Cassazione Penale, Sez. 4, 16 ottobre 2013, n. 42501- Omessa applicazione di armature di sostegno delle pareti e responsabilità di un committente e di un coordinatore per la sicurezza


 

 

Fatto





1. Con sentenza del 9\3\2012 la Corte di Appello di Bari confermava la pronuncia di primo grado con la quale Dell'O. P. e M. P. erano stati assolti, perché il fatto non sussiste, dal delitto di omicidio colposo in danno di F. S. (acc. in Andria il 26\4\2002).

Agli imputati era stato addebitato che, in qualità di committente il Dell'O. (dirigente del Settore Lavori Pubblici del Comune di Andria) e di coordinatore per l'esecuzione delle opere il M., avevano consentito che il F. S. scendesse all'interno di uno scavo effettuato per la posa in opera di tubi di acqua e fogna, senza che esso fosse provvisto di pareti protettive, sicché il F. rimaneva travolto, mentre si trovava all'interno dello scavo, a circa tre metri di profondità, da un improvviso smottamento del terreno che lo seppelliva, cagionandone la morte.

Osservava la corte di merito che l'incidente era da ricondurre alla mera imprudenza della vittima che era sceso nello scavo, senza alcuna effettiva esigenza della lavorazione. In particolare, dall'istruttoria svolta (deposizioni, c.t. del P.M., perizia d'ufficio in appello), era emerso che:

- il F. era il titolare della ditta che stava effettuando lo scavo ed era il dominus dei lavori al momento dell'incidente;

- lo scavo era finalizzato alla posa di tubazioni di fognatura;

- il lavoro veniva effettuato da un escavatore e la necessità di entrare all’interno dello scavo vi era solo dopo il posizionamento delle tubazioni, per procedere all'aggancio del nuovo tubo a quello già posizionato;

- al momento dell'incidente, il tubo non era stato ancora posizionato e quindi nessuna necessità tecnica imponeva al F. di scendere nello scavo;

- poco prima del fatto la vittima aveva ordinato di sospendere il lavoro ed aveva detto ad un operaio che andava giù per un bisogno fisiologico;

- tale condotta era connotata da assoluta abnormità, considerato che il F. era il titolare della impresa e, quindi, aveva piena consapevolezza del rischio di accedere scavo.

Alla luce di tali emergenze istruttorie, la corte di appello confermava l'assoluzione in ragione del fatto che l'incidente era avvenuto esclusivamente per una abnorme condotta della vittima.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari ed il difensore delle parti civile, lamentando :

2.1, il P.G. : a) la erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione laddove il giudice di appello si era appiattito sulla motivazione del tribunale, senza tener conto o fraintendendo le conclusioni della perizia di ufficio disposta ai sensi dell'art. 603 c.p.p. Tele perizia aveva certificato la insicurezza del cantiere ed in particolare la necessità di effettuare lavori di contenimento in quanto la presenza di operai all'interno dello scavo non era una remota possibilità, ma rispondeva ad esigenze di normalità tecnica, b) Inoltre la corte di merito non aveva speso parole circa la possibilità di configurare una corresponsabilità degli imputati, nonostante il comportamento imprudente della vittima, essendo investiti questi, rispetto al F., un autonomo potere di controllo e verifica del rispetto della normativa antinfortunistica.

2.2. le parti civili : a) la erronea applicazione della legge per avere il giudice di merito ritenuto abnorme ed imprevedibile la condotta del F., laddove invece la discesa nello scavo avveniva quotidianamente e non era solo una remota possibilità; b) il travisamento della prova laddove la corte non aveva tenuto conto degli esiti della perizia di ufficio che aveva illustrato come la necessità di discendere nello scavo era connessa a varie fasi della lavorazione ed, inoltre, la precauzione di porre il cucchiaio della benna dell'escavatore sopra la testa del lavoratore era una precauzione assolutamente insufficiente; c) la inosservanza delle norme di sicurezza di cui agli artt. 12,13 e 14 del d.P.R. 164 del 1956 che prevedono la necessità di approntare trincee nelle ipotesi di scavo ed a maggior ragione nel caso di specie, ove il terreno appariva ictu oculi friabile; nel piano di sicurezza redatto dallo stesso imputato M., era stato segnalato il rischio di smottamenti; d) la erronea applicazione degli artt. 3 e 5 del d.lgs. 494 del 1996, ove è posto a carico del coordinatore per l'esecuzione dei lavori il compito di controllare il rispetto del piano di sicurezza e provvedere al suo adeguamento; nonché di segnalare al committente le eventuali inosservanze. Pertanto sia il coordinatore che il committente erano titolari si autonome posizioni di garanzia che si affiancavano, ma non erano escluse da quella gravante sullo stesso F. quale datore di lavoro appaltatore.

