Cassazione Penale, Sez. 7, 13 marzo 2018, n. 11204 - Omessa elaborazione del DVR e omessa designazione dell'RSPP. Individuazione del responsabile delle violazioni nel datore di lavoro


Presidente: CAVALLO ALDO Relatore: SCARCELLA ALESSIO Data Udienza: 20/10/2017

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza emessa in data 7.04.2016, il tribunale di Roma dichiarava il C. colpevole delle contravvenzioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro oggetto di contestazione (omessa elaborazione del DVR e omessa designazione dell'RSPP) e, riconosciute al medesimo le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena condizionalmente sospesa di € 5.000,00 di ammenda, in relazione a fatti contestati come accertati in data 27.07.2011.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato personalmente, deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
In particolare si evoca con tale motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 42, co. 4 e 43, cod. pen., 29, co. 1, 55 lett. a), e 17, lett. b), 55, lett. b), d. lgs. n. 81 del 2008 in combinato disposto con l'art. 27 Cost., quanto alla ritenuta affermazione di responsabilità dell'imputato e correlato vizio motivazionale della sentenza per non avere escluso la responsabilità dell'imputato in ragione dell'insussistenza dell'elemento oggettivo o di quello soggettivo (in sintesi, si sostiene che nella sentenza si sarebbe compiuto un accertamento meramente cartolare e, attraverso l'esame di alcuni documenti, tra cui il provvedimento 22.06.2011 scaturito da un reclamo presentato dalla Family Sport (di cui l'imputato risultava titolare all'epoca del fatto), si sarebbe erroneamente pervenuti ad affermare la responsabilità dell'imputato; la sentenza sarebbe quindi caratterizzata dal ricorso ad una valutazione intuitiva dei fatti e non ad una calibrata ricostruzione degli avvenimenti; si censura il fatto che il giudice non avrebbe attribuito la giusta efficacia probatoria alle dichiarazioni del teste escusso ed alla documentazione depositata, con conseguente difetto di analisi critica e di adeguato iter logico - argomentativo da cui desumere le ragioni che avevano giustificato l'irrogazione della pena; in particolare, quanto al vizio motivazionale, si censura l'illogicità manifesta laddove la sentenza afferma la responsabilità del ricorrente solo sulla documentazione depositata relativa al procedimento ex art. 700 c.p.c. e sul provvedimento 22.06.2011 emesso a seguito di reclamo della family Sport; quanto alla deposizione del teste d'accusa L., avrebbe fornito una valutazione priva di rigore probatorio, in quanto pure essendo solo formalmente ed in apparenza attivo il punto vendita, di fatto l'attività era cessata, donde il teste non avrebbe fornito alcuna prova in merito al fatto che fosse in corso al momento dell'ispezione un'attività commerciale, anzi chiarendo il teste che vi erano delle difficoltà per la Family Sport perché avrebbe dovuto restituite la società, cosa poi verificatasi ben presto; il giudice, quindi, non avrebbe spiegato come sia stato possibile affermare la responsabilità del ricorrente basandosi unicamente sul dato fattuale del provvedimento a seguito del reclamo, non essendovi prova che al momento dell'accertamento la Family Sport fosse operativa; non sarebbe poi corretta l'affermazione, basata sulla massima di esperienza, secondo cui essendo stato richiesto il reclamo il 22.06.2011 con cui era stata revocata l'ordinanza di rilascio del plesso aziendale, l'attività commerciale fosse in atto e quindi il ricorrente avrebbe dovuto rispondere delle violazioni accertate; infine, si censura l'assenza di motivazione sull'elemento soggettivo del reato, non spiegando il giudice se nei fatti fosse ravvisabile il dolo o colpa e, in quest'ultimo caso, difetterebbe qualsiasi argomentazione in ordine alla sua sussistenza).
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso è inammissibile.
4. Ed invero, dall'esame della sentenza risulta palese la genericità del motivo.
Ed infatti, il tribunale confuta le argomentazioni esposte nell'identico motivo di ricorso - che viene ad essere, per cosi dire, "replicato" in questa sede di legittimità senza apprezzabili elementi di critica innovativa rispetto a quanto già oggetto di doglianza davanti al primo giudice - indicando le ragioni per le quali l'imputato doveva essere ritenuto responsabile del reato contestato, specificando da quali elementi di prova diretta e logica fosse desumibile che all'atto dell'ispezione la Family Sports, di cui il ricorrente, era titolare, ancora conducesse l'attività commerciale presso il punto vendita di via M. Carbonara n. 1, in Roma.
