Cassazione Penale, Sez. 4, 05 ottobre 2017, n. 45808 - Infortunio mortale di una disegnatrice all'interno di un cantiere: responsabili i titolari della società di progettazione per omessa valutazione del rischio specifico e per omessa formazione


 

Presidente Blaiotta – Relatore Dovere

 

 

Fatto

 



1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la pronuncia emessa dal Tribunale di Asti nei confronti di C.V., C.D. e B.M., con la quale essi sono stati giudicati responsabili, nelle rispettive qualità, della morte di R.M. e quindi condannati alle pene per ciascuno ritenute eque, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
La Corte di Appello, infatti, ha riconosciute al C. le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata ed ha ridotto la pena a questi e ai restanti imputati; ha altresì eliminato le statuizioni civili e confermato la pronuncia nel resto.
2. La vicenda che occupa attiene alla morte della R., che secondo la ricostruzione operata nei gradi di merito, e sostanzialmente non contestata dalle parti se non nei profili che appresso saranno evidenziati, il 29 giugno 2010 si era recata presso un edificio ad uso commerciale sito in (…), composto da tre piani (interrato, terra e primo), che doveva essere adibito a supermercato, per compiervi un sopralluogo per conto dello studio di progettazione Se-arch s.r.l., della quale ella era dipendente con mansioni di disegnatrice.
Incaricata di effettuare dei rilievi metrici al piano terra, per permettere di valutare lo spessore del muro e l’ingombro del vano scala, la R. si introdusse all’interno di questo attraverso il varco nella pannellatura in cartongesso, che era stata praticata il giorno precedente dal C. - titolare dell’omonima ditta individuale - per fare una valutazione del locale. La donna, una volta entrata nel vano, precipitò al piano interrato attraverso l’apertura per il transito dell’ascensore (o il vano a destra dell’ingresso) lasciati vuoti, aperti e non protetti.
Ai datori di lavoro della R. , il C. e il B. , è stato ascritto di aver omesso di valutare lo specifico rischio insito nello svolgimento di sopralluoghi all’esterno e all’interno dei cantieri, e conseguentemente di non aver adottato le misure atte a prevenire quei rischi e di non aver formato la lavoratrice in relazione ad essi. Al C. di non aver ripristinato la chiusura del vano scala, dopo aver praticato in esso un varco di accesso.
2. Ricorrono per la cassazione della sentenza, con il patrocinio dell’avv. Giampaolo Zancan, il C. ed il B. , articolando i seguenti motivi.
2.1. Vizio della motivazione, avendo la Corte di Appello affermato la responsabilità dei ricorrenti nonostante la natura assolutamente anomala ed eccezionale della condotta sopravvenuta del C. .
Rammentato che è acquisizione del processo che il vano scala in origine era protetto da lastre di gesso rivestito su orditura metallica (cartongesso) e che esso fu reso accessibile il giorno prima del sinistro dal C. , che con un calcio aveva prodotto l’apertura attraverso la quale era poi passata la R. , i ricorrenti assumono che fu quel comportamento a costituirsi causa esclusiva della decisiva compromissione della preesistente situazione di sicurezza e quindi della caduta della lavoratrice.
Illogici e contraddittori gli argomenti della Corte di Appello, per la quale la copertura in cartongesso non era presidio sufficiente perché avrebbero dovuto essere apposti "cartelli segnalatori del divieto di accesso, barriere sicure ed idonee a costituire efficace remora alla riapertura del vano"; affermazione che contrasta con la buona tecnica edilizia e con quanto testimoniato da funzionario dello (…), che constatò la totale chiusura del vano scala.
Inoltre la Corte di Appello, ritenendo che la causa diretta ed immediata della caduta della R. sia da individuarsi non nella mancata ricopertura del vano scala ma nella mancata ultimazione di esso con il collegamento tra piano terra e piano interrato, ha rinvenuto una responsabilità dei proprietari dell’immobile che invece sono stati mandati assolti dal Tribunale.
Si contesta che debba essere oggetto di formazione il pericolo insito nell’accedere ad un luogo del tutto buio e si reputa illogica l’affermazione che da quella carenza di formazione sia conseguita l’assenza di un minimo gesto di auto protezione della lavoratrice nell’impatto con il suolo.
I ricorrenti lamentano che la Corte di Appello abbia travisato il fatto affermando che la R. venne inviata in un cantiere già iniziato, posto che una pluralità di deposizioni ha smentito tale ipotesi. Se l’inizio del cantiere si facesse risalire alla iniziativa del C. occorrerebbe considerare che ciò avvenne all’insaputa della vittima e dei suoi datori di lavoro, che quando la inviarono nell’edificio erano certi di non inviarla in un cantiere.
In conclusione, secondo i ricorrenti il coimputato C. attuò un’azione di assoluta anomala eccezionalità ed imprevedibilità, sola causa del sinistro.

