Cassazione Penale, Sez. 4, 09 ottobre 2023, n. 40854 - Varco in autostrada e incidente mortale



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. RICCI Anna L. A. - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sui ricorsi proposti da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nata a (Omissis), C.C., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 06/10/2022 della CORTE APPELLO di SALERNO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LUCIA VIGNALE;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. COSTANTINI FRANCESCA, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

 

Fatto


1. Con sentenza del 6 ottobre 2022, la Corte di appello di Salerno, ha confermato la sentenza pronunciata il 16 aprile 2021 dal Tribunale della stessa città con la quale A.A., B.B. e C.C. sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 589 c.p., aggravato da violazione delle norme in materia di circolazione stradale, e condannati, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi sei di reclusione ciascuno, oltre che, in solido, al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, D.D..

2. L'evento letale oggetto del procedimento si verificò intorno alle 14:30 del (Omissis) al km (Omissis) sud dell'autostrada (Omissis), nel territorio del Comune di (Omissis). Secondo la ricostruzione fornita dalle sentenze di merito, E.E., che stava percorrendo l'autostrada ad una velocità superiore rispetto a quella di 90 km/h consentita in quel tratto, giunto in prossimità di una curva sinistrorsa, urtò contro il guardrail posto a destra della corsia di marcia entrando in una piazzola di emergenza. Al termine di quella piazzola il guardrail presentava un varco che dava accesso ad una strada sterrata utilizzata da autocarri di imprese che operavano all'ammodernamento dell'autostrada. L'auto condotta da D.D. penetrò nel varco e, nel farlo, urtò con la parte anteriore sinistra il lato destro di una cuspide in plastica gialla, posta a protezione dell'estremità del guardrail alla sinistra del varco. Il colpo spostò la protezione, che non era ancorata al suolo ed era inidonea a resistere agli urti (aveva quindi funzioni di mera segnalazione), e l'estremità del guardrail sfondò il parabrezza, infilandosi come una lama nella parte sinistra dell'abitacolo e colpendo al volto il conducente, che morì sul colpo.

A.A., B.B. e C.C. sono stati chiamati a rispondere della morte di E.E.: A.A., quale amministratore unico; B.B. e C.C., quali direttori tecnici della "F.F. Costruzioni s.p.a.".

Dalle sentenze di primo e secondo grado emerge che, durante i rilievi successivi al sinistro, numerosi mezzi d'opera riferibili a tale società si avvicinarono al varco per utilizzarlo e imboccare la strada sterrata cui lo stesso dava accesso, ma la Polizia stradale li invitò a proseguire. Emerge, inoltre: che il (Omissis), l'Anas - in persona del RUP, Ing. G.G. - aveva autorizzato la F.F. "ad espletare le attività connesse al reimpiego del materiale di scavo in esubero proveniente dai lavori eseguiti in lotti autostradali contigui al macrolotto 1 SA/RC, con relativo transito dei propri mezzi di trasporto"; che, alla data dei fatti, tale autorizzazione era operativa; che la società aveva disponibilità di un terreno collocato sotto ad un cavalcavia nelle adiacenze dell'autostrada e questo terreno poteva essere raggiunto, oltre che dalla strada normale, anche dalla strada sterrata cui il varco dava accesso.

Secondo i giudici di merito, poichè gli automezzi della F.F. utilizzavano stabilmente un varco non autorizzato, i responsabili della società avevano consapevolmente "preso in carico" quel varco. Pertanto, avevano l'obbligo giuridico di assicurarsi che la barriera guardrail, modificata per aprirlo, fosse conforme ai requisiti di sicurezza e i terminali posti ai lati del varco fossero muniti delle necessarie protezioni. Se l'apertura del varco fosse stata autorizzata, infatti, l'ente proprietario della strada ne avrebbe preteso la messa in sicurezza come previsto dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 21.

