Cassazione Civile, Sez. Lav., 07 maggio 2024, n. 12405 - Collaboratore scolastico infortunato durante un lavoro nell'azienda agricola annessa all'Istituto superiore di istruzione



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Presidente

Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere

Dott. BELLE' Roberto - Consigliere

Dott. CASCIARO Salvatore - Consigliere Rel.

Dott. BUCONI Maria Lavinia - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso 4223-2018 proposto da:

MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, I.S.I.S. - ISTITUTO SUPERIORE DI ISTRUZIONE SECONDARIA "ANGELO VEGNI" DI C , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12

- ricorrenti -

contro

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AURELIANA 2, presso lo studio dell'avvocato ANTONIO UMBERTO PETRAGLIA, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE VINCENZO VIOLA, ALESSIO MONACCHINI

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 593-2017 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 20-07-2017 R.G.N. 225-2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04-04-2024 dal Consigliere Dott. SALVATORE CASCIARO.

 

Fatto


1. la Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 20 luglio 2017, pronunciando sugli appelli riuniti, in parziale accoglimento di quello principale proposto da A.A., elevava la liquidazione del danno per l'infortunio occorso in data 8.8.2008, come riconosciuto dal giudice di primo grado, ad Euro 695.900,84 (di cui Euro 694.788,22 a titolo di danno differenziale ed Euro 1.112,62 a titolo di danno patrimoniale differenziale) e rigettava l'appello incidentale dell'Istituto Superiore di Istruzione Statale Angelo Vegni (in seguito ISIS) e del Ministero dell'Istruzione;

2. secondo l'accertamento dei giudici di merito di secondo grado:

i) il A.A., collaboratore scolastico, era rimasto infortunato svolgendo un lavoro nell'azienda agricola annessa all'Istituto superiore di istruzione A. Vegni, ove erano in corso lavori di espianti di viti, successivamente caricate su un cassone di rimorchio di un trattore dal quale il lavoratore, perdendo l'equilibrio, era caduto dall'altezza di due metri, restando gravemente infortunato;

ii) il giudice civile poteva procedere all'accertamento della valenza penale del fatto, e nella specie il datore di lavoro aveva colpevolmente contribuito alla determinazione del sinistro, permettendo che il lavoro fosse realizzato con inidonee manovre di fortuna e accettando il rischio, prevedibile, che il lavoratore salisse sul carro e sulle fascine ivi accatastate, instabili, perdendo l'equilibrio;

iii) escludeva il concorso di colpa del lavoratore, avendo costui operato nella totale assenza di misure di sicurezza o di divieti imposti da parte datoriale, senza che il collega addetto al controllo dell'operazione avvertisse l'inadeguatezza della manovra e della posizione assunta dal A.A., donde l'evidente responsabilità del preposto, del dirigente scolastico che aveva consentito i lavori in assenza di cautele e, infine, del MIUR a sensi dell'art. 28 Cost.;

iv) il danno biologico, avente natura non patrimoniale, doveva essere liquidato sulla base della c.t.u. medico-legale in misura del 90% di invalidità permanente, per l'importo di Euro 1.011.536,25 comprensivo della "personalizzazione" con maggiorazione del 25%, dal quale andava scomputata la componente biologica "pura" della rendita INAIL e aggiunto il ristoro del danno da invalidità temporanea e quello patrimoniale da spese mediche, con un residuo spettante (dunque) di Euro 695.900,84;

3. per la cassazione di tale sentenza l'ISIS e il Ministero hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difese il A.A. con controricorso assistito da memoria.
 

Diritto


1. con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e-o falsa applicazione dell'art. 10 D.P.R. n. 1124-1965 e dell'art. 13 D.Lgs. n. 38-2000 in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Assume parte ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe accertato incidenter tantum la valenza penale del fatto illecito integrato dall'infortunio sul lavoro subito dal A.A.

2. Il motivo è infondato.

2.1 In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965 deve essere interpretata nel senso che l'accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso dell'azione di regresso proposta dall'Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all'elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso (Cass. 19-6-2020, n. 12041).

A tale principio si è, in sostanza, attenuta la Corte territoriale.

Dalla lettura della sentenza impugnata si desume, infatti, che l'accertamento compiuto in primo grado, sull'imputabilità dell'infortunio "tanto in termini civili quanto penali a responsabilità del datore di lavoro" (p. 2 sentenza impugnata), è stato confermato dal giudice d'appello il quale, da un lato, ha respinto l'impugnazione incidentale delle Amministrazioni, e, dall'altro, ha accolto quella principale del lavoratore elevando il quantum debeatur del risarcimento del danno.

La pronuncia impugnata contiene, quindi, anche in altri passaggi argomentativi, un accertamento in ordine all'assenza di "disposizioni, cautele, misure di sicurezza o divieti datoriali" (pag. 5-6 sentenza), in guisa da appalesare "la responsabilità colposa" del preposto al controllo, del dirigente scolastico e del MIUR che può essere, con valutazione di questa Corte che non impinge nell'accertamento fattuale ma si concreta piuttosto nell'esercizio dei poteri integrativi ex art. 384 cod. proc. civ., riferita al delitto di lesioni colpose di cui all'art. 590 cod. pen.

D'altronde, la mera violazione colposa delle regole di cui all'art. 2087 cod. civ., norma di cautela avente carattere generale, è idonea a integrare la responsabilità penale (Corte cost. n. 74 del 1981; Cass. n. 24202 del 2020; Cass. n. 1579 del 2000). Questo perché in tema di risarcimento dei danni da infortuni sul lavoro e malattie professionali, l'accertamento di un danno all'integrità fisica del lavoratore, addebitabile all'insufficiente predisposizione di strumenti di sicurezza in violazione di un obbligo di legge (e, quindi, l'attribuibilità al datore di lavoro di tale condotta omissiva), costituisce implicita valutazione della ricorrenza dei presupposti astrattamente contemplati per la fattispecie penale del reato di lesioni quantomeno colpose (Cass. Sez. lav. 24-8-2022 n. 25288).

