Cassazione Penale, Sez. 4, 09 novembre 2023, n. 45136 - Infortunio mortale dell'autista durante la pulizia del filtro carburante. Responsabilità del datore di lavoro se le mansioni di manutentore, non formalmente attribuite, sono esercitate costantemente


 

 

 

Deve quindi escludersi che il datore di lavoro possa invocare la propria assenza di responsabilità per carenza del nesso causale quando - come nel caso di specie - l'incidente si sia verificato nell'ambito di mansioni, non formalmente attribuite, ma esercitate costantemente e di fatto dal lavoratore con la consapevolezza e la tolleranza del datore medesimo e per le quali quest'ultimo non aveva ricevuto alcuna formazione professionale specifica; essendo, in tal caso, evidentemente carente - in coerenza con i predetti principi - il dato dell'esorbitanza della condotta del lavoratore rispetto alla sfera di rischio governata dal datore.



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A. nato a PALERMO il 26/09/1991;

avverso la sentenza del 23/05/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI;

Il Proc. Gen. si riporta alla memoria in atti concludendo per il rigetto del ricorso.

P presente l'avvocato FERRARO GIUSTINO del foro di PALERMO in difesa di A.A.. Il difensore si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento.

 

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 13/05/2021 dal GUP presso il Tribunale di Palermo nei confronti di A.A., imputato del reato previsto dall'art. 589 c.p., commi 1 e 2, (capo 1), nonchè delle fattispecie previste dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 29 e art. 17, lett. a), art. 71, art. 18, comma 1, lett. b), art. 18 comma 3-bis, (capi 2-5) rideterminando la pena in mesi otto di reclusione e mesi due e giorni venti di arresto, con assoluzione in ordine ai capi 4) e 5), condannandolo altresì al pagamento di una provvisionale determinata in Euro 8.000,00 in favore di ciascuna delle parti civili costituite.

Era contestato all'imputato di avere, quale titolare della ditta "F.Mirto Srl ", con colpa specifica consistente nelle violazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro sopra indicate, cagionato la morte del lavoratore B.B., impegnato nella pulizia e sostituzione del filtro carburante del mezzo Porter Piaggio tg. FR 347 CK, utilizzato per la raccolta dei rifiuti e dotato di cassone-vasca ribaltabile.

La Corte territoriale ha pregiudizialmente ritenuto condivisibile la ricostruzione dell'evento operata dal giudice di primo grado; in base alla quale, il giorno dell'incidente, il B.B. - venuto a conoscenza di anomalie a carico del sistema carburante del predetto mezzo - si era prodigato per la soluzione del problema procedendo alla pulizia e alla sostituzione del filtro del carburante stesso, allocato nella parte del telaio sita sotto la vasca ribaltabile; era quindi stato dato atto che il B.B. aveva necessariamente acceso la leva di sollevamento della vasca per poi lavorare a motore spento, il tutto in assenza di cavalletti di portata o di aste di sicurezza; che, pertanto, l'incidente si era verificato - in assenza di plausibili ricostruzioni alternative - in quanto il lavoratore aveva inavvertitamente toccato la leva di salita e discesa del cassone, determinandone la chiusura immediata; il Tribunale ha quindi rilevato numerosi elementi di incompletezza nel documento di valutazione dei rischi nonchè la violazione di norme specifiche in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro in connessione causale diretta con l'infortunio, non essendo stati messi a disposizione del lavoratore l'attrezzatura idonea e strumenti di sicurezza quali cavalletti di portata o aste, da utilizzare nel corso delle opere di manutenzione del veicolo; rilevando altresì come il lavoratore fosse stato assunto come autista e avesse, di fatto, svolto le mansioni di meccanico, senza essere stato sottoposto alla necessaria formazione professionale.

Il Giudice d'appello ha accolto il motivo di gravame inerente alla condanna per i reati contestati ai capi 4) e 5) dell'imputazione, in quanto i relativi fatti non sono previsti dalla legge come reato; ha ritenuto infondate le deduzioni con le quali l'appellante aveva inteso sostenere che il lavoratore fosse deceduto svolgendo mansioni esorbitanti rispetto a quelle affidate e dando quindi luogo a un comportamento del tutto imprevedibile e inevitabile da parte del datore; ha ritenuto che, sulla base del materiale di indagine vagliato dal giudice di primo grado, fosse invece emerso che la persona offesa svolgesse ordinariamente le mansioni di meccanico e che il mezzo sul quale era stata svolta l'operazione non era dotato dei necessari dispositivi di sicurezza, ovvero dell'asta di bloccaggio del cassone.

