Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2015, n. 3290 - Infortunio con la macchina stampatrice MAPA: responsabilità per mancanza di protezioni


 

"La corte territoriale ha ritenuto adeguatamente comprovata la violazione della disposizione che prevede l'apposizione di una protezione atta ad evitare il contatto delle mani del lavoratore con gli organi in movimento della macchina: violazione in ogni caso ravvisabile, tanto nell'ipotesi in cui la macchina fosse stata sempre lasciata priva di protezione, quanto nell'eventualità in cui detta protezione fosse stata soltanto precariamente posata e non fissata con viti rimovibili con appositi attrezzi, ovvero nel caso in cui la stessa potesse essere agevolmente rimossa dallo stesso lavoratore tutte, le volte in cui un eventuale sacchetto fosse rimasto inceppato all'interno della macchina. E tanto, sulla scorta del generale principio che impone al datore di lavoro l'obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri ed idonei all'uso (cfr., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 6280 del 11/12/2007, Rv. 238959).

Del tutto correttamente, dunque, la corte territoriale ha interpretato le norme di diritto specificamente richiamate in motivazione, evidenziando come le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 70 chiedano in ogni caso d'essere lette e integrate in chiave sistematica con la norma di cui all'art. 71 D.Lgs. cit., nella parte in cui impone in ogni caso al datore di lavoro di adottare adeguate misure tecniche e organizzative, proprio al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro".

"... la circostanza che il lavoratore avesse imprudentemente tentato di accedere agli organi lavoratori della macchina cui era addetto al fine di rimuovere l'impedimento del sacchetto inceppato, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l'ambito delle responsabilità di quest'ultimo, l'obbligo di prevenire anche l'ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all'ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d'esame."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Mari - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
L.F. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4021/2012 pronunciata dalla Corte d'appello di Milano il 13/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell'udienza pubblica del 12/12/2014 la relazione fatta dal Cons. dott. Marco Dell'Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Policastro, che ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente alla conversione della pena detentiva con la pena pecuniaria;
rigetto nel resto;
udito, per l'imputato, l'avv.to Dominioni O. del foro di Milano che ha concluso per l'accoglimento del relativo ricorso.

Fatto


1. Con sentenza resa in data 13/11/2013, la Corte d'appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza in data 1/2/2012 con la quale il Tribunale di Milano ha condannato L.F. alla pena di tre mesi e quindici giorni di reclusione in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di M. A., in (OMISSIS).

All'imputato, in qualità di amministratore unico della società LP Italiana S.p.A. e datore di lavoro del M., era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonchè delle norme di colpa specifica partitamente indicate nel capo d'accusa, consistita nell'omettere di porre a disposizione dei propri lavoratori l'attrezzatura idonea ai fini della sicurezza, con particolare riguardo all'uso della macchina stampatrice MAPA (matr. n. (OMISSIS)) priva di protezioni atte a evitare il contatto tra le mani dell'operatore e gli organi in movimento della macchina, oltre che sprovvista di dispositivi idonei ad arrestare il funzionamento di detti organi in movimento in caso di pericolo per le mani o per altre parti del corpo dell'operatore.

Nel caso di specie, il M., addetto alla macchina sopra indicata, nel tentativo di sbloccare manualmente un sacchetto che si era inceppato, aveva posto le proprie mani direttamente a contatto con gli organi in movimento della macchina, cosicchè un suo collega, non avvedendosi della sua presenza, nel riavviare il ciclo di lavoro, ne provocava gravi lesioni personali, consistite nella subamputazione di un dito della mano destra con frattura ridotta, da cui era derivata una malattia con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di settantatre giorni.

2. Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato sulla base di quattro motivi d'impugnazione.

Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, per avere la corte territoriale confermato la responsabilità dell'imputato sulla base delle dichiarazioni rese in sede testimoniale dalla persona offesa, nonostante quest'ultima fosse incorsa in evidenti contraddizioni, con particolare riguardo alla circostanza relativa alla presenza della protezione in plexiglass sulla macchina cui lo stesso era addetto; contraddizioni emerse, tanto nel quadro delle stesse dichiarazioni della persona offesa, quanto in confronto con le deposizioni rese dai testimoni D. G. e C..

Sotto altro profilo, il ricorrente si duole dell'illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione delle dichiarazioni rese dal teste C., dalla corte territoriale erroneamente ritenute incerte in relazione al tema del posizionamento della protezione di plexiglass sulla macchina in esame, a dispetto del coerente contenuto complessivo della deposizione, a sua volta confermato da numerosi ulteriori riscontri istruttori.

Da ultimo, il ricorrente censura la contraddittorietà della sentenza impugnata nella parte in cui afferma l'avvenuta rimozione, prima dell'infortunio in esame, della protezione idonea a evitare il contatto dell'operatore con gli organi movimento della macchina, in contrasto con l'avvenuto accertamento della responsabilità dell'imputato per aver posto a disposizione del lavoratore una macchina del tutto priva di detta protezione.

3. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte d'appello confermato la responsabilità dell'imputato nonostante l'evidente abnormità, tanto del comportamento del lavoratore infortunato (consistito nella rimozione della protezione di plexiglas applicata sulla macchina e nel successivo inserimento della propria mano all'interno dei relativi meccanismi), quanto del collega di lavoro D.G., il quale, nonostante la breve distanza con il M. (accovacciato nel tentativo di sbloccare la macchina), aveva riavviato il ciclo di lavoro provocandone la lesione del dito.

Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della contraddittoria interpretazione offerta dalla corte territoriale in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 70 la cui violazione sarebbe stata singolarmente accertata dalla corte d'appello sulla base della violazione del successivo art. 71; violazione, a sua volta ricostruita sulla base di un evidente travisamento degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, dai quali era emersa l'adeguata considerazione e la puntuale adozione di tutte le misure di prevenzione idonee a cautelare ogni rischio connesso all'esecuzione delle prestazioni all'interno dell'azienda, con la conseguente riconducibilità dell'evento infortunistico oggetto di giudizio all'assoluta abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e di quello del relativo collega di lavoro.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, per aver ascritto all'imputato la violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 70 erroneamente muovendo dall'asserita irrilevanza dell'entrata in vigore (e del relativo recepimento formale, nell'ordinamento italiano, della direttiva comunitaria n. 2006/42/CE, che prevede l'obbligo dell'apposizione di un interruttore per il blocco automatico del funzionamento della macchina, una volta che la stessa entri in contatto con il corpo dell'operatore) in epoca successiva alla verificazione dell'evento infortunistico oggetto di causa.

Ciò posto, secondo l'argomentazione critica del ricorrente, ove la corte territoriale avesse applicato le norme vigenti all'epoca dell'infortunio, la stessa avrebbe agevolmente accertato come il datore di lavoro avesse correttamente predisposto ogni necessaria cautela al fine di scongiurare eventuali rischi per l'incolumità dei lavoratori addetti alla macchina in esame.

Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha erroneamente rilevato l'insussistenza di alcuna prova: che l'imputato avesse impartito un preciso ordine, nei confronti dei dipendenti, di non rimuovere le protezioni apposte alla macchina de qua; che fossero state adottate cautele idonee ad assicurare il rispetto di tale ordine; e che l'imputato avesse esercitato un idoneo controllo sul rispetto della normativa antinfortunistica; e tanto, in contrasto con l'evidente contenuto degli elementi probatori complessivamente acquisiti nel corso del giudizio.

5. Con il quarto e ultimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale ingiustificatamente negato la concessione, in favore dell'imputato, delle circostanze attenuanti generiche, determinando il relativo trattamento sanzionatorio in violazione dei parametri di legge, financo negando la sostituzione della pena detentiva inflitta con quella pecuniaria, a dispetto dell'espressa richiesta su tale punto avanzata dalla difesa nel corso del giudizio.

