Cassazione Penale, Sez. 4, 26 ottobre 2011, n. 38771 - Lavoratore travolto da un furgone guidato da altro lavoratore e omissione di qualsiasi misura di sicurezza per l'operazione di retromarcia


 

 


Responsabilità del titolare di un'impresa individuale, nonchè Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per il decesso di un lavoratore travolto da un furgone in retromarcia condotto da G.M., dipendente della ditta.

L'impresa individuale era assegnataria da parte dell'ANAS di Palermo dei lavori per forniture e risarcimenti parziali ed opere di manutenzione in tratti saltuari lungo una SS: a causa della omissione nella predisposizione di un modulo organizzativo dei lavori di riparazione del manto stradale  rispondente alle disposizioni di legge, con impiego di un'unità lavorativa per il coordinamento delle manovre di retromarcia dell'autocarro Ford Transit, mezzo utilizzato per procedere alla raccolta dei segnali stradali apposti sulla carreggiata al fine di indicare la presenza di lavori in corso sulla sede stradale, era accaduto che il G., quale conducente del mezzo furgonato, procedendo in retromarcia con modalità non rispondenti a criteri di sicurezza e alle disposizioni di legge, in particolare omettendo di farsi coadiuvare da altro dipendente della ditta nella manovra di retromarcia travolgeva C.P., operaio della stessa impresa, mentre quest'ultimo era intento a raccogliere le tabelle segnaletiche dalla sede stradale cagionandone il decesso.

 

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile.

 

Con riferimento alla condotta del conducente del mezzo, G.M., prospettata dal ricorrente quale causa dell'infortunio in questione - è sufficiente ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme; orbene, nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento dell'operaio rimasto vittima dell'infortunio, giacchè deve definirsi imprudente la condotta del lavoratore che sia stata posta in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.
Nè rileva che il tragico evento sia stato addebitato al datore di lavoro in cooperazione colposa con il conducente del mezzo (G.M.) e che questi abbia definito la sua posizione con il patteggiamento, posto che l'eventuale condotta colposa del G.M. non vale ovviamente ad escludere l'evidente responsabilità del datore di lavoro.

Ritiene il decidente come fosse onere dell'imputato, quale datore di lavoro e responsabile della sicurezza, predisporre delle misure idonee affinchè la retromarcia di un grosso veicolo, come quello condotto dal G., fosse effettuata con delle precauzioni che tenessero conto della concrete situazioni di pericolo, connesse alla manovra.


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo G. - Presidente
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere
Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 


sul ricorso proposto da:

1) S.R. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 2064/2006 CORTE APPELLO di CATANIA, del 17/12/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/07/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
udito il P.G. in persona del Dott. GERACI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. LA BLASCA Domenico che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto



Il Tribunale di Caltagirone dichiarava S.R. colpevole dei reati di cui all'art. 113 c.p., art. 589 c.p., comma 2, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 182, comma 1, lett. c) e comma 2, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, ritenuti i reati stessi unificati sotto il vincolo della continuazione. Il Tribunale negava all'imputato le attenuanti generiche e lo condannava altresì al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede, assegnando alla parte civile stessa una provvisionale di Euro 25.000,00.

Allo S. l'addebito era stato mosso secondo la seguente contestazione:

