Cassazione Penale, Sez. 4, 29 settembre 2011, n. 35410 - Montacarichi e subappalto non consentito


 

 

Responsabilità di un datore di lavoro committente (C.) per omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno del lavoratore S.P..
In particolare, al C. era contestato di aver, in cooperazione colposa con Ci.Lu. (giudicato separatamente), cagionato il decesso del lavoratore che, impegnato in lavori di ristrutturazione dell'abitazione della suocera dell'imputato, perdeva l'equilibrio e precipitava da un'altezza di 15 mt. nel manovrare un montacarichi elettrico utilizzato per il trasporto dei controtelai in ferro per infissi esterni fino al 5 piano, essendosi sporto da una finestra il cui davanzale era stato all'uopo parzialmente abbattuto.

Nello specifico, era stata contestata al C. la violazione della L. n. 1369 del I960, art. 1, art. 7, comma 3 e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 4 quater, per aver dato in uso a Ci.Lu. il montacarichi suddetto, assumendo la qualità di imprenditore, per aver operato un subappalto dei lavori non consentito, per non aver sottoposto a verifica l'istallazione dell'attrezzatura di lavoro ed il buon funzionamento della stessa, per non aver provveduto a promuovere la cooperazione ed il coordinamento, al fine dell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi incidenti sull'uso del detto montacarichi.

 

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile.

 

La Corte afferma innanzitutto che l'appalto di mere prestazioni di lavoro, con impiego di capitali, macchine ed attrezzature forniti dal committente, già punibile ai sensi dell'art. 1, comma 3, dell'abrogata L. 23 ottobre 1960, n. 1369, è rimasto punibile anche ai sensi del vigente D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 18 in quanto qualificabile come somministrazione di lavoro esercitata da soggetto non abilitato o fuori dei casi consentiti.

Deve ritenersi corretta, conclude la Corte, la qualificazione dell'imputato come imprenditore (alle cui dipendenze prestava la propria opera l'operaio deceduto), e pertanto, direttamente implicato nella vicenda con assunzione degli oneri antinfortunistici conseguentemente incombenti, alla luce delle considerazioni svolte in sentenza e della fornitura del montacarichi in questione, indispensabile per l'esecuzione dei lavori.


 

 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

sul ricorso proposto da: 1) C.F. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 10190/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 29/10/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/07/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;
udito il P.G. in persona del Dott. FRATICELLI Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore aw. TUCCILLO Enrico del Foro di Napoli, che chiede l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


Con sentenza in data 29.10.2010 la Corte di Appello di Napoli confermava quella del Giudice monocratico del Tribunale di Napoli - Sezione distaccata di Frattamaggiore in data 4.12.2008 che aveva condannato C.F. alla pena di mesi sette di reclusione, con attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata e doppi benefici di legge, oltre al risarcimento del danno e provvisionale in favore delle parti civili, avendolo riconosciuto colpevole del delitto di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno del lavoratore S.P..
In particolare, al C. era contestato di aver, in cooperazione colposa commissiva ed omissiva con Ci.Lu. (giudicato separatamente), con colpa generiche e specifica (della violazione della normativa per la sicurezza dei lavoratori) cagionato il decesso del lavoratore S.P. che, impegnato in lavori di ristrutturazione dell'abitazione di Z.G., suocera del C, perdeva l'equilibrio e precipitava da un'altezza di 15 mt. nel manovrare un montacarichi elettrico utilizzato per il trasporto dei controtelai in ferro per infissi esterni fino al 5 piano, essendosi sporto da una finestra il cui davanzale era stato all'uopo parzialmente abbattuto.


Nello specifico, era stata contestata al C. la violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, art. 7, comma 3 e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 4 quater, per aver dato in uso a Ci.Lu. il montacarichi suddetto, assumendo la qualità di imprenditore, per aver operato un subappalto dei lavori non consentito, per non aver sottoposto a verifica l'istallazione dell'attrezzatura di lavoro ed il buon funzionamento della stessa, rispettivamente nell'immediato e periodicamente, come incombentegli, per non aver provveduto a promuovere la cooperazione ed il coordinamento, al fine dell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi incidenti sull'uso del detto montacarichi (fatto del 16.10.2003).
La Corte distrettuale, pur rilevato il comportamento imprudente del lavoratore come da imputazione, ne sottolineava la mera efficacia concorrente nella produzione dell'evento letale, ritenendo che le circostanze del tipo di quelle in cui si verificò l'infortunio non potessero escludersi almeno in termini di remota possibilità, e ciò in considerazione delle ridotte dimensioni dell'apertura attraverso la quale doveva passare il montacarichi e del consistente peso di quanto dallo stesso sollevato.
La disponibilità e l'uso di un aggancio del lavoratore ad un punto fisso del locale in cui operava ne avrebbe assicurato la stabilità al cospetto di qualsiasi evenienza di perdita di equilibrio, di carattere oggettivo o anche solo soggettivo.
Inoltre, confermava l'individuazione del C. come imprenditore alle cui dipendenze prestava la sua attività l'operaio deceduto.
Evidenziava, a tal riguardo, come la Z. fosse mera committente delle opere ed .... avesse scelto i materiali sotto il profilo estetico, ma che la stessa aveva dovuto ammettere che più volte il C, nel quale l'accusa aveva conglobato la figura del committente e dell'imprenditore, ebbe a verificare l'andamento dei lavori. Ribadiva, infine, la sussistenza di un subappalto per mera prestazione di mano d'opera (fornita, come in altri casi precedenti, dal Ci. con i suoi nipoti, fratelli S.) esulante dalle deroghe previste dall'innovazione legislativa intervenuta nella materia e richiamava, ai fini integrativi, la motivazione della sentenza impugnata.


Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di C.F., deducendo, in sintesi, i seguenti motivi.
1. La violazione della legge penale con riferimento alla L. n. 1369 del 1960, art. 1. La Corte territoriale, per confermare la sentenza di primo grado, aveva ritenuto di non poter qualificare il Ci. imprenditore e unificato nella persona del C. la figura del datore di lavoro nonché di committente in virtù del rapporto di parentela con la Z.. Ma il ricorrente contesta la correttezza del ragionamento seguito dalla Corte napoletana che si era rifatta alle pregresse conoscenze del C. con il Ci. e a sue collaborazioni occasionali, assumendo che il C. aveva commissionato i lavori al Ci. in quanto l'appartamento non era il proprio ed i lavori da effettuarsi erano indicati direttamente dalla Z. che forniva il materiale mentre gli operai B. e S. ricevevano direttive unicamente dal Ci.. Evidenzia come la condanna sia derivata solo dalla suggestione del rapporto di parentela (rectius, affinità) intercorrente tra il C. e la Z. e dalla circostanza che il C, prestando alla Z. e non al Ci. il montacarichi, aveva fornito l'attrezzatura indispensabile per i lavori di ristrutturazione.
2. La violazione della legge penale con riferimento all'art. 40 c.p., comma 2 e art. 41 cod. pen.. Contesta che la ricorrenza degli estremi della propria responsabilità e che il decesso del lavoratore fosse ascrivibile all'omissione di cautele da parte sua, ribadendo che la Corte si era limitata a dichiarare apoditticamente la prevedibilità dell'evento senza motivare sul perchè potesse ritenersi prevedibile la peculiare e complessa manovra attuata dalla vittima, sottolineando che nessuna misura di sicurezza avrebbe potuto evitare l'evento.


Diritto

 

Il ricorso è inammissibile.
Le censure mosse sono anzitutto aspecifiche, avendo riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.
Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591, comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv.240109).

 

Per il resto, i motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Invero, non si ravvisa alcuna violazione di legge, sotto il cui paludamento si rappresenta, sostanzialmente, un vizio motivazionale dal quale la sentenza impugnata è nettamente immune.
La Corte distrettuale ha fornito ampia e corretta motivazione circa la sussistenza dell'intermediazione illecita di cui alla L. n. 1369 del I960, art. 1, negata dal ricorrente.
Al riguardo giova puntualizzare che l'appalto di mere prestazioni di lavoro, con impiego di capitali, macchine ed attrezzature forniti dal committente, già punibile ai sensi dell'art. 1, comma 3, dell'abrogata L. 23 ottobre 1960, n. 1369, è rimasto punibile anche ai sensi del vigente D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 18 (cd. legge Biagi, che ha abrogato la citata L n. 1369, ex art. 85, vertendosi non in ipotesi di "abolitio criminis", bensì di successione di leggi nel tempo ex art. 2 c.p., comma 3) in quanto qualificabile come somministrazione di lavoro esercitata da soggetto non abilitato o fuori dei casi consentiti (Cass. pen. Sez. 3, 28.1.2005, n. 12336, Rv 231064; Sez. 3, 11.11.2003, dep. 26.1.2004, n. 2583, non massimata dal CED). La Corte napoletana ha evidenziato la rilevanza fondamentale dell'attrezzatura fornita dal ricorrente ai fini dell'esecuzione dei lavori di ristrutturazione, rendendone di fatto possibile il regolare espletamento sia sotto il profilo materiale sia sotto quello economico evidenziando come la stessa Z. avesse ammesso di non aver stipulato alcun contratto con il Ci., che non era nemmeno titolare di impresa edile, secondo quanto emergeva dagli atti, e, di converso, avesse dovuto ammettere che il C. aveva verificato, in occasione di più visite, l'andamento dei lavori, con ciò fornendo adeguata risposta alla tesi del ricorrente della non integrazione della presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie vietata dalla norma soprarichiamata.
Deve ritenersi corretta, quindi, la qualificazione del C. come imprenditore (alle cui dipendenze prestava la propria opera l'operaio deceduto), e pertanto, direttamente implicato nella vicenda con assunzione degli oneri antinfortunistici conseguentemente incombenti, alla luce delle considerazioni svolte in sentenza e della fornitura del montacarichi in questione, indispensabile per l'esecuzione dei lavori e non già sulla scorta della mera suggestione del rapporto di affinità che lo legava alla Z..


Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi circa la sussistenza del nesso causale tra l'omissione di cautele doverose e l'evento letale.
Infatti, correttamente e con adeguata motivazione la Corte distrettuale ha escluso che il nesso di causalità sia rimasto eliso dal comportamento imprudente del lavoratore che, invece, solo concorse a produrre l'evento letale, evidenziando che l'installazione del montacarichi necessitava comunque della predisposizione e della successiva verifica della effettiva utilizzazione di misure ed accorgimenti riconducibili sia al rispetto della specifica normativa, sia al dettato dei precetti di comune prudenza e diligenza che eliminassero il rischio di ogni situazione di pericolo del lavoratore non escludendo l'astratta ipotizzabilità di circostanze del tipo di quelle verificatesi.
Insomma, è stata esclusa quell'abnormità della condotta del lavoratore, quella sua assoluta eccezionalità in presenza delle quali soltanto è possibile escludere il nesso causale tra condotta colposa del titolare della posizione di garanzia e l'evento (v. ex plurimis: Cass. pen. sez. 4A, n. 952 del 27.11.1996, Rv. 206990).


Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.




P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.