La Corte ha altresì parzialmente accolto il motivo di appello inerente alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo sussistenti elementi idonei a giustificarne l'applicazione, ritenendole equivalenti alla contestata aggravante; ha altresì ritenuto parzialmente fondato il motivo di appello riguardante la misura della pena, applicando l'arresto in ordine ai reati satellite contestati ai capi 2) e 3) dell'imputazione.

2. Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione A.A., tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione.

Con il primo motivo ha dedotto la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008,art. 589 c.p., commi 1 e 2, e art. 29 e 27; ha dedotto che le due sentenze di merito si sarebbero sottratte al confronto con gli elementi probatori apportati dalla difesa e, in particolare, con le sommarie informazioni testimoniali acquisite in sede di indagini difensive; dalle quali, in particolare, sarebbe emerso che - il giorno dell'incidente - il B.B., era stato destinato ad attività esterna rispetto alla sede all'azienda; deducendo, quindi, che il lavoratore si sarebbe sottratto alle direttive imposte dal datore.

Con il secondo motivo ha dedotto la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all'art. 544 c.p.p., all'art. 111, comma 6, Cost. e all'art. 546, lett. e) e art. 125 c.p.p.; ha dedotto che i giudici di merito non avrebbero tenuto adeguato conto del dato rappresentato dall'eccentricità del comportamento del lavoratore, atteso che lo stesso era stato assunto e formato con le mansioni di autista e non di meccanico, fatte salve le sole opere di riparazione rientranti nella manutenzione ordinaria.

Con il terzo motivo ha dedotto la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione agli artt. 62-bis, 69 e 133, comma 2, c.p., contestando la logicità della valutazione della Corte territoriale in punto di giudizio di sola equivalenza e non di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Diritto


1. Il ricorso è infondato.

2. Va premesso che, vertendosi - in punto di valutazione di responsabilità dell'imputato - in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).

3. I primi due motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati, in quanto entrambi afferenti alla valutazione operata dai giudici di merito in punto di effettiva inerenza della lavorazione effettuata dalla vittima in occasione dell'evento lesivo rispetto alle mansioni affidategli e - pertanto - strumentali a sottolineare l'asserito dato dell'esorbitanza o dell'abnormità della lavorazione medesima.

I motivi sono infondati.

3.1 Va rilevato che, nell'esposizione del primo motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto che i giudici di mento non avrebbero dato conto - con conseguente vizio di omessa motivazione - del contenuto delle dichiarazioni acquisite in sede di indagini difensive da parte di C.C., D.D. e E.E..

A tale proposito va quindi premesso che, sulla base di giurisprudenza di questa Corte, il giudice al quale siano presentati gli elementi di prova raccolti dal difensore ai sensi dell'art. 391-bis c.p.p., equiparabili a quelli del pubblico ministero, non può limitarsi ad acquisirli, ma ha l'obbligo di valutarli unitamente a tutte le altre risultanze del procedimento e, ove li disattenda, di esplicitarne le ragioni con adeguato apparato argomentativo circa le ragioni della ritenuta minore valenza rispetto alle altre risultanze processuali (Sez. 2, n. 28662 del 27/05/2008, Manola, Rv. 240654; Sez. 5, n. 23068 del 18/05/2020, De Rosa, Rv. 279412, Sez.3, n. 45542 del 26/10/2022, De Vita, n. m.).

3.2 Ciò posto, deve ritenersi che non sussista il dedotto vizio di carenza di motivazione derivante dall'omesso raffronto con le risultanze complessive delle indagini difensive.

Difatti la Corte territoriale ha espressamente dato atto (specificamente alla pag.4 della sentenza) - sia pure con succinta motivazione - della inidoneità del complesso delle sommarie informazioni testimoniali acquisite dalla difesa a smentire la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; avendo ritenuto chè l'interpretazione del quadro probatorio dalla stessa fornita si presentasse complessivamente disancorata dai fatti e comunque non tale da smentire le univoche conclusioni formulabili sulla base delle dichiarazioni rese, nell'immediatezza dell'evento, dai colleghi della vittima oltre che dei contenuti della relazione redatta dagli ispettori del lavoro.

4. Parte ricorrente ha altresì censurato la sentenza impugnata sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui la stessa ha ravvisato la sussistenza del nesso di causalità tra le violazioni della normativa antinfortunistica indicate nel capo di imputazione e l'evento letale; ritenendo che, sulla base degli esiti delle indagini espletate e specificamente delle risultanze delle sommarie informazioni raccolte dalla difesa, sarebbe risultato che tale evento sarebbe stato conseguenza di un comportamento del lavoratore eccentrico rispetto alle mansioni affidate, in modo da dare luogo a una condotta connotata dall'attributo dell'abnormità.

