Cassazione Penale, Sez. 4, 31 luglio 2018, n. 36715 - Catena di appalti e subappalti e infortunio del lavoratore irregolare


 

 

 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA Data Udienza: 22/02/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Con l'impugnata sentenza, emessa in data 20 settembre 2017, la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del 2 ottobre 2015 del Tribunale di Como, appellata dagli imputati, ha rideterminato l'entità della sanzione pecuniaria sostitutiva della pena detentiva inflitta a L.M., rigettando gli appelli di C.G., L.P. e V.O..
Gli odierni ricorrenti sono imputati del reato di cui agli artt. 113, 590, commi 1, 2, 3 c.p. in relazione all'art. 583 comma 1, n. i. c.p. in relazione all'art. 2087 c.c. In particolare, C.G. in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e delegato in materia antinfortunistica della società C.G. s.p.a. (delega del 5.5.05) con sede ed unità operativa in Bregnano, OMISSIS ed in tale veste quale committente dei lavori di fornitura e posa in opera della copertura del capannone sito in Bregnano, via Milano, completo di lucernari e lattoniere (contratto C.G. s.p.a./Stonedil s.r.l. del 27.7.10); L.M. in qualità di delegato in materia antinfortunistica di s.r.l. Stonedil Solo5 ( delega del 15.7.10) ed in tale veste appaltatore dei lavori successivamente affidati alla società Elite Montaggi s.n.c. di L.P. e V.O.; L.P. e V.O. in qualità di soci amministratori di s.n.c. Elite Montaggi e subappaltatori dei lavori di posa dei lucernari, nonché sub committenti dei lavori di sostituzione dei lucernari in plexiglass affidati all'Impresa individuale di S.L. ( contratto di subappalto verbale); S.L. in qualità di titolare dell'omonima impresa individuale ed in tale veste sub appaltatore dei lavori, nonché datore di lavoro di fatto del lavoratore irregolare M.M., cagionavano a quest'ultimo lesioni personali consistite in frattura obliqua intercondiloidea del femore destro, da cui derivava una malattia nel corpo guarita in 162 giorni, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza di norme per la prevenzione delle malattie professionali.
2. In particolare a C.G. era stato contestato:
di non aver cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e di non aver coordinato gli interventi di protezione dei rischi cui erano esposti i lavoratori, trattandosi d attività che comportava lo spostamento dei lavoratori dell'impresa S.L. e di altre imprese esecutrici incaricate sulla copertura dello stabile ad un'altezza di 6 metri, in presenza di lucernari in plexiglass privi di resistenza sufficiente per sostenere il peso, senza che fossero adottate tutte le misure di sicurezza contro la caduta di persone e di cose ai sensi dell'art. 26, comma 2 del D.lgs. n. 81/08;
di non avere promosso la cooperazione all'attuazione delle misure di protezione e prevenzione, nonché il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui erano esposti i lavoratori, incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; in particolare, il documento unico per le interferenze non conteneva le misure da adottare per eliminare il rischio interferenziale determinato dalle lavorazioni che avvenivano sulla copertura dello stabile  e relativo alla caduta di persone e cose, ex art. 26 comma 3 del D.lgs. n. 81/08;
di non avere fornito all'impresa S.L. dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui detta impresa era destinata ad operare; in particolare in relazione al rischio di cedimento dei lucernari in plexiglass esistenti sulla copertura del fabbricato ove il lavoratore M.M. doveva lavorare, che non avevano una resistenza sufficiente per sostenerne il peso;
di non aver provveduto a designare il coordinatore per la progettazione contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione dell'opera, attesa la presenza anche non contemporanea di più imprese esecutrici ex art. 90 comma 3 del D.lgs. n. 81/08.
3. a L.M.:
di non aver cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e per non aver coordinato gli interventi di protezione dei rischi cui erano esposti i lavoratori, trattandosi di attività che comportava lo spostamento dei lavoratori dell'Impresa S.L. e di altri imprese esecutrici sulla copertura dello stabile ad un'altezza di 6 metri in presenza di lucernari in plexiglass privi di resistenza sufficiente per sostenere il peso, senza che fossero adottate tutte le misura di sicurezza contro la caduta ai sensi dell'art. 26, comma 2 del D.lgs. n. 81/08;
di non avere promosso la cooperazione all'attuazione delle misure di protezione nonché il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui erano esposti i lavoratori incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; in particolare il documento unico per le interferenze non conteneva le misure da adottare per eliminare il rischio interferenziale determinato dalle lavorazioni che avvenivano sulla copertura dello stabile e relativo alla caduta di persone ex art. 26 comma 3 del sopra citato D.lgs..
