Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 06 ottobre 2005,n. 36339 - Macchinario inadeguato, condotta imprudente del lavoratore e responsabilità di un datore di lavoro


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. COCO GIOVANNI SILVIO PRESIDENTE
1. Dott. TUCCIO GIUSEPPE CONSIGLIERE
2. Dott. MARINI LIONELLO "
3. Dott. DE BIASE ARCANGELO "
4. Dott. PALMIERI ETTORE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) P. A. N. Il ..omissis..
avverso SENTENZA del 20/01/2003 CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere MARINI LIONELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv. Stefano De Ferrari, del foro di La Spezia, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


Fatto


Con sentenza del 20 gennaio 2003 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa il 12 gennaio 2001 dal Tribunale di Frosinone, ha riconosciuto il beneficio della non menzione (art. 175 c.p.) a P. A. - dichiarato dal primo giudice responsabile del delitto di lesioni personali gravissime (amputazione traumatica del braccio destro) cagionate il 22 marzo 1999 a M. F., rimasto imprigionato nei meccanismi in movimento di un miscelatore - agitatore privo di sistema di arresto di emergenza e comunque inidoneo alle lavorazioni cui il M. era addetto alle dipendenze della ditta S. della quale l'imputato era amministratore unico - ed ha confermato nel resto la sentenza appellata.

Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato deducendo violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, con le argomentazioni che seguono.

Pur essendo la condotta dell'infortunato correttamente stata qualificata "incauta, imprudente e scorretta" (il M., come affermato dai consulenti della Difesa e come condiviso dal primo giudice, aveva letteralmente impugnato con il palmo della mano destra girato con il pollice verso il basso l'albero di trasmissione a macchina accesa e funzionante, sì che il guanto aveva aderito all'albero, con trascinamento e conseguente amputazione del braccio) la Corte territoriale ha escluso che tale condotta si sia posta come causa sopravvenuta autonoma interruttiva del nesso causale tra la violazione delle norme antinfortunistiche da parte dell'imputato e l'accadimento dell'evento lesivo.

Secondo il ricorrente, i secondi giudici - laddove hanno affermato che l'avvicinamento del braccio all'albero motore, finalizzato a rimuovere dal guanto indossato filamenti di resina (operazione da eseguirsi correttamente a macchina ferma e, si osserva in ricorso, del tutto estranea alla fase di lavoro in atto), non costituiva comportamento imprevedibile - hanno addossato al prevenuto una responsabilità oggettiva e non hanno applicato il principio di diritto, più volte enunciato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la interruzione del nesso causale ex art. 41 c.p. va ravvisata nel caso di comportamento doloso, ovvero di macroscopica imprudenza, dell'infortunato.

Il ricorrente sottolinea, inoltre, il ruolo di garanzia che anche il lavoratore deve rivestire, ribadisce l'assunto di una condotta estremamente imprudente tenuta dalla persona offesa nel caso in esame ("Ha pulito i guanti sfregandoli sull'albero di trasmissione in rotazione e censura la omessa valutazione della testimonianza resa da P. V. sugli svolti corsi di formazione dei dipendenti e sulla esistenza, nel luogo di lavoro, di cartelli segnalanti il divieto di avvicinamento alle macchine in moto, per concludere che l'infortunio verificatosi era derivato esclusivamente dalla macroscopica condotta colposa della persona offesa, autrice di un gesto del tutto estraneo alle mansioni affidatele, consapevole e meditato nonché autolesionistico, abnorme ed imprevedibile.

La sentenza gravata è inoltre, secondo il ricorrente, affetta da manifesta illogicità di motivazione laddove - pur avendo ricostruito la dinamica dell'infortunio nei sensi suddetti - ha apoditticamente affermato che la condotta della persona offesa non poteva essere ritenuta avulsa delle specifiche mansioni di lavoro a questa affidate e non ha spiegato per quali ragioni l'anomala condotta sarebbe stata prevedibile da parte del datore di lavoro.