Ai dirigenti della F.F. non è stata attribuita l'abusiva apertura del varco. Come emerge con chiarezza dalle sentenze di primo e secondo grado, infatti, l'istruttoria dibattimentale non ha consentito di accertare quando l'apertura fosse avvenuta e ad opera di chi. I giudici di merito hanno ritenuto, tuttavia, che, avendo utilizzato quel varco senza aver chiesto una autorizzazione preventiva, i dirigenti della F.F. abbiano assunto l'obbligo di garantirne la sicurezza e li hanno chiamati a rispondere della morte di E.E. per non aver assolto a tale obbligo e, in specie, per non essersi assicurati che l'estremità del guardrail posta a sinistra del varco fosse idoneamente protetta contro gli urti. L'incidente stradale oggetto del presente giudizio, infatti, ebbe così drammatiche conseguenze proprio a causa della mancanza di tale protezione.

3. A.A., B.B. e C.C. hanno proposto ricorso contro la sentenza impugnata per mezzo del comune difensore. Il ricorso si articola in più motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dal D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 173, comma 1.

3.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza di una posizione di garanzia conseguente all'utilizzo del varco in corrispondenza del quale si verificò il sinistro. Osservano che l'art. 40 c.p., comma 2, consente di ascrivere una responsabilità per omesso impedimento dell'evento solo a chi abbia l'obbligo giuridico di impedirlo e sottolineano che, come i giudici di merito hanno riconosciuto, al momento del sinistro, la ditta F.F. non stava svolgendo lavori nella sede autostradale, ma si occupava del reimpiego di materiale di scavo in esubero proveniente dai lavori eseguiti in lotti autostradali contigui. La difesa rileva che, come emerso in giudizio, gli operai della F.F. non erano gli unici utilizzatori del varco e sostiene che dall'utilizzo non esclusivo di un varco abusivo non può essere tratta una posizione di garanzia. Peraltro - osserva la difesa - anche se si fosse trattato di un uso esclusivo, la situazione di fatto che, secondo i giudici di merito, farebbe sorgere in capo ai ricorrenti una posizione di garanzia non attribuiva ai responsabili della F.F. alcun potere impeditivo, perchè l'obbligo di mettere in sicurezza il guardrail gravava, alternativamente, sull'Anas, che aveva la gestione della autostrada, o sulla "Cooperativa Muratori e Cementisti" (CMC), che aveva ricevuto in appalto i lavori di ammodernamento dell'autostrada stessa. Se è vero, infatti, che la F.F. aveva stipulato contratti di subappalto con la CMC, è pur vero che i relativi lavori erano da tempo conclusi e, alla data del fatto, la società non aveva l'incarico di eseguire lavori sull'autostrada e non vi gestiva alcun cantiere. La difesa sostiene che, in questa situazione, i dirigenti della società F.F., non avevano il dovere di mettere in sicurezza il varco - che era abusivamente utilizzato dai loro dipendenti, ma non erano stati loro ad aprire - e non avevano neppure il potere di farlo, non essendo abilitati a intervenire sulla segnaletica e sulle strutture dell'autostrada. Secondo la difesa, non vale obiettare che, se il varco fosse stato autorizzato, l'ente proprietario avrebbe provveduto a metterlo in sicurezza o avrebbe preteso che ciò avvenisse. L'obbligo di chiedere l'autorizzazione, infatti, gravava su coloro che avevano aperto il varco e l'istruttoria dibattimentale non ha provato che si sia trattato di una iniziativa dei ricorrenti ai quali, peraltro, non è stato contestato di aver aperto quel varco, ma soltanto di averlo utilizzato. La difesa osserva che, usando il varco pericoloso, i H.H. assunsero una posizione di garanzia nei confronti dei propri dipendenti e avrebbero potuto essere chiamati a rispondere se l'incidente avesse coinvolto uno dei mezzi di proprietà della società mentre transitava attraverso il varco. Sottolinea, inoltre, che l'utilizzo della apertura pericolosa non era idoneo a far sorgere in capo all'utilizzatore l'obbligo giuridico di governare il rischio che l'esistenza di quella apertura comportava per gli utenti dell'autostrada. Sostiene che l'obbligo di tutelare la sicurezza della circolazione restava a carico della CMC o dell'ente proprietario, sicchè i responsabili della F.F. non avevano il governo del rischio che si concretizzò col verificarsi dell'evento.

