Categoria: Cassazione penale
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Responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione dei lavori per aver cagionato, per colpa e per inosservanza degli obblighi connessi alla sua posizione di garanzia, la morte dell'operaio M. P., avvenuta a seguito di caduta al suolo - Sussiste.
La Corte rileva che " la tesi riduttiva del ricorrente, che vorrebbe restringere l'ambito delle funzioni del "coordinatore" soltanto a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le varie imprese che collaborano nella realizzazione dell'opus, urta, infatti, contro il preciso dettato della norma, la quale gli assegna anche il compito di vigilare la corretta osservanza da parte delle imprese delle prescrizioni del piano di sicurezza e la scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro e ciò a maggiore garanzia dell'incolumità dei lavoratori.
Orbene, gli obblighi derivanti dall'espletamento di tali funzioni di vigilanza e controllo circa la concreta attuazione delle dovute misure di sicurezza, non sono stati assolti, come di dovere, dall'imputato nel corso delle sue visite periodiche effettuate nel cantiere, tant'è vero che nessuna segnalazione venne mai da lui fatta alle imprese circa le irregolarità nei dispositivi di protezione individuale e collettivi, che pur è stato accertato essere presenti."
Oggi il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5 è ripreso dall'art. 92 del D.Lgs. 81/2008.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) G.L., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 27/02/2006 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. LICARI CARLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IANNELLI Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.



FattoDiritto

In parziale accoglimento dell'appello proposto da G.L. avverso la sentenza di condanna contro di lui emessa dal Tribunale della stessa città - in quanto ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo, per avere, nella qualità di "coordinatore per l'esecuzione dei lavori" commissionati alla ditta Catania Biagio per la ristrutturazione di due appartamenti posti all'ultimo piano di uno stabile, cagionato, per colpa e per inosservanza degli obblighi connessi alla sua posizione di garanzia, la morte dell'operaio M. P., avvenuta a seguito della caduta al suolo, nel momento in cui il predetto si accingeva a scaricare dei vecchi infissi a mezzo dell'argano posizionato nella piattaforma del ponteggio - la Corte di Appello di Torino, con sentenza del 27/2/2006, riduceva la pena irrogata all'appellante e nel resto confermava quella resa in primo grado.
Avverso tale sentenza propone ora ricorso per cassazione, per mezzo del difensore, l'imputato, il quale deduce violazione di legge, sul rilievo che non dovrebbe esigersi, ai fini dell'affermazione della sua responsabilità nella qualità di "coordinatore per l'esecuzione di lavori", l'obbligo di vigilare quotidianamente sulle singole attività eseguite dai dipendenti dell'impresa Catania, così come non potrebbe esigersi, ai medesimi fini, l'obbligo di controllare l'idoneità e l'efficienza dei dispositivi di sicurezza individuali e l'esazione del loro corretto uso quotidiano da parte degli operai.
Secondo il ricorrente, quegli obblighi si addicono al datore di lavoro, l'unico ad essere in grado di ottemperarvi adeguatamente in virtù della posizione di garanzia assegnatagli dal D.Lgs. n. 626 del 1994, mentre non spettano al "coordinatore", nuova figura, questa, introdotta dal D.Lgs. n. 494 del 1996 per ridurre od eliminare i rischi interferenziali dovuti alla presenza nel medesimo cantiere di più realtà aziendali: in questa ipotesi, il "coordinatore" si affiancherebbe, senza sostituirle, alle figure specifiche del datore di lavoro, del dirigente, del preposto e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione previste dal D.Lgs. n. 626, ed avrebbe, quindi, nell'ambito della sua autonomia funzionale, come suoi interlocutori naturali non già i lavoratori, ma i soggetti apicali delle imprese ed i lavoratori autonomi. Trattasi di ricorso non meritevole di accoglimento.
Innanzitutto, non possono avere spazio in questa sede di legittimità i motivi di gravame attinenti alle carenze strutturali del cantiere rilevate dalla Corte di merito con riferimento sia al varco lasciato libero dalle interruzioni dei tubi "correnti" della ringhiera di protezione fra montacarichi e tavola fermapiede, sia alla inadeguatezza della cintura di sicurezza.
Ciò in quanto detti motivi si sostanziano in censure che ripropongono tematiche di puro merito, ampiamente trattate nella motivazione della sentenza impugnata nella parte dedicata all'esame dei motivi di appello.
Questi ultimi sono stati confutati e disattesi in forza di elementi processualmente accertati, comprovanti, sia l'inidoneità della cintura di sicurezza a cagione della limitata lunghezza della corda di trattenimento, sia l'esistenza del varco, che non era stato sbarrato a dovere mediante l'installazione di un "corrente" aggiuntivo, non previsto nel piano di sicurezza approntato dall'imputato, ma da lui imposto successivamente in corso d'opera, prima dell'incidente, all'impresa appaltatrice.
Quest'ultima, secondo l'accertamento compiuto in tale direzione dai giudici di merito, vi aveva provveduto, inserendo, però, uno "spezzone" di tubo inadatto ad assolvere la sua funzione protettiva, tant'è vero che l'operaio che, manovrò l'argano in quella zona del ponteggio, trovò la morte cadendo al suolo attraverso quel varco.
L'altra questione proposta dal ricorrente è se le suddette accertate carenze strutturali fossero addebitabili all'imputato, nella sua qualità di "coordinatore per l'esecuzione dei lavori" affidati alla ditta Catania: questione che è intimamente collegata con quella della individuazione dei compiti attribuiti a tale nuova figura, introdotta dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5.
Il ricorrente sostiene che le violazioni eziologicamente collegate all'infortunio non siano riconducibili all'inosservanza di obblighi su di lui gravanti, bensì incombessero sul responsabile della ditta appaltatrice, titolare del potere di esigere dai propri dipendenti il rispetto delle norme di prevenzione: in altri termini, la Corte di Appello avrebbe confuso le responsabilità del datore di lavoro in materia infortunistica con quelle del "coordinatore", i cui compiti si esaurirebbero nell'organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere e nel vigilare periodicamente il mantenimento di tale organizzazione.
La tesi prospettata è, secondo questa Corte, frutto di una concezione parziale delle attribuzioni spettanti al "coordinatore", non trovando riscontro nelle stesse indicazioni contenute nell'art. 5 del citato D.Lgs..
La tesi riduttiva del ricorrente, che vorrebbe restringere l'ambito delle funzioni del "coordinatore" soltanto a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le varie imprese che collaborano nella realizzazione dell'opus, urta, infatti, contro il preciso dettato della norma, la quale gli assegna anche il compito di vigilare la corretta osservanza da parte delle imprese delle prescrizioni del piano di sicurezza e la scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro e ciò a maggiore garanzia dell'incolumità dei lavoratori.
Orbene, gli obblighi derivanti dall'espletamento di tali funzioni di vigilanza e controllo circa la concreta attuazione delle dovute misure di sicurezza, non sono stati assolti, come di dovere, dall'imputato nel corso delle sue visite periodiche effettuate nel cantiere, tant'è vero che nessuna segnalazione venne mai da lui fatta alle imprese circa le irregolarità nei dispositivi di protezione individuale e collettivi, che pur è stato accertato essere presenti.
I giudici di secondo grado, che a tali conclusioni sono pervenuti, esplicandole in modo persuasivo e congruo nella motivazione della sentenza impugnata, correttamente, quindi, hanno respinto i motivi di gravame, confermando il giudizio di colpevolezza dell'imputato per il fatto omissivo proprio contestatogli.
Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo.




P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2008