Cassazione Penale, Sez. 4, 24 settembre 2018, n. 40921 - Infortunio mortale dell'operaio privo di qualsiasi imbragatura di sicurezza. Ruolo di un responsabile dei lavori rispetto ad un CSE


 

 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 09/05/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 21 giugno 2017 la Corte di Appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Brescia, mandando assolta la SI.G.MA s.r.l. dall'illecito amministrativo contestatogli, con la formula "perché il fatto non sussiste" e confermando la penale responsabilità di M.G. in ordine al reato di cui 589 comma secondo cod. pen.- con riduzione della pena inflitta e concessione del beneficio della non menzione- per avere, in qualità di responsabile dei lavori di ristrutturazione di recupero di un opificio industriale, nonché in qualità di amministratore unico della SI.G.MA. STUDIO s.r.l., con colpa consistita in negligenza, in imprudenza ed imperizia e nella violazione di norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, cagionato la morte di G.B., non provvedendo alla verifica dell'adempimento da parte C.S.E. N.G. degli obblighi a lui riconducibili.
2. Il fatto materiale, come risultante dalle sentenze di merito, può essere così riassunto G.B., operaio esperto della Carpenser s.r.l., nell'atto di provvedere con il collega P. alla posa in opera di lucernai- presso un cantiere di proprietà della Bi-Fin s.p.a., che aveva stipulato con la Si.g.ma Studio un contratto relativo alla direzione dei lavori, all'attribuzione del ruolo di responsabile dei lavori ed a quello di coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori- resosi conto che l'allineamento dei pannelli non era corretto, mentre il P., che indossava regolarmente la imbragatura di sicurezza, si allontanava per prendere l'ultimo pannello da montare, provvedeva a svitare i pannelli montati in precedenza, fissati solo con le viti sulla trave del colmo, quando svitata l'ultima vite del pannello su cui poggiava i piedi, precipitava nel vuoto, per 6,8 metri, riportando lesioni che lo conducevano alla morte. Il G.B. non indossava alcun presidio di sicurezza individuale, fatta eccezione per i guanti, pur essendo le imbragature della Carpenser presenti in cantiere. Non risultava posta in essere, al momento del sinistro, alcuna misura collettiva di cautela per evitare cadute dall'alto, anche perché le protezioni dei lucernai, costituite da una rete elettrosaldata e dal cellophane, erano state rimosse la mattina stessa dalla Baglioni Costruzioni, che aveva agito sull'opera in precedenza, in quanto proprietaria dei presidi. La Carpenser aveva cominciato ad operare in cantiere prima dell'approvazione del P.O.S., consegnato tre giorni prima a M.G. che lo aveva inviato il giorno successivo a N.G. C.S.E., per l'approvazione.
3. La sentenza della Corte territoriale, rigettando l'appello proposto da M.G., cui ha riconosciuto di fatto la qualità di responsabile dei lavori, da un lato, ha confermato, la sussistenza della colpa specifica consistita nell'omessa verifica dell'operato del C.S.E., N.G., dal medesimo nominato, in ordine alla completezza del P.S.C. (piano per la sicurezza ed il coordinamento), redatto dal medesimo N.G. e nell'omesso controllo del rispetto delle prescrizioni ivi contenute da parte delle imprese, con assunzione diretta della relativa posizione di garanzia. Dall'altro, ha escluso l'impossibilità di M.G. di intervenire tempestivamente, per non essere stato previsto, per quella giornata, l'ingresso in cantiere della Carpenser, programmato solo nelle settimane successive. In particolare, la sentenza ha ritenuto provato che in altre già occasioni si fosse verificato l'ingresso e l'inizio di