Il ricorrente censura altresì la sentenza impugnata per inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 238, 495 e 603 c.p.p. con riferimento all'affermazione dei secondi giudici che dopo la verificazione dell'infortunio la macchina in questione (una agitatrice per la miscelazione di resine e vernici) era stata modificata mediante schermatura dell'albero di trasmissione con un tubo di gomma e mediante apposizione di un coperchio sulla vasca nella quale l'albero predetto si immerge; tale circostanza - risultante da una copia autentica di verbale di udienza avanti il Giudice del lavoro nella causa civile promossa dal M. nei confronti della S. s.r.l., trasmesso dalla cancelleria del suddetto giudice a quella della corte di appello unitamente alla richiesta di acquisizione di copia degli atti del procedimento penale - emerge da un documento inutilizzabile in quanto non richiesto a fini istruttori dalla suddetta Corte ed in quanto il secondo comma dell'art. 238 c.p.p. dispone che ammessa l'acquisizione di verbali di prove assunte in un giudizio civile definito con sentenza passata in giudicato, ed ai sensi del quarto comma della suddetta norma (come sostituito dalla L. 63/2001), al di fuori dei casi previsti nei commi 2, 2 bis e 3, i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati nel dibattimento soltanto nei confronti dell'imputato che vi consenta o, in mancanza di consenso, possono essere utilizzati soltanto per le contestazioni ex artt. 500 e 503 c.p.p.

Nella specie - afferma il ricorrente - non vi è prova che la suddetta causa di lavoro sia stata definita con sentenza irrevocabile (essa sarebbe in realtà ancora pendente in fase istruttoria), il verbale contiene dichiarazioni rese dal M. in sede di interrogatorio libero davanti al Giudice del lavoro (sicché non si tratta di un mezzo di prova, bensì di una mera allegazione di parte integrativa della domanda), ed infine l'imputato non ha mai espresso il proprio consenso alla utilizzazione del citato documento.

Osserva questa Corte, in primo luogo, che la censura di violazione della legge processuale mossa all'avvenuta utilizzazione da parte dei secondi giudici di un verbale del processo in corso avanti il Giudice del lavoro, nel quale è stato riferito che la macchina in questione è stata modificata dopo l'infortunio è da ritenersi, quand'anche fondata sotto il profilo del diritto, assolutamente priva di conferenza sul piano della decisione adottata dalla Corte territoriale e della relativa motivazione.

Invero, la condotta omissiva rimproverata all'imputato a titolo di quella colpa specifica che è stata valorizzata da ambo i giudici di merito (mancata installazione sul detto macchinarlo dei dispositivi di protezione prescritti dall'art. 56 D.P.R. 547/55) è emersa provatamente (ed incontestatamente) dagli atti processuali legittimamente utilizzati, sicché la notizia della postuma adozione di un dispositivo di schermatura dell'albero motore e dell'apposizione di un coperchio nel punto di immissione del suddetto albero nella vasca metallica sottostante contenente il disco alettato nulla aggiunge in tema di prova della colpa specifica ascritta, senza contare che tale notizia è stata comunque riportata dai secondi giudici soltanto in via narrativa e comunque residualmente ("Del resto ... l'albero è ora schermato...").

È di lapalissiana evidenza che l'adozione, successiva alla verificazione dell'infortunio sul lavoro, di una cautela doverosa non posta in essere antecedentemente non può avere incidenza alcuna sulla sussistenza delle pregresse violazioni delle norme antinfortunistiche, sicché il richiamo, anche ove da ritenersi processualmente non consentito, ad un atto contenente la notizia di tale tardivo attivarsi da parte del datore di lavoro ha una valenza totalmente neutra sul piano motivazionale, se (come nella specie) non si contesta la antecedente non corrispondenza della macchina in questione alla normativa antinfortunistica e se non si contesta neppure che in presenza delle prescritte protezioni l'infortunio non si sarebbe verificato (il ricorrente, invero, invoca unicamente la sussistenza di una causa sopravvenuta costituita dalla condotta del lavoratore ritenuta idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta colposa - quindi non negata - del datore di lavoro e l'evento).

