Tribunale di Milano, Sez. Lav., 03 agosto 2011 - Accertamento illegittimità apposizione termine a contratto di lavoro. Valutazione dei rischi alla luce del D.Lgs. 81/08


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE LAVORO

Il Giudice di Milano
Dr. Tullio Perillo quale giudice del lavoro ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

nella causa promossa da
CO.AN., con l'Avv.to GA.SE., elettivamente domiciliato in CORSO (...) 20135 MILANO;
RICORRENTE
contro
POSTE ITALIANE, con l'Avv.to CI.FO., elettivamente domiciliata in VIA (...) 20123 MILANO;
RESISTENTE


OGGETTO: accertamento illegittimità apposizione termine a contratto di lavoro.

 

FattoDiritto

 

Con ricorso al Tribunale di Milano, quale Giudice del Lavoro, depositato in data 15.3.2011, CO.AN. ha convenuto in giudizio POSTE ITALIANE S.p.A. per l'accertamento della nullità del termine apposto al contratto del 28.10.2009 e l'accertamento che tra le parti è in essere un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato da tale data, con la conseguente condanna della convenuta a ripristinare il rapporto di lavoro e a risarcirle il relativo danno; con vittoria di spese.

Si è ritualmente costituita in giudizio POSTE ITALIANE S.p.A. contestando in fatto e in diritto l'avversario ricorso; con vittoria di spese.

Il ricorso, per i motivi di seguito esposti, non è fondato.

CO.AN. veniva assunta da POSTE ITALIANE S.p.A. con un contratto a tempo determinato del 28.10.2009, con decorrenza dal 2.11.2009 e scadenza al 30.01.2010, ai sensi dell'art. 2 comma 1 bis D.Lgs. 368/2001, con inquadramento al livello E, Sistema di classificazione Professionale per il personale della società per lo svolgimento di attività di recapito con figura professionale di addetto CRP junior, con sede di lavoro presso il centro di recapito di Rho (doc. 1 ric.).
Parte ricorrente ha quindi contestato sotto plurimi profili la legittimità del termine apposto a tale contratto.

In diritto rileva il giudicante che l'art. 2 comma 1 bis del D.Lgs. 368/01 - introdotto dal comma 588 dell'art. 1 della legge finanziaria per il 2006 - ha esteso la disciplina prevista al 1° comma relativa ai servizi aeroportuali anche ad una fattispecie ulteriore consentendo l'apposizione del termine "quando l'assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale, riferito al 1° gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente comma".

Ritiene parte ricorrente che l'articolo in commento necessiterebbe in ogni caso dell'obbligo di specificazione delle ragioni del termine secondo quanto dispone l'art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001.

Il rilievo non può essere accolto, ritenendosi al contrario che la normativa debba considerarsi ulteriore rispetto a quella di cui al D.Lgs. citato, con l'ulteriore garanzia dell'introduzione di determinati e specifici limiti nell'utilizzo della fattispecie.

In tal senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale che, nella nota sentenza n. 214/2009 (da intendersi in questa sede integralmente richiamata ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c.), ha affermato il seguente principio di diritto: Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1 - bis, del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, aggiunto dall'art. 1, comma 558, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, censurato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 101, 102 e 104 Cost., nella parte in cui consente di apporre un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato se l'assunzione è effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, entro limiti quantitativi e temporali stabiliti. Non appare manifestamente irragionevole la valutazione preventiva fatta dal legislatore in merito alle esigenze delle suddette imprese di disporre di una quota di organico flessibile, senza dover indicare, volta per volta, le ragioni giustificatrici delle assunzioni a termine, posto che la garanzia di flessibilità è direttamente funzionale all'onere gravante su di esse di assicurare lo svolgimento dei servizi postali e l'esercizio della rete postale pubblica, che sono attività di preminente interesse generale secondo il D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261 che ha dato attuazione alla direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari. Non c'è lesione neppure degli arti. 101, 102 e 104 Cost., visto che il giudice può esercitare il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per tale, specifica ipotesi di contratto di lavoro.

In particolare la Consulta ha evidenziato, nel citato provvedimento, che la disciplina di cui all'art. 2, comma 1 bis cit., rappresenta una fattispecie compiuta, caratterizzata da una valutazione preventiva e astratta del legislatore che, nell'obiettivo di garantire determinati servizi (nel caso di specie il servizio di concessionario postale) ed in particolare la continuità degli stessi, ha previsto la possibilità di ricorrere a strumenti flessibili di assunzione, fermo il rispetto dei requisiti temporali e quantitativi individuati per legge.