3.2. Col secondo motivo, la difesa sviluppa i medesimi argomenti sotto il profilo della contraddittorietà o illogicità della motivazione. Sostiene in particolare che, pur avendo riconosciuto che la F.F. non stava svolgendo lavori sull'autostrada, la Corte territoriale ha ritenuto idonea a fondare una posizione di garanzia la circostanza che la società fosse stata autorizzata dall'Anas a svolgere lavori in aree limitrofe. Si duole che la responsabilità dei ricorrenti sia stata fondata sulla constatazione che il varco non era autorizzato. Ricorda che, come la sentenza impugnata riconosce, l'istruttoria dibattimentale non ha consentito di accertare chi abbia disposto l'apertura del varco e ha provato solo che i dipendenti della F.F. avevano ricevuto dal datore di lavoro l'indicazione di utilizzarlo.

3.3. Col terzo motivo la difesa lamenta errata applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza dell'aggravante della violazione delle norme in materia di circolazione stradale. Osserva che, secondo i giudici di merito, gli imputati avrebbero violato l'art. 21 C.d.S. che impone a chi esegue lavori sulle aree destinate alla circolazione dei veicoli di adottare gli accorgimenti necessari a garantire la sicurezza della circolazione. Rileva che la Corte territoriale ha attribuito ai ricorrenti l'obbligo giuridico di rispettare questa norma richiamando il D.M. 19 aprile 2000, n. 145, art. 14 che "impone all'appaltatore l'onere del ripristino delle opere e la responsabilità per la mancanza o inadeguata assunzione dei necessari provvedimenti", ma, così argomentando, è incorsa in contraddizione atteso che - come risulta dalla stessa sentenza - alla data del fatto, la società F.F. non aveva in appalto alcun lavoro ricadente nel tratto autostradale teatro del sinistro e a carico dei ricorrenti è stata individuata una posizione di garanzia non collegata ad un contratto di appalto, bensì ad una situazione di fatto in forza della quale, essendo stata autorizzata ad utilizzare l'autostrada per svolgere, "in quella zona", le attività connesse al reimpiego di materiali di scavo, la società si avvaleva del varco esistente nel guardrail per raggiungere più rapidamente il terreno che utilizzava come base logistica.

La difesa ricorda che, se la ritenuta violazione di norme in materia di circolazione stradale dovesse essere esclusa, il reato sarebbe soggetto al termine di prescrizione di anni sette e mesi sei e pertanto si sarebbe estinto ex art. 157 c.p. prima ancora della pronuncia della sentenza di secondo grado.

4. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto dei ricorsi.

La difesa ha replicato con memoria in data 8 settembre 2023.

 

Diritto


1. I primi due motivi di ricorso sono fondati. Non lo è, invece, il terzo.

2. Per ragioni di logica espositiva quest'ultimo motivo deve essere esaminato per primo. Si sostiene, infatti, che l'aggravante della violazione di norme in materia di circolazione stradale sarebbe stata erroneamente applicata e, pertanto, il reato per cui si procede sarebbe già stato estinto per prescrizione quando la sentenza di appello fu pronunciata.

Il motivo è infondato. Dalle sentenze di primo e secondo grado emerge (e il dato non è controverso) che l'incidente nel quale E.E. perse la vita potè avere così gravi conseguenze perchè l'estremità del guardrail posta alla sinistra del varco era priva di ogni protezione e quel varco era stato realizzato tagliando la struttura esistente e creando così una situazione di pericolo per gli utenti della strada. Non si può ragionevolmente dubitare che tale situazione implichi la violazione di disposizioni legislative e regolamentari idonee a riempire di contenuto i compiti di manutenzione attribuiti dall'art. 21 C.d.S. a chi esegue lavori sulle aree destinate alla circolazione. Basta ricordare, ad esempio, il D.M. 18 febbraio 1992, n. 223 recante istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego delle barriere stradali di sicurezza, in base al quale "le barriere stradali di sicurezza sono poste in opera essenzialmente al fine di realizzare le condizioni di maggior sicurezza possibile, per gli utenti della strada e per i terzi e quindi, in primo luogo, il contenimento dei veicoli che dovessero tendere alla fuoriuscita dalla carreggiata stradale" Com'è evidente, infatti, cuspidi senza protezione, quale era quella oggetto del presente procedimento, lungi dallo svolgere una tale funzione si trasformano in pericolose "lame" in grado di trafiggere un'auto che sbanda, e proprio questo è avvenuto nel caso di specie.

