Cassazione Penale, Sez. 4, 07 marzo 2019, n. 10049 - Caduta mortale dal solaio privo di parapetto. Responsabilità del datore di lavoro


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 12/02/2019

 

Fatto

 

1. Con sentenza in data 5 febbraio 2018 la Corte d'Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza assolutoria resa dal Tribunale di Lamezia Terme nei confronti di S.V., condannava l'imputato alla pena di giustizia, quale responsabile del reato di omicidio colposo ai danni di M.B., fatto aggravato dalla violazione della normativa in tema di infortuni sul lavoro, oltre al ristoro delle spese ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, con liquidazione demandata a separato giudizio.
2. Secondo l'ipotesi accusatoria, condivisa dalla Corte territoriale, al S.V. era stata attribuita una colpa generica e la specifica violazione degli artt.146-159, comma 1, lett.c) D.Lgs.n.81/2008 (contravvenzione dichiarata estinta per prescrizione), in quanto il M.B., nel mentre, dal solaio del primo piano di un erigendo fabbricato di proprietà del medesimo datore di lavoro/committente, smantellava la puntellatura allestita per la realizzazione del solaio del secondo piano in via di costruzione, aveva perso l'equilibrio e, data l'assenza dei richiesti parapetti, era caduto a terra riportando gravi lesioni dalle quali era derivato il decesso.
I giudici di appello hanno ritenuto che la sentenza di primo grado non si fosse confrontata con le oggettive emergenze dell'istruttoria, evidenziate dal P.M. nell'atto di impugnazione, le quali conducevano a considerare inesistente il parapetto al momento del sinistro, parapetto la cui presenza era stata invece riferita dai testi M.R. e G.C., oltre che dai testi T.G. ed E.D., i quali, condannati in primo grado per il reato di cui all'art.378 c.p., erano stati poi definitivamente assolti in appello.
3. Ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, lamentando, con un primo motivo, la mancata rinnovazione delle prove dichiarative ritenute decisive dal primo giudice, costituite dall'esame testimoniale del G.C. e del M.R.; l'omessa valutazione delle prove consistenti nelle deposizioni testimoniali dei detti due testi, nonché di E.D. e T.G., e della sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di questi ultimi in relazione al reato di favoreggiamento del S.V., per insussistenza del fatto; ancora, l'erronea valutazione del rapporto informativo del dott. Egidio V. per il Servizio di Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro di Catanzaro, delle dichiarazioni rese dai sanitari del 118 intervenuti in occasione del sinistro.
Con un secondo motivo deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione circa l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, avendo il giudice di appello - in violazione dei principi stabiliti dalle sentenze delle Sezioni Unite n. 27620/2016, Dasgupta e n.18620/2017, Patalano - riformato totalmente la decisione di primo grado senza delineare le linee portanti del proprio ragionamento probatorio e senza specifica confutazione degli argomenti più rilevanti della prima sentenza.

 


Diritto

 

 

 

1. Il ricorso è fondato con riferimento alla doglianza riguardante la mancata rinnovazione delle prove testimoniali, decisive per la pronuncia assolutoria, che implicitamente sono state considerate inattendibili dai giudici di appello.
2. Dall'esame della impugnata sentenza emerge che la Corte ha posto a fondamento della pronuncia di condanna esclusivamente le risultanze dell'accertamento tecnico del dott. V., "smontando" tutte le considerazioni del Tribunale, per la loro apoditticità.
Ha sviluppato, in particolare, le considerazioni seguenti: ove il solaio da cui era caduto il M.B. fosse stato dotato di fermapiede e parapetti il lavoratore non sarebbe potuto precipitare; il lavoratore era morto a seguito di una caduta e dunque la ipotesi del "malore" formulata dal primo giudice era indimostrata, e comunque, anche se fosse caduto per un malore, sarebbe confermata la inesistenza dei parapetti, la cui funzione è proprio quella di prevenire la caduta dei lavoratori a fronte di una qualsiasi evenienza, e dunque anche in ipotesi di "movimento errato" o "imprudente" del lavoratore, meramente teoriche e comunque prive del requisito di "abnormità" - non dedotto e non dimostrato dal datore di lavoro - idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra l'omissione del presidio antinfortunistico e l'evento morte; se i parapetti fossero stati presenti il lavoratore, cadendo, li avrebbe rotti o divelti, perché altrimenti non sarebbe potuto cadere, invece erano a posto al momento del sopralluogo; l'assenza di tracce di ossidazione dei chiodi era stata attribuita dal primo giudice apoditticamente alle condizioni climatiche ed alla qualità dei chiodi, senza alcun accertamento tecnico sull'epoca in cui erano stati piantati e sulla loro capacità a resistere all'ossidazione, mentre non era stato affatto considerato l'ulteriore elemento della totale assenza di tracce di calce e/o cemento su tutte le tavole utilizzate per parapetti, rampe e fermapiede, evenienza del tutto impossibile in un cantiere in cui veniva realizzato un fabbricato e dopo la realizzazione del solaio del secondo piano.
Di qui la conclusione che le tavole fossero state apposte a cantiere chiuso, dopo la caduta del M.B., e non fossero invece presenti al momento dell'infortunio, come del resto confermato dalla testimonianza di B.F. raccolta in sede di appello e sentito proprio su questa specifica circostanza.
3. Così impostato il ragionamento, è evidente che la Corte di Catanzaro, pur senza esplicitarlo, ha ritenuto inattendibili i testi M.R. e G.C., che avevano riferito dell'esistenza dei parapetti, nonché i testi T.G. ed E.D., i quali - come già detto - erano stati condannati per il reato di favoreggiamento personale e poi assolti in appello, ed ha fornito altresì una interpretazione delle dichiarazioni dei sanitari del 118, DS.P. ed O.A., differente rispetto a quella che si legge nella sentenza di primo grado (segnatamente, secondo i giudici di appello, "non ricordare la presenza dei parapetti" equivaleva a "non averli visti").
Nel fare ciò ha apertamente violato i principi di diritto contenuti nella nota sentenza delle S.U., n.27620 del 28/04/2016, Dasgupta (Rv.247487 e Rv.247488) - cui si sono uniformate le successive pronunce delle Sezioni semplici - secondo la quale "La previsione contenuta nell'art.6, par. 3 lett.d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definita dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - che costituisce parametro importante delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione in primo grado, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la penale responsabilità dell'Imputato, senza aver proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art.603, comma terzo, cod.proc.pen., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado senza distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante...."
4. L'impugnata sentenza deve di conseguenza essere annullata con rinvio, limitatamente all'imputazione di omicidio colposo, affinché altra Sezione della Corte di Catanzaro, uniformandosi ai suddetti principi, proceda a nuovo giudizio e decida sull'Impugnazione del P.M. solo dopo aver rinnovato la prova dichiarativa posta dal Tribunale a fondamento dell'assoluzione del S.V.

 

 

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo B (art.589 c.p.) e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma il 12 febbraio 2019