Cassazione Penale, Sez. 4, 30 giugno 2015, n. 27171 - Caduta dal tetto del capannone: ruoli e responsabilità nel cantiere e nella società


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: BIANCHI LUISA Data Udienza: 26/05/2015

Fatto


1. La corte di appello di Perugia, con sentenza in data 10 marzo 2014, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Orvieto, confermava la responsabilità di M.E., S.M., A.B. per il reato di cui all'articolo 589 del codice penale in relazione al decesso di B.Q.; riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa in misura del 30%, concesse le attenuanti generiche, diminuiva la pena inflitta agli imputati e l'importo della provvisionale riconosciuta alle parti civili. In data 18 settembre 2007,  B.Q. cadeva dal tetto di un capannone dove era intento a pulire le lastre di eternit della copertura con la idropulitrice; a seguito della caduta riportava politrauma che cagionava uno schock meta traumatico dal quale seguiva la morte. Il capannone era risultato di proprietà della società T.I.P. il cui legale rappresentante,  S.M., aveva commissionato le operazioni di bonifica del tetto dall'amianto alla società R. s.a.s. stipulando il contratto con M.E. che della risultava essere socio accomandante; direttore dei lavori era stato nominato l'ingegner A.B. che aveva ricevuto l'incarico di predisporre il piano di sicurezza. Il giorno dell'incidente B.Q., socio accomandatario della R., dopo aver raggiunto il tetto tramite il ponteggio regolarmente innalzato, si era spinto sulla superficie della copertura in assenza di camminamenti, passerelle, cinture o altri presidi antinfortunistici. Si contestava agli imputati di avere in cooperazione tra loro (art. 113 cod.pen.) cagionato l'incidente; in particolare la committente S.M. per aver consentito l'inizio dei lavori nonostante non fosse stato ancora rilasciata la necessaria autorizzazione amministrativa ed in assenza del POS che lo stesso A.B. avrebbe dovuto provvedere a redigere; il M.E. per non aver adottato idonee misure di sicurezza; l'A.B. per non aver redatto il piano di sicurezza.
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorso per cassazione tutti gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori.
2.1 L'avvocato Omissis difensore di fiducia di S.M., con un unico articolato motivo deduce violazione dell'articolo 606 lettera c) cod.proc.pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Sostiene il ricorrente che il tribunale prima e la corte d'appello poi hanno omesso di motivare in modo corretto, compiuto e logico la sentenza e di spiegare l'iter logico giuridico attraverso il quale sono pervenuti a ritenere la responsabilità dell'imputata. Si rileva che è vero che il dovere di sicurezza è riferibile anche al committente ma è altrettanto vero che non si può esigere dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Si sostiene in particolare che i lavori non erano ancora iniziati e che è erroneo il diverso convincimento espresso dalla Corte di appello sulla base della fattura n.11/2007 di 200.000 euro emessa dalla società appaltatrice il 25.7.2007, prima dell'infortunio; si era dedotto che tale  fattura era stata emessa solo per trarre in inganno l'Unicredit al fine di ottenere un finanziamento; la Corte di appello aveva l'onere di fornire la prova dell'effettivo inizio dei lavori e che gli stessi erano in corso il giorno dell'infortunio, circostanza non provata neppure dalla testimonianza di F.V.. Si deduce inoltre che il B.Q. era il titolare dell'impresa appaltatrice, ben consapevole che mancava l'autorizzazione comunale, mancava il piano di sicurezza e non vi erano le necessarie misure di sicurezza: la sua decisione di salire sul tetto al solo fine di verificare lo stato dei luoghi, era tale da aver cagionato da sola l'evento. Non era stata dimostrata alcuna culpa in eligendo da parte della S.M. con riferimento alla scelta della ditta appaltatrice o una sua ingerenza nell'incidente, ed anzi era risultato che la S.M. non era mai presente in cantiere. Sono stati trascurate 13 circostanze dettagliatamente elencate nell'atto di appello.
2.2 L' avvocato Omissis, per M.E., con un primo motivo deduce inosservanza di legge e contraddittorietà di motivazione per quanto riguarda la ritenuta responsabilità; si è trascurato che M.E. era solo socio accomandante della società appaltatrice di cui B.Q. stesso era socio accomandatario con la conseguenza che quest'ultimo doveva essere ritenuto il solo responsabile dell'infortunio avvenuto; non è stato fornito nessun elemento in base al quale ritenere che, con riferimento al caso concreto, M.E. avesse esercitato funzioni e mansioni di accomandatario tanto più che il M.E. non era nemmeno presente sul cantiere; la sentenza è censurabile anche laddove ha affermato che sarebbe stato mancante ogni presidio antinfortunistico essendo invece i presidi presenti, senonché fu proprio B.Q. a non utilizzarli: fu la stessa vittima che dopo essersi seduta sopra una "capriata" in legno del tutto stabile fece poi un salto per scendere cadendo sul tetto che ricopriva il capannone che cedette sotto il suo peso. La responsabilità, stante la sua particolare competenza, qualifica e conoscenza delle circostanze e situazioni di fatto non poteva che far capo totalmente al B.Q..
