Cassazione Penale, Sez. 3, 30 maggio 2017, n. 26921 - Schiacciamento di due dita della mano dell'operaio: omessa predisposizione dei presidi di sicurezza e omessa informazione sul loro impiego


 

 

Le lesioni subite dal lavoratore erano state causate dall'aver azionato la macchina con la pedaliera quando questi teneva ancora ferma la lastra con le mani, così da provocare lo schiacciamento di due dita della mano destra sotto i pistoncini deputati a bloccare e trascinare la lastra di metallo da tagliare.

La condotta colposa imputabile all'imputato - consigliere delegato della spa - è stata individuata, sulla base delle risultanze istruttorie, nella omessa predisposizione dei presidi di sicurezza e nella conseguente omessa informazione sul loro impiego (guanti antischiacciamento e anticesoiamento).


 

 

Presidente: AMOROSO GIOVANNI Relatore: DI STASI ANTONELLA Data Udienza: 09/03/2017

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 8.1.2016, la Corte di appello di Lecce, pronunciando in sede di giudizio di rinvio a seguito della sentenza n. 1282/2015 di questa Suprema Corte, confermava, per quanto qui rileva, la sentenza del Tribunale di Brindisi del 22.4.2013 nella parte in cui aveva dichiarato S.M. responsabile del reato di cui agli artt. 590, commi 2 e 5 cod.pen., 64,71 e 73 d.lgs 81/08 - perché quale consigliere delegato della ditta S.M. spa di Volpago di Montello, con specifica delega in materia di sicurezza sul lavoro, cagionava , per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza nonché per violazione delle predette norme della legislazione antinfortunistica, al dipendente F.C. lesioni personali gravi consistite nell'amputazione della falange unguale del 3° e del 4° dito della mano destra- e lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.M., per il tramite del difensore di fiducia, deducendo violazione dell'art. 627, comma 3 e 2 cod.proc.pen., vizio di motivazione e travisamento del fatto.
Il ricorrente deduce, innanzitutto, che nel giudizio di rinvio si sarebbe verificata una indebita regressione del giudicato, con conseguente violazione dell'art. 627 comma 3 cod.proc.pen.
Osserva che la Suprema Corte aveva indicato il deficit del giudizio esplicativo nel mancato accertamento della questione decisiva della dinamica dell'infortunio, ovvero se si fosse trattato di cesoiamento o schiacciamento, e che il giudice del rinvio, individuata la causa dell'infortunio nello schiacciamento, avrebbe individuato un profilo di colpa del tutto nuovo- solo sul quale fondava l'affermazione di responsabilità- in termini di omessa predisposizione di presidio di sicurezza costituito da guanto con anima metallica ed omessa informazione sul relativo impiego; la Corte di appello, inoltre, avrebbe errato nell'assimilare lo schiacciamento al taglio, travisando la deposizione del teste L. che aveva riferito che l'infortunato indossava guanti destinati alla prevenzione di rischi di schiacciamento e cesoiamento e che il guanto con anima metallica, non indossato, era finalizzato, invece, alla prevenzione di rischio di taglio.
Deduce, poi, anche la violazione dell'art. 627, comma 2 cod.proc.pen. in quanto il travisamento della prova avrebbe determinato anche la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale richiesta dal P.G. nel giudizio di rinvio.
Deduce, infine, che laddove dovesse ritenersi il nuovo profilo di colpa individuato dal Giudice del rinvio come punto non già deciso dalla Suprema Corte, la motivazione offerta in ordine a tale profilo sarebbe carente, contraddittoria ed illogica.
Argomenta che il vizio motivazionale sarebbe evidente perché la sentenza impugnata assumerebbe lo schiacciamento come causa dell'evento ed individuerebbe, invece, la causa delle lesioni nella mancanza di un presidio anti taglio e non già anti schiacciamento.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1 -Il ricorso va dichiarato inammissibile perché fondato su motivi manifestamente infondati.
2. Va premesso che, nel caso in esame, l'annullamento della sentenza del giudice di secondo grado è intervenuto per difetto di motivazione e, in particolare, per il ritenuto deficit motivazionale sul nesso di causalità.
