Obblighi e responsabilità degli enti gestori delle strade - Morte di tre persone in seguito ad incidente stradale verificatosi a seguito dei lavori di ripristino di una ss. - Responsabilità del legale rappresentante dell'impresa appaltatrice per non aver istituito il senso unico alternato durante i lavori e per aver apposto la segnaletica in modo incongruo - Responsabilità del dipendente ANAS direttore dei lavori per non aver sorvagliato l'operato dell'appaltatore - La Corte conclude che l'istituzione del senso unico alternato avrebbe certamente evitato l'evento - Sussiste

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Campanato Graziana - Presidente -
Dott. Brusco Carlo Giusep - Consigliere -
Dott. Romis Vincenzo - Consigliere -
Dott. Foti Giacomo - Consigliere -
Dott. Bricchetti Renato - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:
s e n t e n z a
sul ricorso proposto da:
1) B.D. N. IL (omissis);
avverso sentenza del 13/05/2003 Corte Appello di Brescia;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Brusco Carlo Giuseppe;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Iannelli Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Lo Giudice Vincenzo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
La Corte:
F a t t o   e   D i r i t t o


1) Il Tribunale di Mantova, con sentenza 6 ottobre 1999, ha dichiarato C.F. e B.D. colpevoli del reato di omicidio colposo plurimo in danno di D.C., F. S. e E.D.K. deceduti a seguito di un incidente stradale verificatosi in (omissis) e li ha condannati alla pena ritenuta di giustizia. Il primo giudice ha accertato in fatto che, essendosi verificata una frana nei pressi della ss. (omissis) in direzione (omissis), l'ANAS aveva affidato i lavori di ripristino alla s.a.s. CECCHIN di cui era legale rappresentante C.F.. I lavori di ripristino avevano richiesto il restringimento della carreggiata per circa 60 cm. per ogni direzione di marcia.
L'incidente si era verificato (secondo la ricostruzione del primo giudice poi condivisa da quello d'appello) perchè l'autovettura condotta dalla D., con a bordo le altre due persone poi decedute, era finita con il pneumatico anteriore destro in un avvallamento presente fuori della sede stradale; la conducente aveva sterzato verso sinistra perdendo il controllo del veicolo, invadendo l'opposta semicarreggiata e andando ad urtare frontalmente contro un autocarro che proveniva dalla direzione opposta.
A C. era stato addebitato, tra l'altro, di non aver istituito, nel tratto di strada in questione, il senso unico alternato come sarebbe stato reso necessario dalla larghezza della carreggiata dopo il restringimento effettuato ed inoltre di aver apposto la segnaletica in modo incongruo (il segnale di dare la precedenza nei sensi unici alternati era successiva al restringimento).
B.D., dipendente ANAS e direttore dei lavori, è stato invece ritenuto responsabile dell'incidente per non aver sorvegliato l'operato di C. intervenendo opportunamente e in particolare dando le necessarie disposizioni a C. di istituire il senso unico alternato.
2) La Corte d'Appello di Brescia, con la sentenza 13 maggio 2003 oggi impugnata, ha confermato l'affermazione di responsabilità degli imputati in ordine al reato loro contestato.
La Corte di merito ha escluso che altri addebiti, pur presenti, fossero da porre in rapporto causale con l'evento; invece ha ritenuto causalmente collegata all'evento la mancata istituzione del senso unico alternato nel tratto precedente il punto in cui si verificò l'incidente nonchè l'apposizione del segnale riguardante l'obbligo di dare la precedenza nei sensi unici alternati dopo e non prima del restringimento della carreggiata. Ha ricollegato l'obbligo di istituire il senso unico alternato alla circostanza che la larghezza utile della strada risultava inferiore alla misura minima prevista dal regolamento del codice della strada.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto la violazione in rapporto causale con l'evento perchè la conducente dell'autovettura, anche per l'eccessiva velocità tenuta, si era trovata, all'uscita di una curva, dinanzi ad un improvviso restringimento della carreggiata proprio mentre sopraggiungeva l'autocarro e, accostandosi eccessivamente al margine destro della strada, era finita nell'avvallamento.