4. a L.P. e V.O.:
di non aver cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e per non aver coordinato gli interventi di protezione dei rischi cui erano esposti i lavoratori, trattandosi di attività che comportava lo spostamento dei lavoratori dell'impresa S.L. e di altri imprese esecutrici sulla copertura dello stabile ad un'altezza di 6 metri in presenza di lucernari in plexiglass privi di resistenza sufficiente per sostenere il peso, senza che fossero adottate tutte le misura di d sicurezza contro la caduta ai sensi dell'art. 26, comma 2 del D.lgs. n. 81/08;
di non avere promosso la cooperazione all'attuazione delle misure di protezione nonché il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui erano esposti i lavoratori, incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; in particolare il documento unico per le interferenze non conteneva le misure da adottare per eliminare il rischio interferenziale determinato dalle lavorazioni che avvenivano sulla copertura dello stabile e relativo alla caduta di persone ex art. 26 comma 3 del sopra citato D.lgs.;
di non verificato l'idoneità tecnico - professionale dell'impresa esecutrice S.L., impresa individuale senza dipendenti in relazione ai lavori da affidare in appalto, considerata la necessaria presenza di due persone per il lavoro di sostituzione dei lucernari plexiglass ex art. 26, comma i lett. a), del D.lgs. n. 81/08;
5. a S.L.:
di non aver cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e per non aver coordinate gli interventi di protezione dei rischi cui erano esposti i lavoratori trattandosi di attività che comportava lo spostamento dei lavoratori dell'impresa S.L. e di altri imprese esecutrici sulla copertura dello stabile ad un'altezza di 6 metri in presenza di lucernari in plexiglass privi di resistenza sufficiente per sostenere il peso, senza che fossero adottate tutte le misura di d sicurezza contro la caduta ai sensi dell'art. 26, comma 2 del D.lgs. n. 81/08;
di non avere accertato, prima di procedere all'esecuzione dei lavori, da effettuarsi sulla copertura del capannone di proprietà dell'impresa C.G. ad altezza di 6 metri, che i lucernari in plexiglass avessero resistenza sufficiente per sostenere il peso dei lavoratori e per non aver adottato i necessari apprestamenti atti a garantire l'incolumità del lavoratore M.M., disponendo sottopalchi e dotando il lavoratore di idonei dispositivi di protezione anticaduta, ex art. 148 del D.lgs. n. 81/08;;
di non aver provveduto alla formazione del lavoratore M.M. in ordine ai rischi derivanti dall'attività di sostituzione dei lucernari atti a garantire l'incolumità del lavoratore promosso la cooperazione all'attuazione ex art. 36, comma 2 del sopra citato D.lgs.;
di non essersi assicurato che il lavoratore M.M. ricevesse una formazione sufficiente in materia antinfortunistica ex art. 37 del D.lgs. n. 81/2009.
In tal modo il lavoratore suddetto, dopo essere salito sulla copertura del capannone, ad un'altezza di circa sei metri, con il suo datore di lavoro, S.L., per effettuare la sostituzione del lucernario in plexiglas, all'atto di spostarsi, appoggiava involontariamente un piede su un lucernario, che, sfondandosi, lo faceva precipitare al suolo, procurandogli le indicate lesioni.
6. Avverso tale decisione ricorrono per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1 disp. att. c.p.p.:
6.1 a mezzo del difensore di fiducia il L.M., deducendo con un primo motivo mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di un efficace contratto di appalto anche nei confronti di esso ricorrente. Si lamenta in particolare che la Corte territoriale non avrebbe effettuato una compiuta disamina dei motivi di appello con cui si sosteneva tra l'altro che non fosse possibile applicare al caso in esame la disciplina prevista dall'art. 26 D.lgs.vo n. 81 del 2008, non essendosi concluso, neppure per comportamenti concludenti, all'epoca del sinistro, alcun contratto di appalto lavori.
