Cassazione Penale, Sez. 4, 23 luglio 2018, n. 34809 - Infortunio mortale durante la pulizia del nastro trasportatore della macchina rivoltatrice


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 05/06/2018

 

 

 

Fatto

 

 

 

l. La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto E.C. perché il fatto non sussiste e confermato, invece, la condanna di S.S., W.G., L.C., D.S. alla pena sospesa di mesi dieci di reclusione per il reato di cui agli artt. 589, primo e secondo comma, cod.pen., perché colposamente cagionavano la morte del dipendente di Etra di Bassano del Grappa (G.B.) il quale, durante le operazioni di rimozione di materiale dal nastro trasportatore posteriore della macchina rivoltatrice, azionando tramite radiocomando fornito dal costruttore, i rulli, determinava l'avvio di tutti i nastri, ivi compreso quello rivoltatore su cui la vittima aveva inavvertitamente (anche in ragione della scarsa illuminazione artificiale) appoggiato i piedi, venendo conseguentemente trascinato nella zona di rivoltamento (in data 8 marzo 2010) - più precisamente S.S., quale Presidente del Consiglio di Gestione di Etra s.p.a., non avendo previsto nel documento di valutazione rischi alcuna procedura per l'attuazione di misure atte a scongiurare i rischi nel caso della necessità di rimozione di materiale sovraccaricato sul nastro della macchina in uso, non avendo proceduto alla rielaborazione di suddetto documento in ragione della modifica del processo produttivo determinato dalla sostituzione di tale macchina, non avendo valutato, al momento della scelta della macchina, i rischi connessi all'uso dei dispositivi di controllo non situati fuori dalle zone pericolose e i rischi derivanti dalle sequenze collegate degli elementi mobili pericolosi; W.G., quale dirigente della divisione ambientale di Etra s.p.a. e, dunque, datore di lavoro con autonomia di spesa, non avendo verificato la completezza del documento di valutazione rischi, non avendo proceduto ad una corretta vigilanza in ordine alla prassi di lavoro secondo cui solo i lavoratori che avessero ricevuto adeguato addestramento dovevano accedere alle zone a rischio, non avendo provveduto ad adottare le misure necessarie ad assicurare che l'uso delle attrezzature fosse riservato a lavoratori con adeguato addestramento, non avendo provveduto all'addestramento della vittima, non avendo assunto adeguate misure tecniche al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso della rivoltatrice ed ad evitare un uso improprio del telecomando; L.C., nella sua qualità di dirigente Etra s.p.a., non avendo proceduto ad una corretta vigilanza in ordine alle prassi di lavoro secondo cui solo i lavoratori che avessero ricevuto adeguato addestramento dovevano accedere alle zone a rischio e le operazioni dovevano svolgersi a macchina spenta.
2. Avverso la sentenza della Corte d'Appello gli imputati S.S., W.G., L.C., le cui condotte sono state specificamente menzionate, hanno proposto tempestivamente ricorso per cassazione.
3. S.S. ha denunciato 1) il travisamento della prova in ordine alla possibilità di vietare l'uso del telecomando nella fase di disintasamento, atteso che, al contrario, il telecomando gestisce tutte le fasi di funzionamento della rivoltatrice ed è indispensabile nella fase di disintasamento, come riferito dai testi Vi., T., S.; 2) il travisamento della prova e la contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta esistenza di prescrizioni del costruttore limitative dell'uso del telecomando, dedotte a contrario dalle prescrizioni relative ai possibili usi ed in contrasto con il contenuto della deposizione del teste M.; 3) la mancanza e contraddittorietà della motivazione, anche in considerazione dell'assoluzione del costruttore della macchina, in ordine alla ritenuta inadeguatezza dell'obbligo di spegnimento della macchina, inserito nel documento di valutazione dei rischi, qualificato corretto ma generico; 4) la violazione dell'art. 15 lett. c del d.lgs. n. 81 del 2008 e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto, essendo stato adeguatamente valutato il rischio nell'apposito documento e prevista la misura