Cassazione Penale, Sez. 4, 27 marzo 2017, n. 15164 - Infortunio mortale con un minitrasporter durante la raccolta delle arance. Cattiva manutenzione del mezzo e mancanza di adeguata formazione sul suo utilizzo


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: GIANNITI PASQUALE Data Udienza: 16/02/2017

 

 

 

Fatto

 

1. EG., mentre stava svolgendo la sua attività lavorativa di raccolta delle arance a servizio di G.A. e di M.A., utilizzava un minitrasporter in cattivo stato di manutenzione ed in seguito ad una manovra posta in essere per avvicinarsi ad un albero restava incastrato tra il mezzo stesso ed un ramo, decedendo così per asfissia.
La dinamica dell'incidente veniva riferita da C.S.C., testimone oculare del fatto, in quanto soggetto che stava lavorando insieme alla povera vittima, dopo aver ricevuto l'incarico in tal senso dagli odierni imputati; e veniva convalidata, con dovizia di particolari, dai due esperti che avevano compiuto gli accertamenti, ovverosia C.G., tecnico della prevenzione in servizio all'ASP di Agrigento e P.M., consulente nominato dal Pubblico Ministero, i quali evidenziavano come lo stesso fosse dipeso da due fattori, entrambi addebitabili agli odierni imputati, costituiti, in primo luogo, dalla cattiva manutenzione del mezzo, nonché, d'altra parte, dalla mancata formazione e preparazione dei due lavoratori circa l'utilizzo del mezzo medesimo, non essendo gli stessi mai stati addestrati con dei corsi sulla prevenzione degli infortuni.
A G.A. ed a M.A. veniva quindi contestato davanti al Tribunale di Sciacca di aver cooperato tra loro cagionando la morte per asfissia dei lavoratore EG.A., cittadino tunisino trovato cadavere all'interno di un agrumeto in località Giardinello di Ribera l'8 maggio 2010, ponendo in essere per l'appunto le suddette condotte, anche omissive, meglio indicate in imputazione e violative della normativa antifortunistica.
Il Tribunale di Sciacca con sentenza 11/06/2014, sulla base in particolare delle dichiarazioni rese da S.G., agente di P.G. che aveva effettuato le indagini sul decesso di EG.A. (p. 3 e ss.), condannava entrambi gli imputati alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, in ordine ai reati di cui agli artt. 113 e 589 commi 1 e 2 c.p. (capo B), 110 c.p. e 22 comma 12 D.Lvo 286/89 (ndr.  D. Lvo 286/98) (capo C), 18 comma I lett. c) ed e), 55 comma 4 lett. c) ed a) D. Lvo 81/08 (capo D) e 71 comma 4 lett. a) e 87 comma 1 lett. b) D. Lvo 81/08 (capo F), assolvendoli, di contro, dall'imputazione di cui agli artt. 110 e 314 c.p. (capo A) con la formula per non aver commesso il fatto.
2. E la Corte di appello di Palermo con la impugnata sentenza, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere in ordine alle imputazioni di cui ai capi D ed F per intervenuta prescrizione, mentre ha confermato il giudizio di penale responsabilità per gli altri reati in contestazione, rideterminando la pena (alla luce dell'intervenuta prescrizione e della riconosciuta equivalenza delle attenuanti generiche)
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale, tramite difensore di fiducia, propone ricorso l'imputato G.A., articolando 3 profili di doglianza.
3.1. Nel primo si deduce vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità per il fatto di cui al capo C.
3.2. Nel secondo si deduce violazione delle norme processuali in punto di mancata salvaguardia delle condizioni originarie in cui si trovava il mezzo al momento del tragico incidente. Il ricorrente, in sostanza, lamenta che, per effetto di attività alle quali la difesa non aveva avuto modo di partecipare (e, dunque, in violazione degli artt. 356 e 360 c.p.p.), si era verificato, per quanto in buona fede, un inquinamento probatorio.
3.3. Nel terzo si deduce vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità per il fatto di cui al capo B. Il ricorrente si lamenta del fatto che la sua responsabilità era stata affermata sulla base delle dichiarazioni rese dal testimone oculare C.S.C., senza indicare esattamente quali, ed, anzi, risultando da dette dichiarazioni (che il ricorrente riporta in ricorso, indicandole sostanzialmente come travisate) quale era il compito assegnato ai lavoratori e che ai ragazzi era stato espressamente detto che non dovevano essere loro ad utilizzare il mezzo.
 