attività in cantiere da parte di imprese che non avevano ancora consegnato il P.O.S., sicché la circostanza era largamente prevedibile. Parimenti, conformemente a quanto affermato con la sentenza gravata in quella sede, ha reputato che la mancata specificità del P.S.C. non consentisse alle imprese l'individuazione univoca delle misure a loro destinate, rendendone così difficile l'applicazione. E ciò, perché il piano di coordinamento non rispecchiava la realtà del cantiere, tanto che il ricorso alle cinture di sicurezza era previsto aspecificamente per l'ipotesi in cui difettassero altre misure. Ancora, la Corte ha giudicato infondato il motivo di appello relativo all'omessa considerazione delle risultanze probatorie favorevoli alla difesa, relative segnatamente alle dichiarazioni del teste P.. Costui, infatti, aveva riferito che la persona offesa lavorava senza utilizzare i presidi di sicurezza sotto la direzione del D'O., responsabile capocantiere per la Carpenser, cui doveva, secondo la difesa, addebitarsi un comportamento idoneo ad interrompere il nesso di causalità fra la condotta attribuita a M.G. e l'evento, avendo egli autonomamente consentito la violazione. Il collegio, infine, ha evidenziato come, proprio la mattina del sinistro, fossero state rimosse in cantiere le protezioni collettive (reti di protezione anticaduta) precedentemente utilizzate per consentire l'esecuzione dei lavori sui lucernari, senza che fosse approntata alcuna altra misura collettiva, quale per esempio, un ponteggio oppure un piano assistito di protezione. Se, invece, dette protezioni collettive fossero state opportunamente collocate, ancorché privo di strumenti di protezione individuali (peraltro inidonei a lavorare nella zona sud del lucernaio secondo il consulente tecnico del pubblico ministero), il G.B. non sarebbe deceduto. Il mancato coordinamento dell'esecuzione dei lavori, quindi, è stato ritenuto evidente dalla Corte, essendo state rimosse le protezioni collettive proprio il giorno dell'ingresso in cantiere della Carpenser, senza alcun nuovo allestimento avente funzione protettiva. Infine, la sentenza di secondo grado, ha rigettato l'ultima censura relativa all'effetto interruttivo della condotta del geom. M., capocantiere che consentì l'ingresso della Carpenser, rilevando, da un lato, che il M. non era capocantiere generale, ma solo dell'impresa Baglioni Costruzioni, e dunque non poteva assumere alcuna posizione di garanzia nei confronti dei dipendenti della Carpenser, dall'altro, che il M. era un semplice consulente esterno dell'impresa Baglioni che aveva avvertito, circa una settimana prima, il Ma., dipendente della Baglioni s.r.l., che sarebbero arrivati i serramentisti della Carpenser e che lui avrebbe dovuto aiutarli. Il M., infatti, faceva da tramite fra le imprese che entravano in cantiere e la committenza, al fine indicare il da farsi ai dipendenti della Baglioni. Non essendovi alcun rapporto fra la Carpenser e la Baglioni, in assenza di contratti fra le due società, la decisione in ordine all'ingresso della Carpenser in cantiere doveva esser fatta risalire, secondo la Corte, alla committenza, e quindi al responsabile dei lavori, anche perché la Baglioni in quell'occasione si occupò solo di sgomberare le protezioni da lei piazzate, al fine di consentire un più agevole scarico del materiale necessario alla Carpenser. Sulla base di queste considerazioni la sentenza di appello esclude l'assunzione da parte del M. del ruolo di capocantiere di fatto, e quindi reputa insussistente l'interruzione del nesso di causalità fra la condotta di M.G. e l'evento.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia propone ricorso M.G. affidandolo a tre distinti motivi..
5. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett.re b) ed e) la violazione della legge penale, con riferimento agli artt. 589, comma 5A cod. pen., 89, comma IA lett. c) d.lgs 81/2008, 90 e 91 comma Ia, 92 comma 1 d.lgs 81/2008, nonché il vizio di motivazione per travisamento della prova. Assume che l'affermata sussistenza della colpa specifica consistita nell'omessa verifica dell'adempimento degli obblighi incombenti sul coordinatore per la sicurezza in fase di esercizio (C.S.E.), N.G., relativi al controllo della completezza del piano di sicurezza e coordinamento (P.S.C.), ed alla verifica delle disposizioni ivi contenute, é contraddetta da numerose circostanze. Osserva come sia stato smentito in giudizio l'assunto secondo cui, non avendo individuato la genericità delle prescrizioni dettate per fronteggiare i rischi di cadute dall'alto e di quelle relative al mancato coordinamento delle imprese, egli avrebbe assunto su di sé la responsabilità dell'omessa vigilanza. In primo luogo, come dimostrato con il rapporto di cantiere del 8 giugno 2011, il P.S.C., già oggetto di verifica su iniziativa della A.S.L., proprio con riferimento alla protezione dei lucernari era stato integrato (mediante la posa di rete elettrosaldata) con la conseguenza che la correttezza del piano era stata positivamente valutata, precedentemente il sinistro. In secondo luogo, il rischio di caduta dall'alto era regolato dal piano di sicurezza e coordinamento predisposto, peraltro, del responsabile dei lavori, N.G.. Ivi si prevedeva, infatti, che "quando i lavori si svolgono sulle coperture o in presenza di aperture manca di ponteggi esterni o i parapetti sulle zone che prospettano i vuoti, il fabbro deve indossare la cintura di sicurezza la cui fune di trattenuta deve essere vincolata sostegno sicuramente stabile e la cui lunghezza deve impedire la caduta per oltre un metro e mezzo". In terzo luogo, l'ingresso in cantiere della Carpenser era programmato per la terza settimana di ottobre, come parimenti documentato nel processo. In quarto luogo, il P.O.S. della Carpenser era stato ricevuto da M.G. il 9 ottobre 2012 e trasmesso il giorno successivo al C.S.E., il quale, nel momento in cui, di fatto, la Carpenser entrò in cantiere non aveva ancora espresso il suo parere. Infine, perché il responsabile per la sicurezza, M.G., non poteva sapere, come infatti non seppe, che la Carpenser il giorno 12 ottobre fosse entrata in cantiere. Pacifico, dunque, che da tutti questi elementi entrambi i giudici di merito avrebbero dovuto trarre l'assoluta imprevedibilità, per M.G., dell'ingresso in cantiere della Carspenser. Al contrario, entrambe le sentenze avevano ritenuto, sulla base delle dichiarazioni del teste V., titolare della ditta Tieci, che l'ingresso in cantiere senza il benestare del responsabile dei lavori o il preventivo controllo del P.O.S. fosse già avvenuto in passato. E ciò, benché il V. non avesse affatto riferito di avere lavorato in cantiere prima della consegna del P.O.S., ma solo di esservi entrato il martedì e di avere consegnato il P.O.S. il giovedì. Parimenti le decisioni, travisando la prova circa l'ingresso di imprese e dell'operatività in cantiere delle medesime, hanno ritenuto di poterla ricavare dalla lettura dei verbali di cantiere ove si riportava la mancanza del P.O.S. da parte della Baglioni e della Effebi. Siffatto documento, invece, seppure idoneo a provare la sussistenza del controllo sulle Imprese, non consentirebbe però di affermare le medesime avessero iniziato i lavori loro affidati prima della consegna del P.O.S.. Peraltro, i giudici omettono di dar rilievo al fatto che il teste V. ha dichiarato che l'ingresso in cantiere di Carpenser non venne concordato con il responsabile dei lavori, cui nessuno riferì nulla, ma direttamente con il B., amministratore unico della Bi-fin s.p.a., committente, e con il figlio di questi, il giorno 8 ottobre. L'incoerenza logica delle sentenze di merito deriva, pertanto, dall'aver ritenuto che fosse costume del responsabile di cantiere far entrare imprese non autorizzate, in assenza di qualsiasi accertamento sul punto, e nell'avere sostenuto che M.G. avesse dato il proprio avvallo all'ingresso della Carpenser in cantiere, benché egli non sapesse né potesse prevedere l'intervento della medesima in cantiere.
6. Con il secondo motivo lamenta ex art. 606, comma 1A lett.re b) ed e) la violazione di legge penale in relazione agli artt. 40, 41, 43, 589 comma 5A cod. pen., nonché agli artt. 101 comma 3A d.lgs. 81/2008 ed agli artt. 125 comma 3A, e 546 comma 1A lett. e) cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione per travisamento della prova. Osserva come la Corte territoriale abbia illogicamente ritenuto la conoscenza in capo a M.G. dell'ingresso in cantiere della Carpenser, nonostante egli nulla sapesse - e la sentenza omettere di motivare sul punto- né potesse immaginare, poiché la normativa impedisce l'inizio dei lavori prima della consegna e dell'approvazione del P.O.S. da parte del C.S.E., e nonostante l'imputato l'avesse regolarmente trasmesso, gravando proprio sul C.S.E. l'onere dell'approvazione entro i successivi quindici giorni. Sicché l'estemporanea e non programmata posa dei lucernai non prevedibile, non poteva essere impedita, con esonero del responsabile dei lavori, M.G. da ogni responsabilità, dovendo l'operatività in cantiere della Carpenser ritenersi interruttiva del nesso causale.
