Cassazione Penale, Sez. 4, 02 agosto 2017, n. 38528 - Rischi connessi all'utilizzo delle attrezzature in caso di anomalie di funzionamento. Infortunio mortale per la caduta dell'imbuto


 

 

Presidente: D'ISA CLAUDIO Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA Data Udienza: 01/06/2016

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte d'Appello di Brescia con l'impugnata sentenza, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Bergamo in data 15 dicembre 2011, riduceva la pena inflitta agli appellanti C.A., F.S. e R.G. a mesi sei di reclusione ciascuno.
I predetti imputati erano stati tratti a giudizio e condannati alla pena ritenuta di giustizia per rispondere, nell'ambito della "TENARIS DALMINE" in qualità di datore di lavoro il C.A. ed in qualità di dirigenti gli altri due, del reato di cui agli artt. 589, comma 1 e 3 per aver causato il decesso del dipendente S.R. (assunto da circa un anno dalla Adecco Italia S.p.A. ed impiegato presso la TENARIS).
In particolare il capo di imputazione così recita : imputati del delitto p. e p. dagli artt. 589 1 e II co. c.p. in relazione agli artt. 36 comma 2-37 comma 1-71 commi 2 e 7 - 17 comma 1 lett. a) D.L.vo 81/08 perché, nell'ambito della Tenaris Dalmine s.p.a.". C.A. in qualità di datore di lavoro, F.S. e R.G. in qualità di dirigenti di sicurezza nel reparto denominato "Fas-Expander" (ove si è verificato l'infortunio) causavano il decesso del dipendente S.R. (assunto da circa un anno dalla Adecco Italia s.p.a. e impiegato presso la Tenaris Dalmine).
Fatto commesso per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare, perché non assicuravano ai lavoratori la giusta formazione e informazione relativa all'utilizzo delle attrezzature messe a loro disposizione; nell'utilizzo dell'imbuto presente sull'impianto Fas-Expander citato non venivano presi in considerazione i rischi connessi all'utilizzo dello stesso soprattutto in caso di anomalie del funzionamento dell'impianto e con riferimento alla necessità di impedire la caduta accidentale dell'imbuto sulla linea; non assicuravano ai lavoratori adeguato e specifico addestramento sull'utilizzo di attrezzature che richiedevano conoscenze e responsabilità particolari tali da permettere un utilizzo sicuro delle stesso; non disponevano che i dipendenti partecipassero a un addestramento specifico e relativo alle necessarie manovre di attrezzaggio e disattrezzaggio della linea di carico dell'impianto Fas-Expander, nel documento di valutazione dei rischi non prendevano in considerazione in modo specifico e puntuale la parte dell'impianto denominata imbuto presente nella zona di carico del Fas - Expander; non fornivano istruzioni specifiche sui provvedimenti da adottare nel caso di anomalie, compresa l'ipotesi del perno lasciato accidentalmente inserito prima di procedere ad avviare l'impianto; cosicché mentre il S.R. con altri tre colleghi nel turno notturno del 9 dicembre stava effettuando le operazioni di riattrezzaggio dell'impianto sopra descritto (in quanto erano state ultimate le operazioni di manutenzione e pulizia) si avvedeva che il perno di sicurezza era rimasto inserito nell'imbuto e pertanto ne impediva la discesa. Inizialmente non essendo possibile sfilare il predetto perno manualmente (perché l'imbuto premeva su di esso) i quattro operai, del tutto privi di istruzioni sul comportamento più sicuro e corretto da adottare in tale frangente, effettuavano diversi tentativi (utilizzando per esempio un tubo forato, un martello e poi anche la fiamma ossidrica); quando riuscivano a sfilare il perno di sicurezza, tuttavia, nell'alloggiamento del predetto perno rimaneva incastrato il tubo forato che, in un primo momento, impediva anch'esso la discesa dell'imbuto; ad un tratto, tuttavia, mentre S.R. si trovava all'interno della zona rulli, sotto la traiettoria di discesa dell'imbuto, questo scendeva travolgendo l'infortunato e causandogli lesioni gravissime che ne determinavano il decesso. In Dalmine il 9.12.2008''