Diritto

6. I primi tre motivi di ricorso proposti dall'imputato - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione delle questioni dedotte - sono infondati.

Osserva, in primo luogo, il collegio come entrambi i giudici del merito siano pervenuti all'affermazione della responsabilità dell'imputato sulla base di un'elaborazione interpretativa del contenuto delle deposizioni testimoniali acquisite priva di vizi d'indole logica o giuridica ed insieme del tutto coerente nell'impostazione e nel conseguente sviluppo argomentativo.

E invero, il giudice d'appello - sulla scia delle valutazioni espresse nella sentenza di primo grado - ha evidenziato come il lavoratore infortunato avesse dichiarato in termini inequivocabili come la protezione della macchina alla quale lo stesso era addetto, non era mai stata collocata nel giorno dell'infortunio, nè lo era stata in precedenza. Ha quindi affermato di non aver rimosso alcuna protezione dalla macchina e di non aver avuto in dotazione nessuno strumento idoneo all'eventuale rimozione di detta protezione.

Alla riscontrata attendibilità della persona offesa (derivante dalle rilevate sicurezza e inequivocità del narrato), nessuna ferita hanno inferto - secondo il coerente ragionamento della corte d'appello - le deposizioni rese dai testi D.G. e C., entrambi caduti in diverse contraddizioni e incertezze (partitamente riportate in motivazione) proprio con riguardo al tema dell'esistenza e dell'eventuale rimozione della richiamata protezione della macchina.

Con riguardo a ciascuna delle censure su tali punti sollevate dal ricorrente, osserva il collegio come il L. abbia circoscritto il proprio discorso critico sulla sentenza impugnata a una mera discordante lettura delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio, in difformità rispetto alla complessiva ricostruzione operata dai giudici di merito, limitandosi a dedurre i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione del fatto (peraltro, in modo solo parziale, selettivo e non decisivo), senza farsi carico della complessiva riconfigurazione dell'intera vicenda sottoposta a giudizio, sulla base di tutti gli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, la corte d'appello (in adesione al discorso giustificativo dettato dal primo giudice) ha ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa.

Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l'introduzione, nella motivazione, di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia.

Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex multis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).

Da ciò consegue che gli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" menzionati dal testo vigente dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all'intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n. 35683/2007, Rv. 237652).

Sotto altro profilo, con riguardo alla valutazione e all'interpretazione delle risultanze testimoniali valorizzate dai giudici del merito - di cui il L. contesta la correttezza, ad onta delle specifiche circostanze di fatto partitamente individuate dal ricorrente come pretesamente ostative al riconoscimento della relativa attendibilità, osserva il collegio come secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto, in essa, della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e quindi della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato (cfr. Cass., Sez. 1, n. 1685/1998, Rv. 210560; Cass., Sez. 6, n. 11984/1997, Rv. 209490), sempre che non emergano elementi obiettivi idonei a giustificare il ricorso di un ragionevole dubbio sulla responsabilità dell'imputato, nella specie recisamente esclusi.

Tale principio, in particolare, appare coerente con il circoscritto orizzonte riservato all'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento.

Conviene sul punto insistere nel rilevare l'estraneità, alle prerogative del giudice di legittimità, del potere di procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (v. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, ed altre di conferma).

In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente secondo il proprio soggettivo punto di vista (Cass., Sez. 1, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. 1, n. 1083/1998, Rv. 210019).

