazione nel suo complesso come ricostruita e l'utilizzo di uno strumentario rivelatosi colposamente inidoneo proprio ad iniziativa diretta del datore di lavoro.

Quello secondo cui, comunque, l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non potrebbe spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, quando il lavoratore abbia compiuto un'operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sezione 4, 11 gennaio 2011, L'Episcopo): ciò che qui è indubitabile; tacendo peraltro dal rilievo che non risulta neppure riscontrata una specifica inosservanza colpevole del lavoratore pur particolarmente esperto.

Incensurabile è anche il trattamento sanzionatorio, già contenuto nei minimi.

Non vi è spazio per una censura in questa sede, anche perchè, come è noto, l'apprezzamento sul trattamento sanzionatorio sono rimessi al potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l'adeguamento della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto, nella determinazione della sanzione ben possono essere presi in esame uno o alcuni soltanto degli elementi indicati dall'art. 133 c.p., purchè della scelta decisoria adottata si dia adeguatamente conto in motivazione (cfr, di recente, Sezione 2, 23 settembre 2009, Proc. gen. App. Genova in proc. Kerroum).

Il relativo apprezzamento è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.

Ciò che qui deve senz'altro escludersi avendo il giudice motivato, con puntuale argomentazione, le ragioni del proprio convincimento, anche in ordine al solo giudizio di equivalenza delle concesse attenuanti e all'applicazione della pena detentiva anche se poi convertita, nei termini suesposti, ossia considerando il duplice ruolo avuto nella vicenda dell'imputato, dimostrativo di una responsabilità "di una certa gravità".

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, che si reputa opportuno fissare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2015