5. Le doglianze difensive tendono anzitutto a sottoporre a questa Corte una rivalutazione, nel merito, dei fatti, donde prestano il fianco all'inammissibilità per aspecificità, essendo infatti stato affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripro-pongono le stesse ragioni già esaminate ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
6. E' sufficiente infatti la lettura della sentenza per rilevare l'assoluta assenza di pregio delle argomentazioni difensive; il giudice da atto che a seguito dell'ispezione presso il punto vendita della società gestita dal ricorrente all'epoca del fatto, era stata rilevata l'assenza del DVR e la mancata designazione dell'RSPP da parte del medesimo, quale datore di lavoro; che il punto vendita in questione era attivo al momento dell'ispezione ma che si trovava in difficoltà anche perché l'attività aveva successivamente chiuso; che dalle visure camerali in atti risultava che il punto vendita in questione risultava una sede secondaria della Family Sports di cui il ricorrente era liquidatore, nominato con atto del 18.04.2011; che la società risultava condurre in affitto l'attività commerciale ceduta con scrittura privata del 16.10.2002 dalla MPS Sport s.r.l., poi Azzurra Sport S.p.A., rilevandosi in tale atto che legale rappresentante della Family Sports fosse proprio l'odierno ricorrente; che, infine, ad eliminare qualsiasi dubbio sulla responsabilità del ricorrente, era stato valorizzato il provvedimento 22.06.2011, con cui il tribunale di Roma revocava su richiesta del ricorrente, legale rappresentante alla data della richiesta del 28.03.2011 della Family Sports, l'ordinanza di rilascio del plesso aziendale in questione in favore della Azzurra Sport S.p.A., elemento da cui il giudice desumeva logicamente che all'atto dell'ispezione del 28.06.2011 la Family Sports ancora conduceva l'attività commerciale.
7. Al cospetto di tale apparato argomentativo è evidente come le censure prospettino una critica risolventesi nel mero dissenso del ricorrente rispetto all'approdo valutativo operato dal giudice di merito, non consentito in questa sede.
Deve, a tal proposito, essere ribadito che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'alt. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 - dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961). Il controllo di legittimità sulla motivazione è, infatti, diretto ad accertare se a base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento del materiale probatorio e/o indiziario e se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici. Restano escluse da tale controllo sia l'interpretazione e la consistenza degli indizi e delle prove sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato: ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente (Sez. 6, n. 1762 del 15/05/1998 - dep. 01/06/1998, Albano L, Rv. 210923).
La sentenza impugnata non merita dunque censura sotto tale profilo.
8. Solo per completezza, infine, si osserva come sia del tutto manifestamente infondato il profilo di doglianza afferente all'asserito difetto di prova circa l'elemento psicologico dei reati contravvenzionali; è infatti pacifico che incombendo sul datore di lavoro (nella specie, all'imputato quale liquidatore nominato in data 18.04.2011, presupponendo la liquidazione l'operatività della società e quindi la necessità del rispetto degli obblighi normativi, tra cui quelli in materia prevenzionistica) l'obbligo di redigere il DVR e di designare l'RSPP in base alle norme di cui si contestata la violazione, l'aver totalmente omesso di adempiere agli obblighi di legge integrava le violazioni contestate quantomeno sotto il profilo della semplice colpa, senza necessità di alcuna specificazione espressa da parte del giudice, trattandosi di reato contravvenzionale indifferentemente punibile a titolo di dolo o di colpa. A ciò va aggiunto, onde confutare la doglianza difensiva, che la prova della mancanza di colpa nel reato contravvenzionale deve essere data dall'imputato il quale ha anche l'obbligo di dimostrare di aver compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata (v., in termini: Sez. 1, n. 2935 del 12/11/1981 - dep. 18/03/1982, SCARDAVILLI, Rv. 152835).
9. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 20 ottobre 2017