Ciò posto, in termini pienamente corretti, tanto in chiave logico- argomentativa, quanto sul piano strettamente giuridico, la corte territoriale ha ritenuto adeguatamente comprovata la violazione della disposizione che prevede l'apposizione di una protezione atta ad evitare il contatto delle mani del lavoratore con gli organi in movimento della macchina: violazione in ogni caso ravvisabile, tanto nell'ipotesi in cui la macchina fosse stata sempre lasciata priva di protezione, quanto nell'eventualità in cui detta protezione fosse stata soltanto precariamente posata e non fissata con viti rimovibili con appositi attrezzi, ovvero nel caso in cui la stessa potesse essere agevolmente rimossa dallo stesso lavoratore tutte, le volte in cui un eventuale sacchetto fosse rimasto inceppato all'interno della macchina. E tanto, sulla scorta del generale principio che impone al datore di lavoro l'obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri ed idonei all'uso (cfr., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 6280 del 11/12/2007, Rv. 238959).

Del tutto correttamente, dunque, la corte territoriale ha interpretato le norme di diritto specificamente richiamate in motivazione, evidenziando come le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 70 chiedano in ogni caso d'essere lette e integrate in chiave sistematica con la norma di cui all'art. 71 D.Lgs. cit., nella parte in cui impone in ogni caso al datore di lavoro di adottare adeguate misure tecniche e organizzative, proprio al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro (cfr. pag. 6 della sentenza d'appello).

Quanto al tema della contestata vigenza formale delle norme protettive di derivazione continentale (cfr. la richiamata direttiva comunitaria n. 2006/42/CE) al momento dell'infortunio, osserva il collegio come la corte d'appello abbia esattamente rimarcato la sostanziale irrilevanza dell'occorrenza (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata), avendo sottolineato come il contenuto tecnico di detta fonte normativa fosse all'epoca ben noto e conosciuto sin dal 2006, in tal senso legittimamente valorizzando il principio fatto proprio dalla giurisprudenza di questa corte, ai sensi del quale, in tema di responsabilità per omissione di cautele doverose, l'esistenza del nesso di causalità e l'esigibilità della condotta non possono essere contestate sotto il profilo della differenza tra le conoscenze tecniche (o scientifiche) esistenti al momento del fatto e quelle, più vaste, esistenti al momento del giudizio, allorchè il comportamento dell'imputato sia stato di omissione anche di quelle precauzioni minime all'epoca sicuramente possibili, siccome (come nel caso di specie) generalmente note (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 5037 del 30/03/2000, Rv. 219425); e tanto, sul presupposto secondo cui grava in primo luogo sul datore di lavoro l'obbligo di eliminare tutte le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza degli stessi (Sez. 4, Sentenza n. 26247 del 30/05/2013, Rv. 256948).

7. In modo parimenti corretto, ritiene il collegio che la corte territoriale abbia escluso il ricorso, nella specie, di un comportamento abnorme del prestatore di lavoro infortunato, atteso che l'evento infortunistico in esame ebbe a verificarsi nel corso delle ordinarie mansioni cui il lavoratore era addetto, e che, tanto l'inceppamento del sacchetto all'interno della macchina stampatrice e il prevedibile (quanto imprudente) tentativo del lavoratore di ovviare per le vie brevi all'inconveniente, quanto il distratto riavvio del ciclo di lavoro da parte del collega del prestatore infortunato - lungi dal costituire ipotesi del tutto imprevedibili - dovevano ritenersi ex ante evenienze icto oculi pienamente compatibili con il regolare sviluppo delle lavorazioni connesse all'uso della macchina.

In particolare, deve ritenersi che, in tema di infortuni sul lavoro, non integra il "comportamento abnorme" idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, Sentenza n. 7955 del 10/10/2013, Rv. 259313).

Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicchè la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., tra le molte, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).

Al riguardo, la circostanza che il lavoratore avesse imprudentemente tentato di accedere agli organi lavoratori della macchina cui era addetto al fine di rimuovere l'impedimento del sacchetto inceppato, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l'ambito delle responsabilità di quest'ultimo, l'obbligo di prevenire anche l'ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all'ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d'esame.

Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695).

In tema, questa stessa corte ha avuto recentemente modo di sottolineare come l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell'infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l'evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).

