Cassazione Penale, Sez. 4, 27 novembre 2017, n. 53549 - Subappalto e infortuni: quando si configura la circostanza aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche, art. 2087 c.c.


 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO Data Udienza: 08/11/2017

 

Fatto

 


1. Con sentenza n. 641/2012 del 10/10/2012, il Tribunale di Macerata -sez. dist. di Civitanova Marche- dichiarava A.L., B.M. e F.A., colpevoli del reato loro ascritto e li condannava alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ciascuno. Pena sospesa per il B.M. e l'A.L. (per quest'ultimo subordinatamente all'espletamento di giorni 100 di lavoro di pubblica utilità presso ente idoneo).
1.1. Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 590, commi 1 e 2, e 589, commi 1 e 3 (tale comma prevedendo un'ipotesi speciale di concorso formale di reati) cod. pen., perché, F.A. quale legale rappresentante della ditta CEB Impianti s.r.l., subappaltatrice ed esecutrice dei lavori inerenti gli scavi, i getti e i rizzamenti dei pali, B.M. quale assistente tecnico e responsabile dei lavori della ditta appaltatrice Nuova ECEM s.r.l., A.L. quale titolare della ditta appaltatrice Nuova ECEM s.r.l., realizzando o consentendo che venisse realizzata una fondazione di sostegno di un palo in modo non conforme al progetto, o comunque omettendo di controllare l'esatta esecuzione, ed in particolare realizzando o facendo realizzare detta fondazione non come blocco di calcestruzzo monolitico, e senza la necessaria ripresa mediante ferri di collegamento tra le diverse gettate di cemento, ed inoltre inserendo il palo all'interno del getto di cemento con minore profondità di quella prevista e idonea, determinavano lo sradicamento del palo, sul quale stavano lavorando, ad un'altezza di circa 10 metri, B.S. (dipendente ditta Nuova Ecem s.r.l.) e A.F. (dipendente ditta Ceb Impianti s.r.l.), cagionando la morte di B.S., nonché lesioni personali in danno di A.F., guaribili in giorni 60 (tra cui trauma cranico, toracico e addominale, frattura di milza; frattura coste e spina scapolare, frattura ulna e radio ed altre plurime fratture) per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia ed inoltre: per F.A., nel non aver messo a disposizione degli operai idonea casseratura in ferro; per B.M., nell'aver disposto o comunque consentito la realizzazione della fondazione nelle scorrette modalità sopra descritte; per A.L. nel non aver nominato un direttore dei lavori che avrebbe garantito l'esecuzione a regola d’arte dei lavori. In Mogliano il 24/11/2005.
1.1. Con la sentenza n° 2345/2015 del 01/06/2015, la Corte di Appello di Ancona, adita dagli imputati, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen. per essere lo stesso estinto per prescrizione; concedeva agli imputati le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante di cui all'art. 589, comma 2 cod. pen., contestata in fatto, e riduceva la pena inflitta al B.M. a mesi 6 di reclusione e quella inflitta agli altri appellanti a mesi 9 di reclusione ciascuno; concedeva al F.A. il beneficio della sospensione condizionale; confermava nel resto.