2.3 L'avvocato Omissis, nell'interesse di A.B., con un primo motivo lamenta inosservanza di legge e difetto di motivazione per quanto riguarda la circostanza della giuridica inesistenza del contratto di appalto stipulato tra la T.I.P. e la R.: si era evidenziato che il contratto, stipulato in data 20 luglio 2007 tra la T.I.P. e la R. snc di M.E., era giuridicamente inesistente dal momento che alla data del 20 luglio 2007 la R. snc non era più esistente in quanto il precedente 16.2.2007 la R. snc di M.E., si era trasformata nella R. sas di B.Q. ed il M.E., che aveva sottoscritto materialmente quel contratto, nella nuova compagine societaria era un semplice socio accomandante e quindi un soggetto privo di qualsivoglia potere di rappresentanza; ne derivava, secondo il ricorrente, l'assenza di qualsiasi rapporto contrattuale tra la T.I.P. e la R. e, come corollario, l'assenza di ogni obbligo di garanzia dell' A.B. . Si contesta la motivazione fornita dalla Corte di appello per dimostrare la posizione di garanzia di A.B. e cioè la firma da parte sua del 1° SAL, così dando rilievo a un momento esecutivo di un contratto senza che si fosse preliminarmente data risposta alla questione, appunto preliminare, circa l'eccepita inesistenza del contratto stesso. Si contesta la motivazione nella parte in cui ha ritenuto che anche il socio accomandante possa concludere contratti in nome e per conto della società in contrasto con il dettato normativo degli artt. 2318 e 2320 cc e con il prevalente orientamento della giurisprudenza, nonché per aver dato rilievo ad una sua presunta posizione di amministratore di fatto o di procuratore. Con un secondo motivo si deduce che mentre la corte di appello lo ha ritenuto responsabile di aver consentito l'inizio dei lavori in assenza del Pos e dell'autorizzazione comunale e cioè per un fatto diverso da quello contestato.

Diritto


1. I ricorsi, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto i motivi in essi proposti sono strettamente correlati, non meritano accoglimento.
1.1. Si censura in primo luogo, in particolare da parte della committente S.M., la circostanza che i lavori di cui trattasi fossero in corso al momento in cui si è verificato l'incidente; sostiene la ricorrente che i lavori non erano ancora iniziati o comunque che non ve ne sarebbe stata prova certa dal momento che la fattura relativa al primo stato avanzamento lavori era sostanzialmente "di comodo" cioè emessa solo per ottenere il finanziamento dalla banca.
La censura non ha pregio. L'avvenuto inizio dei lavori risulta sicuramente accertato dai giudici di merito sulla base di un solido e ampio compendio probatorio che va al di là della fattura in questione; valgono al riguardo le deposizioni testimoniali assunte (testi Omissis citati dalla sentenza di primo grado, secondo i quali era già avvenuta la pulizia del 70 % del tetto; commissario di pg F.V., intervenuto dopo il fatto, richiamato dalla sentenza di appello secondo cui una parte del tetto era stata trattata); ne è conferma la pacifica presenza del ponteggio già montato su tutta la lunghezza del capannone; in tale situazione è del tutto corretta la valutazione della corte di merito che ha ritenuto che la fattura, sottoscritta sia dalla S.M. che dall'A.B., e coerente con i risultati della prova dichiarativa e documentale, fosse una confermala parte dei ricorrenti; lavori che, come di nuovo sia la S.M. che l'A.B. ben sapevano, non avrebbero dovuto in alcun modo essere iniziati dal momento che il Comune di Orvieto non aveva ancora rilasciato l'autorizzazione per aprire il cantiere (circostanza pacificamente risultante dalla lettera del 28 agosto 2007 indirizzata all'A.B. e alla S.M.) e dal momento che il cantiere non era stato messo in sicurezza, neppure essendo stato redatto un piano di sicurezza.