Tali argomentazioni appaiono ancor più stringenti nel caso di specie (a fronte dell'avvenuta attestazione della mancata o inidonea predisposizione delle strumentazioni preventive), essendosi al riguardo la corte territoriale correttamente allineata al principio, fatto proprio da questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (Sez. 4, Sentenza n. 7364 del 14/01/2014, Rv. 259321).

8. Quanto alle doglianze avanzate dal ricorrente, con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla particolare severità della pena inflitta a suo carico, osserva il collegio come le stesse non individuino alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico della motivazione dettata nella sentenza impugnata, limitandosi a prospettare questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede.

In thema, con riferimento al contestato diniego delle attenuanti generiche, è appena il caso di richiamare il consolidato (e qui condiviso) indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'art. 62-bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (in termini, ex multis, Cass., Sez. 6, n. 7707/2003, Rv. 229768).

Quanto all'onere di motivazione sul punto imposto al giudice del merito, è stato altresì precisato come quest'ultimo non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (in tal senso, ex multis, v. Cass. Sez. 1, n. 3772/1994, Rv. 196880).

In particolare, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (così Cass., Sez. 2, n. 3609/2011, Rv. 249163).

Analoghe considerazioni valgono per quel che riguarda l'entità della pena, essendo sul punto sufficiente il richiamo ai principi enunciati da questa Corte in materia, là dove, in tema di commisurazione della pena, quando questa (come nel caso di specie) non si discosti di molto dai minimi edittali ovvero venga compresa tra il minimo ed il medio edittale, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale richiamandosi alla gravità del reato (cfr. Cass., Sez. 4, n. 41702/2004, Rv. 230278); in particolare, nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125 c.p., comma 3, anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (v. Cass., Sez. 3, n. 33773/2007, Rv. 237402).

Nel caso in esame, la corte territoriale ha correttamente negato il ricorso di circostanze attenuanti generiche e valutato la congruità del complessivo trattamento sanzionatorio imposto all'imputato dal giudice di primo grado, correlando tale giudizio al significato deducibile dalla particolare gravità del fatto, a sua volta deducibile dalla connessa gravità della violazione della regola cautelare, siccome di per sè suscettibile di esporre il lavoratore dipendente a conseguenti gravi lesioni (come nella specie accaduto, per effetto della subamputazione di un dito della mano destra del lavoratore), così radicando, il conclusivo giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio, al ricorso di specifici presupposti di fatto, sulla base di una motivazione in sè dotata di intrinseca coerenza e logica linearità.

9. Dev'essere, viceversa, accolto il motivo di doglianza avanzato dal ricorrente con riguardo al vizio di motivazione concernente la mancata conversione della pena detentiva inflitta con la pena pecuniaria della specie corrispondente, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 53.

Sul punto, è appena il caso di richiamare l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, incorre nel vizio di motivazione e nella violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 53 e 58 il giudice di secondo grado che, investito della richiesta di conversione della pena detentiva breve in pena r. pecuniaria ex art. 53 della stessa legge, non fornisca adeguata motivazione del diniego (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 37814 del 06/06/2013, Rv. 256979).

Nel caso di specie, all'udienza di discussione in sede d'appello, in sede conclusionale, il difensore dell'imputato ebbe espressamente a invocare, in caso di applicazione di pena detentiva, la sostituzione della stessa con la pena pecuniaria (cfr. il verbale relativo all'udienza del 13/11/2013) con la conseguenza che la contraria affermazione (erroneamente contenuta nella sentenza impugnata) circa l'assenza di alcuna corrispondente richiesta da parte dell'imputato, impone la pronuncia dell'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto concernente la mancata conversione della pena detentiva con quella pecuniaria, cui segue il rinvio alla Corte d'appello di Milano per nuovo esame.

P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione, annulla la impugnata sentenza limitatamente alla omessa statuizione sulla conversione di pena e rinvia alla Corte d'appello di Milano per nuovo esame sul punto.

Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2015