dello spegnimento della macchina per l'effettuazione delle operazioni di manutenzione e pulizia, sicché sarebbe illogica l'affermazione della Corte di Appello secondo cui era lasciato alla libera decisione del lavoratore l'uso del telecomando, al contrario neutralizzato dallo spegnimento della macchina; 5) la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui viene ritenuta insufficiente la misura dello spegnimento della macchina, in quanto aggirabile dal lavoratore, pur assumendosi come adeguata la misura meno efficace e ugualmente aggirabile di limitare l'uso del telecomando in determinate condizioni e a limitati fini e di vietarlo nella fase di disintasa mento; 6) la violazione degli artt. 17,18 e 19 del d.lgs. n. 81 del 2008, atteso che l'evento verificatosi è stata la conseguenza della conclamata violazione, da parte del lavoratore, della regola contenuta nel documento di valutazione dei rischi e non di scelte gestionali del datore di lavoro; 7) la mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione all'omesso valore esimente del ricorso, da parte del datore di lavoro, ad una struttura tecnica per la valutazione dei rischi; 8) la mancanza assoluta di motivazione in relazione alla contestata violazione dell'art. 71, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008; 9) la discrasia tra motivazione e dispositivo in ordine all'entità della pena, confermata nella misura di mesi dieci di reclusione, nonostante la riduzione in sette mesi nella parte motivazionale.
4. W.G., premessa l'impossibilità di configurare una doppia conforme, in considerazione della diversa tecnica decisionale delle sentenze di primo e secondo grado, disarticolando la prima il profilo di colpa dei singoli imputati ed attribuendo, invece, la seconda a tutti gli imputati la stessa condotta, consistente nell'omessa valutazione del rischio collegato alla disponibilità, da parte dei lavoratori, del telecomando, ha dedotto 1) la violazione dell'art. 40, secondo comma, cod.pen. e la mancanza di motivazione sul nesso di causalità, in quanto, a fronte della condotta del lavoratore trasgressiva delle regole operative dell'azienda, non è stato dimostrato, attraverso il giudizio controfattuale, che l'omissione di un ulteriore e diverso divieto abbia causato l'evento; 2) la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, essendo stata attribuita all'imputato una condotta non contestagli; 3) il travisamento della prova, affermando la sentenza l'assenza di una disciplina aziendale che, relativamente alla rimozione di intasamenti sui nastri della rivoltatrice, escludesse l'uso del telecomando, nonostante il diverso dato letterale delle istruzioni operative e il contenuto delle deposizioni testimoniali, da cui si evince che la macchina doveva essere spenta e il telecomando fuori uso nel corso delle operazioni in esame; 4) la manifesta illogicità della motivazione laddove, da un lato, riconosce la violazione, da parte del lavoratore, delle regole aziendali e, dall'altro, individua come causa dell'evento la pretesa mancanza di un ulteriore divieto; 5) la discrasia tra motivazione e dispositivo in ordine all'entità della pena, confermata nella misura di mesi dieci di reclusione, nonostante la riduzione in sette mesi nella parte motivazionale, che ha chiesto emendarsi tramite la correzione dell'errore materiale.
5. L.C. ha dedotto 1) l'insufficienza o mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza delle circostanze poste a base della decisione (in particolare in ordine alla prevedibilità e ripetitività dell'intasamento della rivoltatrice, fenomeno neppure ipotizzato nel manuale d'uso e verificatosi non più di due o tre volte, non necessariamente nel periodo in cui il ricorrente aveva assunto le funzioni, appena quattro mesi prima dell'infortunio, sicché non poteva essergli noto per ragioni a lui non imputabili); 2) l'insufficienza, la mancanza e la contraddittorietà della decisione in ordine all'esigibilità del supposto comportamento alternativo lecito, da parte del ricorrente, perito chimico, senza né attribuzioni né specifiche competenze in materia di sicurezza, a cui nessuno si è rivolto neppure in