Cassazione Civile, Sez. 3, 07 maggio 2024, n. 12456 - Minore colpito alla testa da un'asta di ferro caduta durante i lavori di smontaggio del ponteggio del cantiere edile



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco - Presidente

Dott. GIANNITI Pasquale - Consigliere-Rel.

Dott. VALLE Cristiano - Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto - Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA
 


sul ricorso iscritto al n. 27559/2020 R.G. proposto da: A.A., rappresentato e difeso dall'avvocato APRILE GIUSEPPE, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;

-ricorrente-

contro

B.B., rappresentato e difeso dall'avvocato GAMBUZZA GIUSEPPE, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;

-controricorrente e ricorrente in via incidentale-

nonché contro

AG COSTRUZIONI Snc DI C.C.E D.D.; E.E.;

-intimati-

avverso la SENTENZA di CORTE D'APPELLO di CATANIA n. 1369/2020 depositata il 24/07/2020;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere PASQUALE GIANNITI.

 

Fatto


1. Secondo quanto è dato ricavare da tutti gli atti legittimamente esaminabili da questa Corte, in data 9 dicembre 2008 B.B., all'epoca di minore età, mentre camminava sul marciapiede della via dell'Arno in Pozzallo, veniva colpito alla testa da una asta di ferro che era rimbalzata a terra durante i lavori di smontaggio del ponteggio del cantiere edile esistente al civico n. 36.

2. Nel 2010 F.F., in proprio e quale genitore esercente la responsabilità sul figlio minore B.B., conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Modica la A.G. Costruzioni Snc, quale società appaltante (di seguito, per brevità, AG),A.A., quale responsabile della sicurezza, e E.E., quale committente per sentire condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni (patrimoniali e non) subiti per effetto del suddetto incidente occorso al figlio.

Si costituivano: dapprima, il E.E. ed il A.A. e, poi, tardivamente, la società AG, che contestavano in fatto e in diritto la domanda attorea, della quale chiedevano il rigetto.

Istruita la causa mediante audizione di testimoni e c.t.u. medico legale, oltre che mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, il Tribunale di Ragusa (che, nelle more, aveva accorpato quello di Modica), con sentenza n. 32/2019, in parziale accoglimento della domanda attorea, condannava la sola società AG al pagamento della somma di euro 31.500 a favore di parte attorea, mentre respingeva la domanda attorea nei confronti degli altri due convenuti.

Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il B.B., divenuto nelle more maggiorenne, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.; degli artt. 2043, 2049 e 2051 c.c., degli artt. 2697 e 2727 c.c., nonché degli artt. 90 e seguenti del D.Lgs. n. 81/2008.

Si costituivano il E.E. e il A.A., chiedendo il rigetto dell'impugnazione.

Si costituiva anche la società AG, che proponeva appello incidentale, con il quale: in via preliminare, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, per essere essa società cancellata dal registro delle imprese già da prima del giudizio di primo grado; e, in via subordinata, contestava l'utilizzo nel giudizio di merito di prove atipiche raccolte nel procedimento penale e, in ogni caso, sosteneva che l'incidente occorso al minore era da attribuire al caso fortuito.

La Corte d'appello di Catania con sentenza n. 1369/2020: ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale proposto dalla società AG; ha accolto la domanda attorea contro il A.A., mentre ha confermato il rigetto della stessa nei confronti del E.E..

3. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il A.A..

Ha resistito con controricorso, con cui ha dispiegato ricorso incidentale, il B.B..

Per l'odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive ragioni.

Il Collegio si è riservato di depositare la motivazione della decisione entro il termine di sessanta giorni.

 

Diritto

 

1. Alla disamina dei motivi di ricorso si premette quanto segue.

1.1. In punto di fatto, ad esito del giudizio di merito sono risultate accertate in fatto le seguenti modalità del sinistro (sentenza impugnata, pp. 6-7): "a seguito dello smontaggio del ponteggio, installato in via dell'Arno a Pozzallo, mentre si stava portando giù una barra del ponteggio con una carrucola, si trovava a passare l'allora minore B.B., il quale, nel transitare sotto il ponteggio, andava a sbattere con l'asta in ferro movimentata con la carrucola, che una volta toccata terra rimbalzava colpendo la testa del minore".