A) reato p. e p. dall'art. 113 c.p., art. 589 c.p., comma 2 perchè, in cooperazione con G.M. per negligenza, imprudenza e imperizia e con violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 182, comma 1, lett. e) e comma 2 (che dispone che i posti di manovra dei mezzi e degli apparecchi di sollevamento e trasposto devono permettere la perfetta visibilità di tutta la zona d'azione del mezzo e che, qualora per particolari condizioni di impianto o d'ambiente non sia possibile controllare dal posto di manovra l'intera zona d'azione, dev'essere predisposto un servizio di segnalazioni svolto con lavoratori incaricati), della disposizione di cui al D.Lgs. n. 493 del 1996, all. 1, 2.2.2 (secondo la quale la guida delle persone che effettuano manovre implicanti un rischio o un pericolo dev'essere fatta in modo occasionale per mezzo di segnali gestuali o comunicazioni verbali), nonchè del disposto di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, comma 1, lett. B), (che impone al datore di lavoro di adottare ogni misura idonea, secondo le conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, per eliminare i rischi nell'ambiente di lavoro o, nel caso ciò non sia possibile, ridurli al minimo) e D.P.R. n. 547 del 1955, art. 11, comma 3 (secondo il quale i posti di lavoro, le vie di circolazione e i luoghi all'aperto occupati dai lavoratori durante la loro attività devono essere concepiti in modo tale che la circolazione dei veicoli e dei pedoni possa avvenire in modo sicuro), ed infine con violazione dell'art. 2087 c.c. (che impone all'imprenditore l'adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica del prestatore di lavoro), lo S., nella sua qualità di titolare dell'impresa individuale omonima- assegnataria da parte dell'ANAS di Palermo dei lavori per forniture e risarcimenti parziali ed opere di manutenzione in tratti saltuari lungo la SS. *** dal Km: 45+200 al Km. 73+240, nonchè Responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi ai sensi del D.Lgs. n. 629 del 1994, art. 10, omettendo di prevedere nel piano di sicurezza dell'impresa modalità rispondenti alle disposizioni di legge sopra indicate in ordine alle manovre da eseguire da parte degli operai durante le fasi di lavoro, e nel caso concreto, di predisporre un modulo organizzativo dei lavori di riparazione del manto stradale sulla S.S. *** AL Km. 72+200 rispondente alle disposizioni di legge sopra indicate, con impiego di un'unità lavorativa per il coordinamento delle manovre di retromarcia dell'autocarro Ford Transit targato ***, mezzo dell'impresa, utilizzato per procedere alla raccolta dei segnali stradali apposti sulla carreggiata al fine di indicare la presenza di lavori in corso sulla sede stradale; il G., quale conducente del mezzo furgonato, procedendo in retromarcia con modalità non rispondenti a criteri di sicurezza e alle disposizioni di legge sopra citate, in particolare omettendo di farsi coadiuvare da altro dipendente della ditta nella manovra di retromarcia ed in tal modo travolgendo C.P., operaio della stessa impresa, mentre quest'ultimo era intento a raccogliere le tabelle segnaletiche dalla sede stradale, cagionavano il decesso del predetto C.P., che investito dal furgone condotto dal G., riportava fratture multiple costali, lussazione costernale, frattura del processo traverso di vertebre lombari, frattura dell'ala sacrale sinistra con diastasi con lussazione sacro-iliaca omolaterale, fratture multiple delle branche ischio-pubiche ed ileo-pubiche, con grave lussazione della sinfisi pubica e severa diastasi, lussazione dell'articolazione coxo-femorale, e decedeva per arresto cardiocircolatorio e respiratorio per shock emodinamico in politraumatizzato;

B) reato p. e p. dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 182, comma 1, lett. e) e comma 2, perchè, nella sua qualità di titolare dell'impresa individuale omonima - assegnataria da parte dell'ANAS di Palermo dei lavori per forniture e risarcimenti parziali ed opere di manutenzione in tratti saltuari lungo la S.S. *** dal Km. 45+200 al Km. 73+240 - ometteva di adibire un'unita lavorativa al coordinamento delle manovre di retromarcia dell'autocarro Ford Transit targato *** condotto da G.M. (mezzo utilizzato nei lavori indicati al capo a) per procedere alla raccolta dei segnali stradali apposti sulla carreggiata al fine di indicare la presenza di lavori in corso sulla sede stradale) e alle segnalazioni necessarie ad assicurare il controllo del conducente del mezzo sulla zona d'azione dello stesso;

C) reato p. e p. dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 11, comma 3 e art. 389, lett. b), perchè, nella qualità indicata nei capi che precedono, ometteva di organizzare la sicurezza del posto di lavoro nel cantiere mobile realizzato per l'esecuzione di lavori di riparazione del manto stradale sulla S.S. *** al Km. 72+200 e di garantire la sicurezza della circolazione dei veicoli e dei pedoni, come prescritto dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 11, comma 3; In territorio di Caltagirone, 1 08.2003.