Per quanto riguarda in particolare la posizione di B. la Corte bresciana ha ritenuto infondata la censura secondo cui, per la sua posizione apicale, l'imputato era tenuto ad intervenire solo quando gli fossero stati segnalati inconvenienti rilevando che egli si era comunque ingerito nell'attività di C. proprio sul tema dell'apposizione della segnaletica.
All'esito la Corte ha però ritenuto che le attenuanti generiche, già concesse con criterio di equivalenza dal primo giudice, potessero essere ritenute prevalenti e ha pertanto dichiarato estinto per prescrizione il reato addebitato ad entrambi gli imputati.
3) Contro la sentenza d'appello ha proposto ricorso il solo B. D. il quale ha dedotto i seguenti motivi di censura:
- l'erronea applicazione degli artt. 40, 41, 42 e 589 cod. pen., nonchè il vizio di motivazione, perchè i giudici di merito, pur dando atto dell'esistenza di fattori concausali dell'evento (in particolare l'eccessiva velocità tenuta dalla conducente dell'autovettura e la parziale invasione della mezzeria percorsa da quest'ultima da parte del conducente dell'autocarro) li avrebbe poi espunti dall'analisi delle cause dell'evento. Inoltre la Corte di merito non avrebbe considerato che senza l'eccessiva velocità l'evento non si sarebbe verificato e che nessun effetto impeditivo avrebbe avuto l'azione asseritamene omessa. Insomma, si afferma testualmente nel ricorso, "la velocità dei due mezzi si inserisce in modo eccezionale, atipico ed imprevedibile nella serie causale spezzando il nesso di condizionamento tra l'asserita omissione ascrivibile all'ing. B. e il decesso degli occupanti l'autovettura";
- il medesimo vizio con riferimento alla attribuzione al ricorrente di una posizione di garanzia volta ad evitare il verificarsi di incidenti del tipo di quello in esame; nel ricorso si sottolinea che il profilo funzionale dell'imputato prevede esclusivamente un obbligo di intervento "su segnalazione" delle figure professionali intermedie. Si precisa, nel motivo di ricorso, che la qualifica di direttore dei lavori per quanto riguarda l'Anas "ha un valore puramente convenzionale anche perchè la responsabilità della prevenzione, nel contratto di appalto, grava interamente sull'appaltatore.
Il ricorrente ha poi proposto un motivo nuovo di ricorso con il quale si denunzia la contraddittorietà della sentenza impugnata perchè avrebbe ritenuto che lo scontro tra i due veicoli fosse da addebitare al restringimento della carreggiata e non allo sbandamento dell'autovettura avvenuto precedentemente.
E' stato infine dal ricorrente proposto altro motivo nuovo, ai sensi della norma transitoria contenuta nella L. n. 46 del 2006, art. 10, comma 5, con il quale vengono ulteriormente sviluppate le censure formulate in particolare per quanto riguarda l'interruzione del rapporto di causalità.
4) Va premesso che nel presente processo non può più ritenersi presente la parte civile non tanto perchè il difensore della medesima non si è presentato all'udienza tenuta davanti a questa Corte bensì perchè, già nel giudizio di appello, la parte civile non ha presentato le sue conclusioni.
Deve dunque ritenersi che il ricorso sia stato proposto esclusivamente ai fini penali onde far prevalere la formula assolutoria di merito su quella di estinzione del reato applicata dal secondo giudice invocando quindi (peraltro implicitamente) il disposto dell'art. 129 c.p.p., comma 2.
Com'è noto il presupposto per l'applicazione della norma indicata è costituito dall'evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato. In questo caso la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunziare la relativa sentenza. I presupposti per l'immediato proscioglimento (l'inesistenza del fatto, l'irrilevanza penale, il non averlo l'imputato commesso) devono però risultare dagli atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale.