2.3. Con memorie depositata il 13\6\2013 ed il 20\6\2013 i difensori degli imputati chiedevano il rigetto del ricorso. In particolare il M. evidenziava come il PSC ed il POS vietassero ai lavoratori di avvicinarsi allo scavo e di scendere al suo interno. Inoltre il coordinatore non era stato avvisato della necessità di deviazione di parte dello scavo in zona dove il terreno era più friabile per la presenza di sottoservizi.



Diritto





3. I ricorsi sono solo in parte fondati.

3.1. Dalla lettura delle sentenze di merito si evince che i lavori in corso di svolgimento, al momento dell'incidente, erano costituiti dallo scavo e dalla posa in opera di tubi di una fogna "bianca", in adiacenza ad una fogna nera preesistente.

Tali lavori erano stati appaltati dal Comune di Andria all'impresa della vittima, F. . L'ingegnere Dell'O. P. era stato nominato committente, nella sua qualità di Dirigente del settore lavori Pubblici dei Comune; l'ing. M. P. era stato nominato coordinatore della sicurezza per la progettazione ed esecuzione delle opere.

I lavori, alla data dell'incidente, erano in corso da circa quindici giorni; essi avevano una larghezza di circa mt. 1,30 e nella mattinata del 26 aprile erano stati scavati 16 metri.

Circa la necessità di accesso allo scavo da parte dei lavoratori, la sentenza richiama la perizia di ufficio, che ha evidenziato come ciò avvenisse con regolarità, per livellare il piano della trincea; sganciare i tubi dalla loro imbracatura al momento della posa; controllare il loro posizionamento; provvedere al raccordo dei vari tronconi.

E' pacifico inoltre che, benché il lavoro fosse avviato da tempo, lo scavo non era provvisto di pareti laterali di sostegno.

3.2. Ciò premesso va ricordato che il primo comma dell'art. 13 del d.P.R. 164 del 1956 (vigente all'epoca dei fatti), stabilisce che "Nello scavo di pozzi e di trincee profondi più di m 1,50, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle pareti, si deve provvedere, man mano che procede lo scavo, all'applicazione delle necessarie armature di sostegno".

Nel confermare l'assoluzione il giudice di appello, nonostante abbia rilevato che nei giorni antecedenti al fatto vi erano state persistenti piogge, tali da rendere il terreno umido, scivoloso e "non compatto"; ha ritenuto che in ogni caso le armature delle pareti non fossero necessarie, in considerazione del fatto che nello scavo la discesa di lavoratori era occasionale e non era prevista la presenza stabile di persone.

Tale affermazione si pone in contraddizione sia con le deposizioni raccolte, che con i chiari esiti della perizia richiamata in sentenza, laddove è ricordato come la discesa dei lavoratori era previsto avvenisse per una pluralità di operazioni da svolgere : livellare il piano della trincea; sganciare i tubi dalla loro imbracatura al momento della posa; controllare il loro posizionamento; provvedere al raccordo dei vari tronconi.

Inoltre non tiene conto del fatto che l'adozione delle cautele era indicata esplicitamente sia nel Piano di Sicurezza e coordinamento redatto dallo stesso M., che nel Piano Operativo di Sicurezza redatto dall'appaltatore F. S. e sul cui rispetto il coordinatore per la sicurezza è tenuto a vigilare, ai sensi dell'art. 5 lett. b) del d.P.R. 494 del 1996, anche in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute.

Colgono, pertanto, nel segno le censure dei ricorrenti laddove lamentano la erronea applicazione della legge, in particolare dell'art. 13 d.P.R. 164 cit.