3. Tanto premesso, si deve procedere all'esame degli altri motivi di ricorso.

Dalle sentenze di primo e secondo grado - che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale in virtù dei richiami che la sentenza d'appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) - emerge che, con contratto del 22 ottobre 2003, l'Anas appaltò alla "Cooperativa Muratori e Cementisti" di (Omissis) (CMC) lavori di ammodernamento della autostrada (Omissis) nel tratto compreso tra il km 53+800 e il km 82+330. Per l'esecuzione di questi lavori furono previste tre scadenze, l'ultima delle quali era indicata nel 27 novembre 2008 e fu rispettata. Il 1 dicembre 2008 furono assegnati alla CMC ulteriori lavori che prevedevano, tra l'altro, l'adeguamento della (Omissis) (che, secondo la direzione di marcia dell'auto condotta da D.D., si trova subito prima del luogo ove si verificò l'incidente stradale oggetto del procedimento). Il tratto dell'autostrada interessato a questi ulteriori lavori fu chiuso totalmente al traffico il 13 marzo 2009 e fu riaperto il 27 maggio 2009 a seguito di un sopralluogo che accertò il completamento e la regolare esecuzione delle opere date in appalto. A partire da quella data, l'Anas prese in consegna dalla CMC il tratto di autostrada interessato ai lavori e cessarono gli obblighi di manutenzione gravanti sulla CMC. Dalla sentenza di primo grado (pag. 29) risulta che, all'esito del sopralluogo del (Omissis), i funzionari Anas segnalarono alla CMC la presenza nelle barriere di sicurezza di punti non protetti che necessitavano di "opere di implementazione migliorative". In quella occasione fu predisposto un elenco delle protezioni da introdurre o migliorare e in questo elenco non compare il luogo del sinistro. Nel verbale di sopralluogo fu precisato che le lavorazioni elencate erano da considerarsi migliorative e aggiuntive rispetto a quanto contrattualmente previsto e che, "ai fini del rapporto contrattuale", la data di ultimazione del periodo di manutenzione a carico della CMC non era modificato sicchè, al (Omissis), gli obblighi di manutenzione gravanti su questa società dovevano ritenersi cessati. In sintesi, secondo i giudici di merito (pag. 12 della sentenza impugnata, pag. 30 della sentenza di primo grado), la data di ultimazione dei lavori da parte della CMC - indicata nella documentazione contrattuale nel 16 luglio 2009 - costituiva la scadenza per la realizzazione di tutti i lavori aggiuntivi, ma non si riferiva ai lavori eseguiti nella zona teatro del sinistro, che si erano conclusi più di un mese prima con cessazione degli obblighi di manutenzione gravanti sulla CMC. Come i giudici di merito concordemente riferiscono, il varco dava accesso a una zona nella quale la CMC aveva istituito un "quartier generale" e nella quale si trovavano i dormitori degli operai della cooperativa. A questa zona, tuttavia, si accedeva anche dalla strada statale e il (Omissis) l'autostrada era stata riconsegnata all'Anas.

Secondo il Tribunale, il fatto che il varco ove si verificò l'incidente non fosse indicato nell'elenco predisposto all'esito del sopralluogo del (Omissis), fa ritenere che quel varco (la cui apertura, peraltro, non era stata autorizzata salvo che come meglio si dirà più avanti - diversi anni prima e per un breve periodo) fosse stato chiuso e sia stato "maldestramente riaperto" in data successiva al sopralluogo. Tale valutazione è stata condivisa dalla Corte di appello, secondo la quale (pag. 6) "l'istruttoria svolta non ha offerto la prova certa della data di apertura del varco e dell'autore di tale apertura".

Per quanto riguarda la F.F. Costruzioni Spa i giudici di merito riferiscono:

- che la società aveva ricevuto in subappalto dalla CMC lavori di movimento terra e di scavi di galleria che si erano conclusi però il 31 maggio 2009;

- che, alla data dell'incidente, la società F.F. continuava ad operare nella zona perchè, il (Omissis), l'Anas - in persona del RUP, ing. G.G. l'aveva autorizzata "ad espletare le attività connesse al reimpiego del materiale di scavo in esubero proveniente dai lavori eseguiti in lotti autostradali contigui al macrolotto 1 SA/RC, con relativo transito dei propri mezzi di trasporto".

