• Infortunio sul Lavoro
  • Dispositivi di Protezione Individuale
  • Informazione, Formazione, Addestramento
  • Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza


Responsabilità per infortunio occorso a lavoratore dipendente di una S.p.A..
Il Giudice dell'appello aveva affermato che, in questo caso, nessuna colpa può essere attribuita al datore di lavoro poichè il lavoratore non solo era caposquadra ma era altresì rappresentante per la sicurezza e come tale era stato formato ed addestrato adeguatamente.
Il lavoratore stesso aveva scientemente violato l'obbligo di adottare le misure di sicurezza adeguate.

La Cassazione, concorde con il Giudice dell'appello, rigetta il ricorso affermando che, nella scala gerarchica delle responsabilità, ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e vi è pertanto un livello di responsabilità di base che parte dai singoli lavoratori.
Nel caso in questione poi, il ricorrente stesso aveva accettato l'incarico di caposquadra ed era stato addestrato allo scopo e come tale aveva responsabilità per gli aspetti correlati alla sicurezza delle decisioni operative che assumeva nell'ambito di tutta la squadra, capo compreso.





LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICONE Pasquale - Presidente -
Dott. DE MATTEIS Aldo - rel. Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato PONTE GIOVANNI giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
ALCATEL ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell'avvocato GENTILE GIOVANNI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MANCA GIUSEPPE giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 369/2004 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 06/11/2004 R.G.N. 34/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2008 dal Consigliere Dott. DE MATTEIS ALDO;
udito l'Avvocato GENTILE G.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI RENATO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.



Fatto

La Corte di appello di Brescia, con sentenza 21 ottobre/6 novembre 2004, n. 369, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di danno differenziale proposta dal signor B.M. per l'infortunio sul lavoro di cui era rimasto vittima in data (OMISSIS).
Il Giudice di appello ha premesso le modalità dell'infortunio, pacifiche tra le parti: il B., dipendente della S.p.A. Alcatel Italia con mansioni di caposquadra, il giorno 13 gennaio 1997 si è recato con la sua squadra in un condominio di (OMISSIS) per porre in opera, su appalto della Telecom, dei cavi coassiali che dovevano essere fatti passare in canaline già collocate in precedenza, da altra squadra, sulle pareti interne di una intercapedine, che correva a lato dell'edificio e si sviluppava dal piano strada verso il basso per una profondità di circa 8 m e di larghezza per circa 1 m.
Sulle pareti di questa intercapedine correvano vari tubi e sporgevano travi in cemento.
L'operaio S.G., che si stava occupando di far passare i cavi nelle canaline, accortosi che i cavi non scorrevano più, decideva di scendere per verificare dove fosse l'ostacolo.
Per fare questo si appoggiava con i piedi sulle travi e sui tubi posti sulle pareti interne dell'intercapedine, e iniziava a percorrerla.
Ad un certo punto verificava la presenza di una grata che sezionava in senso verticale l'intercapedine, in prossimità della quale la canalina era aperta con conseguente fuoruscita del cavo e necessità di intervenire manualmente.
Resosi conto che non avrebbe potuto lavorare in quella posizione e in quelle condizioni, di estremo pericolo, manovrava per andare ad avvisare B.M. caposquadra, della necessità di usare le scale, di cui la squadra era fornita. Nel frattempo però il B., avvisato da altro operaio della interruzione della posa, si era a sua volta avventurato all'interno della intercapedine usando come camminamento travi e tubi.
Giunto in prossimità dello sbarramento, aveva posto i piedi su un'asse che congiungeva due travi in cemento, asse che, marcio, aveva ceduto facendolo precipitare per circa 7 m.
Così ricostruiti i fatti sulla base del testimoniale e dell'inchiesta amministrativa, il Giudice di appello ha ritenuto che nessuna colpa ex art. 2087 c.c., possa essere imputata al datore di lavoro, per i seguenti motivi: il B. non solo era caposquadra, ma era altresì rappresentante per la sicurezza ai sensi del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 18; era stato addestrato e formato dall'azienda, con corsi annuali, oltre che con la consegna di vario materiale illustrativo ed informativo; rispetto a questi compiti l'uso delle scale e delle cinture di sicurezza per lavori quali quelli di cui si tratta era assolutamente obbligatorio per disposizione aziendale e dette misure di sicurezza erano a disposizione degli operai, nel furgone in dotazione alla squadra; l'attività degli operai sul territorio era organizzata in questo modo: vi era un responsabile per tutta la città a cui era sottoposto un rappresentante dei nodi ottici/assistente ai lavori preposto ad una zona normalmente coincidente con un quartiere, con compiti di coordinamento dei capisquadra, che a loro volta gli erano sottoposti con compiti di organizzazione e coordinamento dei lavori della squadra.
Ha concluso, con il primo Giudice, che il B. ha scientemente violato l'obbligo di adottare e fare adottare le misure di sicurezza; questa violazione è particolarmente qualificata perchè a ciò era tenuto sia nella sua qualità di caposquadra, sia quale rappresentante della sicurezza; non può essere da parte sua invocata alcuna esimente, essendo stato appositamente addestrato e formato ed essendo, nella scala gerarchica, il lavoratore al quale la datrice di lavoro aveva delegato proprio il compito di imporre e di controllare l'uso delle misure di sicurezza da parte degli operai a lui sottoposti; egli aveva la piena consapevolezza della necessità dell'uso delle misure di sicurezza nonchè l'obbligo di sovrintendere alla squadra anche per questo (secondo S.G. se B.M. lo avesse visto scendere nell'intercapedine come aveva fatto gli avrebbe detto di andare a prendere la scala).
Quanto alla tesi del B. che l'oggettiva pericolosità dei luoghi e dell'asse dovevano essere accertati dai rappresentati dalla datrice di lavoro, non essendo gli obblighi relativi alle misure di sicurezza delegabili, il Giudice di appello ha ritenuto che questa affermazione non ha alcuna corrispondenza con la fattispecie di cui si tratta.
Un datore di lavoro, con un'attività aziendale complessa ed estesa necessariamente, opera per deleghe e nell'organizzazione generale queste deleghe ben possono essere frazionate e ripartite secondo vari gradi di responsabilità.
Sul luogo non vi erano mezzi appositamente installati per l'accesso all'intercapedine; pertanto l'uso delle scale era obbligatorio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il B., con unico articolato motivo.
La società intimata si è costituita con controricorso resistendo.