Con un secondo motivo si deduce mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto alla ritenuta violazione dell'art. 26 citato con riferimento alla mancata disponibilità giuridica e di fatto i capo al L.M. dell'ambiente dove dovevano essere effettuate le lavorazioni anche per aver già trasferito il rapporto giuridico e le conseguenti responsabilità in capo ad Elite Montaggi.
Con un terzo motivo si lamenta ancora difetto di motivazione in relazione alla ritenuta qualifica di datore di lavoro committente in capo al L.M..
Con un quarto motivo si sostiene l'insussistenza del nesso di causalità tra la condotta accertata, quella ingiustamente contestata e l'evento.
6.2 con ricorso congiunto a firma a firma dell'avvocato OMISSIS, L.P. e V.O..
Con un primo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla illogicità delle ragioni per le quali non erano state ritenute attendibili le prove difensive in punto responsabilità per colpa specifica e nesso eziologico.
Con un secondo motivo si eccepisce carenza di motivazione quanto alla dedotta mancanza di nesso eziologico tra la condotta ascritta ad essi ricorrenti con l'esorbitante/abnorme condotta della parte civile. Si deduce in particolare che gli odierni ricorrenti non erano committenti né datori di lavoro e che l'infortunio si era comunque verificato per una iniziativa autonoma e priva di autorizzazione della stessa parte lesa.
Con un terzo ed ultimo motivo si contesta infine con riferimento alla posizione del V.O. la ritenuta sussistenza di una posizione di garanzia.
6.3 Giacomo C.G. a mezzo dei difensori di fiducia denuncia con un primo motivo manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta esistenza di un rapporto contrattuale tra la società facente capo ad esso C.G. ed il S.L.; con un secondo motivo deduce altresì difetto di motivazione quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
 

 

Diritto

 


7. I ricorsi sono infondati.
Va preliminarmente evidenziato che tutti i ricorsi in molti punti, lamentano vizio motivazionale, ma in realtà richiedono a questa Corte di legittimità una rivalutazione nel merito che le è inibita. Essendo peraltro i giudici di merito pervenuti ad una duplice affermazione di responsabilità, che si sviluppa secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado si saldano tra loro fino a formare un solo complesso corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (Sez.2, n.30838 del 19/03/2013, Autieri, Rv.257056; Sez.4, n.38824 del 17/09/2008, Raso, Rv.241062; Sez.l, n.8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv.216906; Sez.U n.6682 del 4/02/1992, Musumeci, Rv.191229).
In primo luogo va esaminata la questione relativa alla dedotta mancanza di un valido contratto di appalto. Sul punto la gravata sentenza ha posto in rilievo come non vi fosse "alcun dubbio che in termini fattuali il contratto di appalto fosse stato in concreto posto in esecuzione, come attestano anche i plurimi incontri tra i vari rappresentanti delle ditte coinvolte, nonostante non fosse stato ancora confezionato il relativo documento scritto". L'affermazione che si basa su un'attenta e coerente lettura degli elementi acquisiti (cfr. pagg. 6 e ss. della sentenza della corte territoriale, in cui si sottolinea in particolare, fra l'altro l'intervenuta sottoscrizione del DUVRI) è peraltro in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 10014 del 06/12/2016, Rv. 269342) che è giunta sino ad affermare che non sarebbe affatto necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, ben potendo la commissione esaurirsi in una mera prestazione d'opera, quale è certamente, analogamente al caso di specie, il sopralluogo sul tetto ai fini della verifica dei lavori necessari, alla quale devono comunque presiedere le cautele previste. Tuttavia nella fattispecie in esame la corte distrettuale è pervenuta a ritenere la sussistenza in concreto del contratto di appalto, motivando adeguatamente a riguardo.