In presenza di una causa estintiva del reato non è quindi più applicabile la regola probatoria, prevista dall'art. 530 c.p.p., comma 2, da adottare quando il giudizio sfoci nel suo esito ordinario, ma è necessario che emerga "positivamente" dagli atti, e senza necessità di ulteriori accertamenti, la prova dell'innocenza dell'imputato (cfr. Cass., sez. 5^, 2 dicembre 1997 n. 1460, Fratucello; sez. 1^, 30 giugno 1993 n. 8859, Mussone). E' stato affermato che, in questi casi, il giudice procede, più che ad un "apprezzamento", ad una "constatazione" (Cass., sez. 6^, 18 novembre 2003 n. 48527, Tesserin; 3 novembre 2003 n. 48524, Gencarelli; 25 marzo 1999 n. 3945, Di Pinto; 25 novembre 1998 n. 12320, Maccan).
Da ciò consegue altresì che non è consentito al giudice di applicare l'art. 129 c.p.p. in casi di incertezza probatoria o di contraddittorietà degli elementi di prova acquisiti al processo anche se, in tali casi, ben potrebbe pervenirsi all'assoluzione dell'imputato per avere, il quadro probatorio, caratteristiche di ambivalenza probatoria.
Coerente con questa impostazione è anche la uniforme giurisprudenza di legittimità che, fondandosi anche sull'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, esclude che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre all'annullamento con rinvio, possa essere rilevato dal giudice di legittimità che, in questi casi, deve invece dichiarare l'estinzione del reato (cfr. la citata sentenza Maccan della 5^ sezione ed inoltre sez. I, 7 luglio 1994 n. 10822, Boiani).
5) La fattispecie in esame si caratterizza proprio per la totale mancanza dei ricordati presupposti per l'assoluzione dell'imputato nel merito.
La sentenza impugnata ha infatti analiticamente (anche se implicitamente perchè la motivazione è diretta a dimostrare l'esistenza della responsabilità ai fini penali) esaminato le ragioni che non consentivano di pervenire a questa conclusione (evidenza della prova dell'innocenza) rilevando come fosse da ritenere accertata la responsabilità penale di entrambi gli imputati.
Contro la sentenza di secondo grado sono state proposte le censure in precedenza riassunte ma va intanto osservato che, per le ragioni già esposte, sono da ritenere inammissibili nel giudizio di legittimità le censure proposte sotto il profilo del vizio di motivazione.
Ma va rilevato che anche quelle con cui si deduce la violazione delle norme in precedenza indicate sono infondate. E' in particolare infondata la censura che si riferisce all'efficienza concausale della condotta della conducente dell'autoveicolo.
Il ricorrente, essendo consapevole che, per il principio dell'equivalenza delle cause, l'esistenza di condotte colpose di terzi non è idonea ad escludere la responsabilità dell'agente fa riferimento all'interruzione del rapporto di causalità che sarebbe avvenuta per la natura eccezionale, atipica ed imprevedibile della condotta dei due conducenti con riferimento alla eccessiva velocità da entrambi tenuta.
In definitiva il ricorrente richiama il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. Su questo punto si osserva che sono noti i termini del pluridecennale dibattito svoltosi sull'interpretazione da dare all'art. 41 c.p., comma 2;
norma il cui scopo, secondo l'opinione maggiormente seguita, è quello di temperare il rigore derivante dalla meccanica applicazione del principio generale contenuto nel primo comma dell'art. 41 c.p. in esame che si ritiene abbia accolto il principio condizionalistico o dell'equivalenza delle cause ("condicio sine qua non").
E' stato affermato in dottrina che se il secondo comma in esame venisse interpretato nel senso che il rapporto di causalità dovesse ritenersi escluso solo nel caso di un processo causale del tutto autonomo verosimilmente si tratterebbe di una disposizione inutile perchè, in questi casi, all'esclusione si perverrebbe anche con l'applicazione del principio condizionalistico. Deve pertanto trattarsi, secondo questo orientamento, di un processo non completamente avulso dall'antecedente ma caratterizzato - a seconda delle varie teorie della causalità (che in realtà su questo tema non divergono significativamente; salvo forse la teoria della "causalità adeguata") - da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta.
E' noto l'esempio riportato nella relazione ministeriale al codice penale: l'agente ha posto in essere un antecedente dell'evento (ha ferito la persona offesa) ma la morte è stata determinata dall'incendio dell'ospedale nel quale il ferito era stato ricoverato.