3. Con il secondo motivo si lamenta violazione e-o falsa applicazione dell'art. 1227 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; si censura la sentenza di appello per il mancato riconoscimento del concorso di colpa del lavoratore.

3.1 Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha già affermato che in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è responsabile anche dei danni ascrivibili a negligenza o imprudenza dei lavoratori o alla violazione, da parte degli stessi, di norme antinfortunistiche o di direttive, stante il dovere di proteggerne l'incolumità anche in tali evenienze prevedibili, potendo ravvisarsi un concorso colposo della vittima nel solo caso in cui la stessa abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere (Cass., Sez. L, 16-2-2023, n. 4980; conf. Cass., Sez. L, 25-11-2019, n. 30679).

E' stato, in particolare, precisato da Cass. n. 30679-2019 che " la condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso; in particolare, tanto avviene quando l'infortunio si sia realizzato per l'osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano colpevolmente al lavoratore di affrontare il rischio, quando l'infortunio scaturisca dall'integrale impostazione della lavorazione su disposizioni illegali e gravemente contrarie ad ogni regola di prudenza o, infine, quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l'imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell'evento dannoso."

Nel caso di specie, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, il giudice d'appello ha escluso, peraltro, ogni abnormità nella condotta del lavoratore che provvide a "sistemare manualmente le viti che gli venivano passate sul cassone del rimorchio", il tutto al cospetto dei colleghi presenti, e in particolare del B.B. preposto al controllo dell'operazione, "senza che alcuno avvertisse l'inadeguatezza della manovra e della posizione assunta dal lavoratore", come "confermano le dichiarazioni rese dal collega C.C. e dal prof. B.B. in sede di indagini" (p. 6 sentenza).

4. Con il terzo mezzo si denuncia violazione e-o falsa applicazione dell'art. 1223, 1224, 1225 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; si censura la sentenza di appello circa il modo in cui è stato calcolato il danno differenziale, scindendo le varie componenti delle erogazioni effettuate dall'Assicuratore sociale e scomputando solo alcune di esse dal totale del danno subito dal lavoratore, anziché l'intera cifra erogata;

nella specie, tra i vantaggi di cui la Corte distrettuale avrebbe dovuto tener conto rientrava non solo il credito risarcitorio per danno biologico ex art. 13 D.Lgs. n. 38-2000, ma anche il credito risarcitorio per danno patrimoniale da incapacità lavorativa, per il quale la vittima di lesioni, in ragione dei postumi superiori al 16%, aveva percepito una rendita maggiorata che avrebbe dovuto essere detratta dal quantum debeatur;

4.1 il motivo è infondato;

nella specie, il giudice d'appello ha calcolato, con una personalizzazione del 25%, il danno non patrimoniale totale, monetizzandolo in misura pari a Euro 1.115.936,25 comprensivo del danno (pari a Euro 104.400,00) da invalidità temporanea; indi, ha detratto, secondo il principio delle "poste omogenee", l'importo spettante per la quota di "danno biologico" di cui alla rendita INAIL, pari a complessivi Euro 421.148,03.

Il danno civilistico differenziale era, dunque, pari a Euro 694.788,22, cui si aggiungeva quello patrimoniale emergente, per spese mediche (estranee alla copertura INAIL), pari a Euro 1.112,62, in guisa da pervenire all'importo finale liquidato di Euro 695.900,84.

4.2 Orbene, nell'eseguire tali operazioni, la Corte territoriale correttamente ha distinto, nell'ambito della rendita costituita dall'INAIL, la quota volta a indennizzare il pregiudizio di natura patrimoniale, escludendo che questa potesse essere impropriamente defalcata dal risarcimento del danno non patrimoniale (vedi, per tutte: Cass. 18 ottobre 2019, n. 26647); e, nel far ciò, si è uniformata all'indirizzo di questa Corte, secondo cui in tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale; pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest'ultimo alla quota INAIL rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall'importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall'importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita Inail destinata a ristorare il danno biologico permanente (cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 9112 del 02-04-2019).

5. Con il quarto, ed ultimo, motivo si deduce violazione e-o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 cod. civ., dell'art. 116 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.

Lamenta parte ricorrente che il giudice d'appello non si sarebbe accorto che il c.t.u. medico-legale di primo grado aveva già determinato la c.d. "personalizzazione del danno" attraverso la quantificazione dei postumi al 90% (a fronte della valutazione dell'INAIL all'85%). Adduce che l'aumento per il danno morale e l'ulteriore "personalizzazione" compiuta dalla corte territoriale del 25 % attribuita a titolo di danno morale comporterebbero una duplicazione di poste in violazione dell'art. 2059 cod. civ.

5.1 Il motivo è inammissibile.

La censura, sotto l'apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, mira in realtà a censurare la lettura degli atti processuali operata dai giudici di secondo grado, e segnatamente quella dell'espletata c.t.u. medico-legale, ed a sollecitarne una nuova, non consentita in sede di legittimità.

6. Conclusivamente, il ricorso dev'essere rigettato, con addebito delle spese di legittimità alla parte soccombente.

7. Non occorre dare atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui all'art. 13 c. 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938-2014; Cass. n. 1778-2016; Cass. n. 28250-2017).

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di legittimità sostenute ex adverso, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2024