Tale situazione ha comportato la responsabilità sia della S.M. che dell'A.B., dalla stessa nominato progettista e direttore dei lavori, per aver consentito, come già ritenuto dal giudice di primo grado, "l'avvio del cantiere" in assenza delle condizioni amministrative e di sicurezza imposte per legge. La valutazione è del tutto corretta: l'infortunio si è verificato in un cantiere che non avrebbe dovuto essere stato ancora aperto e la responsabilità di aver consentito tale concreta situazione è di S.M. e A.B..
Come esattamente già osservato dai giudici di merito, non rilevano le precise circostanze in cui si è verificato l'incidente, cioè se B.Q. fosse intento ad operare con la idropulitrice o se stesse effettuando solo un sopraluogo al fine della predisposizione del prosieguo dei lavori (come ritenuto più probabile) in quanto in ogni caso egli, stante la violazione dei propri doveri da parte di committente e direttore dei lavori, si è trovato ad accedere, in ogni caso come si dirà per ragioni di lavoro, sulla copertura del capannone, facilmente raggiungibile stante la presenza del ponteggio, in condizioni di assoluta pericolosità dal momento che non vi erano tavolati o camminamenti che fossero idonei a rendere sicuro l'accesso e scagionare il rischio che, come avvenuto, si verificasse la caduta dall'alto per il cedimento di alcune lastre.
1.2. Il comportamento del B.Q. non può qualificarsi abnorme, come sostenuto dalla S.M. sotto il profilo che la decisione di recarsi sul tetto è stata frutto di una risoluzione del tutto personale, sconosciuta alla S.M., e come tale interruttivo del nesso di causalità. Risulta dalla sentenza impugnata che riferisce la testimonianza S. (che nell'occasione si trovava nel cantiere insieme a B.Q. e a M.E. per parlare di lavori di impermeabilizzazione) che a un certo punto B.Q. si allontanò dicendo che intendeva andare un momento sul tetto. Correttamente la sentenza impugnata ha rilevato come fosse evidente che l'iniziativa del B.Q. di recarsi sul tetto era funzionale all'appalto dei lavori di manutenzione in corso, appalto conferito dalla stessa committente S.M. e dunque che, per quanto imprudenti siano state le modalità del concreto comportamento posto in essere, ciò che ha comportato peraltro l'attribuzione al medesimo di un concorso di colpa, non era affatto estraneo alla posizione di garanzia della committenza, come sopra individuata. Anche di recente si è precisato (sez, IV 27/06/2013 n.35872 Rv. 258124) che non è invocabile il principio di affidamento nel comportamento altrui, con conseguente esclusione di responsabilità, da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che colui che gli succede nella posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, in quanto la seconda condotta non si configura come fatto eccezionale sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento.
1.3. Resta da precisare che del tutto estranei all'area di indagine consentita a questa Corte di legittimità riservata sono le osservazioni attinenti ad una diversa ricostruzione dei fatti contenuti nei vari ricorsi, e in particolare in quello M.E., dove si fa riferimento a modalità assolutamente imprudenti da parte di B.Q., che avrebbe fatto un salto per accedere al tetto, circostanza che peraltro non trova riscontro nelle sentenze di primo e secondo grado. Manifestamente infondato è anche il rilievo contenuto nel ricorso S.M. di mancata risposta da parte della corte di appello ai 13 punti sollevati con tale atto, atteso che gli stessi sono stati oggetto di considerazione nel contesto deL complessivo ragionamento motivazionale sviluppato dal giudice di Perugia ed anche di specifica considerazione a pag. 11 della sentenza.
1.4. Non trova fondamento l'eccezione proposta da A.B. di violazione dell'art. 521 cod.proc.pen., nel senso che mentre gli era stato contestata la mancata redazione del piano di sicurezza e coordinamento, egli sarebbe stato condannato per un fatto diverso, cioè quello di non aver impedito l'inizio dei lavori in assenza del predetto pos e dell'autorizzazione comunale. Al riguardo va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di corte di legittimità nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo di imputazione siano stati contestati - come nella specie - elementi generici e specifici di colpa, non sussiste violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata nel caso in cui il giudice abbia ritenuto la responsabilità per una ipotesi di colpa diversa da quella contestata; è infatti consentito al giudice specificare l'addebito di colpa generica con riferimento a specifici profili di responsabilità emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al diritto di difesa, il cui esercizio deve essere rapportato ai fatti oggetto del procedimento sui quali si è svolto, come nella specie è avvenuto, il contraddittorio tra le parti. Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l'avallo delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che "In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051). Nel caso in esame il capo di imputazione comprendeva l'espresso riferimento alla imprudenza, imperizia e negligenza. Ma ciò che più conta è che l'ampliamento del tema di indagine circa l'organizzazione del cantiere, i ruoli e gli obblighi spettanti ai singoli imputati si è avuto fin dal dibattimento di primo grado, come dimostrato dall'ampia istruttoria dibattimentale che ha visto l'escussione di numerosi testimoni, con accettazione del tema di indagine e piena possibilità dell'imputato di difendersi in ordine ai fatti di causa e che ha portato alla precisazione dell'accusa già con la sentenza di primo grado dove si legge che "l'ingegnere A.B., come direttore dei lavori doveva impedire l'accesso al tetto del cantiere sino a quando non fossero stati approntati il POS e i presidi antinfortunistici. Ciò non è avvenuto e l'A.B. ha permesso l'avvio del cantiere conoscendo tale mancanza...". E sul punto nessun rilievo era stato peraltro formulato con l'appello.