occasione dell'infortunio, avvenuto, peraltro, non nel suo orario di lavoro, essendovi altri soggetti con compiti e conoscenze specifiche della rivoltatrice nell'organigramma aziendale; 3 e 4) la violazione di legge e la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all'insussistenza del nesso eziologico in considerazione della inidoneità della condotta appropriata ad evitare l'evento ed in ordine alla non abnormità della condotta del lavoratore, che, pur essendo esperto e conoscendo la corretta procedura di uso della macchina, ha deciso di porre in essere un'operazione pericolosissima, mai svolta in precedenza né da lui né da altri, e ha, perciò, chiesto a colui che lo stava aiutando di allontanarsi (v. p. 29 sentenza di primo grado); 5) la violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen., essendo stati i prossimi congiunti della vittima risarciti integralmente già in sede di udienza preliminare ed avendo conseguentemente revocato la costituzione di parte civile; 6) la contraddittorietà della motivazione in ordine alla pena inflitta, indicata in motivazione in sette mesi e confermata nel dispositivo in dieci mesi.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi in esame vanno accolti relativamente al motivo comune avente ad oggetto la quantificazione della pena, atteso che, nell'ipotesi in cui la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore nella materiale indicazione della pena nel dispositivo e dall'esame della motivazione emerga in modo chiaro ed evidente la volontà del giudice, potendosi ricostruire il procedimento seguito per determinare la sanzione, la motivazione prevale sul dispositivo con la conseguente possibilità di rettifica dell'errore in sede di legittimità, secondo la procedura prevista dall'art. 619 cod. proc. pen., non essendo necessarie, in tal caso, valutazioni di merito (Sez. 4, n. 26172 del 19/05/2016 Ud., Rv. 267153).
Nel caso di specie, difatti, si legge a p. 34 della sentenza impugnata che "può ridursi la pena a mesi sette di reclusione, durata che appare più congrua ed adeguata all'incensuratezza dei prevenuti ed alle peculiarità del caso, nel quale è rinvenibile una concorrente condotta colposa del lavoratore", sebbene nel dispositivo si confermi la sentenza di condanna alla pena sospesa di dieci mesi di reclusione nei confronti di S.S., W.G., L.C., D.S..
Parimenti va accolto, con estensione a tutti gli imputati, il motivo proposto da L.C. avente ad oggetto l'omessa motivazione in ordine all'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen., posto che la Corte veneziana dà atto a p. 26 della proposizione di tale motivo di appello e a p. 28 della prospettazione difensiva del risarcimento del danno e della revoca della costituzione della parte civile, ma omette, poi, ogni valutazione in ordine al mancato riconoscimento di detta attenuante nella parte dedicata al trattamento sanzionatorio. In virtù dell'art. 587 cod.proc.pen., l'annullamento si estende agli altri imputati, atteso che, per come è stato formulato, il motivo deve considerarsi di natura oggettiva e non soggettiva, in quanto si è fatto riferimento al risarcimento effettuato da tutti gli imputati (fatta eccezione per quello assolto) e non dal solo ricorrente L.C.. Sul punto deve ricordarsi che l'effetto estensivo dell'impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale, giova anche nei confronti del coimputato che ha proposto ricorso per motivi diversi da quelli accolti, con conseguente applicabilità della disciplina prevista dall'art. 627, comma quinto, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 46202 del 02/10/2013 Cc., Rv. 258155).
2.1 residui motivi del ricorso di S.S. non possono trovare accoglimento.