Tale autorizzazione era stata conferita alla F.F. direttamente dall'Anas, e la CMC (che ne era stata informata), con nota del 10 dicembre 2008, ne aveva chiesto la revoca, sostenendo che le attività autorizzate erano di intralcio ai lavori che la CMC stava svolgendo.

Dalle sentenze di merito emerge che la richiesta di revoca fu respinta e, alla data dei fatti, l'autorizzazione era operativa. Emerge, inoltre, che il varco teatro del sinistro (come si è detto non autorizzato) dava accesso a una strada sterrata dalla quale si poteva raggiungere, più rapidamente di quanto sarebbe avvenuto attraverso la strada asfaltata, sia il "quartier generale" della CMC con i dormitori degli operai (che, secondo i giudici di merito, era dismesso a seguito della fine dei lavori) sia un terreno del quale la F.F. aveva disponibilità (posto al di sotto di un viadotto in prossimità della (Omissis)). Secondo i testi I.I. e L.L. (pag. 12 e pag. 14 della sentenza di primo grado; pag. 9 della sentenza impugnata) in quel terreno, alla sera, venivano collocati gli automezzi utilizzati dalla F.F. Costruzioni per lo svolgimento dei lavori. Dalla sentenza di primo grado risulta (pag. 16) che, alcuni testimoni esaminati in giudizio, hanno riferito di aver utilizzato il varco per raggiungere più rapidamente le rispettive destinazioni. In particolare: M.M. ha dichiarato che lo utilizzava per portare "i pasti sui cantieri alla ditta N.N. e anche alla F.F."; O.O., commerciante residente a (Omissis), ha dichiarato di aver usato quel varco per raggiungere più rapidamente la statale n. 19 "risparmiando dieci chilometri". Dall'istruttoria è emerso, dunque, che, quando quel tratto di autostrada era aperto al traffico (ma non è noto se prima o dopo la chiusura totale, che ebbe luogo dal 13 marzo al 27 maggio 2009), il varco esisteva ed era utilizzato anche da persone del tutto estranee ai lavori in corso.

3.1. Si deve ancora riferire che, secondo quanto risulta dalle sentenze di primo e secondo grado, l'apertura di varchi di accesso alla sede stradale doveva essere autorizzata dall'Anas con ordinanza. La richiesta era indirizzata al RUP (all'epoca dei fatti l'Ing. G.G.) che eseguiva una istruttoria tecnica all'esito della quale rilasciava o negava il "nulla osta". L'incarto era poi trasmesso all'ufficio del Capo compartimento dell'Anas, competente ad emettere l'ordinanza autorizzativa. All'epoca dei fatti, le funzioni di Capo compartimento erano svolte dall'Ing. P.P., che è stato imputato nel procedimento e assolto, già in primo grado, sul rilievo che il varco non era autorizzato ed egli non era stato informato dagli addetti alla vigilanza dell'autostrada dell'esistenza della situazione di pericolo. I giudici di merito riferiscono che l'autorizzazione all'apertura di varchi di accesso alla sede autostradale poteva essere negata, concessa senza condizioni, o subordinata all'adempimento di specifiche prescrizioni (ad esempio, come si legge a pag. 19 della sentenza di primo grado, "la fissazione di un limite di velocità, l'obbligo della pulizia dei copertoni dei camion sui varchi e così via").

Dalla sentenza di primo grado risulta (pag. 30) che in data 4 febbraio 2005, su richiesta della CMC, fu rilasciata una autorizzazione a firma del Capo compartimento di allora (Ing. Q.Q.) avente ad oggetto l'apertura di un accesso in autostrada al km 60+750, in carreggiata sud. Il varco ove si verificò l'incidente non si trovava esattamente in quel punto, ma poco distante, al km (Omissis). Secondo il Tribunale, quindi, tale ordinanza potrebbe "documentare il momento in cui il varco in questione fu regolarmente aperto ed effettivamente utilizzato per l'espletamento dei lavori ad opera della CMC". L'apertura, tuttavia, era stata autorizzata dal 7 febbraio al 21 dicembre 2005 e, dunque, in epoca di molto precedente ai fatti di causa. Da qui la convinzione, espressa dai giudici di merito, che il varco fosse stato chiuso e lo fosse ancora al momento del sopralluogo del (Omissis), il cui scopo era proprio quello di valutare lo stato del tratto autostradale oggetto dei lavori ai fini della presa in consegna da parte dell'Anas.