7. Con il terzo motivo fa valere la violazione di legge con riferimento agli artt. 40, 41, 43, 589 comma 5^ cod. pen. ed il vizio di motivazione per illogicità, carenza e travisamento della prova. Ripercorrendo le modalità del sinistro, sottolinea che il G.B., serramentista esperto, quel giorno lavorava senza usare protezioni anticaduta, pur presenti in loco ed utilizzate invece dal P., quando, poggiando i piedi su un pannello mal posizionato -poiché erano state rimosse dallo stesso G.B. le viti che lo assicuravano- al fine di risistemarlo, precipitava nel vuoto con il pannello. Il G.B., dunque, non usava i presidi individuali, pur forniti e utilizzabili, visti i numerosi punti di ancoraggio. E nel procedere alla ricollocazione del pannello, semplicemente appoggiato, violava norme ordinarie regole di prudenza e prevedibiltà, come, d'altro canto, riconosciuto dallo stesso consulente tecnico del pubblico ministero,.
Conclusivamente, quindi, la considerazione della Corte territoriale secondo cui- al di là della genericità del P.S.C.- ciò che rileva è che nessun controllo è stato fatto sul P.O.S. di Carpenser e nessun coordinamento stato realizzato tra le ditte che dovevano intervenire quel giorno in cantiere, è fuorviante ed irrilevante, posto che il controllo del P.O.S. della Carpenser ed il coordinamento fra le imprese è estraneo ai suoi compiti ed il responsabile dei lavori non sapeva, né poteva sapere che la Carpenser avrebbe iniziato a lavorare prima di essere autorizzata e quindi dopo il controllo del P.O.S. da parte del C.S.E.. Inoltre, è chiaro, come affermato in modo del tutto scontato dalla sentenza impugnata, che l'evento avrebbe potuto essere evitato laddove si fossero osservate le misure di protezione individuali e collettive, ma anche questo argomento è di per sé irrilevante perché l'evento si è prodotto in forza di una serie causale di condotte non riferibili all'omessa vigilanza da parte del responsabile dei lavori. Infine, la considerazione della posizione del M., capocantiere della Baglioni, da parte del giudice di appello, in ordine alla decisione sull'ingresso in cantiere della Carpenser, devia il ragionamento, perché è palese che il M. non assumesse alcuna decisione sul punto, potendo solo avvisare dell'ingresso in cantiere da altre ditte, ma in quell'occasione omise di farlo. Conclude affermando che tutte queste circostanze, mal interpretate dalla motivazione della sentenza impugnata, debbono condurre all'annullamento con rinvio della medesima.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso deve trovare accoglimento per le ragioni che seguono.
2. Va, preliminarmente, osservato che le doglianze proposte attengono a due fondamentali questioni. L'una riguarda il contenuto della posizione di garanzia assunta da M.G., l'altra il travisamento della prova circa la conoscenza, o comunque la conoscibilità, da parte del medesimo dell'ingresso e dell'operatività in cantiere della Carpenser s.r.l., prima dell'approvazione del P.O.S., desunta dall'uso - ritenuto dalla sentenza- di consentire l'inizio dei lavori prima delle relative verifiche.
3. Per affrontare le prime due censure che, in quanto strettamente connesse verranno trattate congiuntamente, conviene brevemente richiamare lo stato delle deleghe all'interno del cantiere della Bi. Fin s.p.a., relativo alla messa in opera di un impianto industriale, così come risultante dalla sentenza impugnata, ricordando che la società committente, di cui erano soci oltre alla Capital Investiment Trust s.p.a., A.D. B. e Lucio B. ed amministratore unico Emilio B., stipulò con la Sigma Studio s.p.a., di cui M.G. era amministratore delegato, un contratto per lo svolgimento di una serie di attività fra le quali la direzione dei lavori, l'assunzione del ruolo di responsabile dei lavori e di quello di coordinatore della progettazione e dell'esecuzione. E che la Sigma Studio, a sua volta, nominò N.G. quale coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori. Entrambe le funzioni, seconde le sentenze di merito, sono state assunte di fatto dall'imputato, quella di responsabile dei lavori, in quanto amministratore delegato della Sigma Studio, in forza del contratto stipulato con la Bi.fin. s.p.a. e degli atti e documenti in cui il medesimo si qualifica come tale, quella di C.S.E. in forza del ritenuto inadempimento dell'obbligo di controllo sull'operato di N.G., nominato da M.G., per siffatta funzione.