 



Diritto

 



3. I ricorsi sono fondati, nei termini di seguito precisati.
3.1. La scansione logico-giuridica dei temi posti dai ricorsi impone di prendere le mosse dalla censura che investe il ritenuto obbligo di formazione della R. . Ad avviso dei ricorrenti poiché l’edificio nel quale venne inviata la lavoratrice non concretizzava un cantiere, secondo la nozione posta dall’art. 89, comma 1lett. a) del d.lgs. n. 81/2008, non può rimproverarsi agli imputati di non aver provveduto alla formazione in merito ai rischi connessi ad un simile luogo di lavoro.
La censura muove da una premessa in fatto che la Corte di Appello ha negato con motivazione che viene criticata perché in contrasto con talune deposizioni. Ma il pur evocato “travisamento di fatto”, inteso più correttamente come travisamento della prova, è rimasto alla mera enunciazione, non essendo indicato l’errore sul significante nel quale sarebbe incorsa la corte distrettuale (cfr. sulla nozione di “travisamento della prova” e sui limiti della sua denunciabilità con il ricorso per cassazione, tra le altre, Sez. 4, n. 22962 del 3.6.2014, Zoppolat, n.m.).
Sicché, l’affermazione della Corte di Appello, secondo la quale il luogo del sinistro doveva reputarsi un cantiere, in quanto già eseguiti in esso lavori preliminari, risulta un primo punto fermo, tanto più che essa è coerentemente connessa alla deposizione del teste Bo. , funzionario (…), e al concetto giuridico di cantiere, come espresso dal menzionato art. 89.
Tuttavia il dato non ha il rilievo che ha inteso attribuirgli la difesa (imponendo alla corte territoriale di replicare). I doveri di valutazione del rischio e di formazione del lavoratore gravanti sugli odierni imputati, in quanto datori di lavoro “mandanti” (secondo un lessico già in uso nel mondo della produzione e dei servizi), non trovavano origine nel fatto che la R. fosse stata inviata in un cantiere o piuttosto in un altro tipo di ambiente di lavoro. Essi, piuttosto, sorgevano dal generale obbligo del datore di lavoro di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti, ovunque essi siano situati (art. 15 D.Lgs.n. 81/08) e dal parimenti generale obbligo di formare i lavoratori, in particolare in ordine ai rischi connessi alle mansioni (art. 37, co. 1, lett. b) D.Lgs.n. 81/08). Infatti, la restrittiva nozione di “luogo di lavoro” rinvenibile nell’art. 62 D.Lgs.n. 81/2008 (a mente del quale si intendono per “luoghi di lavoro” "i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro"), è posta unicamente in relazione alle disposizioni di cui al Titolo II del citato decreto. E quindi va ribadito che ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di "luogo di lavoro"; a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro (cfr. Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013 - dep. 20/01/2014, S. e altro, Rv. 258435; Sez. 4, n. 28780 del 19/05/2011 - dep. 19/07/2011, Tessari e altro, Rv. 250760; Sez. 4, n. 40721 del 09/09/2015 - dep. 09/10/2015, Steinwurzel, Rv. 26471501).
Sono piuttosto le modalità di adempimento di tale obbligo ad essere caratterizzate dal trattarsi o meno di un cantiere. E ciò perché il Titolo IV del D.Lgs.n. 81/08 delinea per tali particolari luoghi di lavoro una disciplina specifica.
Tanto implica che mentre le attività “in esterno” da eseguirsi presso un luogo non classificabile come cantiere temporaneo o mobile richiedono la preliminare valutazione dei rischi delineata dall’art. 28 del decreto, quelle da eseguirsi presso un cantiere divengono oggetto della più articolata disciplina prevista dal menzionato Titolo IV.
Calando simili premesse nel caso che occupa non risulta dubbio che gli imputati avrebbero dovuto provvedere, il C. , perché datore di lavoro della R. , ad elaborare la preliminare valutazione dei rischi connessi all’esecuzione di attività lavorativa presso il sito costituito dall’edificio oggetto dei lavori da progettare e a formare la lavoratrice in merito agli stessi. Obbligo, quest’ultimo, gravante anche sul B. , in qualità di dirigente nell’ambito della Se-arch s.r.l..
Né vi è dubbio sul fatto che l’an e il quomodo della valutazione dei rischi e dell’attività di formazione non risultano in alcun modo dipendenti dalla presenza di una specifica sorgente di rischio (l’apertura del vano scala al piano terra piuttosto che quella al primo piano), risultando rilevante invece la tipologia di rischio esistente, ovvero la caduta dall’alto per la presenza di aperture nel vuoto. Puntuale e pertinente, quindi, è la sottolineatura fatta dalla Corte di Appello della esistenza nell’edificio nel suo complesso di condizioni di rischio di caduta dall’alto: vano scala non protetto al primo piano fuori erra, inadeguata protezione del vano ascensore e assenza di protezione del vano scala al primo piano. Sicché la critica mossa dai ricorrenti - di aver la Corte di Appello rinvenuto una responsabilità dei proprietari dell’immobile, tuttavia mandati assolti dal Tribunale - non risulta né fondata né coordinata al senso del rilievo operato dai giudici distrettuali.