A sostegno di tale conclusione la sentenza di primo grado riferisce (pag. 21 della motivazione) che, in epoca successiva all'incidente nel quale D.D. perse la vita, l'impresa R.R chiese di utilizzare il varco a servizio di un proprio cantiere. Il 25 settembre 2009, in presenza del nulla osta del RUP (in persona dell'Ing. R.R ), il Capo compartimento Ing. P.P., rilasciò l'autorizzazione, ma la revocò quando venne a sapere che si trattava del varco teatro del sinistro, avendo valutato che non fosse opportuno modificare lo stato dei luoghi.

4. I giudici di merito hanno ritenuto che i responsabili della CMC non fossero tenuti alla manutenzione del tratto di autostrada nel quale si verificò l'incidente e non avessero quindi l'obbligo giuridico di predisporre misure idonee a proteggere gli utenti in caso di urto sul terminale del guardrail. A queste conclusioni sono giunti perchè, alla data del fatto, i lavori che la CMC aveva ricevuto in appalto erano terminati e l'Anas aveva preso in consegna il tratto dell'autostrada nel quale si trovava il varco. Secondo i giudici di merito non v'è dubbio che quel varco fosse pericoloso perchè il guardrail presentava un "taglio vivo" e non era adeguatamente protetto e segnalato; tuttavia, non è noto chi lo abbia aperto e non v'è prova che la situazione di pericolo fosse esistente il (Omissis) quando la CMC concluse i lavori riconsegnando l'autostrada all'Anas. Vi sono, anzi, indizi in senso contrario perchè, nel sopralluogo eseguito al momento della presa in consegna, furono rilevate altre situazioni di pericolo cui fu chiesto alla CMC di porre riparo. Muovendo da queste premesse, i giudici di merito hanno ritenuto che l'obbligo giuridico di garantire la non pericolosità del varco gravasse sui dirigenti della "F.F. Costruzioni s.p.a.". Hanno sostenuto, infatti che, impiegando un varco del quale non erano state autorizzate nè l'apertura nè l'utilizzo, gli attuali ricorrenti assunsero, di fatto, l'obbligo di garantirne la sicurezza.

A sostegno di tali conclusioni la sentenza impugnata osserva (pag. 10 della motivazione) "che la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, purchè l'agente assuma la gestone dello specifico rischio mediante un comportamento di consapevole presa in carico del bene protetto".

5. Come questa Corte di legittimità ha più volte affermato, la posizione di garanzia può effettivamente essere generata, oltre che da investitura formale, anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante (Sez. 4, n. 39261 del 18/04/2019, Cairo, Rv. 277193; Sez. 4, n. 37224 del 05/06/2019, Piccioni Ignorato, Rv. 277629; Sez. 4, n. 19558 del 14/01/2021, Mussano, Rv. 281171; Sez. 4, n. 21869 del 25/05/2022, Tomasso, Rv. 283387). Tuttavia, la posizione di garanzia generata dall'esercizio di fatto di determinate funzioni richiede che sia stata assunta in concreto la gestione dei rischi connessi all'attività esercitata e tale posizione di garanzia non si estende oltre la sfera di governo di quei rischi (Sez. 4, n. 48793 del 11/10/2016, Petrillo, Rv. 268216). Ne consegue che, ai fini della affermazione della responsabilità penale, non è sufficiente - come la sentenza impugnata sembra ritenere - che il luogo teatro del sinistro fosse stabilmente utilizzato dai dipendenti della F.F.. Dalla "presa in carico" del varco, infatti, derivava certamente la presa in carico dei rischi connessi al suo utilizzo, ma non necessariamente derivava anche la presa in carico dei rischi connessi all'uso del tratto autostradale antistante. Si deve rilevare allora che la sentenza impugnata non chiarisce alla luce di quali elementi tale presa in carico possa ritenersi avvenuta e neppure se i dirigenti della società e odierni ricorrenti avevano la possibilità di governare il rischio che, in concreto, si verificò; un chiarimento che sarebbe stato doveroso ai fini della affermazione della responsabilità per colpa (Sez. 4, n. 57937 del 09/10/2018, Ferrari, Rv. 274774; Sez. 4, n. 38624 del 19/06/2019, B., Rv. 277190).

