Tribunale di Milano, Sez. Lav., 09 maggio 2012 - Accertamento diritto rendita superstiti


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO

SEZIONE LAVORO

In composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Chiara Colosimo, ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nella controversia di primo grado promossa

 

da

 

CL.Al.

 

con l'avv. Ga., elettivamente domiciliata presso lo Studio del difensore in Milano, via (...)

 

ricorrente

 

contro

 

ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO

 

con l'avv. Bi., elettivamente domiciliato in Milano, corso (...)

 

resistente

 

Oggetto: accertamento diritto rendita superstiti.

 

 

Fatto

 

 

Con ricorso depositato il 18 maggio 2011, Al. quale vedova di It., dipendente della FB. S.p.A. dal 13/9/1966 al 30/4/1990, impiegato presso l'insediamento produttivo di Milano, via (...), con qualifica di responsabile dei servizi generali, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano - Sezione Lavoro - l'ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, chiedendo di accertare e dichiarare la natura professionale del "mesotelioma pleurico maligno bifasico epitelioide e sarcomatoide" da cui era affetto il marito, con contestuale verifica della riconducibilità alla suddetta malattia dell'evento morte e, conseguentemente, di accertare e dichiarare il diritto di percepire la rendita ai superstiti prevista dal T.U. 1124/1965, con conseguente condanna del convenuto alla corresponsione della stessa a decorrere dalla data della denunciata malattia.

 

Il tutto con interessi e rivalutazione e, in ogni caso, con vittoria di spese, diritti e onorari da distrarsi in favore del procuratore che si dichiarava antistatario.

 

All'udienza del 28 marzo 2012, la parte precisava che la domanda doveva intendersi limitata a decorrere dell'intervenuto decesso del Ri.

 

Si costituiva ritualmente in giudizio l'ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, eccependo l'infondatezza in fatto e in diritto delle domande di cui al ricorso e chiedendo il rigetto delle avversarie pretese.

 

Con vittoria di spese, diritti e onorari.

 

Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, assunte le prove e acquisita C.T.U. medico-legale, la causa matura per la decisione. All'udienza del 9 maggio 2012, il Giudice decideva come da dispositivo pubblicamente letto, riservando ai sensi dell'art. 429 c.p.c. così come modificato dalla legge 133/2008, il deposito della motivazione a 5 giorni.

 

 

Diritto

 

 

Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.

 

A fondamento della propria domanda, parte ricorrente ha descritto analiticamente le mansioni svolte dal coniuge presso la FB. S.p.A. deducendo che, in conseguenza delle suddette mansioni, It.Ri. era stato esposto tra il 13/9/1966 e il 30/4/1990 a polveri di amianto: all'attività lavorativa e alle condizioni dell'ambiente di lavoro sarebbe causalmente ricollegato il mesotelioma pleurico maligno bifasico epitelioide e sarcomatoide, diagnosticato al lavoratore il 23/1/2008, che ne avrebbe poi determinato la morte il 17/3/2010.

 

Ai fini dell'accertamento delle mansioni in concreto svolte dal lavoratore, nel corso del giudizio sono stati sentiti i testi di parte ricorrente Cr. e Ri. il quale ultimo, tuttavia, nulla ha potuto riferire in ordine ai fatti di causa ivi rilevanti.

 