Quanto ai dedotti travisamenti della prova, va ricordato che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", soltanto nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018 Ud., Rv. 272018). Tali situazioni non ricorrono nel caso di specie, mentre, contrariamente a quanto sostenuta dalla difesa degli altri ricorrenti, non può escludersi che le due sentenze di merito siano conformi e si integrino tra di loro, atteso che la sentenza di appello non ha smentito quanto accertato ed affermato dal giudice di primo grado, essendosi solo, per ragioni di sintesi, soffermata su alcuni profili comuni a tutti gli imputati, in considerazione delle censure proposte. Nel caso di specie, gli asseriti travisamenti del fatto non risultano confermati, in modo inequivocabile, dalla documentazione allegata e l'asserita impossibilità di vietare l'uso del telecomando nella fase dì disintasamento dei nastri appare incompatibile con la direttiva dello spegnimento della macchina durante tale operazione, che comporta il mancato uso del telecomando. Per quanto concerne l'asserito travisamento sulle prescrizioni del costruttore limitative dell'uso del telecomando è un elemento non decisivo ai fini di affermare o escludere la responsabilità dell'imputato.
Tutti gli altri motivi possono essere esaminati congiuntamente, lamentando carenze motivazionali insussistenti, atteso che risulta logica e priva di contraddizioni la conclusione della Corte di Appello che ha individuato la regolare cautelare violata nella mancata adeguata valutazione inerente l'utilizzo della macchina rivoltatrice, valutazione che avrebbe dovuto essere effettuata assumendo il dato della presenza nello stabilimento del radiocomando e, cioè, di uno strumento capace di ridurre - rispetto al prescritto spegnimento della macchina - la fatica del lavoro e la durata della permanenza dei lavoratori in un'area piena di disagi, che, quindi, presumibilmente sarebbe stato usato in modo improprio per le operazioni di disintasamento della macchina rivoltatrice. In punto di abnormità della condotta del lavoratore, è sufficientemente ricordare il principio, correttamente applicato dai giudici di merito, secondo cui, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 ud., dep. 27/03/2017, Rv. 269603). Per quanto concerne, infine, la nomina di una struttura di valutazione del rischio non si tratta di circostanza prevista dalla disciplina in materia come idonea al trasferimento degli obblighi di protezione del datore di lavoro, a differenza della delega di funzioni.
3.1 residui motivi del ricorso di W.G. vanno rigettati.
Relativamente al primo motivo, la Corte ha, con motivazione congrua, non manifestamente illogica e priva di ogni contraddizione, individuato la regolare cautelare violata, consistente nella necessaria ed adeguata valutazione del rischio inerente l'utilizzo della macchina rivoltatrice, valutazione che avrebbe dovuto essere effettuata assumendo il dato della presenza nello stabilimento del radiocomando e, cioè, di uno strumento capace di ridurre la fatica del lavoro e la durata della permanenza dei lavoratori in quell'area piena di disagi, che, quindi, presumibilmente sarebbe stato usato in modo improprio per le operazioni di disintasamento della macchina rivoltatrice. A ciò va, peraltro, aggiunto che, relativamente alla posizione di W.G., la condotta colposa contestata non si esaurisce nella violazione di tale regola cautelare, ma anche nelle altre descritte nel capo di imputazione e diffusamente analizzate dalla sentenza di primo grado. Contrariamente alla prospettazione difensiva dell'imputato, le due sentenze di merito si integrano, trattandosi di doppia conforme: la sentenza di appello, per ragioni di sintesi, si sofferma solo su alcuni profili comuni a tutti gli imputati, in considerazione delle censure proposte.
Parimenti il nesso di causalità risulta correttamente individuato. In particolare, per quanto concerne la posizione di W.G., deve sottolinearsi che, come precisato nella sentenza di primo grado, tra le condotte contestate vi è anche l'omessa vigilanza sulle prassi lavorative relative alla pulizia dei nastri della rivoltatriche, che prescrivevano lo spegnimento della macchina e che, dunque, sicuramente avrebbero impedito il sinistro, qualora rispettate.