È risultato altresì accertato che: a) "la carrucola era priva di fermo di sicurezza, idoneo ad evitare l'impatto violento"; b) la "mantovana" parasassi trasversale ... "era stata gìà smontata al momento dell'incidente"; c) in quel momento l'area di lavoro era esterna all'impalcatura proprio perché si dovevano smontare i vari pezzi a mezzo di una carrucola; d) detta area di lavoro, "diversa da quella occupata dal ponteggio, non risultava delimitata in modo assoluto con ostacoli fisici, ma permetteva l'accesso ai pedoni, che, inconsapevoli del pericolo, attraversavano proprio sotto l'impalcatura".

1.2. In punto di diritto, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, la responsabilità per danni ai terzi procurati nel corso dell'esecuzione di lavori edili conferiti in appalto è disciplinata da tre fondamentali regole:

a) l'appaltatore è responsabile in via esclusiva dei danni verso il terzo ogni qual volta questi abbia svolto in piena autonomia la sua attività;

b) rispondono in concorso sia l'appaltatore che il committente nel caso in cui sia dimostrato che il committente si è ingerito con specifiche direttive che hanno limitato, anche se non escluso, l'autonomia dell'appaltatore;

c) risponde soltanto il committente: sia nel caso in cui questi abbia deciso di avvalersi di impresa palesemente inadeguata a svolgere l'attività affidata; sia nel caso in cui si sia ingerito nell'attività dell'appaltatore con direttive così specifiche da escludere l'autonomia dell'appaltatore (rendendolo un nudus minister).

Nel solco di tale consolidato orientamento, questa Corte ha di recente svolto alcune precisazioni (cfr. Cass. n. 23442/2018) al fine di tenere distinto il caso in cui i danni siano stati causati a terzi dall'attività svolta dall'appaltatore dal caso in cui i danni siano stati causati a terzi direttamente dalla cosa, oggetto dell'appalto, sempre in costanza di esecuzione di quest'ultimo (e, quindi, a differenza dell'ipotesi in cui i danni siano cagionati dalla cosa come risultante in esito all'appalto: su cui v. Cass. 4288/2024).

Precisamente, nel caso in cui i danni siano stati causati a terzi dall'attività dell'appaltatore, viene in rilievo la regola di responsabilità per colpa, posta dall'art. 2043 c.c., e dei danni causati a terzi risponde di regola esclusivamente l'appaltatore (in quanto la sua autonomia impedisce di applicare l'art. 2049 c.c. al committente), fatta salva l'ipotesi in cui il danneggiato provi una concreta ingerenza del committente nell'attività dell'appaltatore e/o la violazione di specifici obblighi di vigilanza e controllo, gravanti sul committente (ipotesi nella quale è configurabile la responsabilità del committente, concorrente o esclusiva rispetto a quella dell'appaltatore).

Al contrario, nel caso in cui i danni siano stati causati a terzi dalla cosa oggetto di appalto, viene in rilievo la regola di responsabilità posta dall'art. 2051 c.c. e dei danni cagionati ai terzi risponde di regola anche il committente ai sensi dell'art. 2051 c.c. (in quanto l'appalto e l'autonomia dell'appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della cosa da parte del committente), fatta salva l'ipotesi in cui il committente dimostri che il danno si è verificato per causa esclusiva del fatto dell'appaltatore, quale fatto del terzo che egli non poteva prevedere e/o impedire (ipotesi questa nella quale il committente è esonerato da responsabilità e, in caso di condanna, ha comunque il diritto di agire eventualmente in manleva contro l'appaltatore).