Deve quindi escludersi, così come al contrario sostenuto da parte ricorrente, che la fattispecie in esame necessiti di ulteriori indicazioni di ragioni oggettive poste alla base dell'assunzione a termine di un lavoratore secondo quanto disposto dall'art. 1 D.Lgs. cit.

Giova inoltre evidenziare che l'art. 2, comma 1 bis cit. è stato oggetto anche del vaglio della Corte di giustizia dell'Unione Europea, che così sul punto ha statuito: La clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/7O/CE, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev'essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, quale quella prevista dall'art. 2, comma 1 bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, recante attuazione della direttiva 1999/7O/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES, la quale, a differenza del regime giuridico applicabile prima dell'entrata in vigore di questo decreto, consente a un'impresa, quale la Poste Italiane S.p.A., di concludere, rispettando determinate condizioni, un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato con un lavoratore, quale il sig. Vino, senza dover indicare le ragioni obiettive che giustifichino il ricorso a un contratto concluso per una siffatta durata, dal momento che questa normativa non è collegata all'attuazione di detto accordo quadro. A questo proposito è irrilevante il fatto che lo scopo perseguito da tale normativa non sia degno di una protezione almeno equivalente alla tutela dei lavoratori a tempo determinato, cui mira detto accordo quadro (così in dispositivo CGCE, ordinanza C-20/10, Vi.).

In tale ultimo provvedimento la Corte di Giustizia, peraltro, ha confermato il proprio consolidato orientamento secondo cui l'articolo 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato è volto a prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti rapporti di lavoro e non trova invece applicazione rispetto un unico contratto di lavoro (cfr. CGCE sentenza grande sezione 22 novembre 2005 causa 144/04 Ma.).

Analogamente è stato statuito nella sentenza Ad. (Corte di Giustizia grande sezione 4 luglio 2006 causa 212/04): "91... l'accordo quadro non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come esso nemmeno stabilisce le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi. 92. Tuttavia esso impone agli Stati membri di adottare almeno una delle misure elencate nella clausola 5, n. 1, lett. da a) a c) dell'accordo quadro, che sono dirette a prevenire efficacemente l'utilizzazione abusiva di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi".

E' inoltre da escludersi che l'art. 2 comma 1 bis rappresenti un arretramento di tutela per i lavoratori delle imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste rispetto alla normativa di cui al D.Lgs. n. 368/2001.

Premesso infatti che una reformatio in peius della protezione offerta ai lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato non è in quanto tale vietata dall'accordo quadro quando non è in alcun modo collegata con l'applicazione di questo (così CGCE, sent., Ma. cit.), va inoltre evidenziato che la clausola 8, n. 3, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che occorre valutare la "refomatio in peius" contemplata da tale clausola in rapporto al livello generale di tutela che era applicabile, nello Stato membro interessato, sia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a quelli con un primo ed unico contratto a tempo determinato (così CGCE, Terza sezione, sentenza 23 aprile 2009 procedimenti riuniti da C-378/07 a C-380/07, An., punto 121), avendo peraltro specifico riguardo all'insieme delle disposizioni di diritto interno.

Nel caso dell'ordinamento italiano può senza dubbio ritenersi rispettato il principio della clausola di non regresso di cui all'art. 8, 2° capoverso, dell'Accordo quadro ("l'applicazione del presente accordo non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo stesso"), considerato per le ragioni sopraddette che l'art. 2 comma 1 bis trova applicazione in occasione di un unico contratto a termine.
Ciò detto, con specifico riferimento ai requisiti ed alle condizioni previste dall'art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001, la società resistente documentato il rispetto del tetto del 15% di cui alla norma citata.

Parte ricorrente ha contestato tali dati, evidenziando che al contrario risulterebbe superato il limite percentuale, alla luce dei dati di bilancio della resistente in cui emergerebbero dati difformi rispetto a quelli di cui al citato prospetto.

Sotto tale profilo il giudicante rileva innanzitutto che erroneamente parte ricorrente ha prodotto il bilancio 2009, laddove, essendo il contratto oggetto di giudizio del 29/10/2009, evidentemente il bilancio di riferimento non poteva che essere quello del 2010.