Relativamente al secondo motivo, nessuna violazione dell'art. 522 cod.proc.pen. si riscontra nella sentenza impugnata, in quanto, da un lato, la condanna di W.G. va fondata anche sulla sentenza di primo grado, in cui sono diffusamente esaminate tutte le condotte contestate, e, dall'altro, la regola cautelare individuata dalla Corte di Appello è assolutamente riconducibile alla prima condotta contestata al ricorrente (non aver adeguatamente valutato e verificato la completezza del documento di valutazione dei rischi in ordine alla pulizia dei nastri della macchina rivoltatrice). Ad ogni modo, come più volte precisato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013 Ud., Rv. 257902).
Neppure il terzo motivo è fondato, non avendo i giudici di merito escluso l'esistenza di una regola aziendale che imponeva lo spegnimento della macchina durante le operazioni di pulizia dei nastri, ma piuttosto affermato l'inidoneità ed insufficienza di detta regola a evitare che le operazioni de quibus avvenissero con la macchina funzionante, in considerazione della disponibilità dei telecomandi da parte dei lavoratori, "strumento operativo, capace di ridurre sensibilmente la fatica del lavoro e la durata della permanenza dei lavoratori in quell'area così ricca di disagi", e della conseguente possibilità di un uso improprio del radicomando. 
Infondato anche il quarto motivo, non solo per quanto già si è detto in ordine al nesso di causalità, ma anche perché le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017 Ud., Rv. 269255).
L'ultimo motivo è, invece, fondato, come già anticipato.
4. Anche il ricorso di L.C., nei restanti motivi, è infondato.
Relativamente ai primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, va sottolineato che, a p. 4 della sentenza impugnata, si legge che dagli esiti della verifica del libro giornale emergeva che la macchina si era intasata in data 26 gennaio 2010, 16 febbraio 2010 e 19 febbraio 2010, che era stata segnalata la mancanza di luce nel reparto compostaggio, che i tempi di riavvio della macchina in data 19 febbraio 2010 erano incompatibili con la procedura corretta in base alla quale la macchina avrebbe dovuto essere spenta, sicché, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, sussiste una motivazione in ordine agli elementi che consentivano di prevedere l'evento. Del tutto irrilevante, invece, l'assenza di competenze specifiche o il tempo dell'assunzione (26 giugno 2009), comunque, anteriore di svariati mesi all'infortunio del marzo 2010 ed alle date in cui si era verificato l'intasamento della macchina. A ciò si aggiunga che sul ricorrente incombeva l'obbligo di vigilare sulla regolarità infortunistica delle lavorazioni, il cui inadempimento non può essere giustificato dall'assenza di segnalazioni relative alle problematiche insorte, atteso che L.C. avrebbe dovuto riscontrare la prassi estremamente pericola, emersa dall'istruttoria, secondo cui gli interventi in caso di intasamento della macchina erano effettuati, contrariamente alle direttive, con l'ausilio del telecomando e di soggetti di altri reparti, privi delle specifiche competenze (v. p. 50 sentenza di primo grado), ed assumere gli adeguati provvedimenti. In proposito occorre sottolineare che il ricorrente lamenta il vizio motivazione in ordine al nesso eziologico assumendo una ricostruzione dei fatti diversa da quella effettuata dai giudici di merito e, cioè, partendo dal presupposto che la pulitura dei nastri della rivoltatrice avveniva regolarmente, rispettando le direttive dello spegnimento della macchina. In questa sede, tuttavia, è preclusa una diversa ricostruzione dei fatti e sul punto non risultano emergere manifeste illogicità o contraddittorietà della motivazione.
In punto di abnormità della condotta del lavoratore, è sufficientemente ricordare il principio, correttamente applicato dai giudici di merito, secondo cui, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 ud., dep. 27/03/2017, Rv. 269603).
5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed in particolare alla discrasia della quantificazione della pena tra motivazione e dispositivo ed all'omessa motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata con riferimento al trattamento sanzionatorio e rinvia sul punto alla Corte di Appello di Venezia per nuovo esame. Rigetta i ricorsi nel resto. Visto l'art. 624 cod.pen. dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità degli imputati.
Così deciso 5 giugno 2018.