Cassazione Penale, Sez. 4, 23 maggio 2017, n. 25561 - Infortunio mortale durante le operazioni di montaggio di una pressa: mancanza di idonee attrezzature


 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO Data Udienza: 09/05/2017

 

Fatto

 

1. Con sentenza del Tribunale di Torino -Sezione Distaccata di Susa- in data 10/12/2009, DF.G. veniva condannato alla pena di mesi 6 di reclusione perchè ritenuto responsabile del delitto di cui all'art. 589, comma 2, c.p. per avere, nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della Asservo Presse s.r.l., (ditta incaricata di operazioni di montaggio presse nello stabilimento della G.M.C. GENERAL MECCANICA CAPRIE S.p.A.), cagionato per colpa la morte di P.S., dipendente della ditta ASSERVO PRESSE s.r.l.; in particolare con negligenza, imprudenza, imperizia nonché in violazione dell'art. 35, comma 1, D.L.vo 494/1995 (ndr. art. 35, comma 1, D.Lgvo 626/1994) disponeva o consentiva che P.S. effettuasse operazioni di montaggio di una pressa IMV 400 Tipo DML 79.644 presso lo stabilimento industriale della G.M.C. GENERAL MECCANICA CAPRIE S.P.A. non avendo fornito al medesimo attrezzatura idonea ai fini della tutela della salute e sicurezza sul lavoro; infatti le operazioni di sollevamento della colonna, sita all'interno del corpo della pressa, richiedevano -a differenza di quanto avvenuto- l'utilizzo di una ganascia idonea a trattenere la colonna (art. 35 D.L.vo 626/1994), mentre invece la manovra era eseguita mediante l'impiego di un tipo di ganascia non idonea al trattenimento ovvero:
1) dotata di una superficie di attrito troppo ridotta tra la ganascia stessa e la colonna;
2) in presenza di una colonna a sua volta liscia e priva di punti di presa;
3) con la possibilità dell'attuazione di un serraggio non identico tra le due barre filettate, con conseguente possibilità di spostamento laterale della ganascia e quindi dello sfilarsi della colonna dalla presa; di modo che, effettuando l'operaio P.S. un sollevamento della colonna con lo strozzo della cinghia posto sotto alla ganascia, il P.S. stesso si collocava durante il montaggio tra la pressa e la cinghia non in tensione allorquando, essendo improvvisamente scivolata la colonna verso il basso in quanto non trattenuta dalla ganascia inidonea, si determinava una messa in tensione del sistema di sollevamento, con schiacciamento del P.S. tra la cinghia improvvisamente tesasi e la pressa, con gravissimi traumatismi alla testa e conseguente decesso del lavoratore; con l'aggravante del fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In Caprie (TO), il 26/07/2007.
1.1. Con la sentenza n. 4042/16 R.T.L. del giorno 11/12/2015, la Corte di Appello di Torino, adita dall'imputato, in parziale riforma della sentenza appellata, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti, riduceva la pena a 4 mesi di reclusione, confermando nel resto.
2. Avverso tale sentenza d'appello, propone ricorso per cassazione DF.G., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) vizi motivazionali in relazione alla manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova. Deduce che l'evento mortale si verificò dunque esclusivamente in conseguenza della improvvida ed imprevedibile scelta dell'esperto lavoratore (P.S.) di non rispettare il POS e di non più ripetere le stesse corrette manovre che già aveva compiuto in precedenza per le due prime colonne.
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso è infondato.
4. Va premesso che, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
4.1. Occorre, inoltre, evidenziare che il ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame.
4.2. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.
4.3. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.4. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). 
4.5. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.6. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.7. In realtà il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
5. Ciò posto, deve, per completezza, evidenziarsi che il Giudice del merito ha, ineccepibilmente in questa sede, affermato che all'epoca dell'infortunio, il POS della ASSERVO PRESSE s.r.l. non prevedeva alcuna valutazione del rischio della specifica attività in questione e dei rischi connessi all'impiego delle ganasce nelle procedure di montaggio di parti strutturali delle presse, così come «pacificamente emerso dall'istruttoria e nemmeno negato dall'appellante».
5.1. In aggiunta, la Corte territoriale (conformemente a quanto asserito nella sentenza di primo grado) ha correttamente rilevato che le ganasce utilizzate in occasione dell'infortunio erano inidonee alla specifica attività in atto ed ai pesi e le sollecitazioni che esse dovevano sopportare. Rammentano i Giudici del merito che a comprova dell'inidoneità del mezzo, all'esito degli accertamenti eseguiti in conseguenza dell'infortunio è stata emessa dallo S.Pre.S.A.L. nei confronti della ASSERVO PRESSE s.r.l. una prescrizione avente ad oggetto l'adozione di un idoneo sistema di presa tale da non determinare il rischio di sfilo del carico «Prescrizione ottemperata dall'azienda che, come dichiarato con l'ausilio di un professionista, ha progettato una nuova tipologia di ganascia, che permettesse una sicura e salda presa. Con ciò essendo comprovato che lo stato della tecnica avrebbe permesso l'uso di mezzi più idonei di quelli utilizzati».
6. Nel caso che occupa la mancata previsione del rischio e l'inidoneità dei mezzi per contenerlo è stata individuata, dai giudici del merito, come causa efficiente nella determinazione dell'evento reato.
6.1. Quanto alla rilevanza delle eventuali condotte negligenti ovvero imprudenti riferibili al dipendente infortunato, occorre rimarcare che, nell'ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il "garante è il soggetto che gestisce il rischio" e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell'ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
6.1.1. Nel caso che occupa l'imputato era il gestore del rischio e l'evento si è verificato nell'alveo della sua sfera gestoria; la eventuale ed ipotetica condotta abnorme del lavoratore non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta del lavoratore non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante era chiamato a governare (cfr. Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014 Rv. 261108).
Correttamente la Corte territoriale ha affermato che alcuna abnormità delle condotta del lavoratore «ricorre certo nel caso di specie, ove le concrete modalità esecutive adottate dalla vittima rientra pienamente nel novero delle violazioni comportamentali che i lavoratori perpetrano quanto ritengono di aver acquisito competenza ed abilità nelle proprie mansioni, o quando ritengono che in tal modo sia possibile una accelerazione del lavoro. Laddove, in definitiva, il comportamento, sia pure imprudente, tenuto dal P.S. non può, in alcun modo considerarsi dato idoneo ad escludere la sussistenza della colpa sopra identificata a carico dell'odiemo imputato, né, tanto meno, ad introdurre una causa di per sé sola sufficiente a determinare l'evento, e, dunque, ad escludere il nesso eziologico tra le violazioni alle regole cautelari poste in essere dal DF.G. e l'evento delittuoso.».
6.1.2. Nulla, poi, è emerso che possa lasciar presumere che il rispetto delle norme cautelari violate non fosse concretamente esigibile dall'imputato, nelle condizioni date.
7. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
8. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 09/05/2017