2. Avverso tale sentenza d'appello, propongono ricorso per cassazione A.L., B.M. e F.A., a mezzo dei propri difensori, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
A.L.:
I) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 157, 589 cod. pen., 597, comma 3, cod. proc. pen. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Deduce che, in riferimento all'art. 157 cod. pen., il capo d'imputazione, così come formulato dalla Pubblica Accusa e rimasto invariato nel corso dell'intera istruttoria dibattimentale, contestava con espresso riferimento all'omicidio colposo la violazione dell'art. 589, commi 1 e 3, cod. pen. "tale comma prevedendo un’ipotesi speciale di concorso formale di reati"; si è, dunque, contestato l'ipotesi semplice dell'omicidio colposo in concorso formale con l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 590 cod. pen. Ne consegue che non esisteva alcuna contestazione formale né sostanziale dell'aggravante suddetta, neanche nelle forme di cui all'art. 517 cod. proc. pen., tanto che il Giudice di primo grado quantificava in dispositivo una pena finale in cui non si rileva alcun aumento di pena, rispetto ad una oena base, per l'asserita aggravante, contestata al contrario, dalla Corte territoriale. Sostiene che il giudice di secondo grado non può riconoscere la sussistenza di una circostanza aggravante non contestata formalmente e neppure presa in considerazione nel merito dal Giudice di primo grado, se non attraverso una ardita violazione dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. Assume che all'epoca del fatto, per la contestazione formulata nella forma semplice, non aggravata prevista al primo comma dell'art. 589 cod. pen., si prevedeva una pena edittale massima di cinque anni e un termine prescrizionale di dieci anni più cinque in caso di atti interruttivi e l'avvenuto riconoscimento, in sentenza, delle circostanze attenuanti generiche da parte della Corte di Appello avrebbe, ai sensi dell'art. 157, comma 2 cod. pen., vigente all'epoca, fatto rientrare la contestazione nel calcolo temporale di cui al numero 4) e non 3), con termine prescrizionale massimo di anni sette e mesi sei; ciò se la Corte distrettuale non avesse erroneamente ritenuto "contestata in fatto" la circostanza di cui ai comma 2 dell'art. 589 cod. pen. (violazione delle norme sulla disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) ritenuta equivalente ai sensi dell’art. 69 cod. pen. alle circostanze attenuanti generiche, con conseguente annullamento dell'effetto riduttivo di cui all'alt. 157, comma 2, cod. pen. derivante dal riconoscimento delle sole circostanze ex art. 62-bis cod. pen. con conseguente illegittima reformatio in peius della sentenza del giudice di primo grado;
II) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'alt. 40, comma 2, cod. pen., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per aver omesso una completa valutazione della plausibilità della ricostruzione offerta dalla difesa. Deduce che la Corte d'appello ha omesso ogni logica motivazione in ordine alla prospettazione avanzata dalla difesa riguardo il contratto di sub-appalto intercorso tra Nuova Ecem Srl e la Ceb Impianti; i giudici dell'appello avrebbero dovuto spiegare perché le prove acquisite nel corso del processo eliminano ogni ragionevole dubbio sulla ricostruzione dei rapporti tra le ditte oggi condannate. Sostiene che è stato omesso di considerare sia la lettera raccomandata che, in data 19/08/2005, l'Enel inviava a N. Ecem e per conoscenza a Ceb Impianti e con la quale autorizzava il sub-appalto del contratto per l'esecuzione di opere e interventi sulla rete elettrica nella Zona di Macerata alla ditta Ceb Impianti s.r.l., sia la circostanza per cui la Ceb Impianti, non casualmente, redigeva uno specifico Piano Operativo di Sicurezza per i lavori di scavi, getti e rizzamento pali di cui al contratto di subappalto;
III) vizi motivazionali per mancanza, manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione per aver omesso una completa valutazione della plausibilità della ricostruzione offerta dalla difesa, anche con riferimento alle testimonianze rese dai dipendenti di Ceb Impianti. Deduce che il Giudice di merito ha inspiegabilmente omesso una corretta valutazione delle dichiarazioni testimoniali, dando credito a quanto affermato da alcuni testi della difesa F.A., (il C. e il Ce. in particolare), dipendenti Ceb, e omettendo incomprensibilmente qualsiasi richiamo alle affermazioni di tutti gli altri numerosi testi che, invece, hanno sconfessato tali dichiarazioni;
IV) violazione di legge e vizi motivazionali in riferimento all'alt. 603, comma 3, cod. proc. pen. Deduce l'apparente iter argomentativo adottato dalla Corte per escludere l'ammissibilità della richiesta di rinnovazione parziale dell'istruttoria dibattimentale. Sostiene che (alla luce del fatto che gli elaborati delle difese, aventi medesima valenza tecnico-scientifica di quelle dell'accusa, erano giunti ad accertare la non correttezza del progetto ENEL S.p.a., come imposto alla ditta appaltatrice, sia per quanto riguarda i criteri tecnici che per quanto riguarda la possibilità concreta di attuazione dello stesso) appariva assolutamente necessario, ai sensi dell'art..603 cod. proc. pen., dirimere il dubbio sul punto poiché solo m tal modo la Corte sarebbe stata in grado di decidere con completezza cognitiva.