La gravata sentenza ha confermato la penale responsabilità degli odierni ricorrenti, stigmatizzando in particolare la circostanza che l'inserimento dello spinotto- da ritenersi una misura prevenzionale tesa ad impedire l'accidentale discesa dell'imbuto, anche a causa di un eventuale errore umano, non fosse stato nell'azienda in cui si è verificato l'infortunio mortale previsto e regolamentato ed evidenziando come i dirigenti di Tenaris Dalmine non avessero tenuto conto dei rischi insiti anche nelle possibili anomalie di comportamento dell'imbuto, mancando in particolare nel documento di valutazione dei rischi una previsione specifica relativa alle fasi - dotate di specifiche peculiarità- di disattrezzaggio e riattreggiazzo della linea (p. 35)
2. Avverso tale decisione ricorrono congiuntamente a mezzo dell'avvocato Omissis C.A., F.S. e R.G..
Con un primo motivo denunciano violazione di legge e vizio motivazionale in merito alla sussistenza della colpa e del nesso causale fra l'evento e le omissioni contestate agli imputati. L'incidente si sarebbe infatti verificato per la condotta irrazionale della squadra di riattrezzaggio, in primis del capo squadra B. che aveva dato luogo ad un evento del tutto imprevedibile. Di contro il sistema di sicurezza ed il documento di valutazione del rischio erano sufficienti ed idonei ad evitare l'incidente; le regole cautelari in vigore erano conosciute ed in particolare vigeva l'assoluto divieto di accedere alle macchine durante il loro normale funzionamento in automatico (C appello no); l'imbuto doveva essere manovrato solo a distanza; in caso di difficoltà era necessario consultare il proprio superiore diretto (il caposquadra) e comunque il R.G. era sempre intervenuto. Stante la palese violazione delle regole da parte dei dipendenti, nulla avrebbero potuto fare il datore di lavoro ed i dirigenti.
Con un secondo motivo si deduce altresì vizio motivazionale sull'inosservanza delle regole cautelari e sulla causalità della colpa; l'evento non era né prevenibile né prevedibile, come riconosciuto secondo i ricorrenti dalla stessa sentenza; in un'impresa di grandi dimensioni in cui, in particolare la nomina del C.A. era intervenuta solo 41 giorni prima.
Con terzo motivo si deduce infine la inutilizzabilità delle dichiarazioni dei tre operai che avevano partecipato alle operazioni di riattrezzaggio della linea (B., G. e M.) in quanto asseritamente assunte in violazione degli artt. 63, 197 e 197 bis cpp, Distinto ricorso è stato presentato nell'interesse del solo C.A. dall'avvocato Omissis. Con un primo motivo si deduce vizio motivazionale in ordine alla ricostruzione del fatto ed al mancato riconoscimento di una causa interruttiva del nesso causale. In particolare, secondo l'assunto difensivo, sarebbe rimasta senza risposta una domanda fondamentale: perché e su ordine di chi il S.R. era salito sulla linea a rulli posizionandosi al di sotto dell'imbuto? L'infortunio si sarebbe verificato unicamente in relazione all'agire sconsiderato del B. .
Con il secondo motivo si denuncia vizio motivazionale in ordine ai principi che regolano la materia infortunistica; lo spinotto non poteva e doveva essere oggetto di valutazione specifica del rischio; le misure comportamentali previste erano assolutamente idonee; vi era assenza di certezza in merito alla efficacia preventiva della condotta alternativa omessa.
Con un terzo motivo si lamenta vizio motivazionale in ordine alla ritenuta carenza di valutazione dei rischi.
3. E' stata presentata memoria difensiva nell'interesse del R.G.. 