Le diverse prospettazioni dei ricorrenti attengono pertanto- come già rilevato in premessa- a questioni fattuali o di valutazione del compendio probatorio, come tali estranee al giudizio di legittimità. E ciò con riferimento sia alla questione dell'operatività del contratto di appalto sia al ruolo dei singoli soggetti.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (ex multis, v. Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009 e n. 23528 del 6/6/2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) cod. proc. pen,, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto alfine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c'è, in altri termini, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
I ricorrenti non possono in buona sostanza limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica rispetto a sé stessa, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, gran parte delle censure che i ricorrenti rivolgono al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto delle gravi carenze rispetto alla normativa prevenzionale in materia di sicurezza del lavoro e di gestione del rischio, da parte di tutti i titolari delle posizioni di garanzia.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia i ricorrenti chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
Quanto alla posizione delle diverse imprese coinvolte, va poi innanzitutto ricordata la concatenazione dei rapporti tra i vari soggetti. Come emerge dalla sentenza di primo grado la C.G. s.p.a., società operante nel settore del trattamento del legno, nella prima parte del 2010 decideva di installare sul tetto del proprio capannone dei pannelli fotovoltaici, opera che prevedeva il contestuale rifacimento della copertura.
Detto lavoro veniva affidato alla Stonedil Solo Cinque s.r.l., la quale, tuttavia, non avendo alle proprie dipendenze montatori specializzati, delegava l'incarico alla Elite Montaggi s.n.c., impresa da tempo operante nel settore.
Per definire i termini dell'accordo, i rappresentanti delle tre società, nel mese di luglio, partecipavano ad una serie di incontri preliminari.
La Elite Montaggi s.n.c, essendo contemporaneamente impegnata con tutti i propri dipendenti presso un altro cantiere della zona, non potendo eseguire direttamente l'opera, contattava S.L., lattoniere titolare dell'omomma ditta individuale, il quale si dichiarava disponibile a svolgere l'attività.
Prima di accettare, tuttavia, questi manifestava l'intenzione di eseguire un sopralluogo, al fine di verificare il tempo necessario ad ultimare il lavoro, e stabilire così i termini economici del rapporto. Il S.L., in particolare, intendeva accertarsi del tempo necessario alla sostituzione dei lucernari presenti sul tetto.
La predetta attività imponeva l'impiego di almeno due persone, pertanto S.L., in data 24 agosto 2010, incontrando in un bar M.M., che sapeva essere disoccupato, gli offriva un'opportunità di lavoro.
Il S.L., in particolare, affermava che avrebbe dovuto eseguire lo smontaggio di alcuni pannelli in plexiglass posti sul tetto di un capannone, e che pertanto aveva bisogno di una persona che lo aiutasse "passandogli i ferri".
Il M.M. accettava di buon grado, tanto che i due lavoratori; tra le 7.30 e le 8.00 del 26 agosto 2010, si recavano presso lo stabilimento della C.G. s.p.a., sita in Bregnano alla via Omissis.
In quel periodo l'attività della C.G. era ferma a causa del periodo feriale, ma quel giorno, al suo interno, operavano comunque alcune squadre di manutentori dei macchinari presenti in azienda.
La gestione dello stabilimento era poi affidata al capofabbrica F.M., preavvertito del fatto che alcuni addetti della Stonedil s.r.l., il 26 di agosto, si sarebbero recati sul posto per eseguire un sopralluogo preliminare.
Una volta giunti a destinazione, non trovando nessuno della C.G. ad accoglierli, ma essendovi comunque il cancello dello stabilimento aperto, il S.L. e il M.M. decidevano di entrare e di utilizzare la scala esterna dell'impianto di aspirazione del capannone per sbarcare sul tetto dove erano presenti i lucernari.
Durante le operazioni il S.L. iniziava a saltare da una parte all'altra delle file di pannelli, invitando il M.M. a fare lo stesso, e a prestare bene attenzione a non calpestarli, in quanto si sarebbero potuti rovinare. Nell'eseguire uno dei predetti spostamenti il M.M. appoggiava involontariamente un piede su uno dei pannelli, lo infrangeva e precipitava così all'interno del capannone da un'altezza di circa sei metri, sfiorando di poco un macchinario ivi presente.
Così ricostruita la piramide datoriale, emerge che fra gli odierni imputati sussisteva una catena di appalti e subappalti, anche se - come già ricordato- non compiutamente formalizzata. L'art. 26 T.U. 81/2008 che disciplina la fattispecie è norma, che palesa la volontà del Legislatore di assicurare al massimo grado la tutela individuale all'Interno del luogo di lavoro, con massima estensione della previsione dei soggetti in posizione di garanzia nell'attuazione delle misure di prevenzione nel distretto produttivo aziendale.