La sentenza impugnata riconosce che l'esercizio di fatto delle funzioni tipiche del garante assume rilevanza solo se comporta la presa in carico del bene protetto e determina l'assunzione, mediante comportamento concludente, della gestione dei rischi riguardanti quel bene, ma, affermato il principio, non ne trae le debite conseguenze. Ed invero, il rischio che in concreto si manifestò - e che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto governare per aver assunto di fatto una posizione di garanzia - non riguardò l'incolumità dei dipendenti della società che attraversavano il varco, bensì l'incolumità di un utente dell'autostrada il quale perse il controllo dell'auto mentre transitava nelle adiacenze del varco (che si trovava alla sua destra ed egli non avrebbe dovuto attraversare). Sarebbe stato dunque necessario spiegare: in primo luogo, perchè, pur essendo l'autostrada aperta al transito, l'obbligo di mettere in sicurezza il varco potesse gravare sull'utilizzatore e non anche (o non solo) sull'ente incaricato della gestione; in secondo luogo, perchè l'uso del varco comportava, per i dirigenti della F.F., la necessità di metterlo in sicurezza non tanto (e non solo) per tutelare coloro che lo utilizzavano, ma anche per garantire la sicurezza della circolazione stradale.

La sentenza impugnata non fornisce indicazioni in tal senso. Non chiarisce, infatti, per quale ragione la scelta di far utilizzare ai dipendenti della F.F. il varco in parola comportasse per gli odierni ricorrenti, oltre all'obbligo di gestire il rischio che, per effetto di quella scelta, gravava sui dipendenti della società (un obbligo che si fonda, prima ancora che su una situazione di fatto, sulle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro), anche quello di gestire il rischio gravante sugli utenti dell'autostrada a cagione della presenza del varco.

6. La Corte territoriale riferisce che la F.F. era stata autorizzata dall'Anas a svolgere "le attività connesse al reimpiego di materiale di scavo in esubero" e, a tal fine, poteva transitare sull'autostrada "con i propri mezzi di trasporto", ma non spiega perchè l'autorizzazione ad utilizzare l'autostrada comportasse, per la società e per i suoi dirigenti, l'obbligo (previsto dall'art. 21 C.d.S.) di adottare e mantenere in efficienza "gli accorgimenti necessari per la sicurezza e la fluidità della circolazione". Gli stessi giudici di merito non hanno ritenuto sufficiente a tal fine la constatazione che, con l'autorizzazione al reimpiego dei materiali di scavo e al transito sull'autostrada, erano stati posti a carico della società "i controlli, le verifiche e gli eventuali adempimenti tecnico-amministrativi e normativi" connessi. La sentenza impugnata, infatti, non collega l'obbligo di garantire gli accorgimenti necessari alla sicurezza e fluidità della circolazione a tale previsione, e la collega invece, pur in assenza di un rapporto contrattuale formalizzato, allo "svolgimento concreto dei lavori in quel punto" (pag. 11 della motivazione).

Questa affermazione è contraddetta, però, a pag. 13 della motivazione quando la Corte territoriale afferma che i dirigenti della F.F. erano tenuti a rispettare l'art. 21 C.d.S. non soltanto perchè eseguivano lavori su un'area destinata alla circolazione, ma anche in forza del D.M. 19 aprile 2000, n. 145, art. 14 (all'epoca vigente) che non si riferisce a situazioni "di fatto", ma agli obblighi gravanti su chi riceve in appalto l'esecuzione di lavori pubblici. Questa norma stabilisce, infatti, che "sono a carico dell'appaltatore tutte le misure, comprese le opere provvisionali, e tutti gli adempimenti per evitare il verificarsi di danni alle opere, all'ambiente, alle persone e alle cose nella esecuzione dell'appalto" e incombe sull'appaltatore medesimo "l'onere per il ripristino di opere o il risarcimento di danni ai luoghi, a cose o a terzi determinati da mancata, tardiva o inadeguata assunzione dei necessari provvedimenti".