I. A.) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 157, 589 cod. pen., 597, comma 3, cod. proc. pen. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione oltre che travisamento delle risultanze processuali Deduce che la Corte d'appello erra quando afferma, per sostenere le proprie ragioni in merito alla sussistenza dell'aggravante "contestata in fatto", che "il riferimento al terzo comma del capo d'imputazione è un evidente refuso" perché, nell'anno 2005, la formulazione dell'articolo contemplava al terzo comma proprio l'ipotesi concorsuale come contestata, peraltro anche esplicata nel capo di imputazione. Sostiene che lo stesso Giudice di primo grado, pur non concedendo le attenuati generiche ex art.62-bis cod. pen., non individua, al di là della mancata contestazione formale, alcuna aggravante contestabile "in fatto" come emerge chiaramente dalla quantificazione della pena finale in dispositivo, in cui non viene in evidenza alcun aumento di pena, rispetto ad una pena base, per l'asserita aggravante evidenziata, al contrario, dalla Corte;
II. A.) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 40, comma 2, cod. pen., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione oltre che travisamento delle risultanze processuali. Deduce che la Corte d'appello riconosce un'assoluta carenza di competenze tecniche e della necessaria qualifica professionale in capo all'imputato B.M.; appare, perciò, contraddittoria ed incomprensibile la successiva affermazione della stessa Corte secondo cui il ricorrente per il "ruolo di fatto assunto...non potesse non accorgersi delie macroscopiche incongruenze tecniche del progetto";
III. A.) violazione di legge e vizi motivazionali in riferimento all'art. 603, cometa 3, cod. proc. pen. Deduce l'apparente iter argomentativo adottato dalla Corte per escludere l'ammissibilità della richiesta di rinnovazione parziale dell'istruttoria dibattimentale. Sostiene che (alla luce del fatto che gli elaborati delle difese, aventi medesima valenza tecnico-scientifica di quelle dell'accusa, erano giunti ad accertare la non correttezza del progetto ENEL S.p.a., come imposto alla d'tta appaltatrice, sia per quanto riguarda i criteri tecnici che per quanto rguarda la possibilità concreta di attuazione dello stesso) appariva assolutamente necessario ai sensi dell'art.603 cod. proc. pen., dirimere il dubbio sul punte poiché solo n fa modo la Corte sarebbe stata in grado di decidere con completezza cognitiva.
