Cassazione Penale, Sez. 4, 23 maggio 2017, n. 25554 - Caduta dall'alto: le passerelle poste a più di 2 mt. di altezza vanno dotate di adeguato parapetto. Continuità normativa tra il D.P.R. 164/56 e il D. Lgs. 81/08


 

Pur dopo la entrata in vigore del D.lgs.n.81/2008 (T.U. sulla sicurezza), integra la fattispecie criminosa contestata la violazione della prescrizione secondo cui gli impalcati ed i ponti, le passerelle, le andatoie poste ad un'altezza maggiore di 2 metri, vanno dotati su tutti i lati verso il vuoto di un parapetto robusto ed in buono stato di conservazione (art. 126), in quanto sussiste continuità normativa tra le nuove disposizioni e quelle abrogate, contenute nel D.P.R.n.164/1956, tra le quali in particolare l'art. 68 secondo cui le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro, anche se usate per il passaggio di materiali o di persone, devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede.
Evidente nell'ipotesi in esame la violazione della specifica norma cautelare, atteso che gli operai stavano trasferendo le assi di ponteggio, dal furgone ad un box adibito a deposito, utilizzando una passerella o rampa, sopraelevata di oltre due metri dal suolo e totalmente priva di protezione verso il vuoto.


 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 27/04/2017

 

