Cassazione Penale, Sez. 4,19 dicembre 2011, n. 46847- Macchina "ragno" e infortunio mortale: prescrizione


 

 

Responsabilità del conducente di una macchina semovente denominata "ragno" e dell'amministratore unico di una srl per infortunio mortale: si è trattato di un incidente avvenuto in un'area di pertinenza della suddetta società nella quale la macchina utilizzata dal primo imputato, muovendosi all'indietro, aveva investito tale Va. Ma. che si trovava, come casuale passeggero, in un camion nel frattempo sopraggiunto per scaricare materiali.



Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per intervenuta prescrizione.


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe Presidente

Dott. GALBIATI Ruggero Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa rel. Consigliere

Dott. VITELLI CASELLA Luca Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA




sul ricorso proposto da:

1) MA. AN. N. IL (Omissis);

2) LO. FA. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 4002/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 07/05/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mura Antonello che ha concluso per annullamento senza rinvio per prescrizione.


Fatto

 

1. Il Tribunale di Livorno ha ritenuto Ma. An. e Lo. Fa. colpevoli del reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e li ha condannati rispettivamente a mesi nove ed un anno di reclusione. Si è trattato di un incidente avvenuto in data (Omissis) in un'area di pertinenza dell'impresa Lo. Me. S.r.l. ad opera di una macchina operatrice semovente, cosiddetto "ragno", condotta da Lo. Fa. ; nell'area era sopraggiunto un camion che doveva scaricare del materiale ferroso, guidato da tale Pe.St. ; quest'ultimo ha riferito di aver arrestato il proprio autocarro carico di rottami metallici ad una distanza di circa 4 o 5 metri dal mezzo sul quale si trovava l'imputato e di esserne disceso per abbassare le sponde del pianale, così da agevolare lo scarico del materiale; la gru semovente utilizzata dal Lo. si muoveva all'indietro in direzione del veicolo, investendo tale Va. Ma. che si trovava sul camion e nel frattempo ne era disceso; a seguito dell'urto il Va. decedeva e l'autocarro si spostava all'indietro.

Del fatto sono stati ritenuti responsabili il Lo., quale conducente del "ragno" e la Ma. , quale amministratore unico della Lo. S.r.l.

La corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado salvo che per una nuova determinazione della pena conseguente alla concessione delle attenuanti generiche e di quella del risarcimento del danno in regime di prevalenza alle contestate aggravanti nella misura di quattro mesi di reclusione per la Ma. e sei mesi di reclusione per il Lo. .

Entrambi i giudici di merito ritenevano priva di fondamento la eccezione dedotta dalla difesa degli imputati di nullità della consulenza tecnico medico legale non ripetibile disposta dal pubblico ministero per accertare le cause della morte di Va. Ma. , che era deceduto non nell'immediatezza del fatto, ma alcuni mesi dopo, durante la degenza ospedaliera; la nullità era stata eccepita per il mancato avviso agli indagati ai sensi dell'articolo 360 c.p.p., comma 1, dell'atto in questione. I giudici ritenevano non essersi verificata tale nullità rilevando che al momento del conferimento dell'incarico i due imputati non avevano ancora assunto la qualifica di indagati; non erano ancora stati iscritti nel registro degli indagati e non emergevano nei loro confronti elementi tali da farli ritenere destinatari dell'azione penale.

La corte d'appello, con una sentenza assai dettagliata, ha precisato i contorni della responsabilità del Lo. e della Ma. . Quanto al primo, la sua responsabilità deriva dall' essere autore materiale del fatto quale utilizzatore della gru semovente. In tale qualità non si poteva ritenere che egli avesse riposto ragionevole affidamento sul fatto che non vi fossero estranei nell'area di manovra del "ragno" ad eccezione del Pe. che, in qualità di autista del mezzo e dunque di addetto ai lavori, era autorizzato ad accedere al piazzale e che, peraltro, aveva appositamente segnalato la propria presenza appena giunto. Infatti la colpa del Lo. non era quella di non aver tenuto conto della presenza del Va. , casuale accompagnatore del Pe. , ma piuttosto quella che, pur avendo acquisito piena consapevolezza dell'altrui presenza nell'area, cioè della presenza del Pe. , di cio' si era, per colpevole negligenza, dimenticato, e, comunque, non ne aveva tenuto conto procedendo a manovra di retromarcia senza controllare se nella zona che andava ad occupare vi fossero persone e/o cose e senza chiedere l'aiuto di un'altra persona che fosse addetta a tale scopo.

La corte ha osservato che ben poteva avvenire che al posto del Va., al momento del fatto, si trovasse il Pe. ; in realtà Lo. non si era accorto di nulla, neppure della presenza dell'autocarro, che ha urtato procedendo in retromarcia. Invece, la consapevolezza della presenza nell'area di lavoro di un mezzo non appartenente all'impresa e conseguentemente di chi con esso era giunto nel cantiere, avrebbe dovuto imporre al Lo. quella attenzione e cautela che invece erano totalmente mancate.