Scopo della norma è, invero, di tutelare tutti i soggetti che, a vario titolo, concorrono a raggiungere la finalità dell'intero ciclo produttivo attuato dall'imprenditore-datore di lavoro.
A corollario si rende necessario rilevare che nei casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto ha l'obbligo, per quanto disposto dall'art. 26 comma 3 ter D.Lgs. 81/2008, di redigere il documento di valutazione dei rischi inerenti alla tipologia delle prestazioni che potrebbero derivare dal contratto.
Invero osservando quanto si verifica nella realtà nei rapporti di appalto tra committente ed appaltatore il Legislatore del T.U. ha previsto, all'art. 26, comma 2, lettere a) e b), obblighi di cooperazione e coordinamento tra più datori di lavoro quando essi cooperano nell'esecuzione dell'attività lavorativa oggetto dell'appalto.
In particolare l'art. 3 prescrive l'elaborazione, da parte del datore di lavoro committente, del DUVRI - documento unico di valutazione dei rischi interferenti - nel quale devono essere indicate le misure tanto per eliminare i rischi derivanti dall'attività cui sono esposti i lavoratori, quanto per eliminare e ridurre i rischi derivanti dalle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'opera complessiva. Ne restano esclusi, per il disposto D.Lgs. 106/2009, le sole attività esenti da rischi, quali quelle aventi ad oggetto i servizi di natura intellettuali, la mera fornitura di materiali, ovvero quelli di breve durata se esenti da rischi.
Come è vero che redigere il documento di valutazione dei rischi è obbligo esclusivo e personale del datore di lavoro, tuttavia per il solo committente datore di lavoro tale redazione può anche essere delegata a terzi, pur gravando sempre sul committente il correlativo obbligo.
La normale diligenza e prudenza deve sempre sovrintendere alle attività imprenditoriali, e pertanto si rende necessario che un imprenditore non solo provveda alla sicurezza dei propri dipendenti, ma anche garantisca la sicurezza all'interno della propria azienda anche a chiunque fosse chiamato a lavorarvi, a qualsiasi titolo.
Ai fini dell'accertamento della penale responsabilità a titolo colposo, l'interferenza tra impresa appaltante ed appaltatrice non attiene alla valutazione delle sole attività rischiose, ma comporta che tutte le imprese coinvolte individuino specificamente le attività potenzialmente rischiose, ed intervengano per limitarne i rischi connessi.
Il personale della ditta appaltatrice ha infatti diritto di conoscere preventivamente, con valutazione a cura dell'appaltante, i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro. È stato in proposito affermato (Sez, 4, n. 5420 del 2012, non massimata) che il concetto di "interferenza" va inteso come "circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra il personale tra imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti". Ed invero, l'accezione di "interferenza" tra impresa appaltante ed impresa appaltatrice non può ridursi, ai fini della individuazioni di responsabilità colpose penalmente rilevanti, al riferimento alle sole circostanze che riguardano "contatti rischiosi" tra il personale delle due imprese, ma deve fare necessario riferimento anche a tutte quelle attività preventive, poste in essere da entrambe antecedenti ai "contatti rischiosi", destinate, per l'appunto, a prevenirli. In sostanza, ancorché il personale della ditta appaltatrice operi autonomamente nell'ambito del luogo di lavoro della ditta appaltante, deve esser messo in condizione di conoscere, a cura della appaltante, preventivamente i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro con riferimento, ovviamente, all'attività lavorativa che deve ivi svolgere.
Il principio generale in materia di interferenze tra ditta appaltante ed appaltatrice, affermato con continuità da questa Corte è infatti quello che, ove i lavori si svolgano nello stesso cantiere in esso inserendosi anche l'attività dell'appaltatore per l'esecuzione di un'opera parziale e specialistica (ivi compresa, ovviamente, anche quella di cui ci si occupa), sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo. Un'esclusione della responsabilità dell'appaltante è configurabile solo qualora all'appaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e
dirigenziale rispetto all'appaltante, e non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell'appaltante dall'organizzazione del cantiere. Nella ricorrenza delle anzidette condizioni, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell'appaltante, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità intercorse tra questi e l'appaltatore.