Pertanto, qualora i terzi subiscano danni da una cosa di proprietà in possesso (o nella custodia) di un determinato soggetto, interessata da un contratto di appalto di lavori, il danneggiato, al fine di conseguire il risarcimento dal proprietario o dal possessore della cosa, deve provare soltanto il nesso causale tra il danno e la cosa custodita dal proprietario o possessore, committente i lavori; mentre quest'ultimo, per esonerarsi dalla propria responsabilità di custodia della cosa ai sensi dell'art. 2051 c.c., deve provare di aver scelto un appaltatore adeguato, di avergli fornito direttive adeguate al fine di consentirgli di svolgere i lavori edili appaltati in piena autonomia e di aver esercitato suoi poteri di controllo e vigilanza sullo stesso con la necessaria diligenza, di modo che il danno possa ritenersi causato da una condotta dell'appaltatore non prevedibile e/o evitabile, riconducibile pertanto in un'ipotesi di caso fortuito costituito dalla condotta di quest'ultimo.

2. Tutto ciò premesso, va osservato che A.A., investito dal committente E.E. di incarichi in tema di sicurezza dei lavori appaltati alla AG, articola nel ricorso principale due motivi.

2.1. Con il primo il ricorrente denuncia "Errata applicazione di norme di diritto" nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto applicabile, senza citarlo, l'art. 92 del D.Lgs. n. 81/2008, senza tener conto del fatto che lui non aveva esercitato l'incarico di Coordinatore della Sicurezza e che l'art. 90 terzo comma del suddetto D.Lgs. richiede la nomina di tale figura professionale soltanto quando nel cantiere operino più imprese o lavoratori autonomi, mentre avrebbe dovuto applicare l'art. 34 del D.Lgs., in quanto la società AG si era assunta l'obbligo di esercitare i compiti di prevenzione e protezione dai rischi attraverso il socio D.D. e lui era stato nominato prudenzialmente Coordinatore della Sicurezza per l'eventualità che la società AG avesse affidato parte dei lavori in subappalto ad altre imprese oppure a lavoratori autonomi (evenienza poi in concreto non verificatasi).

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "Omessa motivazione" nella parte in cui la corte territoriale non ha considerato la circostanza di fatto - provata documentalmente, non contestata in giudizio e ribadita in sede di comparsa di costituzione nel giudizio di appello - che responsabile della sicurezza del cantiere era stato D.D., mentre lui aveva rivestito esclusivamente il ruolo professionale di tecnico estensore dei documenti di sicurezza del lavoro. Sottolinea che lui non ha alcuna responsabilità per le lesioni riportate dal B.B.: sia perché il ruolo di responsabile della sicurezza era stato svolto dal D.D.; sia perché comunque esso A.A. aveva previsto, nel piano di sicurezza, che il cantiere fosse delimitato da una recinzione idonea ad impedire l'accesso agli estranei e che la carrucola fosse dotata di freno.

2.3. Il ricorso principale è inammissibile sotto un triplice profilo.

A) In primo luogo, l'esposizione del fatto, contenuta nel ricorso, si palesa gravemente insufficiente.

Al riguardo occorre ricordare che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 366, primo comma n. 3, cod. proc. civ., essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. un. n. 11653 del 2006).

La prescrizione di detto requisito risponde ad una esigenza (non di mero formalismo, ma) di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. Un. n. 2602 del 2003).

Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall'articolo 366 comma primo n. 3 cod. proc. civ., è necessario che il ricorso per cassazione contenga l'indicazione, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma sommario, delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Nella specie, il ricorso, poiché nell'esposizione del fatto non rispetta tali contenuti (e nemmeno la lettura della parte successiva, illustrativa delle doglianze, rimedia all'insufficienza), va per ciò stesso dichiarato inammissibile.

B) Inoltre, come questa Corte ha ripetutamente rilevato (cfr., tra le tante, Cass n. 359/2005, e, successivamente, anche SU n. 7074/2017), "Il motivo d'impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ."

Tanto si verifica nel caso di specie, nel quale il ricorrente: non indica i capi della sentenza, di cui chiede la cassazione; non indica le norme di cui lamenta la violazione; e censura la sentenza sotto il profilo motivazionale senza neppure indicare quale fatto decisivo, inteso quale fatto fenomenico, sarebbe stato non considerato dalla Corte.