I. B.) violazione di legge in relazione agli artt. 178, lett. b), e 416, comma 1, cod. proc. pen. stante l'omessa notifica dell'avviso di conclusione indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen. Deduce che nei confronti dell'odierno ricorrente veniva originariamente notificato avviso ex art. 415-bis Cod. proc. pen. per la ritenuta violazione della fattispecie ex art. 589, comma 1, cod. pen.; successivamente, e cioè con la notifica della richiesta di rinvio a giudizio, il F.A. apprendeva che il Pubblico Ministero aveva esercitato l'azione penale anche per l'ulteriore fattispecie ex art. 590, commi 1 e 3, cod. pen. Sostiene che tale errore procedurale veniva prontamente eccepito in sede di udienza preliminare e alla prima udienza dibattimentale, oltre che essere riproposta in sede di giudizio di appello;
II. B.) violazione di legge in relazione all'art. 3, D.Lgs. 81/2008 e agli artt. 40, comma 2, 589, commi 1 e 2, 590, commi 1 e 2, cod. pen., nonché carenza e/o illogicità della motivazione posta a fondamento del giudizio di responsabilità penale dell'odierno ricorrente. Deduce l'error in iudicando in cui è incorsa la Corte territoriale nel momento in cui riconosce impropriamente una "anomala posizione di garanzia" in capo al F.A.. Sostiene che appare disattesa la normativa speciale in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (T.U. 81/2008) che espressamente prevede un'ipotesi di esclusione da ogni tipo di responsabilità, anche agli effetti penali, del distaccante dagli obblighi di specifica prevenzione e protezione dai rischi derivanti dallo svolgimento delle lavorazioni in caso di distacco del lavoratore. Assume che, per effetto della citata previsione normativa, sono a carico dei distaccatario tutti gli obblighi di formazione ed informazione, con annesse attività di prevenzione e protezione, delle specifiche lavorazioni svolte in costanza di distacco di personale, residuando al distaccante un "mero" obbligo di informazione e formazione del lavoratore sui rischi generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali viene distaccato; risulta, pertanto, evidente che l'odierno ricorrente non può considerarsi destinatario della censura di colpa specifica formulata a suo carico ed acriticamente recepita dai giudici di merito, posto che l'avvenuto distacco del personale non rende ad egli riferibile il dovere di predisporre tutti gli accorgimenti tecnico-pmfessionali funzionali allo svolgimento in sicurezza dell'attività lavorativa svolta dagli operai distaccati della società CEB Impianti S.r.l. alla Nuova ECEM S.r.l. per la realizzazione dei lavori commissionati da Enel Distribuzione S p.a. Rimarca che, nel caso in esame, come affermato dalla medesima Corte territoriale nella parte in cui affronta la posizione relativa al coimputato A.L., gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni dei lavoratori - cadevano proprio sui Presidente del Consiglio d'Amministrazione della Nuova ECEM S.r.l. poiché tale carica, in assenza di avvicendamenti od incarichi societari, comporta di per sé il sorgere dell'obbligo di protezione dei beni alla cui preservazione tale posizione è preordinata e a ciò deve aggiungersi che, come accertato nel corso dell'istruttoria dibattimentale e confermato nella gravata sentenza, le direttive in ordine alle lavorazioni da eseguire sul cantiere teatro del fatto venivano impartite dallo stesso A.L., il che induce verosimilmente a ritenere che vi fosse una ripartizione di funzioni lavorative imposta dalla complessità delle lavorazione; appare, pertanto, ragionevole e legittimo concludere che allo stesso fosse intrinsecamente delegata la funzione di garanzia, già in suo capo sussistente atteso il ruolo apicale rivestito;
III. B.) violazione di legge in relazione all'omessa rinnovazione dell'Istruttoria dibattimentale e agli artt. 132 e 133 cod. pen. Deduce che la corte territoriale incorre in un errore di diritto nel momento in cui ritiene di non dover accogliere l'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulata dalla difesa dell'odierno ricorrente volta a valutare l'esistenza, e l'eventuale rilevanza, di una condotta colposo nella progettazione e nella materiale realizzazione dell'opera commissionata avente incidenza causale nel sinistro in cui i lavoratori sono rimasti coinvolti; si trattava di una questione di diritto che risulta avere una decisiva rilevanza ai fini della ricostruzione dei fattori che intervengono sinergicamente nell'iter causale e che rileva anche ai fini della graduazione della colpa ai sensi dell'art. 133 cod. pen.;
IV. B.) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione agli artt. 157, 589 cod. pen., 597, comma 3, cod. proc. pen. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione oltre che travisamento delle risultanze processuali. Deduce che la Corte d'appello erra quando afferma, per sostenere le proprie ragioni in merito alla sussistenza dell'aggravante "contestata in fatto", che "il riferimento al terzo comma del capo d'imputazione è un evidente refuso" perché, nell'anno 2005, la formulazione dell'articolo contemplava al terzo comma proprio l'ipotesi concorsuale come contestata, peraltro anche esplicata nel capo di imputacene. Sostiene che lo stesso Giudice di primo grado, pur non concedendo le attenuati generiche ex art.62-bis cod. pen., non individua, al di là della mancata contestazione formale, alcuna aggravante contestabile "in fatto" come emerge chiaramente dalla quantificazione della pena finale in dispositivo, in cui non viene in evidenza alcun aumento di pena, rispetto ad una pena base, per l'asserita aggravante evidenziata, al contrario, dalla Corte.