Il Tribunale dava conto delle sue determinazioni richiamando specificamente le risultanze istruttorie, con particolare riferimento alle deposizioni testimoniali, ivi comprese quelle rese dai testi presentati dalla difesa a discarico; tutti i testimoni oculari avevano descritto in maniera pressochè identica la dinamica dell'evento: il C.P. si accingeva a raccogliere la segnaletica mentre il G.M. - senza alcuna guida, ed utilizzando solo gli specchietti retrovisori - procedeva in retromarcia con il mezzo dell'impresa e, dopo avere percorso circa un metro, aveva travolto il C. stesso il quale era rimasto incastrato sotto il veicolo.
A seguito di gravame ritualmente proposto nell'interesse dell'imputato, la Corte d'Appello di Catania, in risposta alle deduzioni dell'appellante, confermava l'impugnata decisione, richiamando sinteticamente la dinamica dell'infortunio quale ricostruita dal primo giudice, e sottolineando la posizione di garanzia rivestita dallo S. nonchè la condotta omissiva dello stesso da porsi in nesso di causalità con l'evento; nel richiamare quanto risultava dagli atti, la Corte di merito, per la parte che in questa sede rileva, evidenziava che:
1) lo S., quale titolare del cantiere stradale che stava eseguendo riparazioni del manto stradale, non aveva predisposto la presenza di un lavoratore che eseguisse il compito di coordinare la manovra di retromarcia dell'autocarro condotto dall'autista G., al fine di facilitare la manovra di detto automezzo ed evitare il rischio che gli operai che procedevano a piedi dietro l'autocarro potessero essere investiti;
2) siffatta condotta omissiva appariva gravemente colposa ed era risultata determinante per la causazione dell'evento mortale occorso al lavoratore C. il quale, infatti, era stato travolto dal pesante autoveicolo mentre era intento, procedendo dietro detto mezzo, a raccogliere la segnaletica del cantiere ivi apposta per segnalare la presenza di lavori in corso;
3) lo S., quale datore di lavoro, aveva l'obbligo di adottare tutte le cautele necessarie affinchè il conducente del mezzo potesse avere la perfetta visibilità di tutta la zona ove operava il mezzo predetto, senza essere obbligato a fare alcun movimento per ottenerla; a tale ultimo riguardo, la Corte territoriale evocava taluni precedenti in materia della giurisprudenza di legittimità.


Ricorre per cassazione lo S., a mezzo del difensore, deducendo - dopo avere elencato i motivi che erano stati devoluti alla cognizione del giudice dell'appello - censure di violazione di legge e vizio motivazionale, con esclusivo riferimento alla ritenuta colpevolezza, con formulazioni che possono così riassumersi:
a) la manovra del mezzo consisteva in un'attività lavorativa di routine e si svolgeva in condizioni di sicurezza in quanto affidata ai due operai posti dietro il furgone con cui l'autista si raccordava attraverso gli specchietti retrovisori laterali, così come riferito nell'istruttoria dibattimentale di primo grado da tutti i testi escussi;
b) il cantiere era di ridottissime dimensioni;
c) la ditta aveva dotato la squadra d'intervento di tutta la segnaletica necessaria per operare in sicurezza;
d) le risorse umane erano sufficienti a garantire lo svolgimento delle operazioni in sicurezza;
e) lo S. aveva raccomandato di prestare la massima attenzione per svolgere il lavoro in sicurezza;
f) l'evento si sarebbe purtroppo verificato per una imprudente manovra del mezzo da parte dell'autista - tanto che questi se ne era assunta la responsabilità patteggiando la pena - nonostante fosse stata rispettata la norma di sicurezza che impone la presenza di due operai posti dietro il furgone per raccogliere la segnaletica e guidare le manovre dell'autista;
g) la Corte avrebbe omesso di esaminare tutti i punti dedotti con i motivi di appello limitandosi a richiamare i fatti e la presunta norma violata, confermando la responsabilità dell'imputato senza minimamente esporre le ragioni per cui sono state disattese le eccezioni difensive. Afferma ancora il ricorrente: "Non si comprende sulla scorta di quale elemento processuale l'impugnata sentenza affermi nella prima delle due pagine della complessiva sentenza che dietro al furgone "non aveva predisposto la presenza di un lavoratore che eseguisse il compito di coordinare la manovra di retromarcia".
Tutti i testi escussi in data 10 maggio 2005 in primo grado hanno confermato che la manovra era stata correttamente predisposta mettendo due operai dietro il furgone" (così si legge testualmente a pag. 4 del ricorso); a pag . 5 del ricorso è poi così scritto: "Non vi è dubbio, quindi, che porsi dietro il furgone che deve procedere in retromarcia è un comportamento assolutamente al di fuori delle direttive operative ben conosciute da tutti gli operai e certamente non prevedibile".