 

Diritto

 


1. La sentenza impugnata deve essere confermata in relazione al fatto di cui al capo B), ma deve essere annullata, senza rinvio, in relazione al fatto di cui al capo C).
2. Non fondato è il secondo motivo di ricorso, che qui si esamina per primo, in considerazione della sua natura processuale.
Già il Tribunale di Sciacca aveva respinto l'eccezione di inutilizzabilità delle acquisite consulenze tecniche (in tesi difensiva frutto di accertamenti non ripetibili sul mezzo ed eseguiti senza il previo avviso ai difensori, prescritto dall'art. 360 c.p.p.), osservando (pp. 7-8), che: a) dette relazioni erano state acquisite agli atti del fascicolo dibattimentale - peraltro con il consenso di tutte le parti - prima dell'esame dell'Ing. P.M., consulente della Procura, e del Dott. G.C., tecnico presso il Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro; b) gli accertamenti eseguiti sul mezzo erano consistiti sostanzialmente nell'osservazione e nell'accensione del mezzo, e, dunque, non avevano rivestito i caratteri della irreperibilità, proprio perché non avevano in alcun modo alterato lo stato del mezzo stesso (che, anche in seguito agli accertamenti eseguiti, aveva mantenuto la condizione che aveva al momento del sequestro).
La Corte di appello di Palermo è tornata ad esaminare l'eccezione di inutilizzabilità degli esiti della consulenza di parte per essere gli stessi stati posti in essere in violazione dei diritti di difesa, ma l'ha nuovamente respinta in quanto gli accertamenti realizzati dai consulenti nominati dal Pubblico Ministero erano stati realizzati ai sensi dell’art. 359 c.p.p., trattandosi di attività assolutamente ripetibile, come si desumeva "assai agevolmente dal contenuto della relazione di consulenza depositata nonché dalla tipologia di attività compiuta".
Ne conseguiva non soltanto la legittimità dell'utilizzo delle relative consulenze - acquisite, si ribadisce, con il consenso delle parti - ma anche la piena utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai due esperti, che avevano redatto la consulenza in questione, atteso che, secondo il più recente orientamento della Suprema Corte sul punto, il consulente tecnico nominato dal P.M., in sede di indagini preliminari, non è compreso tra i soggetti che, ex art. 197 c. p.p., non possono essere assunti come testimoni né riveste la qualità di ausiliario in senso tecnico, riservata al personale appartenente alla segreteria o cancelleria dell'ufficio (Sez. 4, sent. n. 3277 del 16/10/2012, Manna ed altri, n. 3277, Rv. 255009).
La motivazione della Corte territoriale - in quanto ineccepibile da un punto di vista logico e giuridico, oltre che coerente a principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità - si sottrae alle censure formulate dal ricorrente G.A.. Peraltro, può essere utile aggiungere che questa Corte ha avuto modo di precisare (Sez. 5, sent. n. 11086 del 156/12/2014, 2015, V., Rv. 262816) che l'omissione dell'avviso all'indagato di accertamenti tecnici irripetibili integra un'ipotesi di nullità di ordine generale a regime intermedio, che è sanata con l'acquisizione concordata della relazione di consulenza.
3. Non fondato è anche il motivo secondo di ricorso, che concerne il giudizio di penale responsabilità per l'omicidio colposo in contestazione.
3.1. Al riguardo, il Giudice di primo grado - dopo aver ricordato i doveri che incombono sul datore di lavoro, quale garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei lavoratori (p. 10) - ha ritenuto che nel caso di specie «il datore di lavoro non ha adottato alcuna misura tecnica ed organizzativa per ridurre al minimo tutti i rischi connessi all'attività lavorativa», e, in particolare, aveva reso materialmente e liberamente disponibile in loco ai lavoratori un ministrasporter, che non era mai stato sottoposto a manutenzione e che era privo dei requisiti minimi di sicurezza, nonché non aveva fornito alcuna forma di addestramento al lavoratore in modo da neutralizzare i rischi connessi all'utilizzo del mezzo stesso (tanto più che i due lavoratori erano stati ingaggiati per una sola giornata e non conoscevano affatto il mezzo) e neppure aveva vigilato per verificare che le condizioni di sicurezza fossero mantenute per tutto il tempo in cui l'opera sarebbe stata prestata.
3.2. E la Corte territoriale ha argomentato sulla base di "un quadro assai univoco", costituito: a) dalle dichiarazioni rese da C.S.C., testimone oculare del sinistro in cui aveva perso la vita il povero EG.A.; b) del fatto che dette dichiarazioni erano risultate pienamente riscontrate, da un lato, dalle stesse parziali ammissioni rese dagli odierni imputati, i quali avevano riferito di avere personalmente incaricato EG.A. e C.S.C. di raccogliere le arance, e, dall'altro, dalle risultanze della consulenza disposta nel corso delle indagini preliminari ed acquisita nel corso del giudizio di primo grado.
In particolare, la Corte ha ribadito la sussistenza del nesso di causalità tra la morte dell'EG. e l'attività lavorativa posta in essere dallo stesso con il minitrasportater, ravvisandolo nella cattiva tenuta del mezzo, nonché nella mancanza di un'adeguata formazione ed informazione del lavoratore deceduto sulle modalità operative.