A fronte di un simile rischio - si tace di altri, perché non rilevanti ai fini del discorso che si sta compiendo - l’attività di formazione non era certo esclusa dalla semplicità delle misure da adottare. Se si può convenire con i ricorrenti che la pretesa espressa dalla Corte di Appello di apporre segnalazioni di pericolo per l’eventualità che venisse rimossa la chiusura in cartongesso del vano scala appare incongrua, perché sostanzialmente apodittica e fondata sul “senno del poi” (la maggior parte delle misure precauzionali può essere eliminata, ma non per questo può pretendersi l’adozione di cautele che prevengano l’eliminazione delle misure adottate: la corte non chiarisce perché dovesse prevedersi l’eliminazione della copertura), allo stesso tempo va rimarcato che con la formazione si impartiscono al lavoratore direttive, sia pure in una forma che potrebbe dirsi di “soft law”, le quali indicano allo stesso quale comportamento si pretende da lui; gli si indica quel che ci si attende e cosa non deve fare. In assenza di formazione si lascia il lavoratore nella necessità di decidere ciò che egli deve come comportamento cautelare. Ed è certo possibile che questi erri, anche in modo macroscopico. L’intero sistema prevenzionistico sconta l’ipotesi del comportamento negligente, imperito, imprudente del lavoratore. L’evocazione di una sua appartenenza al novero dei garanti della sicurezza per negare tale assunto di fondo è per più aspetti erronea: in primo luogo perché la previsione di obblighi cautelari in capo al lavoratore è finalizzata ad evitare che egli determini pericoli per l’altrui salute; in secondo luogo perché per imputare al lavoratore medesimo l’infortunio del quale egli è rimasto vittima occorre escludere che altri non ne siano stati causa.
Sicché, ritornando al caso che occupa, l’eventuale errore della R. non può che ricadere sul datore di lavoro e sul dirigente se questi non hanno operato per evitarlo, anche con la somministrazione di adeguata formazione.
Poste le premesse sin qui delineate appare altresì palese l’irrilevanza dell’aggiungersi, per effetto del comportamento del C. , di un ulteriore punto di pericolo, costituito dall’apertura del vano scala e dall’apertura del vano ascensore al piano terra. Non per questo si è determinato un nuovo rischio, non valutabile in precedenza e non possibile oggetto di formazione. Anche sotto tale aspetto risulta pertinente e corretto il riferimento fatto dalla Corte di Appello - per negare la valenza causale del comportamento del C. - alla non riconducibilità al caso in esame del principio delineato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale il nesso causale tra condotta dell’imputato ed evento è interrotto nel caso in cui si inserisca ad opera di una diversa condotta un rischio nuovo, diverso ed incommensurabile rispetto a quello governato dall’imputato (Sez. 4, n. 22378 del 19/03/2015 - dep. 27/05/2015, Pg in proc. Volcan e altri, Rv. 26349401, in motivazione).
3.2. Ciò posto, va tuttavia rilevato che la condivisibile ricostruzione del quadro complessivo operata dalla Corte di Appello risulta tuttavia manchevole in un aspetto decisivo, che permette di connettere quel quadro allo specifico caso in esame.
Agli odierni ricorrenti non è stato rimproverato di aver omesso qualsiasi valutazione dei rischi connessi alle attività da compiersi da loro dipendenti nell’edificio e qualsiasi attività di formazione, ma di aver omesso la valutazione del rischio specifico insito nel sopralluogo all’interno di un cantiere; allo stesso modo si è rimproverata la omessa formazione sugli specifici rischi connessi al sopralluogo nell’edificio. Dalla esposizione della Corte di Appello non è possibile ricavare quali siano stati i contenuti e la tempistica dell’affidamento alla società del C. e del B. dell’incarico di progettazione, in relazione al venire in essere delle condizioni dell’edificio delle quali si è sin qui trattato. Va considerato, infatti, che ove l’insorgere del rischio (tipologico) di caduta dall’alto (per l’esistenza di aperture sul vuoto) fosse avvenuto in tempi successivi ad una valutazione dei rischi comunque eseguita - ma giustificatamente manchevole della considerazione dello specifico rischio - e di esso gli imputati fossero rimasti incolpevolmente all’oscuro, non potrebbe essere loro ascritto di non aver considerato un rischio che non avevano possibilità di conoscere.
Il provvedimento impugnato va quindi annullato con rinvio alla Corte di Appello di Torino, perché operi un integrativo accertamento, concernente i termini ed i tempi dell’affidamento alla Se-arch s.r.l. dei lavori di progettazione per l’edificio nel quale si verificò il sinistro e le contestuali condizioni strutturali del medesimo, con particolare riferimento alla esistenza di sorgenti del pericolo di caduta dall’alto; e quindi valuti, alla luce del più definito quadro fattuale, la condotta degli odierni ricorrenti, secondo le assunzioni in diritto ribadite in questa sede.

 



P.Q.M.

 



annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Torino.