Il teste Cr. invece, ex collega del deceduto Ri., ha riferito: "conosco It. per aver lavorato alle sue dipendente al FB. in via (...) a Milano. Io ho iniziato a lavorare al FB. nel 1962, RI. arrivò dopo, se non sbaglio dalla (...). Abbiamo lavorato insieme sino a quando sono andato in pensione. Io ho lavorato in reparto per cinque anni occupandomi di scambiatori di calore. Dopo sono passato ai servici generali alle dipendente di RI.. RI. era responsabile dei reparti di infortunistica e si occupava dei servici generali. FB. produceva scambiatori di calore che servivano per le raffinerie di petrolio. Nei reparti produttivi veniva utilizzato amianto, ce n'era a tonnellate. La coperture dei capannoni erano tutte in amianto, sulle finestre c'erano pannelli di amianto, poi c'erano i teli di amianto ammucchiati negli angoli che venivano utilizzati per avvolgere gli scambiatori di calore, quando venivano scaldati per saldarli. Le tubazioni erano tutte coperte in amianto. Fino a quando sono andato in pensione, l'amianto è rimasto ed è stato utilizzato nella produzione. RI. andava spesso nei reparti: quale responsabile della sicurezza lui doveva girare in reparto per assicurarsi che il personale indossasse gli indumenti di protezione. Andava in reparto quasi tutti i giorni. Il capannone era lungo più di cento metri e largo cinquanta/sessanta metri. Non sono in grado di dire quanto tempo RI. si fermasse giù in reparto, a volte stava via anche più di un'ora. RI. non interveniva mai personalmente nell'attività di produzione. Personalmente non ha mai maneggiato l'amianto e i materiali in amianto. RI. non usava l'aria compressa, che si è utilizzata dagli anni 70 in poi, per verificare la correttezza delle lavorazioni. Però nelle lavorazioni veniva usata l'aria compressa per la mola a disco, per tagliare il ferro e le saldature, poi, finito lo scambiatore la si usava per pulire i tubi e mettere la testata davanti. Per stringere i tubi si usava l'avvitatore automatico che funzionava ad aria compressa. Quando RI. era in reparto stava vicino a dove si effettuavano le saldature. Durante le saldature veniva utilizzato l'amianto. Dopo la saldatura, i pezzi, una volta freddi, venivano puliti con l'aria compressa. L'ambiente del capannone era saturo di polveri e fumi delle saldature. RI. ha fatto questo lavoro sino a quando sono andato in pensione, siamo andati in pensione lo stesso giorno, il 30 aprile del 1990. Quando RI. non stava nel capannone, stava nel suo ufficio che era appena sopra la portineria e non era collegato con il reparto. Gli uffici erano a 6/8 metri dai reparti. Dal 1966 al 1990 RI. ha lavorato in via (...). Nel 1978 fu fatto uno stabilimento nuovo a Terno d'Isola e, quale responsabile dei servizi generali, RI. andava anche là, pur continuando a lavorare in via (...). Tra il 1962 e il 1977 non avevamo nemmeno i guanti, non c'erano mascherine né scarpe infortunistiche. Dopo RI. fece comprare queste dotazioni e tutti avevano guanti e mascherine".

 

Ai fini di valutare se la patologia di It.Ri. sia causalmente ricollegabile all'esposizione a fibre di amianto derivante dall'attività lavorativa svolta con le modalità accertate nel corso di causa, così come se la stessa sia riconducibile il decesso del lavoratore, è stata disposta C.T.U. cui questo Giudice ritiene senz'altro di poter aderire.

 

Della consulenza, infatti, si condividono tanto le argomentazioni, quanto le conclusioni cui l'Esperto è pervenuto con metodo corretto, immune da vizi logici o di qualsivoglia altra natura. Nel complesso, la ricostruzione dei fatti e l'analisi dell'incidenza degli stessi sull'esposizione al rischio amianto appare completa, coerente e attendibile, al punto tale che si ritiene sufficiente trascrivere i soli passaggi essenziali dell'elaborato peritale (che deve, comunque, intendersi ivi interamente richiamato).

 

In ordine alle mansioni svolte da It.Ri. e all'esposizione all'amianto, il Perito ha in primo luogo premesso che si deve "ritenere quantomeno improbabile una esposizione residenziale ad asbesto eccedente i livelli propri della popolazione generale delle aree geografiche considerate, comunque considerati inferiori anche alla dose minima di innesco accreditata dalla letteratura scientifica (5 ff/l).