Invero tale norma, nel prevedere la necessità di allestimento di pareti, non condiziona tale adempimento all'ipotesi in cui all'interno dello scavo stazionino stabilmente lavoratori, ma prevede tale presidio di sicurezza anche per le ipotesi in cui al suo interno si debba scendere per un limitato periodo di tempo; inoltre, all'armamento deve provvedersi, sia che lo scavo sia effettuato manualmente ovvero a mezzo di escavatori meccanici (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1588 del 10/10/2001 Ud. (dep. 16/01/2002), Rv. 220650).

Irrilevante è che al momento dell'incidente non vi fosse stato, nella parte interessata dal sinistro, il posizionamento delle tubature. Infatti questa Corte di legittimità ha avuto modo di precisare che "In tema di prevenzione infortuni sul lavoro concernenti scavi di pozzi o trincee (art. 13 D.P.R. n. 164 del 1956), l'obbligo di provvedere all'applicazione di armature di sostegno delle pareti, quando la consistenza del terreno non dia sufficienti garanzia di stabilità, sussiste a partire dal momento in cui lo scavo raggiunge la profondità di metri uno e cinquanta e deve essere adempiuto prima di procedere oltre nell'escavazione, occorrendo, inoltre, man mano che si procede nello scavo, provvedere al contemporaneo armamento" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1588 del 10/10/2001 Ud. (dep. 16/01/2002), Rv. 220650).

Peraltro l'assenza di armature aveva pacificamente interessato anche le parti di scavo ove già era stata effettuata la posa delle tubazioni, dal che si evince che l'omissione del presidio era frutto di una precisa scelta aziendale operata dalla stessa vittima in qualità di datore di lavoro appaltatore.

3.3. Accertato il mancato rispetto dell'art. 13 e del piano di sicurezza, va stabilito se l'omissione del rispetto di tali disposizioni abbia concretizzato il rischio che miravano a prevenire, anche a fronte di una discesa della vittima nello scavo, verosimilmente non dettata da esigenze di lavoro, ma per un bisogno fisiologico.

Sul punto la sentenza impugnata è lapidaria nel ritenere l'incidente non correlato alla violazione, considerato che il F. era sceso nello scavo per motivi personali e non di lavoro.

Anche in tale caso la sentenza fa mal governo delle disposizioni normative.

Invero le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, costituiscono codificazione di regole di diligenza frutto di comune esperienza. Esse mirano a depotenziare i fattori di rischio connessi allo svolgimento di determinate attività. Una volta che il fattore di rischio sia presente, le disposizioni normative devono essere applicate onde prevenire danni alle persone.

Nel caso di specie il rischio era presente, conosciuto e segnalato nel piano di sicurezza; la circostanza che l'incidente sia avvenuto non in un momento di posa delle tubazioni non esclude la causalità delle violazione delle norme di prevenzione, in quanto l'ambiente di lavoro era insicuro e solo il caso ha determinato lo smottamento del terreno in un dato momento piuttosto che in una altro.

Del resto questa Corte di legittimità ha più volte ribadito la necessità di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro, indipendentemente dalla attualità della attività e, quindi, anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 2989 del 26/02/1992 Ud. (dep. 17/03/1992), Rv. 189650; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 8004 del 31/05/1994 Ud. (dep. 13/07/1994), Rv. 199686); perfino per danni che possano derivare a terzi e non ai lavoratori addetti (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 23147 del 17/04/2012 Ud. (dep. 12/06/2012 ) Rv. 253322; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9616 del 19/03/1991 Ud. (dep. 14/09/1991), Rv. 188214).

3.4. Passando all'analisi delle singole posizioni degli imputati, ritiene questa Corte che siano fondati i ricorsi proposti nei confronti di M. P..

