Cassazione Penale, Sez. 4, 14 settembre 2023, n. 37495 - Infortunio durante il montaggio di un trabattello. Lavori in quota: DPI e Formazione


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRANTI Donatella - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 16/12/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere UGO BELLINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TAMPIERI LUCA che ha concluso chiedendo pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso;

E' presente l'avvocato MAFFI GIAMPIERO del foro di BRESCIA in difesa di: A.A..

Il difensore conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza pronunciata in data 16 Dicembre 2022, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo che aveva riconosciuto A.A., in qualità di datore di lavoro, colpevole del reato di lesioni colpose con inosservanza della disciplina sulla prevenzione degli infortuni ai danni del lavoratore B.B. il quale, impegnato, unitamente ad altro dipendente sovraordinato al montaggio di un trabattello mediante il quale procedere a lavorazioni di carpenteria in quota, era precipitato a terra procurandosi lesioni personali gravi.

Al datore di lavoro era contestata, oltre alla colpa generica, la inosservanza di specifiche disposizioni del D.Lgs. n. 81 del 2008, con particolare riferimento alla mancata messa a disposizione dei lavoratori di dispositivi anti caduta per il lavoro in quota, consistenti in imbracature con sistemi a due cordini, e per non avere assicurato al lavoratore una adeguata formazione e informazione e addestramento in relazione all'uso dei suddetti dispositivi.

2. Il Tribunale di Bergamo aveva ritenuto provata, alla stregua delle testimonianze acquisite, la inosservanza del datore di lavoro ad entrambe le disposizioni prevenzionistiche, atteso che non solo i dispositivi antinfortunistici non erano stati utilizzati nel corso della lavorazione, che pure ne richiedeva l'adozione, ma non era emerso se gli stessi fossero presenti sul luogo di lavoro mentre, in relazione al profilo della inadeguata formazione e informazione dei dipendenti, riconosceva che i corsi pure seguiti dal lavoratore, avevano carattere generale e che nessun specifico addestramento risultava assicurato al dipendente con riferimento alla necessità che la lavorazione in quota fosse assistita dall'adozione di imbragature con cordini anticaduta. Escludeva peraltro che la condotta imprudente del lavoratore, a fronte dell'inerzia del preposto alla lavorazione, assurgesse a condotta abnorme ed eccentrica idonea ad interrompere il rapporto di causalità.

3. Il giudice distrettuale, nel ribadire le medesime considerazioni in punto di rapporto di causalità evidenziava che il datore di lavoro non poteva essere esonerato da responsabilità per il fatto che l'attività lavorativa fosse sottoposta alla vigilanza di un preposto, laddove dall'esame complessivo delle emergenze processuali era risultata una generale e tollerata sottovalutazione dei rischi connessi all'esecuzione di lavori in quota, come era dimostrato dalla testimonianza del preposto alla lavorazione la quale, a prescindere da eventuali profili di addebito allo stesso formulabili, evidenziava che i lavoratori tenevano condotte di lavoro scorrette ma ampiamente tollerate dai soggetti sovraordinati, come risultava riscontrato dal fatto che nessun presidio infortunistico fosse stato portato sul posto di lavoro e nessuna richiesta di osservarne l'adozione era stata, nella specie, sollecitata dal personale preposto.

4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa di A.A..

Con un primo motivo di ricorso assume violazione di legge per non avere il giudice distrettuale considerato che, nella specie, si era verificata una successione della posizione di garanzia in capo al preposto alla lavorazione in quanto il datore di lavoro aveva incaricato C.C. alla direzione del lavoro di carpenteria cui era assegnato il lavoratore e che pertanto, in relazione al rispetto delle disposizioni concernenti l'utilizzo di misure preventive, all'imputato non poteva essere contestata la mancata vigilanza sull'adozione dei dispositivi anti caduta, trattandosi di fase della lavorazione che sfuggiva ai propri obblighi gestionali e di controllo e all'uopo richiamava la giurisprudenza relativa alla costituzione e alla successione delle posizioni di garanzia nelle grandi aziende che operano in distinte articolazioni. Ne deduce che la successione nella posizione di garanzia e l'eventuale assunzione del rischio da parte del preposto escludevano il rapporto di causalità tra la caduta e la condotta omissiva ascritta al datore di lavoro in imputazione. Assume inoltre, in relazione all'elemento psicologico del reato, che dall'istruttoria dibattimentale era emerso il rispetto da parte del datore di lavoro degli obblighi sullo stesso gravanti, sia in ordine alla fornitura dei presidi di sicurezza, che non erano stati adottati nella specifica lavorazione, sia in ordine all'assolvimento dei compiti di formazione e di addestramento del personale.

Con un secondo motivo di ricorso assume travisamento della prova ove il giudice distrettuale non aveva considerato la volontaria e non coercibile opzione manifestata dal dipendente di non impiegare il sistema anticaduta pure messo a disposizione dal datore di lavoro.

Con una terza articolazione assume violazione di legge nella parte in cui il giudice distrettuale aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per omessa vigilanza sull'adozione dei presidi antinfortunistici, addebito questo che non solo non era formulato nel capo di imputazione, a fronte di contestazioni relative a condotte omissive in fase di formazione e conferimento dei dispositivi preventivi, ma che non poteva essere mosso al datore di lavoro in presenza di preposto addetto alle lavorazioni che era subentrato nella posizione di garanzia.