Quanto alla posizione della Ma. , la corte osservava come la sua posizione di garanzia derivasse dalla qualità di amministratore unico e legale rappresentante di Lo. Me. S.r.l.; in tale qualità la Ma. avrebbe dovuto farsi carico di organizzare l'attività di raccolta dei materiali metallici all'interno del piazzale dato che, come pacificamente è emerso dall'istruttoria svolta, lo scarico dei rottami metallici nell'area dell'impresa dove si è verificato il sinistro avveniva abitualmente anche mediante operazioni manuali, richiedenti la presenza a terra degli operai addetti. In tale situazione si sarebbe dovuto organizzare tale attività con spazi appositi per i mezzi e per le persone, ripartendo opportunamente le rispettive aree e regolamentando le modalità di scarico; la prassi quotidiana era invece quella di una casuale commistione tra materiali, mezzi ed addetti. Nè poteva ritenersi che il nesso di causalità fosse stato interrotto dalla condotta, secondo la difesa, eccezionale, imprevedibile ed abnorme di Pe. St. , per essersi fatto accompagnare dalla vittima all'interno dell'impresa. Nè la condotta del Pe. nè quella del Va. presentava connotati di eccezionalità ed abnormità, dal momento che entrambi hanno posto in essere comportamenti assolutamente normali, alla luce del sole, il Pe. avvisando anche della proprio la presenza, ed il Va. limitandosi a scendere dal camion e a mantenersi vicino al camion stesso.


2. Avverso questa sentenza hanno presentato ricorso per cassazione Ma.An. e Lo. Fa. attraverso il difensore di fiducia, con due distinti atti contenenti motivi sostanzialmente coincidenti, di seguito indicati. Con un primo motivo viene riproposta la eccezione di nullità della consulenza tecnica non ripetibile di natura medico - legale avente ad oggetto l'accertamento delle cause del decesso di Va.Ma. , mediante l'esame autoptico della salma. I ricorrenti sottolineano che dalla comunicazione di notizia di reato datata 14 novembre 2003 e dalla relazione sulle indagini del 13 novembre 2003 emergeva chiaramente che autore materiale del fatto era Lo. Fa. , compiutamente identificato con data di nascita e residenza, ed altresì che legale rappresentante della ditta era la Ma. ; contestano che al momento del conferimento dell'incarico di consulenza tecnica non sussistessero elementi per individuarli quali possibili indagati e quindi destinatari degli avvisi a norma dell'articolo 360 c.p.p., comma 1, e articolo 220 disp. att. c.p.p.. I ricorrenti sottolineano che non è tanto la formale iscrizione nel registro degli indagati a rendere necessaria tale garanzia, bensì la sostanziale emersione di indizi di reato a carico di una determinata persona, indizi che nella specie erano pacificamente emersi e conosciuti dall'autorità giudiziaria.

Con un secondo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge e difetto di motivazione laddove la corte non ha ritenuto l'interruzione del nesso di causalità a causa della condotta anomala, atipica ed imprevedibile posta in essere dall'autotrasportatore Pe.St. e dallo stesso infortunato Va.Ma. . Secondo i ricorrenti sarebbe del tutto evidente come principale responsabile dell'infortunio mortale era il Pe. stesso che ha deliberatamente violato le disposizioni aziendali in vigore all'epoca dei fatti, introducendo nel sito, surrettiziamente e nonostante il divieto, un estraneo - il Va. ; vi è poi da considerare l'imprudenza della stessa vittima che, nonostante le raccomandazioni ricevute dal Pe. , del tutto inopinatamente decideva di scendere dall'automezzo così esponendosi al rischio di investimento. Lo. invece aveva fatto ragionevole affidamento sul fatto che l'unico soggetto che si trovava nell'area operativa fosse Pe., che aveva appositamente segnalato la propria presenza.

Con un ulteriore motivo di ricorso la difesa si duole della statuizione in punto di pena assunte dalla corte d'appello di Firenze; secondo i ricorrenti il giudice avrebbe dovuto valutare di ufficio, a prescindere cioè da una richiesta apposita delle parti, la possibilità di sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente; avendo la corte ridotto l'entità della pena detentiva, fissandola entro i limiti nei quali era possibile la sostituzione con la pena pecuniaria di specie corrispondente ai sensi della Legge n. 689 del 1981, articoli 53 e seguenti, avrebbe dovuto motivare adeguatamente la mancata conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, ponendosi di ufficio una tale questione.


Diritto




1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio risultando il reato ascritto agli imputati estinto per intervenuta prescrizione e non manifestamente infondati i motivi di ricorso e non risultando evidente l'innocenza degli imputati.

Trattasi infatti di reato di commesso in data (Omissis) per il quale il termine massimo di prescrizione è da individuarsi, essendo state concesse attenuanti generiche prevalenti, in sette anni e mezzo in base alla disciplina della prescrizione precedente la novella intervenuta con la c.d. legge ex Cirielli; termine decorso alla data del 13.4.2011, in assenza di sospensioni del processo imputabili all'imputato o alla sua difesa.


P.Q.M.



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per intervenuta prescrizione.