Va in proposito ulteriormente e conclusivamente ricordato che ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall'art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81- (la cui inadempienza è stata specificamente contestata) occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte, (cfr., Sez. 4 n. 30557 del 07/06/2016, Rv. 267687. In motivazione la Corte ha precisato che gli obblighi di cooperazione e coordinamento rappresentano per i datori di lavoro di tutte le imprese coinvolte "la cifra" della loro posizione di garanzia e delimitano l'ambito della rispettiva responsabilità).
Con riferimento alla posizione del L.M. gli assunti difensivi di quest'ultimo si pongono, innanzitutto, in linea di diritto, in contrasto con i principi sopra ricordati, secondo cui gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'Interno di un unico cantiere, grava su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, che ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, pur se la sua attività si svolga contestualmente ad altra, prestata da altri soggetti, e sebbene l'organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali (Sez. 4. n. 42477 del 16/07/2009, Cornelli, Rv. 245786). Le censure del ricorrente appaiono inoltre dedurre la pretesa omessa motivazione in ordine alla peculiarità della sua posizione per cui valgono le considerazioni già sopra espresse sia in ordine alla sussistenza di una valida concatenazione di rapporti contrattuali, sia in ordine alla sussistenza di obblighi di cautela in capo a tutti i soggetti coinvolti.
Con riferimento in particolare alla figura del committente, costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte quella che vuole, in materia di responsabilità colposa, che il committente di lavori dati in appalto debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza scegliere l'appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l'incarico, accertando che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa Egli ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in un caso relativo alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza).
E' pur vero che è stato di recente precisato - e va qui riaffermato- che in tema di infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo, (cfr. Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016, Vettor, Rv. 270100 in una fattispecie in tema di appalto di lavori di pulizia all'Interno dell'azienda, in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto la responsabilità del committente in relazione al reato di lesioni colpose, per aver dato incarico ad un lavoratore di pulire il piazzale della ditta usando soda caustica, senza assicurarsi che il datore di lavoro appaltatore avesse spiegato al dipendente la necessità di cambiare gli indumenti contaminati dalla predetta sostanza pericolosa; conf. Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi ed altri, Rv. 264974-75).
Rimane anche fermo il principio che, qualora il lavoratore presti la propria obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (così la condivisibile Sez. 3, n. 12228 del 25/2/2015, Cicuto, Rv. 262757 che, in applicazione del principio, ha escluso che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio). Tuttavia va anche ribadito -ed è il caso che ci occupa- che il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (cfr. Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012 dep. il 2013, Bracci, Rv. 255282, in un caso di inizio dei lavori nonostante l'omesso allestimento di idoneo punteggio).
Vale anche l'ulteriore precisazione che il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice (c.d. cantiere "sotto - soglia"), è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 3, comma ottavo, D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (così Sez. 4, n. 23171
del 9/2/2016, Russo ed altro, Rv. 266963, che, in applicazione ditale principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilità a titolo di omicidio colposo del committente, il quale aveva omesso non solo di verificare l'idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice, in relazione alla entità e tipologia dell'opera, ma anche di attivare i propri poteri di inibizione dei lavori, a fronte della inadeguatezza dimensionale dell'Impresa e delle evidenti irregolarità del cantiere).
Quanto alla impresa affidatala (nella specie la STONEDIL) in estrema sintesi, la stessa e per essa i suoi titolari era tenuta a verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese subappaltatrici e dei lavoratori autonomi, con le modalità di cui all'Allegato XVII del D. Lgs 81/08 e a fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici del cantiere e sulle misure di prevenzione e protezione, nonché a coordinare gli interventi dì prevenzione e protezione, cooperando alla loro applicazione e verificando le condizioni di sicurezza dei lavori ad essa affidati.
Ebbene, come si diceva in precedenza, costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte quella che vuole, in materia di responsabilità colposa, che il committente di lavori dati in appalto (impresa appaltante rispetto all'appaltatore, o appaltatore rispetto ai subappaltatori) debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere il soggetto al quale affidare l'incarico, accertandosi che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa.