Va, quindi, ricordato che, come è noto, i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l'annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
Invero, nel primo caso, il giudice di rinvio ha sempre l'obbligo di uniformarsi alla decisione sui punti di diritto indicati dal giudice di legittimità e su tali punti nessuna delle parti ha facoltà di ulteriori impugnazioni, pur in presenza di una modifica dell'interpretazione delle norme che devono essere applicate da parte della giurisprudenza di legittimità.
Nel caso, invece, di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio conserva la libertà di decisione mediante autonoma vantazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato anche se è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. Sezione 4A, 21 giugno 2005, Poggi, rv 232019) il giudice di rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata.
Ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza essere condizionato da valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al giudice di legittimità nelle proprie 
argomentazioni, essendo diversi i piani su cui operano le rispettive valutazioni e non essendo compito della Corte di cassazione di sovrapporre il proprio convincimento a quello del giudice di merito in ordine a tali aspetti.
Del resto, ove la Suprema Corte soffermi eventualmente la sua attenzione su alcuni particolari aspetti da cui emerga la carenza o la contraddittorietà della motivazione, ciò non comporta che il giudice di rinvio sia investito del nuovo giudizio sui soli punti specificati, poiché egli conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito relativamente all'individuazione ed alla valutazione dei dati processuali, nell'ambito del capo della sentenza colpito da annullamento. Non viola, pertanto, l'obbligo di uniformarsi al cd. giudicato interno il giudice di rinvio che dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilità dell'imputato sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello censurato in sede di legittimità.
Ed invero, eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine della individuazione del vizio o dei vizi segnalati e, non, quindi come dati che si impongono per la decisione a lui demandata.
Non viola, quindi, l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità. (Sez.4, n.20044 del 17/03/2015, Rv.263864; Sez.5, n.36080 del 27/03/2015, Rv.264861;Sez.4, n.44644 del 18/10/2011,Rv.251660).
3. Nella specie, la Corte territoriale, in linea con i suesposti principi, ha supportato la decisione di condanna affrontando tutti i punti essenziali della questione demandata: l'esatta dinamica dell'incidente in relazione alle lesioni riportate dal lavoratore e la rilevanza della qualifica del lavoratore in relazione all'utilizzo della macchina- cesoia oleodinamica- fonte dell'infortunio.
Sotto il primo profilo, i giudici di appello hanno chiarito che, sulla base della rivalutazione del materiale probatorio, la dinamica dell'incidente andava ricostruita nel senso che il lavoratore infortunato aveva avviato la macchina quando aveva le mani ancora sotto la lamiera e che le dita erano state schiacciate dai pistoncini che fissavano al piano e facevano camminare la lamiera.
Hanno, quindi, precisato che le lesioni subite dal lavoratore erano state causate dall'aver azionato la macchina con la pedaliera quando questi teneva ancora ferma la lastra con le mani, così da provocare lo schiacciamento di due dita della mano destra sotto i pistoncini deputati a bloccare e trascinare la lastra di metallo da tagliare.
Sotto il secondo profilo, i giudici di appello hanno precisato che non poteva ritenersi che il lavoratore infortunato, operaio saldatore di quinto livello, fosse stato impiegato in mansioni che non gli erano proprie, in quanto, essendo assente la figura professionale del cesoiatore, ben poteva essere adibito all'utilizzo della macchina cesoiatrice anche operaio con diversa qualifica; inoltre, era emerso che il lavoratore in questione aveva ricevuto le informazioni necessarie al suo funzionamento.
La condotta colposa imputabile all'imputato è stata individuata, sulla base delle risultanze istruttorie, nella omessa predisposizione dei presidi di sicurezza e nella conseguente omessa informazione sul loro impiego (guanti antischiacciamento e anticesoiamento).