 

Ha osservato, poi, quanto segue: "verificato il criterio di riferimento etiologico costituito dalla compatibilità cronologica, è quindi necessario confermare - o smentire - quello dell'adeguatezza lesiva, ossia della congruità dell'esposizione professionale ad asbesto sopportata dal defunto Sig. Ri. nel corso del rapporto di lavoro con citata azienda. Che gli ambienti di lavoro della F.B. Hu. fossero inquinati da amianto aerodisperso è fatto certo. Non solo lo erano documentatamente tutte le aziende cospecifice dell'epoca (carpenteria metallica con trattamenti di precura a caldo) ma risulta, come confermato in atti, che gli addetti dei siti di Milano e Terno d'Isola fossero anche stati riconosciuti "esposti" ad amianto, con Atto di indirizzo ministeriale del 15 gennaio 2001 - e sia pure ai soli fini previdenziali - ai sensi dell'articolo 13, comma 8, della L. 257/92, come modificato dalla L. 271/93. In altri termini, il Ministero del lavoro e delle previdenza Sociale, su indicazione tecnica dello stesso Istituto costituitosi nella causa in epigrafe, aveva pacificamente ammesso un'esposizione cumulativa media annua, per otto ore al giorno e per non meno di dieci anni, esclusi periodi non fisiologici di astensione lavorativa, non inferiore a 0,1 fflml (100 ff/l), corrispondenti ad almeno quattro volte la citata "dose killer" - o di innesco - (25/ff/l, Nda) oggi maggiormente accreditata dalla letteratura scientifica. Di più, il registro mesoteliomi ISPEL della Lombardia, nel 2009, non solo confermava la circostanza della regolare frequenta delle sezioni produttive da parte del de cuius, impegnato in mansioni di "... verifica e controllo di applicatone delle misure antinfortunistiche, delle modalità di svolgimento delle mansioni da parte dei dipendenti della ditta...", ma dettagliava fonti e lavorazioni immissive, identificandole nell'impiego di asbesto, tessuto e in matrice compatta (pannelli), utilizzato allo scopo di controllare il processo di raffreddamento dei pezzi preriscaldati da sottoporre a saldatura, oltre che nell'impiego di guanti (DPI) durante le lavorazioni a caldo. Lo stesso registro confermava, peraltro, l'adeguatezza lesiva delle concentrazioni inalatone di amianto vigenti nel'ambiente di lavoro attestando 6 casi di mesotelioma fra i dipendenti del sito di Milano e 4 fra quelli dell'insediamento gemello di Terno d'Isola (BG)".

 

Per quel che concerne la valutazione del nesso di causa tra attività lavorativa e insorgenza della mesotelioma, il CTU ha evidenziato che, "come detto più sopra, le variabili implicate nel determinismo del mesotelioma pleurico risultano essenzialmente due: entità (adeguatezza quantitativa, Nda) delle prime esposizioni (o, eventualmente, dell'unica esposizione), soprattutto, e - secondariamente - durata della condizione morbigena. Quest'ultima, nel caso di specie, appare facilmente determinabile in ventisei anni ossia, atteso che il ricorrente - come risulta in atti - abbia esercitato mansioni di Responsabile dei Servizi Generali per l'intera durata dell'obbligazione del de cuius con la nominata azienda. L'esposizione, come detto, eccede largamente non solo la singola, occasionale inalazione di fibre ma, anche le "poche settimane" accreditate della "efficacia lesiva minima" dallo stato dell'arte delle conoscenze. Più complesso è stimare, nessuna rilevazione ambientale risultando negli archivi IPSPEL-ASL o in altro ufficio pubblico, l'entità delle concentrazioni di asbesto aerodisperso sopportate dal Sig. Ri. fra il 1965 e il 1990. Dalla revisione degli atti emergono nondimeno dati senz'altro funzionali allo scopo. Il teste Cr., escusso dall'Ill.mo Committente nell'udienza del 4/10/2011, oltre a confermare il lay-out "open space" dell'impianto milanese (tipico dell'epoca, Nda), le sue ragguardevoli dimensioni (100 x 50 mts), la copertura in eternit a vista (pressoché costante negli edifici industriali degli anni '40 - '80) e la presenza di coibentazione di impianti idraulici in silasbesto, riferiva infatti sistematica attività di saldatura su pezzi - soprattutto grossi scambiatori di calore - preriscaldati e coibentati con coperte di amianto normalmente stoccate in reparto, l'impiego di aria compressa (quantomeno dagli anni '70) per scopi di pulizia, verifica delle lavorazioni e azionamento di utensili (mole a disco) e la prossimità del Ri. alle lavorazioni immissive, oltre che l'assidua frequenza (almeno quotidiana) dei reparti.