4. A ben vedere, dunque, la condotta effettivamente addebitata all'imputato consiste esclusivamente nell'omessa vigilanza sull'operato di N.G. C.S.E. e sugli obblighi a lui riconducibili inerenti: a)la mancata verifica sulla predisposizione di idonee prescrizioni specifiche sul rischio di caduta, distinte in in relazione alle lavorazioni poste in essere dalle diverse imprese, nel piano operativo per la sicurezza, sulla cui completezza del quale era suo obbligo vigilare ai sensi dell'art. 93, comma 1A d. lgs. 81/2008; b) omessa verifica del rischio di lavori da parte di più imprese, anche non concomitanti, le cui attività siano suscettibili di sovrapposizione od interferenza; c) l'omessa vigilanza sull'ingresso e sull'operatività in cantiere di imprese, prima della consegna ed approvazione del relativo P.O.S.
5. Ora, la norma che tratteggia i rapporti fra le figure del responsabile dei lavori e quella del coordinatore (per la progettazione e/o) per l'esecuzione dei lavori è contenuta nell'art. 93, secondo comma, d.lgs. 81/2008 che individua la responsabilità del primo nella verifica dell'adempimento, da parte del secondo, degli obblighi di cui agli articoli 91, comma 1, e 92, comma 1, lettere a), b), c) d) ed e).
6. Con riferimento alle attività lavorative svolte in un cantiere edile, dunque, sul responsabile dei lavori gravano tutte le funzioni proprie del datore di lavoro in materia di sicurezza, essendo egli chiamato a svolgere un ruolo di super-controllo consistente, tra l’altro, nella verifica che i coordinatori dei lavori adempiano agli obblighi su loro incombenti. (Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013 - dep. 07/11/2013, Lorenzi e altri, Rv. 25716601), anche tramite "l’esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, (Sez. 4, n. 14012 del 12/02/2015 - dep. 02/04/2015, Zambelli, Rv. 26301401), mentre "il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS. (Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013 - dep. 07/11/2013, Lorenzi e altri, Rv. 25716701).
7. Ebbene, sotto il primo profilo contestato della mancata indicazione di idonee prescrizioni sul rischio di caduta, la sentenza di secondo grado ritenendo che il primo giudice abbia censurato la genericità delle prescrizioni - e non la loro assenza- osserva che la disposizione contenuta nel P.S.C., richiamata con l'atto di appello, non supera il rimprovero di genericità mosso, limitandosi ad introdurre una sorta di norma di chiusura, secondo la quale la cintura di sicurezza, la cui fune trattenuta deve essere stabilmente vincolata così da impedire la caduta per oltre un metro e mezzo, va indossata "quando i lavori si svolgono sulle coperture od in presenza d'aperture e mancano i ponteggi esterni o i parapetti sulle zone che prospettano i vuoti, il fabbro deve indossare la cintura di sicurezza". La disposizione, del tutto aspecifica, infatti, non sarebbe sufficiente al contenimento del rischio. In più, la decisione osserva che seppure il consulente del pubblico ministero abbia ritenuto 'intuitivo' il rischio connesso alla caduta dall'alto, nello svolgimento della concreta attività posta in essere da G.B., che operava poggiando i piedi su pannello non assicurato alla struttura, in quanto dal medesimo svitato, tuttavia, numerose erano le cautele omesse nel caso di specie, relative all'attivazione del meccanismo di reciproca informazione, di notificazione dell'inizio delle operazioni, del mantenimento di protezioni collettive fino all'assunzione di diverse concordate indicazioni. In ogni caso, secondo la Corte, al di là della genericità dei P.S.C., ciò che più conta sarebbe il mancato controllo del P.O.S. di Carpenser, e l'assenza di ogni coordinamento fra l'attività delle imprese che dovevano, in quella giornata intervenire in cantiere.