Diritto

Con unico articolato motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dei principi e delle norme che attengono alla sicurezza dei lavoratori e tutelano le condizioni di lavoro, specificamente, del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 3, 4, 18, 19, 21, 22 e 33; D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 4, 8 e 10; e D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 16 - 18; e artt. 2087, 2043, 1218 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia.
Ribadisce che le circostanze di fatto sono pacifiche; censura la sentenza impugnata nel suo riferimento alle cinture di sicurezza che nella specie non era possibile usare; che anche le scale non erano utilmente ancorabili al piano stradale; che la pericolosità del cantiere avrebbe dovuto imporre la realizzazione di opere provvisionali quali impalcature, ponteggi etc.; la organizzazione della responsabilità di sicurezza su tre livelli non poteva arrivare al B. che era un operaio di quarto livello con compiti meramente esecutivi, come risulta dalla declaratoria contrattuale.
Il motivo non è fondato.
Posto che la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, ivi compresa la disponibilità di mezzi di protezione, è condivisa dalle parti, il punto di diritto della presente causa è a chi, nella scala gerarchica delle responsabilità, competa la scelta delle modalità esecutive e dei mezzi di protezione per la singola operazione lavorativa.
Già il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 6, prevedeva come doveri dei lavoratori in materia di sicurezza quello di osservare le norme prescritte dal decreto, nonchè le misure disposte dal datore di lavoro ai fini della sicurezza individuale e collettiva; di usare con cura i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione predisposti o forniti dal datore di lavoro.
E tale precetto è ribadito e rafforzato dalle leggi successive; in particolare il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 5, precisa che ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni ad omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni ed ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
Vi è pertanto un livello di responsabilità di base che parte dai singoli lavoratori.
Vi è poi la distribuzione delle responsabilità di sicurezza attraverso la scala gerarchica.
Sul punto è corretta, perchè fondata sul sistema normativo, l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui un datore di lavoro, con un'attività aziendale complessa ed estesa, necessariamente opera per deleghe e può frazionare e ripartire queste deleghe nell'organizzazione generale secondo vari gradi di responsabilità.
Costituisce jus receptum che la responsabilità ex art. 2087 c.c., è di carattere contrattuale, e quindi soggettivo (ex plurimis Cass. 14 aprile 2008 n. 9817).
Sia il sistema del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, sia quello del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, prevedono una distribuzione di responsabilità tra datore di lavoro, dirigenti e preposti. Preposto può essere anche un caposquadra, quando sia appositamente addestrato per responsabilità di sicurezza, abbia pertanto la necessaria qualificazione tecnica per lo svolgimento di tale incarico, e sia stato espressamente investito di siffatto ruolo (Cass. 27 febbraio 1988 n. 2094, Cass. 23 febbraio 1995 n. 2035, Cass. 29 marzo 1995 n. 3738).
Non è contestato che il B. fosse stato addestrato allo scopo e che nella organizzazione produttiva la società gli avesse attribuito compiti di caposquadra, e cioè di direzione operativa di un gruppo di lavoratori, con poteri di attribuzione di compiti operativi nell'ambito di criteri prefissati, con conseguente responsabilità per gli aspetti necessariamente correlati alla sicurezza delle decisioni operative che assumeva nell'ambito di tutta la squadra, capo compreso.
Avendo egli accettato tale ruolo, per il quale era stato addestrato, la qualifica posseduta di 4^ livello, che egli assume inadeguata, non può costituire esimente per sottrarsi agli obblighi di sicurezza inerenti al ruolo rivestito.
Così affermata la correttezza della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato che competeva alla responsabilità del B. di scegliere le modalità esecutive ed i mezzi di protezione per la operazione di sblocco della occlusione, diventano irrilevanti le sue censure circa la presunta inadeguatezza delle scale e degli altri mezzi di protezione a disposizione (imbracatura, corde ecc.), implicitamente ritenuti dalla sentenza impugnata adeguati (la stabilità di una scala inserita in uno scannafosso della larghezza di un metro è assicurata per contrasto).
Il ricorso va rigettato; il ricorrente va condannato alle spese processuali del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.




P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 28,00, oltre Euro 2.000,00, per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 13 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2008