 

 

 

Diritto

 


4. Va premesso in fatto che - come emerge dalla impugnata sentenza- la notte dell' 8/ 9 dicembre 2008 nello stabilimento dell'acciaieria DALMINE, una squadra di operai, i cui componenti erano oltre al S.R., i colleghi B., G. ed M., era impegnata nelle operazioni di riattrezzaggio della linea di carico dell'impianto "Fas-Expander" che era rimasto fermo dalle ore sei di venerdì 5 dicembre e che avrebbe dovuto riprendere la produzione alle ore sei di quel nove dicembre. Il predetto impianto si compone di una pista meccanizzata (via rulli) lungo cui avanzano i tubi semilavorati per essere espansi e portati al diametro ed allo spessore desiderati attraverso un processo di laminazione a caldo realizzato mediante fornetti di preriscaldo posti lungo la linea stessa, dimensionati per lavorare esclusivamente tubi di determinate dimensioni. Per evitare che possano arrivare alla bocca dei fornetti tubi di diametro maggiore di quello consentito, prima dell'inizio dei fornetti stessi, ma sempre lungo la linea, è collocato un elemento ad anello, detto "imbuto" che ne impedisce l'accesso. L'imbuto è incernierato in una struttura metallica che ne consente la rotazione tramite un sistema pneumatico ad azoto ed ha due posizioni di stabilità: la prima quando è abbassato, la seconda quando è completamente alzato. In quest'ultima posizione è prevista un'ulteriore possibilità di bloccaggio mediante l'inserimento di uno "spinotto di stazionamento" o perno, dotato di una coppiglia di sicurezza. I movimenti dell'imbuto sono comandati da un'elettrovalvola, comandata via computer dalla cabina di controllo (il cd. pulpito) impostato comunque automaticamente su un programma che assicura il sincrono movimento dei fornetti e dell'imbuto o, in alternativa, mediante un pannello touchscreen che consente di mettere in movimento l'imbuto indipendentemente dai fornetti e che è monitorizzato da due sensori. Sull'elettrovalvola è però possibile agire anche manualmente, rendendo inefficace il comando elettrico. Nel caso di specie la squadra di operai provvide a dare il comando di "abbassa" all'imbuto che rimase inseguito a causa della presenza dello spinotto che si trovava inserito nel suo alloggiamento. Come riferito dalla Corte di merito il tentativo di sfilare il perno non ebbe successo e da questo momento i quattro (componenti la squadra), posero in essere una serie di iniziative estemporanee tutte rivolte a rimuovere quell'ostacolo. Dapprima tentarono di disincastrare lo spinotto battendo su di esso con una mazza ed usarono a mo' di controbattente sull'estremità dello spinotto stesso un tubo cavo percosso con un martello; questo espediente provocò in effetti la fuoriuscita dello spinotto che fu però sostituito nel suo alloggiamento proprio da quel tubo. In loco rimasero allora, dopo un altrettanto inutile tentativo di sollevare l'imbuto a mezzo di una piccola gru a bandiera, S.R. e B. (mentre M. era tornato sul pulpito dal quale sarebbero poi stati ripetuti inutili tentativi di azionare l'imbuto attraverso il pannello di comando) i quali decisero ricorrere alla fiamma ossidrica per tagliare il tubo che impediva la discesa dell'attrezzo. Quell'estremo tentativo venne in effetti sperimentato e, ad un certo punto, S.R. entrò nella linea dei rulli venendo a porsi proprio sotto l'imbuto; questo improvvisamente precipitò dalla posizione "alto" che aveva sino a quel momento mantenuta alla posizione di "basso", travolgendo così l'operaio che trovò morte istantanea.
Va logicamente in primo luogo esaminato il motivo concernente la dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali rese dai colleghi dell'infortunato. Il motivo è infondato: deve infatti rilevarsi che se è vero che in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, è pur vero che il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (cfr. Cass. Sez. Un n. 15208 del 25/02/2010 Ud. (dep. 21/04/2010) Rv. 246584). Nel caso in esame la Corte territoriale ha dato conto con motivazione specifica, logica e coerente della manifesta infondatezza della prospettazione difensiva, affermando che quando i tre compagni di lavoro del S.R. vennero sentiti dall'ufficiale di polizia giudiziaria della ASL si era ancora alla ricerca degli elementi di fatto necessari alla ricostruzione del tragico evento di cui al momento erano ancora incerte le cause ed il ruolo dei singoli operatori.
Va peraltro osservato che le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante, non sono utilizzabili contro chi le ha rese ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, in relazione ai quali non opera la sanzione processuale di cui all'art. 63, comma primo, cod proc. pen. ( cfr. 2, Sentenza n. 283 del 01/10/2013, Rv. 258105).