 

Diritto



Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perchè basato su doglianze che, attraverso considerazioni già compiutamente vagliate dal giudice dell'appello, e pur se dedotte sotto gli asseriti profili di violazione di legge e vizio motivazionale, tendono per lo più ad una rivalutazione delle risultanze processuali non consentita in sede di legittimità. Giova sottolineare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato (Sez. Un. N. 6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944; Sez. Un., rie. Spina, 24/11/1999, RV. 214793; Sez. Un. ric. Jakani, ud. 31/5/2000, RV. 216260; Sez. Un., ric. Petrella, ud. 24/9/2003, RV. 226074), o - a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 - da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame"; il che vuoi dire - quanto al vizio di manifesta illogicità - per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico:
ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite di eguale crisma di logicità.


Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi, pur sintetici, contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte narrativa) e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo: la Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio, condotta degli operai - ivi compresa quella di G.M., conducente del mezzo che travolse il C.P. - omissioni dello S. e nesso causale) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dell'imputato.

Con le dedotte doglianze il ricorrente, per contrastare la solidità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non ha fatto altro, dunque, che riproporre in questa sede - attraverso considerazioni e deduzioni svolte prevalentemente in chiave di merito - tutta la materia del giudizio, adeguatamente trattata, in relazione ad ogni singola tematica, dalle conformi ed integrative sentenze di primo e secondo grado.

 

Al riguardo - e con riferimento alla condotta del conducente del mezzo, G.M., prospettata dal ricorrente quale causa dell'infortunio in questione - è sufficiente ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme (Sez. 4, Sentenza n. 40164 del 03/06/2004 Ud. - dep. 13/10/2004 - Rv. 229564, imp. Giustiniani); orbene, nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento dell'operaio rimasto vittima dell'infortunio, giacchè deve definirsi imprudente la condotta del lavoratore che sia stata posta in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007 Ud. - dep. 04/07/2007 - Rv. 236991).
Nè rileva che il tragico evento sia stato addebitato allo S. in cooperazione colposa con il G.M. e che questi abbia definito la sua posizione con il patteggiamento, posto che l'eventuale condotta colposa del G.M. non vale ovviamente ad escludere l'evidente responsabilità dello S.: al momento dell'infortunio "de quo" gli operai stavano svolgendo il compito loro affidato dallo S. nelle condizioni di pericolo che lo S. stesso aveva creato con la condotta omissiva - inosservante di precise disposizioni della normativa antinfortunistica - dettagliatamente descritta nell'articolato capo di imputazione. Se è vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono, non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e altro).