C) Infine, sempre in relazione al requisito di cui all'art. 366 n. 4 c.p.c., il ricorrente in nessuno dei due motivi, nei quali articola il suo ricorso, si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata e cioè con il fatto che la corte territoriale, dopo aver ripercorse le modalità del sinistro, ha ritenuto che il A.A., pur con riferimento all'unica impresa presente in cantiere, aveva svolto funzioni di controllo di sicurezza, che andavano al di là di quelle del mero coordinatore, in quanto, da un lato, per sua stessa ammissione, aveva contribuito a stilare il Piano Operatori di Sicurezza (c.d. P.O.S.) ed il Piano di Montaggio, Uso e Smontaggio (c.d. PI.M.U.S.), e, dall'altro, vi erano in atti verbali di controllo stilati nel corso dei lavori che erano stati da lui sottoscritti. Ciò non di meno, egli, afferma la corte di merito, "non ha provveduto a controllare l'attività molto delicata relativa allo smontaggio del ponteggio, a verificare, cioè, l'adozione delle misure di sicurezza che egli stesso aveva provveduto a stilare".

Orbene, il ricorrente, nell'illustrazione di entrambi i motivi, continua ad insistere nel fatto che i lavori erano stati eseguiti esclusivamente dalla AG Costruzioni (per cui nello stesso cantiere non avevano operato più ditte o lavoratori autonomi) e che il ruolo di responsabile della sicurezza era stato assunto da D.D., ma inammissibilmente dimentica di confrontarsi con la suddetta ratio decidendi, incensurabile in fatto e corretta in diritto, che non contesta.

3. Il danneggiato B.B. in sede di ricorso incidentale articola tre motivi.

3.1. Con il primo motivo, relativo alla legittimazione passiva della società A.G. Costruzioni Snc, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., gli art. 2193, 2308 - 2312 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché la violazione dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. sotto il profilo dell'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti nella parte in cui la corte territoriale ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale proposto dalla A.G. Costruzione Snc per l'inesistenza giuridica della società, così argomentando (p.3):

"Nell'ambito delle questioni da esaminare preliminare appare la trattazione dell'appello incidentale proposto dalla società AG Costruzioni, che appunto sostiene di essersi cancellata dal registro delle imprese già da prima dell'inizio del giudizio di primo grado. Dall'esame della documentazione prodotta anche dalla parte appellante principale risulta che in effetti la cancellazione della società per cessazione attività (cfr. pag. 4 da cui risulta "Cancellazione per cessazione attività", la data della domanda del 16 giugno 2010, la data della delibera del 26 gennaio 2011 e la data di cessazione attività del 16 giugno 2010). Indi è certo che la società al momento della proposizione dell'appello incidentale era già cancellata dal registro delle imprese".

Sostiene il ricorrente che la corte territoriale, tanto affermando, è incorsa nell'errore denunciato, in quanto ha ritenuto che l'annotazione presso la Camera di Commercio della cessazione dell'attività di impresa artigiana da parte di una società comporti automaticamente la sua cancellazione dal Registro delle Imprese e la conseguente estinzione giuridica della società stessa con perdita della capacità di stare in giudizio.

Sottolinea che nessun atto od altro evento implicante lo scioglimento della società risulta iscritto al Registro delle imprese;

infatti, dalla visura camerale e dalla documentazione prodotta risulta che: a) la società A.G. Costruzioni Snc, in data 16.6.2010, ha presentato richiesta di cancellazione all'albo imprese artigiane per cessazione attività e, in data 26.1.2011, è stata deliberata la cancellazione dalle imprese artigiane; b) la società A.G. Costruzioni continua ad essere iscritta al Registro delle Imprese, ad avere la propria Partita IVA, ad avere il proprio legale rappresentante; c) la società risulta solamente inattiva dal 16.6.2010.

Il motivo è inammissibile.