Sul punto la Corte ha preliminarmente osservato che, in tema di reati omissivi impropri, la fattispecie di reato deve essere costruita in via interpretativa, in base al combinato disposto della norma di parte speciale (art. 590 commi 1, 2 e 3 c.p.) e della clausola generale di cui all'art. 40 comma 2 (che estende la punibilità del fatto commissivo all'omesso impedimento dell'evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire); ragion per cui, tra la condotta omissiva e l'evento non impedito deve sussistere un nesso di causalità accertabile (non in termini di derivazione sulla base di dati reali, bensì) in base ad un giudizio prognostico sulla possibilità che l'eventuale compimento dell'azione dovuta da parte del titolare della posizione di garante avrebbe evitato l'evento lesivo, con una probabilità vicina alla certezza. Trattandosi di causalità ipotetica, sussiste un nesso di derivazione non soltanto ogniqualvolta venga accertata la concatenazione logica e causale dell'evento, ma anche quando tutte le variabili sulla causazione dell'evento, ipotizzabili nelle circostanze di tempo e di luogo, risalgono eziologicamente alla condotta omissiva dell'agente rispetto all' obbligo di impedire la causazione dell'evento.
Quindi, la Corte ha rilevato che, nel caso di specie, la mancata formazione del proprio dipendente sui rischi e sulle modalità di svolgimento dell'incarico costituiva una condotta addebitabile all'imputato a titolo di colpa specifica, nella misura in cui l'infortunio era dipeso dalla negligenza del lavoratore, il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, aveva posto in essere condotte imprudenti, come conseguenza diretta e prevedibile dell'inadempienza degli obblighi formativi ed informativi da parte del datore di lavoro. Sussisteva altresì colpa specifica dell'imputato, con riguardo alla mancata manutenzione del mezzo.
Secondo la Corte, proprio il mancato rispetto delle norme in materia di sicurezza e prevenzione, nonché la mancata predisposizione di un piano operativo per la sicurezza dei lavori intrapresi erano state la causa della morte del povero EG.A..
La Corte ha preso in esame l'assunto difensivo secondo il quale i due operai non avevano avuto l'autorizzazione ad utilizzare il minitrasporter e l'incidente sarebbe dipeso da una errata manovra posta in essere dalla vittima, ma lo ha disatteso, in quanto la manovra della vittima, quand'anche fosse stata errata, non sarebbe, in ogni caso, valsa ad interrompere il nesso di causalità, in conformità dei principi affermati da consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (si cfr., tra le tante, la sent. n. 7955 del 10/10/2013, 2014, Rovaldi, Rv. 259313, peraltro puntualmente richiamata in sentenza).
3.3. In definitiva, la Corte di merito ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la valutazione espressa dal primo giudice, sviluppando un percorso argomentativo che non presenta aporie di ordine logico e che risulta perciò immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità.
4. Fondato è invece il primo motivo di ricorso.
4.1. Il ricorrente, ricordando l'analoga doglianza formulata in appello, fa presente che era stato chiamato a rispondere dei reati di cui ai capi B), D) ed F). Osserva che, poiché i fatti di cui ai capi D) ed F) erano stati dichiarati prescritti, era stato erroneamente ritenuto colpevole anche del reato di cui al capo C) (essendo stato individuato come reato più grave quello di cui al capo B ed essendo stato applicato sulla relativa pena base l'aumento per la continuazione), del quale non era stato mai imputato.
4.2. La censura del ricorrente coglie nel segno.
Ed invero, il Giudice di primo grado, per quanto il capo C) dalla intestazione della relativa sentenza fosse contestato soltanto al M.A., ha ritenuto (p. 14) anche il G.A. colpevole del reato di cui al capo C), per avere assunto alle proprie dipendenze lo sfortunato EG.A. (di fatto clandestino in quanto privo di valido permesso di soggiorno), ed ha per esso previsto un aumento di pena pari a mesi 9 di reclusione (p. 15).
La Corte territoriale - dopo aver rilevato l'intervenuta prescrizione per i fatti di cui ai capi D) ed F) - in accoglimento dell'ultimo motivo di appello, concernente "l'eccessività della pena" (p. 7) - ha rilevato che, seppur le modalità del fatto fossero "indicative di una preoccupante noncuranza della sicurezza dei lavoratori", l'odierno ricorrente era "sostanzialmente immune da precedenti penali" ed aveva tenuto, nel corso del dibattimento, "un comportamento assai collaborativo"; ed ha quindi ritenuto di dover concedere allo stesso le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui al capo B, pervenendo ad una rideterminazione della pena, per effetto della intervenuta declaratoria di prescrizione e del riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti, in anni due di reclusione (partendo dalla pena base di anni uno e mesi 10 per il fatto di cui al capo B ed applicando l'aumento di mesi 2 di reclusione per il fatto di cui al capo C).
Senonché la Corte territoriale, così operando, ha omesso di prendere in considerazione il terzo motivo di appello del G.A., che aveva per l'appunto ad oggetto (non l'eccessività della pena, ma) la mancanza di corrispondenza tra il contestato ed il ritenuto in sentenza. Ed ha - conseguentemente ed erroneamente - operato un aumento di mesi 2 di reclusione per il fatto di cui al capo C (pur risultando detto fatto non contestato al G.A. anche dalla intestazione della sentenza di secondo grado).
Ne consegue che, in accoglimento della doglianza difensiva, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla pena. E l'annullamento deve essere senza rinvio, in quanto la riduzione del trattamento sanzionatorio (per mesi due) non involge valutazioni di merito, precluse, come è noto, a questa Corte.
 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena, che ridetermina in anni uno mesi dieci di reclusione.
Rigetta il ricorso nel resto.