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza in data 5 novembre 2012 la Corte d'Appello di Bari rideterminava la pena inflitta dal Tribunale di Foggia a DC.G. quale responsabile di lesioni colpose ai danni di S.M., reato aggravato dalla violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Era stato contestato all'Imputato, titolare della Impresa Generale di Costruzioni s.r.l. e datore di lavoro dell'operaio infortunato, di non aver protetto, con idoneo parapetto, l'apertura verso il vuoto lasciata in un solaio ove erano in corso lavori edili, in modo da impedire la caduta di persone (e ciò in violazione dell'art.68 del D.P.R.n.164/1956, ed oggi degli artt.126, 111 e 80 del D.lgs.n.81/2008): in conseguenza di tale omissione il S.M. era precipitato al suolo da un'altezza di oltre due metri ed aveva riportato gravi lesioni.
Rilevava la Corte territoriale che la dinamica del fatto aveva trovato conferma nelle dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni presenti, escussi nel corso dell'istruttoria dibattimentale; che il solaio presentava un'apertura verso il vuoto non protetta; che la circostanza, dedotta dalla difesa nell'atto di appello, che l'operaio non avesse raccolto l'invito del datore di lavoro di abbandonare il cantiere per le avverse condizioni atmosferiche, non costituiva condotta esorbitante, idonea ad interrompere il nesso di causalità tra l'omissione addebitata all'imputato e l'evento lesivo; che l'ulteriore circostanza che il parapetto, sempre presente, fosse caduto il giorno precedente l'accaduto a causa della violenza del vento, del pari non escludeva la responsabilità del DC.G., tenuto al rispetto delle norme di prevenzione.
2. Ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, per tre motivi.
2.1. Con un primo motivo deduce l'erronea applicazione delle norme in materia di prescrizione, avendo la Corte d'Appello omesso di considerare che alla data della sentenza si era già verificato l'evento estintivo del reato. Osserva che la commissione del reato risale al 5 agosto 2005, precedente rispetto alla entrata in vigore della legge n.251/2005, e dunque andava applicata, in quanto più favorevole, la vecchia formulazione dell'art.157 c.p. in base alla quale il termine di prescrizione era pari a cinque anni; quanto alla interruzione del termine necessario a prescrivere andava invece applicata la nuova formulazione dell'art.161 c.p., calcolando il prolungamento del termine in misura non già della metà ma di un quarto. Conseguentemente il termine massimo era di 6 anni e 3 mesi ed il reato era prescritto sin dal 5 gennaio 2012; in ogni caso la prescrizione è maturata il 5 febbraio 2013, prima della proposizione del ricorso per cassazione, e dunque l'eccezione va valutata in sede di legittimità anche in caso di ricorso inammissibile. 
2.2. Con un secondo motivo lamenta violazione di legge in ordine alla valutazione della prova e mancanza/contraddittorietà della motivazione in ordine all'accertata violazione dell'art.68  D.P.R.n.164/1956. La Corte di Bari ha erroneamente ritenuto sussistente la colpa dell'imputato, nonostante egli avesse ordinato di sospendere i lavori per le avverse condizioni meteo ed il lavoratore, poi infortunatosi, avesse disatteso tale ordine. L'attività istruttoria non aveva poi consentito di accertare da quale altezza fosse caduto il lavoratore né la mancanza effettiva della barriera protettiva.
2.3. Con il terzo motivo si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della non menzione.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.
2. In tema di successione di leggi penali, questa Corte ha da tempo affermato che ai fini della individuazione della normativa più favorevole per il reo, non si può procedere a una combinazione delle disposizioni più favorevoli della nuova legge con quelle più favorevoli della vecchia, in quanto ciò comporterebbe la creazione di una terza legge, diversa sia da quella abrogata sia da quella in vigore, ma occorre applicare integralmente quella delle due che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla vicenda concreta oggetto di giudizio, più vantaggiosa per il reo (Sez.3, n.23274 del 10/2/2004, Rv.228728).
Ne discende che in tema di prescrizione non è consentita l'applicazione simultanea di disposizioni introdotte dalla legge n.251 del 2005 e di quelle precedenti, secondo il criterio di maggior convenienza per l'imputato, ma occorre applicare integralmente l'una o l'altra disciplina (Sez.5, n.26801 del 17/4/2014, Rv.260228; Sez.5, n.43343 del 5/10/2010, Rv.248783).
Nella specie - considerato il DC.G. veniva tratto a giudizio con decreto emesso in data 13.2.2009 - trova senz'altro applicazione il riuovo tpsto dell'art.157 c.p. che prevede un termine massimo di prescrizione di 7 anni e 6 mesi, termine decorso successivamente alla pronuncia della Corte territoriale.
Non corretta è poi la prospettazione difensiva secondo la quale potrebbe essere valutata l'eccezione di prescrizione maturata prima del deposito del ricorso, in quanto la inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art.129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (ex multis, Sez.2, n.28848 del 8/5/2013, Rv.256463).
3. Quanto alla ritenuta responsabilità del datore di lavoro per violazione dell'art. 68  D.P.R.n. 164/1956, oggetto del secondo motivo di ricorso, va in primo luogo rilevato, secondo la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito in base al racconto della parte offesa e alle dichiarazioni dei testi presenti all'infortunio, che il S.M. era caduto da un'altezza di circa mt. 2,40 - 2,50 mentre, su indicazione del DC.G., stava trasferendo delle tavole da ponteggio da un furgone al box di una villetta in costruzione, passando su una rampa priva di protezione; tale zona, interna al cantiere, era ancora frequentata dai lavoratori, che la utilizzavano come deposito, circostanza quest'ultima ammessa dallo stesso imputato.
Del tutto correttamente quindi la Corte territoriale, nel confermare il ragionamento sviluppato dal Tribunale, ha ritenuto che il datore di lavoro dovesse osservare la specifica disposizione cautelare di cui all'art. 68 DPR n.164/1956 munendo la rampa di adeguata protezione.
Pur dopo la entrata in vigore del D.lgs.n.81/2008 (T.U. sulla sicurezza), integra la fattispecie criminosa contestata la violazione della prescrizione secondo cui gli impalcati ed i ponti, le passerelle, le andatoie poste ad un'altezza maggiore di 2 metri, vanno dotati su tutti i lati verso il vuoto di un parapetto robusto ed in buono stato di conservazione (art. 126), in quanto sussiste continuità normativa tra le nuove disposizioni e quelle abrogate, contenute nel D.P.R.n.164/1956, tra le quali in particolare l'art.68 secondo cui le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro, anche se usate per il passaggio di materiali o di persone, devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede.
Evidente nell'ipotesi in esame la violazione della specifica norma cautelare, atteso che gli operai stavano trasferendo le assi di ponteggio, dal furgone ad un box adibito a deposito, utilizzando una passerella o rampa, sopraelevata di oltre due metri dal suolo e totalmente priva di protezione verso il vuoto.
Stante detta accertata dinamica del sinistro, nessun dubbio poteva ragionevolmente porsi - secondo quanto argomentato dai giudici di merito - circa la esistenza di un nesso di causalità tra l'omissione e l'evento, che il rispetto della norma di prevenzione avrebbe impedito, in quanto l'apposizione della barriera verso il vuoto avrebbe protetto il lavoratore, che aveva messo un piede in fallo, e ne avrebbe evitato la caduta al suolo.
Infine, immune da vizi logici e giuridici l'esclusione di un'interruzione del nesso di causalità per asserita condotta anomala del S.M., che al momento del sinistro stava eseguendo un lavoro ricompreso nelle sue mansioni ed anzi indicatogli dallo stesso DC.G. a causa del cattivo tempo, avendo la Corte territoriale ribadito in proposito il principio ormai acquisito e ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la predisposizione ed il rispetto delle misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro (o comunque del soggetto titolare della posizione di garanzia) è finalizzato a proteggere i lavoratori anche da loro eventuali imprudenze.
3. Con l'ultimo motivo il ricorrente si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Anche sul punto va escluso il denunciato vizio motivazionale, avendo la Corte di Bari disatteso lo specifico motivo di appello con valutazione discrezionale in cui ha evidenziato la gravità del fatto commesso e l'assenza di qualsivoglia comportamento da parte dell'imputato, suscettibile di essere valutato favorevolmente.
Infine, va escluso ogni obbligo di motivazione circa concedibilità della non menzione, in quanto il beneficio non era stato richiesto con uno specifico motivo di appello (Sez.5, n.41006 del 1375/2015, Rv.264823; Sez.3, n.3431 del 477/2012, Rv.254681).
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000,00 euro in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent.n.186/2000).
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27 aprile 2017