La censura è infondata.

4.1 Va quindi rilevato - sotto tale aspetto - che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia qualificabile come abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidateglira. In particolare, ancora più specificamente, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perchè la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Circolai, Rv. 284237, cit.).

In sostanza, sulla base dell'esame sinottico dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che sia interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore nel solo caso in cui la stessa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso.

Rilevando altresì che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez.4, n. 16888 del 07/02/2012, Pugliese, Rv.252373, nonchè, in senso coerente, anche Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242), ciò in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n. 4114 del 13/01/2011, n. 4114" Galante, n. m.; Sez. F, n. 32357 del 12/08/2010, Mazzei, Rv. 247996).

4.2 Deve quindi rilevarsi come le argomentazioni espresse dalla Corte territoriale, in adesione a quelle formulate nella motivazione della sentenza di primo grado, si siano adeguatamente confrontate con i predetti principi, con motivazione immune dal denunciato vizio di contraddittorietà.

In particolare, la Corte - richiamando quanto desumibile dagli atti - ha rilevato che, sulla base delle dichiarazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari (e, in particolare, dai colleghi della vittima e , escussi tanto dal Pubblico ministero quanto in sede di indagini difensive), la persona offesa, pure impiegata con la qualifica di autista, non si limitava - come ritenuto nella prospettazione difensiva - a eseguire piccole e occasionali opere di manutenzione dei mezzi ma eseguiva costantemente e in autonomia mansioni di meccanico, nella piena consapevolezza del datore di lavoro oltre che da tempo assai risalente (per un periodo qualificato come ultraventennale da parte del Omissis); circostanza in ordine alla quale la sentenza impugnata ha rilevato come la stessa fosse stata dedotta nello stesso atto di appello, in cui era stato argomentato che il B.B. "per pregresse conoscenze di meccanica (...) veniva considerato come punto di riferimento (per la) manutenzione dei mezzi" (come peraltro testualmente riferito dai due suddetti soggetti escussi).

Al fine di rafforzare gli elementi di fatto suddetti, la Corte territoriale ha altresì sottolineato - con motivazione pure intrinsecamente congruente - il dato logico ricavabile dalla circostanza che, in occasione delle operazioni di manutenzione che avrebbero poi portato all'incidente mortale, il lavoratore non si fosse limitato a segnalare il guasto del mezzo ma, proprio in virtù delle sue competenze, avesse provveduto direttamente alla riparazione.

4.3 Tali univoci elementi di fatto hanno quindi indotto la Corte territoriale con motivazione non contraddittoria e non manifestamente illogica - a ritenere che l'incidente mortale si sia verificato in occasione dello svolgimento, da parte della vittima, di mansioni alle quali il lavoratore era stato già costantemente adibito all'interno dell'organizzazione datoriale; rimanendo quindi, sul punto, del tutto inidonei a intaccare il percorso argomentativo delle sentenze di merito i richiami agli esiti delle sommarie informazioni acquisite in sede di indagini difensive nella parte in cui i soggetti escussi hanno riferito che, durante la giornata in cui si è verificato il sinistro, il lavoratore avrebbe dovuto eseguire un incarico all'esterno della sede della ditta.

Deve quindi escludersi che il datore di lavoro possa invocare la propria assenza di responsabilità per carenza del nesso causale quando - come nel caso di specie - l'incidente si sia verificato nell'ambito di mansioni, non formalmente attribuite, ma esercitate costantemente e di fatto dal lavoratore con la consapevolezza e la tolleranza del datore medesimo e per le quali quest'ultimo non aveva ricevuto alcuna formazione professionale specifica; essendo, in tal caso, evidentemente carente - in coerenza con i predetti principi - il dato dell'esorbitanza della condotta del lavoratore rispetto alla sfera di rischio governata dal datore.

5. Il motivo con il quale è stata censurata la motivazione della Corte territoriale in punto di giudizio di bilanciamento tra la contestata aggravante e le circostanze attenuanti generiche è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

A tale proposito va ricordato che, in tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell'equivalenza allorchè il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale previsto dall'art. 69 c.p., l'abbia ritenuta la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena in concreto irrogata (Sez. 6, n. 6866 del 25/11/2009, dep. 2010, Alesci, Rv. 246134; Sez. 5, n. 5579 del 26/09/2013, dep. 2014, Sulo, Rv. 258874).

Nel caso di specie, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, la Corte territoriale - nel fondare l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche sulla base del comportamento tenuto dall'imputato dopo il fatto e durante il processo - ha giustificato la valutazione di equivalenza sulla scorta della gravità del fatto, anche in relazione alla molteplicità delle disposizioni cautelari violate nel caso di specie.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2023