Né di fronte all'emerso quadro di gravissime inadempienze (cfr. in particolare sentenza di primo grado pagg. 7 e 8), peraltro, non possono con tutta evidenza i committenti addurre quale scusante quella di non avere conosciuto la catena di subappalti. Come pure non ha alcuna giuridica rilevanza che gli imputati frequentassero spesso o saltuariamente il cantiere, in quanto le palesi omissioni a loro ascritte prescindono dalla frequentazione dei luoghi, e si posero in stretta relazione causale con l'evento, come peraltro ben evidenziato dal giudice di primo grado a pag. 9 della sentenza del Tribunale.
Non è dubitabile infine la responsabilità dell'immediato datore di lavoro del M.M. avendo le sentenze di merito esaminato in maniera efficace i pregnanti profili di responsabilità, palese sotto vari aspetti.
Quanto alla prospettata interruzione del nesso causale derivante dal comportamento "abnorme" dello stesso M.M. i giudici di merito hanno parimenti accertato in fatto come il lavoratore fosse caduto all'interno dello stabilimento mentre i dipendenti di altre aziende si trovavano contemporaneamente impegnati ad eseguire opere di manutenzione di alcuni macchinari e proprio in occasione del sopralluogo per il quale la C.G. era stata appositamente contattata e richiesta dalla Stonedil ed in vista del quale- come già ricordato era stato redatto il DUVRI.
Osserva a riguardo la Corte: la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato - e si ritiene di dover ribadire- che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il 
comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis questa sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, Rv. 259321).
Questa Corte di legittimità ha anche ricordato (cfr. sez. 4, n. 41486 del 5.5.2015, Viotto), come il sistema della normativa antinfortunistica, si sia lentamente trasformato da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori. Tale principio, normativamente affermato dal Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro di cui al D.Lgs 9.04.2008 n. 81, naturalmente non ha escluso, per la giurisprudenza di questa Corte, come si ricordava, che permanga la responsabilità del datore di lavoro, laddove la carenza dei dispositivi di sicurezza, o anche la mancata adozione degli stessi da parte del lavoratore, non può certo essere sostituita dall'affidamento sul comportamento prudente e diligente di quest'ultimo. Ricordava ancora la sentenza 41486/2015 che in giurisprudenza, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" (che si rifà spesso aN'art. 2087 del codice civile), si è passati - a seguito dell'introduzione del D. Lgs 626/94 e, poi del T.U. 81/2008 - al concetto di "area di rischio" (cfr. sez. 4, n. 36257 del 1.7.2014, Rv. 260294; sez. 4, n. 43168 del 17.6.2014, Rv. 260947; sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva. Strettamente connessa all'area di rischio che l'imprenditore è tenuto a dichiarare nel DVR, si sono, perciò, andati ad individuare i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza. Si è dunque affermato il concetto di comportamento "esorbitante", diverso da quello "abnorme" del lavoratore. Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall'ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell'ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l'attività svolta. 14 La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia. Le tendenze giurisprudenziali -va qui ribadito- si dirigono anch'esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. "principio di autoresponsabilità del lavoratore). In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e - come condivisibilmente rilevava la sentenza 41486/2015, "si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabìlità umana del fattore causale". Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.
Anche applicando tuttavia questi principi specificamente al caso di specie, non può tuttavia che ritenersi l'infondatezza dei ricorsi sul punto, considerata la rilevata e comprovata inosservanza di norme cautelari da parte degli odierni ricorrenti su cui, peraltro, gli stessi non hanno peraltro preso precisa posizione.
E' a riguardo principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, in base al quale il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, per cui i destinatari delle norme antinfortunistiche, sono esonerati da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le altre, Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n.7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n.38877 del 29/09/2005, Fani, Rv. 232421). Nel caso di specie, va ribadito, come non sia emersa alcuna estraneità del comportamento del lavoratore rispetto alle mansioni di fatto commessegli.
Quanto alla mancata concessione al C.G. delle attenuanti generiche congrua infine appare la motivazione della impugnata sentenza che ha fatto riferimento non solo ai precedenti specifici dell'imputato, ma anche al mancato attivarsi dello stesso per il risarcimento del danno, circostanza quest'ultima su cui il ricorrente peraltro nulla osserva.
8. Alla luce delle considerazioni che precedono i ricorsi vanno rigettati. Ne consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile M.M.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile M.M. che liquida in € 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, 22 febbraio 2018