Neppure può assumere rilievo la sinteticità della motivazione con la quale la Corte d'appello ha disatteso le doglianze che l'appellante aveva sottoposte al suo vaglio. Ed invero già il primo giudice, con puntuali argomentazioni, aveva analizzato le prospettazioni difensive dando adeguatamente conto delle proprie determinazioni, sia in punto di responsabilità che relativamente al trattamento sanzionatorio, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da una particolare completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti normativi rilevanti ai fini dell'esame della posizione dello S.. E' sufficiente ricordare un significativo passaggio motivazionale che si legge a pag. 15 della sentenza del Tribunale: "Orbene, se questa è la corretta ricostruzione della dinamica dei fatti deve ritenersi che la morte del C. sia conseguenza, oltre che della violazione della regola di prudenza da parte del conducente del mezzo anche e, soprattutto, della omessa predisposizione da parte del titolare dell'impresa, responsabile della sicurezza sul lavoro, di un idoneo piano di sicurezza al fine di permettere al conducente del mezzo una perfetta visibilità della zona di azione, tenuto conto della particolarità del mezzo utilizzato (che di per sè non consentiva di avere una buona visibilità), della particolarità dell'attività espletata dai lavoratori (i quali chinandosi per raccogliere la segnaletica potevano non essere visti dal conducente), nonchè dalla singolarità delle condizioni della strada (le operazioni di raccolta si stavano compiendo al Km 72 della SS *** in un tratto in cui insiste una curva pericolosa a destra). Tutto ciò induce a ritenere come il rischio concretizzatosi con la morte del C. che poteva essere scongiurato con l'osservanza della disposizione di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 182 non poteva essere fronteggiato esclusivamente con l'ausilio degli specchietti retrovisori che non erano, nel caso di specie, una idonea soluzione per l'ottenimento della piena visibilità. Ritiene il decidente come fosse onere dello S., quale datore di lavoro e responsabile della sicurezza, predisporre delle misure idonee affinchè la retromarcia di un grosso veicolo, come quello condotto dal G., fosse effettuata con delle precauzioni che tenessero conto della concrete situazioni di pericolo, connesse alla manovra".


Trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, la sentenza d'Appello deve intendersi integrata dalla diffusa ed articolata motivazione addotta dal Tribunale a fondamento del convincimento espresso: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in termini, "ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497; conf. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 Ud. - dep. 05/12/1997 - Rv. 209145).

Alla stregua di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso risulta, dunque, inammissibile. Per completezza argomentativa, un'ultima annotazione si impone in tema di prescrizione. Come sopra ricordato, nell'illustrare i motivi del proposto ricorso, lo S. non ha svolto alcuna argomentazione in ordine ai trattamento sanzionatorio ed al diniego dei benefici di legge - di cui peraltro la Corte distrettuale ha dato conto con il richiamo alla gravità della condotta dell'imputato (e ferma restando, anche al riguardo, l'integrazione con la sentenza di primo grado) - limitandosi ad articolare formulazioni di censura esclusivamente in punto di responsabilità. Orbene, per un verso, la mancanza di doglianze in ordine al trattamento sanzionatorio, e, per altro verso, la manifesta infondatezza delle censure dedotte con il ricorso (da considerarsi causa originaria di inammissibilità del ricorso: al riguardo cfr. Sez. Un. 21 dicembre 2000 - cc. 22 novembre 2000 - ric. De Luca, RV. 217266), non consentono al Collegio di rilevare di ufficio la prescrizione - pur già maturata al momento della sentenza di secondo grado ma non dichiarata dalla Corte territoriale, nè eccepita con il ricorso - delle violazioni di cui ai capi b) e c) dell'imputazione (tuttora reati, sussistendo continuità normativa con la vigente legislazione antinfortunistica, posto che il contenuto delle disposizioni concernenti tali violazioni risulta ad oggi recepito nel D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - che ha abrogato il D.P.R. n. 547 del 1955 - ed in particolare negli artt. 15 e 68, e nell'allegato 4 punto 1.4, di detto Decreto Legislativo).
Nemmeno rileva, nella concreta fattispecie, il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, dep. 22/06/2005, Rv. 231164, imp. Bracale), secondo cui può essere dedotta in sede di legittimità una (fondata) censura finalizzata a far valere la prescrizione maturata prima della sentenza di appello ed erroneamente non rilevata dal giudice di secondo grado: nel caso qui in esame, come innanzi evidenziato, la prescrizione non è stata eccepita con il ricorso, e sono state dedotte censure manifestamente infondate e, quindi, inidonee a consentire l'instaurarsi del rapporto processuale in questo giudizio di legittimità (cfr.: Sez. Un., De Luca, cit; in termini, Sez. 4, n. 6835/09, p.u. 15 gennaio 2009, Casadei).


Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).

 


P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.