 

 

Diritto

 


3. Occorre preliminarmente, determinare se sia o meno decorso il termine prescrizionale. 
4. Appare, subito, opportuno fornire una elencazione dei referenti normativi che assumono prioritario rilievo nell'analisi del tema proposto dai ricorrenti.
4.1. Il reato ascritto agli imputati viene contestato come commesso il 24/11/2005. Al tempo l'art. 589 cod. pen. constava di tre commi. Nel primo era descritta l'ipotesi 'base' caratterizzata dal cagionare per colpa la morte di una persona; la pena prevista era quella della reclusione da sei mesi a cinque anni. Il secondo comma prevedeva una aggravante con conseguente inasprimento del trattamento sanzionatone, limitato al minimo edittale (la pena, infatti, si elevava al minimo di un anno di reclusione, fermo il massimo di cinque anni) se il fatto era commesso con violazione delle norme sulla disciplina stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Il terzo comma considerava l'ipotesi della morte di più persone e quella della morte di una o più persone e di lesioni di una o piò persone, definendo la pena per il concorso formale di reati che così veniva a profilarsi.
4.2 Il comma 2 dell'allora vigente art. 157 cod. pen. disponeva "Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell'aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti", per cui, nell'ipotesi "base" dell'art. 589 cod. pen. (allora vigente), in caso di riconoscimento anche di una sola circostanza attenuante -ancorché generica- trovava applicazione non l'ipotesi di cui al n. 3 del comma primo del citato art. 157 bensì quella di cui al successivo n. 4 secondo cui la prescrizione estingue il reato "in cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa".
1.3. Ne deriva che, nella specie, se fosse fondata l'eccezione formulata calie difese relativa alla mancata contestazione dell'aggravante di cui al comma 2 dell'allora vigente art. 589 cod. pen., il termine prescrizionale sarebbe spirato dopo sette anni e sei mesi a seguito del riconoscimento -da parte del Giudice d'appello- della circostanza attenuante di cui all'art. 62-bis cod. pen.
5. Mette, però, conto stabilire se l'eccezione sopra detta sia o meno fondata.
5.1 A tal fine va rammentato il principio secondo cui viola il divieto della "reformatio in peius" la sentenza del giudice d'appello che, in difetto di impugnazione del P M. abbia ritenuto la sussistenza di una circostanza aggravante esclusa dai giudice di primo grado (cfr. anche Sez. 4, n. 31917 del 06/03/2009 Ud. -dep. 05/08/2009- Rv. 244685; Sez. 5, n. 10543 del 24/01/2001 Ud. (dep. 15/03/2001 ) Rv. 218328: nell'occasione si è, tra l'altro, affermato che la disposizione di cui al comma terzo dell'art. 597 cod. proc. pen., che consente al giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell'Imputato e ferma restando la pena irrogata, di dare al fatto una qualificazione giuridica più grave, non consente tuttavia di riconoscere la esistenza di una circostanza aggravante, non ritenuta in primo grado).