Vero è che, ai sensi degli artt. 2308 - 2312 c.c., lo scioglimento della Snc può avvenire o mediante la nomina del liquidatore (art. 2309 c.c.), o mediante atto notarile senza nomina del liquidatore; sia l'una che l'altra procedura devono essere iscritte al Registro delle Imprese per essere opponibili ai terzi; e che l'art. 2193 c.c., a proposito della efficacia della iscrizione nel Registro delle Imprese, prevede: "I fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l'iscrizione ."

Come pure è vero che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare, Cass. n. 7642/2023, che richiama le sentenze nn. 6070 e 6071 del 2013 delle Sezioni Unite), la permanenza dell'iscrizione nel registro delle imprese della società di persone, di cui sia attestata la sola inattività, non comporta né il difetto di legittimazione attiva o passiva rispetto alla titolarità delle sue situazioni né la carenza della sua legittimazione a stare in giudizio, essendo irrilevante che essa sia stata cancellata dall'albo delle imprese artigiane (la cui iscrizione rappresenta, essenzialmente, la condizione per la concessione delle varie agevolazioni previste a favore di tali tipi di imprese, ma non ha alcun riflesso, di per sé sola, sulla persistenza della società).

In altri termini, ove la società di persone non sia (più o ancora) sostanzialmente operativa, ma risulti comunque regolarmente iscritta, anche se emerga l'annotazione di essere "inattiva" dalla relativa visura, rimane giuridicamente esistente e conserva, perciò, la piena capacità e legittimazione a compiere tutti gli atti che la riguardano, permanendo gli ordinari effetti pubblicitari correlati alla sua iscrizione (cfr., ancora, Cass. n. 7642/2023, che richiama da ultimo, Cass. n. 17957/2021). Infatti, la situazione - che ricorre allorquando una società, ancorché esistente (perché non cancellata dal registro delle imprese), sia inattiva (cioè, non operativa sotto il profilo gestionale) - non può determinare gli effetti estintivi e successori riconducibili alla cancellazione dal registro delle imprese (più esattamente, con la iscrizione della cessazione della società nel registro delle imprese).

In definitiva, è solo la cancellazione della società dal registro delle imprese - soltanto dalla quale (e non anche da quella dall'albo delle imprese artigiane) consegue l'estinzione stessa - che priva la medesima della legittimazione ad agire o resistere in giudizio: e ciò anche se non tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo siano stati definiti.

Ha quindi errato la corte territoriale là dove ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale della A.G. Costruzioni Snc sull'erroneo presupposto che "la società al momento di proposizione di questo appello incidentale era già cancellata dal registro delle imprese".

La pure evidente correttezza della tesi su cui si articola il motivo in esame non ne esclude, però, l'inammissibilità. Ed infatti:

- non si indicano, nel ricorso incidentale, il tempo e le modalità di sottoposizione di tale argomentazione - per l'ipotesi in cui possa qualificarsi non rilevabile di ufficio - alla corte territoriale;

- non può dirsi tecnicamente soccombente (e, pertanto, legittimato ad impugnarla con ricorso per cassazione) l'appellato sulla declaratoria di inammissibilità dell'appello incidentale;

- la conseguenza dell'accoglimento del motivo sarebbe la necessità di esaminare nel merito l'appello incidentale malamente dichiarato inammissibile: domanda che, però, non è stata formulata dall'unica parte titolata a farlo, vale a dire la medesima appellante incidentale;

- l'erroneità della valutazione di estinzione della società, già condannata in primo grado, non è in grado di passare in giudicato, siccome finalizzata esclusivamente alla risoluzione di una questione processuale; con la conseguenza che la condanna nei suoi confronti pronunciata con la sentenza di primo grado è ormai immodificabile (neppure ad essa sostituendosi, appunto perché di mero rito, la sentenza di secondo grado) e, quindi, non ha interesse il beneficiario di quella a dolersi - tanto meno in questa sede - delle ragioni per le quali questa ha conseguito la sua definitività, ben potendo agire anche esecutivamente nei confronti della società stessa.