Il che, appunto, non solo non costituisce il percorso causale tipico (come, per es., il decesso nel caso di gravi ferite riportate a seguito del ferimento) ma realizza una linea di sviluppo della condotta del tutto anomala, imprevedibile in astratto e imprevedibile per l'agente che non può anticipatamente rappresentarla come conseguente alla sua azione od omissione (quest'ultimo versante riguarda l'elemento soggettivo ma il problema, dal punto di vista dell'elemento oggettivo del reato, si pone in termini analoghi).
Questa elaborazione del concetto di causa sopravvenuta è stata, in più occasioni, ribadita anche dalla giurisprudenza di legittimità (cons., tra le numerose altre, Cass., sez. 1^, 10 giugno 1998 n. 11024, Ceraudo; 12 novembre 1997 n. 11124, Insirello; sez. 4^, 21 ottobre 1997 n. 10760, Lini; 19 dicembre 1996 n. 578, Fundarò; 6 dicembre 1990 n. 4793, Bonetti; 12 luglio 1990 n. 12048, Gotta) ed è stata sostanzialmente accolta dal progetto di riforma elaborato dalla commissione di riforma del codice penale secondo cui "L'imputazione dell'evento è comunque esclusa quando esso costituisce conseguenza eccezionale dell'azione o dell'omissione" (art. 13, comma 4).
In base ai principi affermati da dottrina e giurisprudenza sull'efficacia della causa sopravvenuta per ritenere esistente il rapporto di causalità come potrebbe dunque escludersi tale efficacia nel caso di un comportamento colposo che abbia creato i presupposti per il verificarsi dell'evento dannoso e sul quale non siano intervenute modifiche rilevanti per eliminare le situazioni di pericolo che questo comportamento aveva creato o esaltato? Alla luce di quanto precede evidente è l'erroneità della tesi sostenuta dal ricorrente: l'eccesso di velocità (che peraltro, secondo i giudici di merito, riguardava solo l'autovettura e non l'autocarro) non solo non costituisce comportamento atipico eccezionale ma è addirittura caratterizzato da regolare continuità e da assoluta prevedibilità e nelle condotte necessarie per adempiere all'obbligo di adottare le cautele necessarie, nel caso di lavori stradali, si deve tener conto proprio di questa frequentissima violazione delle regole di condotta da parte dei conducenti dei veicoli segnalando le situazioni di pericolo con la massima evidenza possibile.
Ineccepibile è dunque la valutazione dei giudici di merito secondo i quali l'istituzione (obbligatoria per le caratteristiche del restringimento) del senso unico alternato avrebbe certamente evitato l'evento perchè avrebbe segnalato tempestivamente la situazione di pericolo e impedito ad uno dei due veicoli di procedere. La sentenza impugnata precisa anche che il restringimento si trovava subito dopo una curva: di qui un aggravamento dell'obbligo prevenzionale di segnalazione.
Infondate sono dunque anche le censure che si riferiscono all'efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito perchè solo un'ipotetica e congetturale inosservanza (da parte di entrambi i conducenti) della cautela omessa avrebbe potuto consentire che l'incidente si verificasse ugualmente. Ma si tratterebbe comunque di un percorso causale diverso che non può valere ad escludere il nesso di condizionamento con l'evento in concreto verificatosi.
6) Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso. Le censure rivolte alla sentenza impugnata sotto il profilo dell'esistenza di una posizione di garanzia si fondano infatti su sulla considerazione che l'attribuzione della qualifica di "direttore dei lavori" avrebbe un valore meramente convenzionale ma trattasi di affermazione del tutto indimostrata e comunque contrastante con l'accertamento di fatto incensurabilmente compiuto dai giudici di merito secondo i quali la qualifica corrispondeva alle funzioni attribuite.
Decisiva in ogni caso è l'affermazione, non contestata dal ricorrente, dell'esistenza di una ingerenza dell'imputato proprio nella sistemazione della segnaletica nel luogo dei lavori di cui trattasi.
6) Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere rigettato. Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.  Q.  M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2007