8. La stessa motivazione, nondimeno, smentisce la fondatezza del rimprovero mosso all'imputato, introducendo degli elementi di incoerenza che tralascia di esaminare.
9. Ed invero, la contestata incompleta normazione dei dispositivi anticaduta da parte del P.S.C. non viene posta a confronto con la modifica del piano, pur menzionata nella decisione, imposta da parte della A.S.L., che aveva evidenziato una serie di difetti, proprio in relazione alia prevenzione dei rischi di caduta dall'alto. Le sentenze, infatti, non affrontano la questione dell'esaustività dell'integrazione del piano di sicurezza e coordinamento, a seguito dell'intervento dell'organo di vigilanza, limitandosi a sottolineare, come già esposto, l'equivocità delle misure previste in relazione alle attività svolte dalle diverse imprese destinatarie, il che avrebbe impedito la concreta prevenzione del rischio. Dunque, si tratterebbe non dell'insufficienza funzionale delle cautele previste, ma della lacunosa verifica degli obblighi inerenti ciascuna singola impresa operante contemporaneamente o successivamente ad un'altra sul medesimo manufatto.
10. Ma, anche in relazione a siffatta ultima obiezione, la motivazione difetta di una disamina degli inadempimenti del responsabile dei lavori, che possa superare la semplice e non dovuta vigilanza da parte sua sul C.S.E. in ordine alle attività quotidiane di cantiere, ivi comprendendosi l'omessa materiale attuazione delle misure anticaduta previste da parte di una singola impresa, o del mancato coordinamento fra le imprese, in una certa occasione. O ancora il rilievo dell'ingresso di un'impresa in assenza di previa verifica del P.O.S. ritenuta manifestazione di consenso, o quantomeno di tolleranza dell'inizio dell'attività prima dell'approvazione, od addirittura della consegna del piano operativo della singola impresa.
11. Quanto appena chiarito in ordine agli obblighi facenti capo al responsabile dei lavori, cui è demandato un onere di super controllo, limita, il suo dovere alla verifica dell'adempimento degli obblighi da parte del C.S.E., cui, tuttavia, non è chiamato a sostituirsi. Mentre quest'ultimo, a sua volta, assume compiti che non coincidono con una sorveglianza quotidiana dello svolgimento dei lavori. Un simile controllo del responsabile dei lavori su un soggetto che a sua volta è tenuto ad un 'alta vigilanza' non trasmoda, dunque, nell'onere di verifica dettagliata e diffusa, sino al particolare, del concreto svolgimento delle attività svolte dalle singole imprese nel cantiere, che non compete neppure al C.S.E., né potrebbe accadere senza trasformare il responsabile di cantiere in una figura diversa, sovrapponibile addirittura a quella del preposto.
12. Al responsabile di cantiere, quindi, competono compiti di verifica- da svolgersi attraverso un controllo eminentemente procedurale- sull'operato del coordinatore per l'esecuzione, rispetto al quale egli è tenuto ad accertare la congruità dell'attività concretamente svolta di governo del controllo delle imprese esecutrici, che, a sua volta, non comporta un intervento quotidiano sulle lavorazioni, ma l'individuazione di momenti cruciali per i quali si imponga il controllo della realizzazione delle attività previste in tema di sicurezza e coordinamento, anche per il tramite dell'opera di coordinamento concreto delle imprese, cui deve accompagnarsi, tuttavia, una periodicità dei controlli rivolta alla verifica sostanziale dell'attuazione delle misure previste che, al di fuori di una modulazione formalistica, si dimostri idonea ad assicurare il controllo sul rispetto delle previsioni del piano di sicurezza.
13. Manca, nondimeno, nella motivazione del provvedimento impugnato un controllo del mancato assolvimento da parte dell'imputato dei compiti propri del responsabile dei lavori, come appena delineati, posto che con l'adeguatezza del P.S.C., come integrato successivamente all'intervento della A.S.L., la sentenza non si confronta, trasferendo sull'imputato le responsabilità del C.S.E., sulla base dell'asserzione dell'omesso controllo sul suo operato, con una sovrapposizione alla sua figura non giustificata.