Nel resto le censure mosse non scalfiscono la impugnata sentenza si sviluppa secondo linee logiche e giuridiche pienamente coerenti ed esenti dalle prospettate censure Va in primo luogo osservato, in linea generale, come i ricorrenti sembrino trascurare che l'evento - come sopra riassunto nei suoi termini fattuali - si è realizzato se non durante una fase propria della lavorazione, comunque nell'ambito della normale attività lavorativa degli operai coinvolti nell'episodio che erano intenti al ripristino della linea di lavorazione dopo una pausa. Ciò comporta in primo luogo che debba ritenersi come la sentenza impugnata abbia fatto (con riferimento alla dedotta interruzione del nesso di causalità) buon governo del principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, in base al quale il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, per cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le altre, Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n.7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n.38877 del 29/09/2005, Fani, Rv. 232421), rimarcando come non fosse emersa alcuna estraneità del comportamento del lavoratore rispetto alle mansioni di fatto commessegli.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che era stata omessa la valutazione de rischio specifico connesso all'uso dello spinotto. Inoltre la vittima non era stata in alcun modo edotta dei rischi relativi.
L'indicato duplice tratto colposo della condotta è stato ritenuto idoneo a giustificare l’affermazione di responsabilità. Al datore di lavoro incombeva l'obbligo di informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e, naturalmente, di adottare le procedure di sicurezza appropriate. Va a riguardo in particolare osservato come la valutazione dei rischi ed il relativo documento costituiscono efficaci strumenti al servizio della sicurezza, consentendo la messa a fuoco della situazione pericolose e, conseguentemente, l'adozione delle adeguate misure di sicurezza. Peraltro le valutazioni e prescrizioni contenute nel detto documento non limitano per nulla la responsabilità dei garanti che, nella maggior parte dei casi, trovano il loro fondamento prescrittivo nella articolata disciplina di settore. Le omissioni o carenze del documento non possono per ciò solo far venire meno gli ulteriori obblighi datoriali previsti dalla legge. La constatazione del rischio impone comunque, infatti, ai garanti medesimi, nell'ambito delle loro rispettive competenze, di adottare le misure appropriate che, giova ripeterlo, riguardavano nel caso di specie la spiegazione dei rischi e l'adozione di procedure adeguate. Tali apprestamenti sono invece mancati: il rischio era noto (o comunque prevedibile), ma era governato con prassi inappropriata. Come precisato da questa Corte (cfr. da ultimo, Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253 ), in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi , all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
La gravata sentenza ha evidenziato tra l'altro in particolare come nel pur complesso e ponderoso Documento di Valutazione dei Rischi vigente nello stabilimento all'epoca in cui l'incidente accadde non vi fosse una previsione specifica relativa alle fasi di disattrezzaggio e riattrezzaggio della linea considerate nella loro autonomia funzionale e operativa. Le operazioni lavorative ivi previste erano esclusivamente quelle attinenti alle varie fasi dell'attività produttiva strettamente intesa e secondo parte appellante una specifica previsione sarebbe stata sostanzialmente superflua in quanto i rischi relativi a quelle specifiche fasi non erano diversi da quelli insiti nelle regolamentate fasi più propriamente operative. La Corte territoriale in proposito ha sottolineato come la fase di riattrezzaggio avesse specifiche peculiarità anche con riferimento ai rischi per la sicurezza degli addetti se non altro derivanti dalla interferenza dell'operare di squadre diverse (facenti capo anche a differenti datori di lavoro come accadeva per gli addetti alle pulizie industriali) che erano impegnate, in successione, in compiti differenti e necessariamente necessitanti di coordinazione. I rischi specifici di tale fase lavorativa non si esaurivano dunque in quelli ordinariamente scaturenti dalla possibile interferenza tra la presenza umana e le parti dell'impianto ma scaturivano anche dalla stessa necessaria interdipendenza delle singole operazioni commesse all’una e all'altra squadra e a eventuali, possibili e ragionevolmente prevedibili manchevolezze nel coordinamento tra le stesse.