 

Diritto


1. Va preliminarmente evidenziato che in ossequio a principi ripetutamente affermati da questa Corte, che, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell'ambito di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, sez. 4^, 2.12.03 Elia n. 4842, Rv. 229369); pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. E' stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU n. 47289/03 Rv. 226074). Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad "altri atti del processo", ed ha quindi, ampliato il perimetro d'intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto "al testo del provvedimento impugnato". La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica, la coerenza strutturale della decisione. Così come sembra opportuno precisare che il travisamento, per assumere rilievo nella sede di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.

2. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che l'articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dell'imputato, mentre le censure da questa proposte finiscono sostanzialmente per riproporre argomenti già esposti in sede di appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, fondata su una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal modo richiedendo uno scrutinio improponibile in questa sede.

3. In particolare la Corte territoriale ha indicato una serie di elementi a sostegno del proprio convincimento in punto di sussistenza tanto del rapporto di causalità omissiva quanto dell'elemento soggettivo del reato, argomenti con i quali la difesa della ricorrente non mostra di confrontarsi, ma finisce per riproporre il contenuto dei motivi di gravame già articolati dinanzi al giudice di appello.

4. Sotto il profilo soggettivo è indubbio che il lavoratore era intento a svolgere un'attività di lavoro che gli imponeva di issarsi in quota (metri sei) e l'infortunio si realizzò in una fase preparatoria alla successiva lavorazione in quota, laddove il lavoratore era intento a montare gli elementi della scala che gli avrebbero consentito di raggiungere l'altezza alla quale potere eseguire gli interventi di carpenteria. Pacifico risulta poi che l'operazione veniva compiuta sotto il monitoraggio di un preposto e che nessun dispositivo anticaduta era stato portato sul luogo di lavoro.

4.1 In tale prospettiva non può ritenersi certamente imprevedibile la perdita di equilibrio dell'operatore il quale operava su una struttura provvisoria, in fase di montaggio, peraltro collocato a quota ben più elevata rispetto a quella a cui avrebbe dovuto indossare la imbracatura anticaduta. E altresì emerso che nella specie nessuno aveva portato sulla sede di lavoro i presidi anticaduta, nè era stato chiesto al lavoratore di indossarli, tantochè il lavoratore ha dichiarato di non essere neppure a conoscenza se tali presidi esistessero o se fossero mai stati posti a disposizione.

4. Sul punto deve richiamarsi la costante giurisprudenza del giudice di legittimità secondo la quale il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle, dopo avere somministrato al lavoratore una adeguata formazione sull'utilizzo dei presidi e sui rischi connessi alle lavorazioni cui il lavoratore è chiamato a partecipare (sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv. 253513; 8/05/2019, Rossi Giorgio, Rv. 276241).

4.1 Tale onere non risulta essere stato adeguatamente assolto. Il giudice distrettuale ha invero evidenziato che dall'esame dei testimoni, tra cui i colleghi di lavoro della persona offesa, era emerso un sostanziale lassismo nel rispetto delle disposizioni prevenzionistiche sul luogo di lavoro e del tutto correttamente la sentenza ha dato latto che tale indicazione, proveniente dalla persona offesa e non esclusa dagli altri lavoratori, risultava confortata dalle specifiche modalità di intervento che avevano caratterizzato le fasi precedenti all'infortunio, laddove non solo i presidi infortunistici non erano stati portati sul luogo di lavoro, ma neppure il preposto, che avrebbe dovuto coordinare l'esecuzione delle lavorazioni in quota, non solo non aveva con sè i presidi, ma neppure aveva richiesto al lavoratore di indossarli.

Appare pertanto che non si era in presenza di una inosservanza occasionale e contingente, che si risolve in una carenza di vigilanza in fase esecutiva, ma di prassi lavorativa abituale, neppure rilevata dal preposto il quale ha ammesso che i dispositivi c'erano ma erano stati lasciati nel furgone, come se ciò valesse a giustificarne la mancanza sul luogo di lavoro. Da tale circostanza del tutto logicamente il giudice distrettuale ha tratto il l'inferenza che una siffatta prassi era tollerata dal datore di lavoro, la cui opera di formazione era altresì risultata del tutto inadeguata e insufficiente quanto al rispetto delle regole prevenzionali connesse alla specifica lavorazione.

5. Se da un lato il giudice di merito ha espressamente riconosciuto l'imprudenza del lavoratore, tuttavia, con motivazione priva di qualsivoglia contraddittorietà o vizio logico ed in piena conformità alla costante giurisprudenza di legittimità, ha precisato che la sua condotta rientrava perfettamente nel segmento delle prestazioni d'opera che era stato chiamato a svolgere non potendosi, quindi, qualificare come del tutto imprevedibile, eccentrico ed esorbitante il suo intervento rispetto all'ambito lavorativo. Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto ad esso equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purchè sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione (sez. 4, n. 2383 del 10/11/2005 - dep. 20/01/2006, Losappio ed altri, Rv. 232916; n. 32178 del 16/09/2020 Dentamaro Francesco, Rv.280070).

6. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, e della somma di Euro tremila in favore della Cassa Ammende, non ricorrendo ipotesi di esonero per assenza di colpa.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2023