1.5. Anche M.E. e A.B. si sono richiamati al ruolo di B.Q. per invocarne la esclusiva responsabilità facendo riferimento in particolare alla qualifica di M.E. di mero socio accomandante della R. soc, a fronte di (quella di B.Q. di socio accomandatario; sostiene la difesa di M.E. che si sarebbe dovuto dimostrare, con riferimento al comportamento tenuto nello specifico caso concreto, che il medesimo aveva assunto una posizione di garanzia; e sostiene la difesa di A.B. che il contratto tra la committenza e la R. era inesistente e di conseguenza inesistente anche l'incarico da lui ricevuto.
Tali censure non valgono, ad avviso del Collegio, a scalfire la tenuta del ragionamento compiuto dai giudici di merito, particolarmente esplicitato dalla Corte di appello.
La sentenza ha infatti messo in evidenza che nel contesto delle vicende societarie che hanno interessato la R., la cui ragione sociale è ripetutamente mutata sempre però nella costante partecipazione alla stessa dei due soggetti, M.E. e B.Q., interessati dalla presente vicenda, vi erano un complesso di fattori che evidenziavano il perdurare della situazione di amministratore di M.E. collegata ad una sua ingerenza nella attività della R.; non solo egli figurava quale sottoscrittore del contratto di appalto di cui si discute, ma il suo ruolo di soggetto di riferimento" della R. risultava da molteplici dichiarazioni testimoniali (testi S. e M., dichiarazioni dello stesso A.B.) che lo indicavano come il vero referente della società tanto da poter essere considerato l'amministratore di fatto. Ora, la giurisprudenza di legittimità ha spesso integrato i criteri sostanziali e formali da cui può derivare la assunzione di una posizione di garanzia e, oltre a fare riferimento alla veste giuridica rivestita, corrispondente ad una ipotesi normativa o contrattuale, ha sottolineato, fin da epoca risalente, che la individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (Sez. U. 1.7.1992 n.9874 Rv. 191185). Peraltro, l'assunzione della posizione di garanzia in base ad un'assunzione di fatto di poteri inerenti obblighi di tutela è attualmente normativamente prevista, in tema di sicurezza sul lavoro, nel caso di chi, pur sprovvisto di formale investitura, "esercita in concreto i poteri giuridici riferiti" al datore di lavoro, al dirigente e al preposto (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 299), e ciò conferma la correttezza del precedente orientamento giurisprudenziale. Deve pertanto concludersi che corretta è stata l'attribuzione a M.E. di una posizione di garanzia nei confronti di B.Q. in relazione ai ruoli dagli stessi assunti e a prescindere dalle rispettive qualifiche formali. Dovendosi ulteriormente precisare che, a differenza di quanto sostiene il ricorrente A.B., l'assunzione da parte del socio accomandante di poteri di rappresentanza che per legge sono riservati all'accomandatario non ha affatto l'automatica conseguenza della inesistenza del contratto in tal modo concluso, ma comporta soltanto, da un lato, la perdita del beneficio della responsabilità limitata verso i terzi del socio accomandante e, dall'altro, la possibilità per la società falsamente rappresentata di eccepire l'inefficacia del contratto stesso (sez, 2 civ. n. 21891 del 19/11/2004, Rv. 578071), facoltà di cui la R. non ha in alcun modo dimostrato di volersi avvalere; diversa è invero la situazione di cui alle pronunce richiamate dalla difesa A.B. che riguardano il caso della sopravvenuta mancanza di tutti i soci accomandatari.
2. In conclusione tutti i ricorsi vanno rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili liquidate come al dispositivo.

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili B.Q. Paola e B.Q. Mario che liquida in complessivi euro 3000,00 e in favore della parte civile M.E. Graziella che liquida in complessivi euro 2500,00 oltre, per tutti, accessori come per legge.
Così deciso il 26.5.2015.