La prova che il problema era avvertito - prosegue l'impugnata sentenza- si rinviene del resto nella scrupolosa procedimentalizzazione delle operazioni di sezionamento e di ripristino delle utenze elettriche, meccaniche e oleodinamiche a mezzo del sistema dei "cartellini" che è stato descritto dai testi e che si trova anche codificato nei documenti interni di Tenaris Dalmine prodotti in causa (in sostanza, sulla utenza sezionata veniva lasciata la prima parte di un apposito cartellino altra parte del quale era depositato sul pulpito di comando in modo che la squadra di riattrezzaggio, prelevando le parti dei cartellini lì presenti, era perfettamente al corrente di quali fossero state le utenze sezionate e poteva così riattivarle una dopo l’altra trovando su di esse il riscontro del cartellino lasciato dalla squadra di disattrezzaggio).
In queste pur meticolose procedure codificate non si trova invece cenno agli spinotti di sicurezza che, come si è detto, si trovavano in più punti della linea in maniera evidentemente funzionale ad impedire accidentali movimenti di talune parti meccaniche durante operazioni che implicassero la presenza di persone nel raggio di azione delle stesse.
D'altra parte, il successo della fase di riattrezzaggio e, in particolare, la possibilità di portare a termine i posizionamenti meccanici seguenti al ripristino delle utenze (e dunque anche l'abbassamento dell'imbuto sulla linea a rulli) secondo le modalità previste dalle anzidette procedure codificate presupponeva proprio che gli attrezzi fossero liberi di ubbidire ai comandi elettrici e pneumatici e cioè che non fossero bloccati dalla presenza di quegli spinotti (come è stato dimostrato dai fatti della notte sul 9 dicembre). Proprio l'assenza di una qualche regolamentazione dell'utilizzo dello spinotto di sicurezza (che lasciava gli addetti sostanzialmente liberi di inserirlo o di non inserirlo senza che vi fossero sistemi per garantire la conoscenza della scelta operata in capo a coloro che subentravano per completare le operazioni di riattrezzaggio) doveva rendere apprezzabile il rischio insisto nel possibile fallimento, appunto cagionato dalla presenza dello spinotto inserito non conosciuta da coloro che dovevano rimettere in moto l'impianto, delle procedure automatizzate di posizionamento meccanico dell'attrezzo.
Va peraltro rilevato - come sempre evidenziato dalla Corte territoriale- che nel Documento di Valutazione dei Rischi, in relazione alle varie fasi lavorative, è prevista anche la possibilità del verificarsi di guasti dell’impianto o di singole parti dello stesso che, infatti, sono visti essi stesi come sorgente di rischi particolari e specifici con la conseguenza che si prevedono e disciplinano le procedure per la risoluzione di detti inconvenienti in modo compatibile con la sicurezza degli addetti. Altrettanto invece non è con riferimento proprio alla possibilità, ragionevolmente prevedibile in ragione della mancata regolamentazione dell'utilizzo dello spinotto, che l'imbuto, comandato da remoto, non scendesse sulla linea perché meccanicamente impedito.
La sentenza non è neppure censurabile a proposito della evitabilità e prevedibilità dell'evento, avendo peraltro posto in rilievo come il problema riscontrato la notte in cui ebbe a verificarsi l'episodio non rappresentasse un unicum mai verificatosi prima nella conduzione dell'impianto (pag. 28) e che invece avrebbe dovuto essere regolamentato ove scongiurare il verificarsi dell'evento. In particolare la sentenza impugnata (pag. 31) ha affermato che la presenza dello spinotto fosse una misura prevenzionale, dovendosi stigmatizzare quindi che il suo inserimento non fosse stato nell'azienda previsto e regolamentato per tutte quelle operazioni che comunque prevedevano la presenza umana nel raggio di azione dell'imbuto.
L'inserimento di quegli spinotti, quindi, e, in particolare, di quello presente sull'imbuto fosse - lo si ribadisce- evenienza non certamente straordinaria ma, tutto sommato, riscontrata più di una volta dagli addetti al riattrezzaggio; trattasi all'evidenza di un segno evidente che qualcuno tra gli operai che a vario titolo intervenivano sull'impianto per lavorarvi nei settimanali intervalli della produzione riteneva che quegli elementi di sicurezza andassero inseriti per evitare cadute accidentali degli attrezzi altrimenti fonte di pericolo.
5. I ricorsi vanno pertanto rigettati. Ne consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso nella camera di consiglio del 1° giugno 2016