Tale profilo di colpa, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, risultava già contestato (punto 2 dell'imputazione) e rilevato dal primo giudice (pag 1 della sentenza di primo grado) e di tanto si dà atto anche nella sentenza impugnata.
La motivazione esposta dalla Corte territoriale, inoltre, è congrua e logica e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.
Le censure mosse dal ricorrente all'apparato motivazionale, peraltro, si sostanziano in una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali, esponendo censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148). 
La doglianza relativa ad un travisamento della prova testimoniale è, poi, inammissibile.
Va osservato che la novella dell'art. 606, comma primo lett. e), cod. proc. pen. ad opera della L. n. 46 del 2006 consente che per la deduzione dei vizi della motivazione il ricorrente faccia riferimento come termine di comparazione anche ad atti del processo a contenuto probatorio, ed introduce così un nuovo vizio definibile come "travisamento della prova", per utilizzazione di un'informazione inesistente o per omissione della valutazione di una prova, entrambe le forme accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica, restando estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa e fermi restando il limite del devotutum in caso di cosiddetto "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 1, 24667/2007 Rv. 237207, ricorrente Musumeci, Sez.2, n.19848 del 24/05/2006, Sez.5,n.36764 del 24/05/2006).
In particolare (Sez. 6 n. 23781 del 2006 15/3/2006, Casula e 24/3/2006, Scazzanti) è necessario perché si possa fare utile applicazione della predetta disposizione che: sia specificamente indicato l'atto del processo dal quale risulterebbe in tesi il vizio motivazionale; sia individuato l'elemento fattuale o il dato probatorio emergente da tale atto e incompatibile con la ricostruzione propria della decisione impugnata; sia fornita la prova della corrispondenza al vero di tale elemento o dato; vengano indicate le ragioni per le quali tale dato, non tenuto presente dal giudice, risulti decisivo per la tenuta logica della motivazione già adottata, sia cioè tale da mettere in crisi, disarticolandolo, l'intero impianto argomentativo sottoposto ad esame.
L'accesso agli atti del processo, in particolare, non è indiscriminato, ma veicolato dall'atto di impugnazione che deve indicare "specificamente" quali siano gli atti ritenuti rilevanti al fine di consentire il controllo della motivazione del provvedimento impugnato, indicazione che potrà assumere le forme più diverse (integrale riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, individuazione precisa della collocazione dell'atto nel fascicolo processuale di merito ecc.), ma sempre tali da non costringere la Corte di cassazione ad un lettura totale degli atti comunque esclusa dal preciso disposto della norma, tanto che la relativa richiesta con i motivi di ricorso deve ritenersi sanzionata dall'art. 581 cod.proc.pen., comma 1, lett. c), e art. 591 cod.proc.pen.( Sez.3, n.12014 del 06/02/2007, Rv.236223 , Sez.2, n. 31980, del 14/06/2006, Rv. 234929).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto all'onere di allegazione a suo carico, essendosi limitato solo ad indicare quale atto oggetto di travisamento
probatorio le dichiarazioni testimoniali rese dal teste L., senza integrale riproduzione nel testo del ricorso o allegazione in copia o individuazione precisa della collocazione dell'atto nel fascicolo processuale di merito.
Ne consegue, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, l'inammissibilità del motivo proposto (Sez.6, n.29263 del 08/07/2010, Rv.248192; Sez.2, n.26725 del 01/03/2013, Rv.256723; Sez.3, n.43322 del 02/07/2014, Rv.260994; Sez.4, n.46979 del 10/11/2015, Rv.265053).
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'alt. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
5. L'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (Sez.U. n. 12602 del 25.3.2016, Ricci; Sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv.256463; Sez.U, n.23428 del 22/03/2005, Rv.231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 09/03/2017