14. D'altro canto, in ordine alla periodicità dei controlli da parte del C.S.E. la sentenza sottolinea nel periodo febbraio 2011-20 luglio 2012 le verifiche erano state continuative -complessivamente 37- con plurimi interventi mensili (da due a cinque), cui si aggiungevano otto visite effettuate direttamente dal responsabile dei lavori, di cui quattro congiunte con il coordinatore per la sicurezza. Dal complesso di questi interventi erano scaturite ben sei sospensioni dei lavori proprio per carenze di misure protettive contro le cadute dall'alto. L'attività, secondo la sentenza, si era successivamente rarefatta e fra la fine di luglio ed il mese di ottobre (il sinistro è del 12 ottobre 2012) i sopralluoghi del C.S.E. si erano ridotti ad uno ogni due o tre settimane (benché in altra parte della sentenza - pag. 5- si dia atto che il teste MA. ha riferito di controlli bisettimanali di N.G., che 'dava ordini per mettere in sicurezza il cantiere' anche nel periodo del sinistro).
15. Si coglie, dunque, proprio dalla ricostruzione (del Tribunale, richiamata dalla Corte) che, lungi dall'essere omessi, i controlli avevano dato i loro frutti, tanto che la mancanza di attuazione delle misure anticaduta aveva portato alla sospensione delle attività. Non solo, ma il responsabile dei lavori vi aveva provveduto personalmente ed in alcune occasioni con il C.S.E., a riprova di una verifica da parte del primo sulle attività del secondo. Si tratta di circostanze di cui la sentenza omette la valorizzazione, in ordine ai compiti dell'imputato, soffermandosi solo sul diradamento dei controlli, successivo al luglio del 2012, che in forza di quanto si è finora detto, non comporta di per sé l'inadempimento degli obblighi del C.S.E., non essendo richiesta una periodicità burocratica, ma sostanziale delle verifiche.
16. E' chiaro, allora, che per affermare la sussistenza di una condotta omissiva del responsabile dei lavori, tale da comportare addirittura l'assunzione diretta degli obblighi del C.S.E., non basta, come fanno le sentenze di merito, desumere dall'omesso rilievo di una specifica situazione contingente, come quella occorsa il giorno del sinistro, l'inadempimento degli obblighi del responsabile dei lavori di verifica delle attività del C.S.E.. Ed invero all'imputato si sarebbe potuto richiedere un intervento di fatto nel caso in cui fosse stato presente in cantiere in quella giornata e prima del verificarsi dell'evento e solo se egli avesse potuto constatare personalmente cosa stava accadendo e cioè, da un lato, che l'azienda Carpenser aveva cominciato i lavori, previsti per la terza settimana di ottobre, senza attendere l'approvazione del P.O.S., consegnato proprio a M.G., tre giorni prima e cioè il 9 ottobre 2012 e da questi trasmesso al C.S.E. il 10 ottobre, dall'altro, che i dipendenti della B. avevano autonomamente rimosso le protezioni collettive.
17. Ma, la motivazione appare lacunosa anche là dove omette di precisare in che modo possa dirsi provato che M.G. conoscesse la pratica dell'ammissione al lavoro delle imprese, prima dell'approvazione del P.O.S., meramente supposta per il solo fatto che ne fosse a conoscenza il C.S.E., cui spettava il controllo dei singoli P.O.S., posto che, come si è visto, sul responsabile dei lavori gravava un onere di tipo procedurale e non esecutivo e di controllo diretto sul cantiere. E ciò, si ribadisce, senza verificare l'adeguatezza del P.S.C. dopo l'intervento dell'A.S.L., avuto riguardo al fatto che proprio in relazione alla protezione dei lucernai il ricorrente lamenta il travisamento della prova richiamando l'allegato alla memoria difensiva con cui è prodotto rapporto di cantiere in data 8 giugno 2011, contentente la previsione del presidio collettivo della posa di reti elettrosaldate.
18. Per i motivi sin qui esposti si impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia per nuovo giudizio.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata con appello di Brescia per nuovo giudizio.
Così deciso il 9/5/2018