A ciò deve aggiungersi che la sentenza impugnata non chiarisce se i lavori che la F.F. stava eseguendo avessero ad oggetto la sede autostradale (ciò che consentirebbe di applicare direttamente l'art. 21 C.d.S. in base al quale "chiunque esegue lavori o deposita materiali sulle aree destinate alla circolazione o alla sosta di veicoli e di pedoni deve adottare gli accorgimenti necessari per la sicurezza e la fluidità della circolazione e mantenerli in perfetta efficienza"). Ed invero, le emergenze istruttorie come riportate dalle sentenze di merito, sembrano indicare che, all'epoca dei fatti, la F.F. Costruzioni si occupava del reimpiego di terre da scavo depositate in terreni vicini alla sede autostradale e, a quanto consta, i mezzi operativi della società erano stati autorizzati soltanto a percorrere l'autostrada.

7. La motivazione presenta ulteriori profili di contraddittorietà nella parte in cui sostiene (pag. 10) che, "se il varco fosse stato autorizzato, l'ente proprietario della strada avrebbe preteso che fosse messo in sicurezza con barriere idonee, obblighi di segnalazione e adeguate misure di protezione". Così argomentando, infatti, si è omesso di considerare - ma la stessa sentenza impugnata lo afferma a pag. 12 - che, col sopralluogo del (Omissis) e la riapertura al traffico veicolare, l'Anas aveva preso in consegna il tratto dell'autostrada nel quale si trovava il varco, assumendo così gli obblighi di vigilanza e manutenzione previsti dall'art. 14 C.d.S.. Ed invero, poichè è certo che il varco non autorizzato non fu aperto il giorno dei fatti, sarebbe stato necessario verificare se della sua apertura e della sua operatività era possibile rendersi conto e se i dirigenti dell'ente, preposti alla vigilanza di quel tratto di autostrada, avessero affidato di fatto alla società F.F., che utilizzava stabilmente il varco, il compito di garantirne la sicurezza.

Come questa Corte di legittimità ha già avuto modo di sottolineare, "in tema di responsabilità per colpa, sussiste in capo all'Ente proprietario di una strada destinata ad uso pubblico una posizione di garanzia da cui deriva l'obbligo di vigilare affinchè quell'uso si svolga senza pericolo per gli utenti" e tale obbligo "permane anche in caso di concessione di appalto per l'esecuzione di lavori di manutenzione stradale" (Sez. 4 n. 17010 del 29/03/2016, Corrao, Rv. 266548). La proprietà di una strada, e la destinazione di essa al pubblico uso, infatti, comportano il dovere per l'ente proprietario di far sì che quell'uso si svolga senza pericolo per gli utenti (in tal senso anche Sez. 4, n. 11453 del 20/12/2012, dep. 2013, Zambito Marsala, Rv. 255423) ed è insito in questo dovere l'obbligo di sorvegliare e vigilare su eventuali situazioni di pericolo (Sez. 4, n. 37589 del 05/06/2007, Petroselli, Rv. 237772).

Va ricordato in proposito che, quando nel governo di una situazione di pericolo si inseriscono più soggetti, ai fini dell'affermazione della responsabilità per colpa è sempre necessario esaminare la natura e l'estensione dei poteri che ciascuno di loro ha acquisito e questo esame non è stato compiuto nel caso di specie, atteso che, dopo aver escluso che il varco fosse stato aperto dagli odierni ricorrenti, la Corte territoriale ne ha sostenuto la responsabilità penale in ragione del concreto svolgimento "di lavori in quel punto" e lo ha fatto apoditticamente, senza neppure specificare a quali lavori intendesse far riferimento e se il "punto" in cui questi lavori erano svolti fosse il varco, oppure il terreno al quale il varco consentiva di accedere più rapidamente.

8. Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Napoli cui deve essere demandata la regolamentazione tra le parti delle spese relative al presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.
 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2023