 

Il registro mesoteliomi, d'altra parte, attesta l'impiego (esatto e sistematicamente verificato proprio dal Ri.) di DPI, all'epoca costituiti soprattutto da guanti in amianto tessuto".

 

Poste queste, e altre, premesse il Perito ha affermato quanto segue: "l'esposizione del ricorrente, mai - si ribadisce - diretta, ossia dovuta ad attiva partecipazione a lavorazioni immissive, è da ritenere in via esclusiva "indiretta" e "accidentale", ossia dovuta all'immissione di fibre di asbesto da parte di lavorazioni svolte all'interno dell'ambiente di lavoro da altri addetti e a una certa distanza dal soggetto, e al c.d. fondo espositivo, ossia al cronico inquinamento determinato dalle lavorazioni amiantifere, dalla struttura del capannone (copertura e coibentazioni) e dalla re-immissione nel medium di fibre precedentemente depositate sui calpestìi e sulle attrezzature a causa di correnti d'aria e altri fattori di c.d. "disturbo" (vibrazioni, urti, ecc). Le fonti immissive indicate nel precedente paragrafo sostanziano livelli espositivi così stimabili: - Maneggio di coperte in tessuto di amianto, accreditato dalla banca dati INAIL "Amyant" fonte: Med. Lav. 78:293, 1987), per analogia con "manipolazione di sacchi riciclati in amianto", di immissione diretta di asbesto nell'ordine di 0,8 ff/ml.; - Pulizia con aria compressa di manufatti, utensili, postazioni di lavoro accreditato fonte: Rilevazioni della concentrazione di fibre di asbesto aerosdisperse presso la "franco Tosi, Istituto di Igiene dell'Università di Pavia, Pavia, 1976-1977) di capacità immissiva nell'ordine delle 2 ff/ml (assunto prudentemente un valore pari ad della concentrazione riferita dalla fonte, Nda); - Guanti in tessuto di amianto, accreditati dalla banca dati INAIL "Amyant" fonte: Berufgenossenschaften) di capacità immissiva diretta nell'ordine di 1 ff/ml.; - Contributo espositivo (accidentale) di "eternit" ammalorato in copertura, accreditarle di concentrazioni immissive nell'ordine delle 0,04 ff/ml fonte: "Amianto: Rischi, controllo e prevenzione" di Lo. 1993, in (...), Quaderni di Medicina Legale del lavoro. Supplemento al Notiziario INCA n. 2/2007) operanti per l'intera durata del turno di lavoro... Ciò premesso, è verosimile che il de cuius, per almeno un'ora al giorno (secondo il c.d. "worst case" rappresentato dalla testimonianza dell'ex dipendente, Sig. Cr.), fra il 1965 e il 1990 abbia sopportato una concentrazione inalatoria media annuale, sulle otto ore, determinata come segue...

 

1. Esposizione indiretta e accidentale ad amianto sopportata dal de cuius, fra il 1965 e il 1990, a causa delle seguenti fonti immissive: - Maneggio di coperte in tessuto di amianto: 0.8 ff/ml per 1/8 turno (da "pochi minuti al giorno" ad un'ora) F = 0,8 ff/ml T = 1/8 x 8 x 240 = 240 h/anno 0,8 x 675 x 5,21 x 10-4 = 0,1 ff/ml - Utilizzo di aria compressa: 2 ff/ml per 1/8 di turno F = 2 ff/ml T = 1/8 x 8 x 240 = 240 h/anno 2 x 240 x 5,21 x 10-4 = 0,25 ff/ml - Impiego di guanti in tessuto di asbesto: 1 ff/ml per 1/8 di turno F = 1 ff/ml T = 1/8 x 7,5 x 240 = 240 h/anno 1 x 240 x 5,21 x 104 = 0,12 ff/ml - Contributo al fondo espositivo della copertura in "eternit" e delle coibentazioni in silasbesto: 0,04 ff/ml per 8 h/die. F = 0,04 ff/ml T = 8/8 x 8 x 240 = 1920 h/anno 0.04 x 1920 x 5,21 x 10-4 = 0,04 ff/ml.