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., gli artt. 90 e seguenti del D.Lgs. 81/2008, gli artt. 1662 e seguenti c.c., gli artt. 2043, 2049 e 2051 c.c. e l'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha dichiarato esente da responsabilità il committente E.E..

Sostiene che detto capo della sentenza è errato sotto due profili:

- perché la responsabilità del E.E. avrebbe dovuto essere affermata per omessa vigilanza secondo quanto previsto dalla normativa antinfortunistica di cui agli artt. 90 ss. D.Lgs. 81 del 2008;

- perché, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, la responsabilità per culpa in eligendo e per culpa in vigilando del E.E. non era stata da lui prospettata soltanto con la comparsa conclusionale d'appello.

A) La prima censura non è fondata.

Richiamati i principi di diritto sopra precisati (in relazione ai quali, cfr., tra le più recenti, Cass. n. 9178/2023, che richiama Cass. pen. n. 44131/2015 e n. 5946/2019 in tema di principi applicabili alla materia della responsabilità civile da infortuni sul lavoro), occorre qui ribadire che, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 494 del 1996 - indubbiamente applicabile ratione temporis nel caso di specie - il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente.

Tuttavia, dal committente non può esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, sicché, ai fini della configurabilità della sua responsabilità, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché all'agevole e immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo.

Tali principi sono stati correttamente applicati dalla corte di merito nel caso di specie, nel quale, in base ad apprezzamenti di fatto, in quanto tali non suscettibili - siccome scevri da evidenti vizi logici o giuridici - di riconsiderazione in questa sede, è stato accertato che:

a) al committente non era attribuita la responsabilità di aver affidato i lavori ad una società appaltatrice non idonea;

b) il committente non è risultato essersi ingerito nell'esecuzione dei lavori;

c) il committente ha nominato un Coordinatore della sicurezza, che "collaborava con la società appaltatrice alla redazione di tutte le concrete prescrizioni da adottare, idonee a scongiurare ogni pericolo e, più specificatamente, se adottate, idonee ad evitare l'incidente in quesitone (la recinzione dell'area in modo da impedire il passaggio dei pedoni, la installazione o, comunque, il mantenimento della mantovana, avrebbero di certo impedito il sinistro in questione)".

Ne consegue che la censura è infondata.

B) Inammissibile è la seconda censura.

Invero la corte territoriale ha dato atto che il B.B. in sede di comparsa conclusionale nel giudizio di appello aveva dedotto che il committente era responsabile di aver affidato i lavori ad una società appaltatrice non idonea, ma ha anche aggiunto che ciò era avvenuto "tardivamente", in sede di comparsa conclusionale nel giudizio di appello.

Detta ratio decidendi non ha formato oggetto di alcuna specifica censura da parte del ricorrente incidentale.

Donde l'inammissibilità della seconda censura di tale secondo motivo e quindi, nel suo complesso, l'infondatezza di questo.

3.3. Con il terzo motivo il ricorrente incidentale denuncia, in relazione all'art. 360 primo comma n. 3. C.p.c. "violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c." nella parte in cui la corte territoriale lo ha condannato alla rifusione delle spese processuali nei confronti del E.E., nonché nella parte in cui ha posto le spese di lite a carico del solo A.A., nonché in solido tra tutti i resistenti.

L'infondatezza del motivo consegue al mancato accoglimento del secondo motivo di ricorso e, quindi, alla soccombenza del condannato sulla domanda nei confronti di quel particolare convenuto, riconosciuto e confermato esente da responsabilità.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e di infondatezza del ricorso incidentale consegue la compensazione delle spese processuali tra le parti, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).

Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l'omissione, in caso di diffusione, delle generalità e degli altri dati identificativi del danneggiato, ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. 196 del 2003.
 


P.Q.M.
 

La Corte:

- dichiara inammissibile il ricorso principale;

- rigetta il ricorso incidentale;

- dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità;

- dispone che, ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi del ricorrente incidentale.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2024, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.

Depositato in cancelleria il 7 maggio 2024.