Va ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui "In materia di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ex art. 5 D.Lgs. n. 494 del 1996, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell'incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 18651 del 20/03/2013 Ud. (dep. 26/04/2013), Rv. 255106; cfr, anche Cass. Sez. 4, Sentenza n. 17502 del 13/03/2008 Ud. (dep. 30/04/2008), Rv. 239524; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 46820 del 26/10/2011 Ud. (dep. 19/12/2011), Rv. 252139; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32142 del 14/06/2011 Ud. (dep. 17/08/2011), Rv. 251177; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 18149 del 21/04/2010 Ud. (dep. 13/05/2010), Rv. 247536); Cass. Sez. 4, Sentenza n. 38002 del 09/07/2008 Ud. (dep. 03/10/2008), Rv. 241217).

Nel caso di specie, come già detto, i lavori erano in corso da circa due settimane e la circostanza dell'assenza delle pareti dello scavo era visibile "ictu oculi". Pertanto, nell'esercizio dei suoi poteri e nell'adempimento dei suoi obblighi, il M. avrebbe dovuto pretendere il rispetto delle misure di sicurezza, eventualmente fino all'esercizio dei poteri a contenuto impeditivo, cioè fino ad ordinare la sospensione dei lavori.

Né costituisce idonea giustificazione la allegazione difensiva circa la deviazione di un tratto dello scavo in zona ove il terreno era meno compatto. Infatti era onere del coordinatore controllare l'iter dei lavori; inoltre la necessità della presenza di presidi alle pareti era già segnalata nei piani di sicurezza e quindi prescindeva da un'eventuale deviazione dello scavo.

Né può dirsi che essendo la violazione delle norme di sicurezza frutto della condotta negligente della stessa vittima, il verificarsi dell'evento sia da attribuire esclusivamente a quest'ultimo. Infatti il coordinatore per l'esecuzione, in materia di sicurezza sul lavoro, è titolare di una autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalle disposizioni vigenti, si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 38002 del 09/07/2008 Ud, (dep. 03/10/2008), Rv. 241217). Pertanto nel caso che ci occupa l'incidente ben può essere stato il frutto di una pluralità di autonome condotte eziologicamente legate all'evento, tra le quali quella della stessa vittima e del coordinatore per la esecuzione delle opere.

Si impone, pertanto, in relazione al M., l'annullamento con rinvio della sentenza ad altra sezione della Corte di Appello di Bari che, nel valutare la sussistenza della responsabilità dell'imputato, si uniformerà ai principi di diritto sopra illustrati. Al giudice di rinvio viene devoluto, inoltre, anche il regolamento delle spese del presente grado di giudizio tra le parti civili ed il M..

3.5. I ricorsi sono infondati con riferimento all'imputato Dell'O..

Questi, dirigente dei settore lavori pubblici del Comune di Andria, era rappresentante del committente. Quanto alla sua posizione di garanzia, va rammentata la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, con riferimento all'esecuzione di opere pubbliche da parte di un Comune, il Sindaco (o suo delegato) assume la posizione di committente cui è collegata la sua responsabilità in quanto portatore di una posizione di garanzia - che la presenza dell'appaltatore limita ma non esclude - e che sì fonda sul presupposto della conoscenza del pericolo, dell'evitabilità dell’evento lesivo, e dell'omesso intervento per l’eliminazione del pericolo medesimo (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 14180 del 29/11/2005 Ud. (dep. 21/04/2006), Rv. 233953).

Ciò premesso, come evidenziato nella memoria difensiva, il Dell'O. sì è attenuto al rispetto delle disposizioni del d.P.R. 164 del 1996, vigente all'epoca dei fatti, effettuando la valutazione dei rischi e nominando un coordinatore della progettazione ed esecuzione delle opere (il M.), dotato di specifica competenza tecnica.

Quanto all'obbligo di controllo gravante sul committente, esso sì concretizza in funzione di "alta" vigilanza che non può pretendere la presenza quotidiana sul cantiere, soprattutto quando, come nel caso di specie, sia stato nominato un coordinatore per la esecuzione delle opere. Inoltre l'assenza di informazioni di violazioni alle norme di sicurezza da parte del coordinatore, non ha consentito di attivare i sui poteri di intervento.

Consegue da ciò il riscontro della assenza di una sua condotta negligente eziologicamente legata al verificarsi dell'evento e, quindi, il rigetto dei ricorsi.



P.Q.M.




Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M. P. e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Bari cui rimette il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio. Rigetta i ricorsi nei confronti di Dell'O. P..