 

La concentratone espositiva cumulativa media annua su otto ore, nel il periodo 1965-1990, ammonta dunque a non meno di: (0,1 + 0,25 + 0,12)/2 + 0,04 = 0,23 ff/ml = 230 ff/l".

 

Ha concluso, quindi, che "il de cuius, nello svolgimento delle proprie mansioni lavorative presso i siti della Ditta F.B. S.p.A. di Milano e Terno d'Isola (BG) risulta aver sopportato quotidianamente, e per un periodo di circa 26 anni (1965 - 1990), una concentratone inalatoria media annua di amianto aerodisperso non inferiore alle 230 ff/l, ossia eccedente di quasi un ordine di grandezza la "dose" - 25 ff/l - ritenuta idonea, (e perciò detta "killer"), anche per esposizioni di pochi giorni o settimane, alla promozione del meccanismo di cancerogenesi alla base della malattia "mesotelioma pleurico". In assenza di altra causa idonea adeguatamente documentata, posta la circostanza accreditata da Registro Mesoteliomi Lombardia di vari decessi per la medesima affezione fra gli addetti della citata ditta, considerato il soddisfacimento del criterio di riferimento etiologico integrato dall'adeguato periodo di latenza fra esposizione ed esordio di malattia (circa 40 anni), appreso della pacifica ammissione di esposizione ad amianto degli addetti della Hu. a non meno di 100 ff/l da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale attraverso l'atto di indirizzo del 15 gennaio 2001 e valutata l'irrilevanza delle argomentazioni addotte del resistente Istituto, in capo al quale - si ribadisce - è posto l'onere (non assolto nella circostanza) di provare l'assenza di nesso di causa fra danno biologico e attività lavorativa dell'assicurato peri casi, come quello di specie, di malattia "tabellata", è opinione dello scrivente che gli elementi tecnici disponibili integrino, in assenza (verificata presso l'UOPSAL) di rilievi compiuti nell'ambiente di lavoro, il carattere di concordanza, precisione e gravità richiesto dall'ill.mo Committente per definire, con riferimento all'attuale orientamento della Giurisprudenza di legittimità in tema di nesso causale (Cass. sez - un. 11/01/2008, n. 581, Nda), senz'altro "più probabile che no" il nesso di causa fra esposizione professionale ad amianto e il mesotelioma pleurico a cui è riferibile il decesso del Sig. It.".

 

A seguito delle osservazioni formulate dalla parte convenuta, infine, il Consulente ha precisato: "in conclusione, si ribadisce che il de cuius, nello svolgimento delle proprie mansioni lavorative presso i siti della Ditta F.B. S.p.A. di Milano e Terno d'Isola (BG) risulta aver sopportato quotidianamente, e per un periodo di circa 26 anni (1965 - 1990), una; concentrazione inalatoria media annua di amianto aerodisperso non inferiore alle 230 ff/l, ossia eccedente di quasi un ordine di grandetti la "dose" - 25 ff/l - ritenuta idonea, (e perciò detta "killer"), anche per esposizioni di pochi giorni o settimane, alla promozione del meccanismo di cancerogenesi alla base della malattia "mesotelioma pleurico". In assenza di altra causa idonea adeguatamente documentata, posta la circostanza accreditata dal Registro Mesoteliomi Lombardia di vari decessi per la medesima affezione fra gli addetti della citata ditta, considerato il soddisfacimento del criterio di riferimento etiologico integrato dall'adeguato periodo di latenza fra esposizione ed esordio di malattia (circa 40 anni), appreso della pacifica ammissione di esposizione ad amianto degli addetti della Hu. a non meno di 100 ff/l da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale attraverso l'atto di indirizzo del 15 gennaio 2001, è opinione dello scrivente che gli elementi tecnici disponibili integrino, in assenza (verificata presso l'UOPSAL, nda) di rilievi compiuti nell'ambiente di lavoro, il carattere di concordanza, precisione e gravità richiesto dall'ill.mo Committente per definire, con riferimento all'attuale orientamento della Giurisprudenza di legittimità in tema di nesso causale (Cass. se - un. 11/01/2008, n. 581, Nda), senz'altro "più probabile che no" il nesso di causa fra esposizione professionale ad amianto e il mesotelioma pleurico a cui è riferibile il decesso del Sig. It.Ri.".