5 2 Nel caso che occupa con l'imputazione originaria il P.M. contestava la violazione degli «artt. 590, commi 1 e 2, e 589, commi 1 e 3 (tale comma prevedendo un'ipotesi speciale di concorso formale di reati) cod. pen.» e nel dispositivo della sentenza di primo grado il Giudice dichiarava gli odierni imputati responsabili dei reati agli stessi ascritti e li condannava alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ciascuno: in sostanza il Tribunale pur non riconoscendo le attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., al di là della mancata contestazione formale, non riconosceva alcuna aggravante contestabile "in fatto" come emerge dal calcolo della pena finale, non essendovi alcun cenno relativo all'asserita aggravante ritenuta "in fatto" dalla Corte territoriale. Del resto non si rileva alcuna contestazione formale della suddetta aggravante, nemmeno nelle forme di cui all'art. 517 cod. proc. pen. e, secondo il Giudice di primo grado, l'evento derivò «da un errore esecutivo nella predisposizione delle gettata» (come peraltro affermato dal Consulente del PM), senza alcun riferimento al mancato rispetto di norme antinfortunistiche. Né tale violazione risulta adombrata dal funzionario ASUL Marche, intervenuto sul luogo subito dopo il fatto, il quale, escussa in dibattimento, confermava l'errore tecnico, escludendo la violazione d qualsiasi norma volta alla prevenzione degli infortuni (v. verbale di udienza del 15/06/2009) ;
5.3. Occorre, infine, evidenziare che la pronuncia citata dal Giudice dell'appello (Sez. 4, n. 42309 del 18/09/2014) per sostenere la contestazione "in fatto" della circostanza aggravante in questione, atteneva a situazioni del tutto diverse da quelle che occupano. In particolare l'arresto citato riguardava un processo per fatti inerenti un infortunio mortale sul lavoro in cui era stata sin dall'inizio contestata agli imputati la violazione del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 art. 4 comma 5 lett. d), per aver omesso di fornire al lavoratore scarpe antinfortunistiche e del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 7, per aver consentito al lavoratore prestazioni lavorative giornaliere eccedenti le 13 ore non seguite da un periodo di riposo di almeno 11 ore; la pronuncia, 'invero, riguardava tra l'altro una clausola contrattuale con cui erano stati trasferiti all'utilizzatore tutti gli obblighi prevenzionistici gravanti sul datore di lavoro, e per il detto utilizzatore doveva valere il "principio interpretativo affermato da questa Suprema Corte, in base al quale, in tema di delitti colposi derivanti da infortunio sul lavoro, per la configurabilità della circostanza aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche non occorre che siano violate norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa della violazione dell'art. 2087 c.c., che fa carico all'imprenditore di adottare, nell'esercizio dell'impresa, tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori".
5.4. In altri termini, vero è che, in tema di delitti colposi derivanti da infortunio sul lavoro, per la configurabilità della circostanza aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche non occorre che siano violate norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa della violazione dell'art. 2087 cod. civ., che fa carico all'imprenditore di adottare, nell'esercizio dell'impresa, tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (cfr. Sez. 4, n. 28780 del 19/05/2011, Tessari e altro, Rv. 250761); nondimeno, nella specie, deve escludersi che l'infortunio si sia verificato per violazione di normative antinfortunistiche ovvero del disposto di cui al citato art. 2087 cod. civ. alla luce delle dichiarazioni rese, come sopra già riportato, dal funzionario ASUL Marche, intervenuto sul luogo nell'immediatezza del fatto, il quale, escusso in dibattimento, escludeva la violazione di qualsiasi norma volta alla prevenzione degli infortuni.
6. Da questi presupposti, preso atto della già intervenuta declaratoria di prescrizione del reato di cui all'art. 590 cod. pen. e del riconoscimento -ad opera della Corte territoriale- delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., il termine prescrizionale massimo per il residuo reato -così come contestato- deve ritenersi pari a sette anni e sei mesi e, perciò, già decorso al momento della emanazione della sentenza di secondo grado. 
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in data 08/11/2017