In ogni caso non può non evidenziarsi come in tale bilancio il dato relativo all'organico stabile è calcolato secondo il metodo full time equivalenti in forza del quale il numero indicato nel bilancio è ricavato non da un computo per teste (e quindi con la pura e semplice sommatoria del numero di dipendenti a tempo indeterminato) ma sulla base dell'orario di lavoro a tempo pieno, dal che deriva che, nel caso di rapporti di lavoro a tempo parziale, si avrà un singolo dipendente a tempo pieno in forza della sommatoria di più contratti a tempo parziale che diano, insieme considerati, un orario a tempo pieno.

Come correttamente evidenziato in altre pronunzie della Tribunale di Milano, quindi, l'erroneità dell'argomentazione di parte ricorrente deriva dal fatto che il rispetto della clausola di contingentamento necessita il confronto di dati omogenei, per cui, quanto a quelli di cui al bilancio, la valutazione full time equivalente dovrebbe essere applicata anche nel caso dei contratti a tempo determinato.

Il prospetto di parte resistente versato in atti, quindi, risulta fondato su dati omogenei e pienamente rispettosi della norma.

A tale proposito il giudicante intende modificare un proprio precedente (sentenza 338/2011 del 24.1.2011, causa Si./Poste) in cui si è affermato che l'indicazione, nei prospetti prodotti dalla resistente, dei dipendenti a tempo indeterminato della società alla data dell'1 gennaio e del numero di contratti a tempo determinato stipulati alla data del 31 dicembre 2009 risulterebbe irrilevante al fine del decidere; in particolare in tale sentenza si evidenziava, da un lato, che il calcolo percentuale dovrebbe essere riferito al mese di stipula del contratto a termine del lavoratore, dall'altro che il dato in esame dovrebbe essere riferito non tanto ai contratti a termine stipulati quanto a quelli in essere nel periodo di riferimento.

Rileva difatti il giudicante che il rispetto della percentuale non può che essere calcolato sulla base del numero dei dipendenti a tempo indeterminato alla data dell'1 gennaio dell'anno cui le assunzioni si riferiscono (così come letteralmente prevede la norma) e considerando effettivamente il numero di contratti a tempo determinato stipulati al 31 dicembre di quel medesimo anno, giacché solo in tal modo, per le ragioni anzidette, è possibile un confronto tra dati numerici omogenei; né risulta necessario il dato dei contratti a tempo determinato in essere piuttosto che di quelli stipulati, in quanto la norma, nel riferirsi alle assunzioni di lavoratori a tempo determinato evidentemente richiedeva il calcolo del dato percentuale proprio avendo riferimento ai contratti posti in essere nel corso dell'intero anno rilevante ai fini del decidere.

Pertanto, rivedendo tale precedente orientamento, deve ritenersi assolutamente corretto nonché fondato su dati omogenei il prospetto versato in atti dalla resistente.
Quest'ultima inoltre ha dato conto di avere inviato le comunicazioni alle organizzazioni sindacali; sotto tale profilo l'eccezione di parte ricorrente svolta all'udienza del 18.7.2011 circa il fatto che le comunicazioni sarebbero state indirizzate ai destinatari non corretti risulta, a tacer d'altro, irrilevante ai fini del decidere in quanto, anche a voler postulare la correttezza dell'assunto, tale incombente non è certamente previsto ai fini della legittimità del termine ma ai soli fini di fornire alle organizzazioni sindacali stesse, per una maggiore trasparenza, i dati di riferimento.

Parte resistente ha inoltre prodotto la valutazione dei rischi.

A tale ultimo proposito parte ricorrente, sempre all'udienza del 18/7/2011, ne ha contestato la validità in quanto risulterebbe priva degli aggiornamenti previsti dal D.Lgs. 81/2008.

Al di là dell'estrema genericità della censura (non è dato nemmeno comprendere a quali specifici aggiornamenti intende riferirsi la parte), si rileva che l'art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008, preveda espressamente che debba essere rielaborata (...) in occasioni di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione delle tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità; nel caso di specie non vi sono elementi per ritenere, quindi, che la norma risulti violata.

Per tutte le considerazioni che precedono il termine apposto al contratto oggetto del giudizio deve ritenersi legittimo.

Il ricorso deve quindi essere respinto; le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.


Respinge il ricorso; condanna parte ricorrente a rimborsare a parte resistente le spese di lite che liquida in complessivi Euro 1.000,00 oltre accessori;

riserva il termine di giorni 15 per il deposito delle motivazioni della sentenza.