 

Risulta pertanto accertata l'esistenza di un nesso di causalità tra l'attività lavorativa svolta da It.Ri. e il mesotelioma pleurico che gli è stato diagnosticato nel 2008 e che ne ha determinato il decesso nel 2010.

 

Orbene, l'art. 85 T.U. 1124/1965 prevede che "se l'infortunio ha per conseguenza la morte, spetta a favore dei superstiti sottoindicati una rendita nella misura di cui ai numeri seguenti, ragguagliata al cento per cento della retribuzione calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120:

 

1) il cinquanta per cento al coniuge superstite fino alla morte o a nuovo matrimonio; in questo secondo caso è corrisposta la somma pari a tre annualità di rendita... Oltre alle rendite di cui sopra è corrisposto una volta tanto un assegno di Lire un milione al coniuge superstite, o, in mancanza, ai figli, o, in mancanza di questi, agli ascendenti, o, in mancanza di questi, ultimi, ai fratelli e sorelle, aventi rispettivamente i requisiti di cui ai precedenti numeri 2), 3) e 4). Qualora non esistano i superstiti predetti, l'assegno è corrisposto a chiunque dimostri di aver sostenuto spese in occasione della morte del lavoratore nella misura corrispondente alla spesa sostenuta, entro il limite massimo dell'importo previsto per i superstiti aventi diritto a rendita...".

 

L'art. 105 stabilisce che, "nel caso in cui l'infortunio abbia causato la morte, i superstiti ai sensi dell'art. 85 debbono presentare all'Istituto assicuratore gli atti e i documenti comprovanti il loro diritto. L'Istituto assicuratore, accertata l'indennizzabilità del caso ai termini del presente titolo, provvede alla liquidatone delle rendite di cui allo stesso art. 85. Le rendite ai superstiti decorrono dal giorno successivo a quello della morte. In caso di opposizione al rifiuto di corrispondere la rendita o qualora sorga contestatone sulla misura di essa, si applicano le disposizioni dell'articolo precedenti.

 

Ne consegue che la domanda, così come precisata all'udienza del 28 marzo 2012, è fondata e deve essere accolta.

 

In particolare, INAIL deve essere condannato a corrispondere a Albina Maria C. la rendita ai superstiti prevista dall'art. 85 T.U. 1124/1965, a decorrere dal primo giorno successivo a quello della morte del coniuge come stabilito all'art. 105 T.U. 1124/1965, oltre interessi e rivalutazione come per legge.

 

La condanna al pagamento delle spese di lite segue la soccombenza e, pertanto, INAIL deve essere condannato al pagamento delle stesse nella misura liquidata in dispositivo, con distrazione a favore dell'avv. Ga.

 

A carico dell'Ente Assicurativo, inoltre, deve essere definitivamente posto il compenso del CTU, dott. Al., liquidato nella misura di cui al dispositivo.

 

La sentenza è provvisoriamente esecutiva ex art. 431 c.p.c.

 

Stante la complessità della controversia, visto l'art. 429 c.p.c., si riserva la motivazione a 5 giorni.

 

P.Q.M.

 

 

Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando,

 

accerta e dichiara l'esistenza di un nesso di causalità tra l'attività lavorativa svolta da It.Ri. e il mesotelioma pleurico che gli è stato diagnosticato e ne ha determinato il decesso.

 

Conseguentemente, condanna INAIL a corrispondere ad Al. la rendita ai superstiti prevista dall'art. 85 T.U. 1124/1965, a decorrere dal primo giorno successivo a quello della morte del coniuge come stabilito all'art. 105 T.U. 1124/1965, oltre interessi e rivalutazione come per legge.

 

Condanna INAIL alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre I.V.A. e C.P.A. da distrarsi a favore dell'avv. Ga.

 

Pone definitivamente a carico di INAIL il compenso del C.T.U., dott. Al., che liquida in complessivi Euro 500,00 oltre I.V.A.

 

Sentenza provvisoriamente esecutiva.

 

Riserva a 5 giorni il deposito da motivazione.