Quanto al motivo con il quale il ricorrente sostiene che l'incauta operazione posta in essere dal lavoratore (il quale avrebbe impugnato l'albero di trasmissione in moto, tenendo il pollice rivolto verso il basso, sì che il guanto che ricopriva la mano sarebbe stato trascinato nella zona occupata dalle lame della macchina "agitatrice") ha costituito causa sopravvenuta idonea, da sola, a determinare l'evento e che pertanto i giudici di merito, nell'andare (pur avendo essi ricostruito il fatto nei suddetti termini, come prospettati dai consulenti tecnici della difesa) di contrario avviso, sono incorsi sia in violazione di legge sia in illogicità manifesta di motivazione, va osservato quanto segue.

Per vero già il primo giudice aveva ritenuto "più convincente" di quella offerta dalla persona offesa M. la ricostruzione del fatto operata dai consulenti della difesa - e riscontrata dal dato testimoniale - nei seguenti termini: l'operatore doveva verosimilmente avere impugnato con la mano destra l'albero di trasmissione mentre girava alla velocità di 500 giri al minuto, tenendolo all'interno del palmo con il pollice verso il basso; tale operazione era stata "probabilmente motivata dal tentativo del M. di ripulire il braccio sul quale era stata versata della resina che egli aveva inutilmente tentato di rimuovere con un solvente ovvero, in alternativa, di ripulire il guanto da lui indossato", e, nel momento in cui la mano era stata appoggiata sull'albero che ruotava, il quanto di gomma aveva aderito al braccio (forse proprio per la presenza di solvente o di resina) che era stato trasportato in un repentino e violento moto girevole in quanto la mano era rimasta imprigionata all'interno del guanto il quale l'aveva trascinata, con le conseguenze note.

Tale motivata e ragionevole ricostruzione della dinamica dell'infortunio è stata fatta propria anche dal giudice di appello.

Peraltro, già il primo giudice, dopo avere indicato le plurime carenze della macchina de qua sotto il profilo della normativa antinfortunistica e dopo avere evidenziato, in particolare, che l'infortunio non si sarebbe verificato ove al lavoratore fosse stato fisicamente impedito di avvicinare la mano all'organo lavoratore del moto, ha motivatamente escluso che la operazione indubbiamente scorretta posta in essere dall'operatore potesse avere avuto valenza di causa interruttiva del nesso di causalità tra la ritenuta violazione della norma antinfortunistica ed il prodursi dell'evento - lesione, avendo richiamato, al riguardo, consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per il datore di lavoro che abbia provocato l'infortunio per violazione delle prescrizioni in materia antinfortunistica, giacché la relativa normativa è appunto diretta a prevenire gli effetti della condotta colposa dei lavoratori per la cui tutela è dettata, potendosi ritenere esonerato da responsabilità il datore di lavoro solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme e dovendo definirsi tale il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e pertanto al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - ovvero, pur rientrando nelle mansioni che gli sono proprie, sia consistito in un qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Cass. Sez. IV 27-11-1996 n. 952, Maestrini).

Nel caso di specie - ha affermato il primo giudice - la prevedibilità di operazioni certamente scorrette ma comunque ampiamente comprese nell'ambito di quelle che il lavoratore può comunque imprudentemente, negligentemente o distrattamente porre in essere, si desume proprio dalla specifica previsione normativa che a tali eventualità fa riferimento laddove descrive le cautele da adottarsi obbligatoriamente.

Tale giudizio è stato motivatamente (sia pure assai concisamente) condiviso dal giudice di appello il quale ha ritenuto non imprevedibile il sia pur irrazionale comportamento della persona offesa.

Va richiamata da questa Corte la del tutto condivisibile giurisprudenza di legittimità (vedansi, ex pluribus, Cass. Sez. IV 2-2-2005 n. 3455, Volpi; Cass. Sez. V 13-2-2002 n. 13114, P.G. in proc. Izzo; Cass. Sez. I 20-6-2000 n. 8866, Afosi ed altro; Cass. Sez. I 12-11-1997, Insirello; Cass. Sez. IV 19-12-1996 n. 578, Fundarò; Cass. Sez. V 2-10-1996 n. 9197, Paoletti) secondo la quale, poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine a incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, può essere esclusa solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, e che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Pertanto, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento.

Ed invero, in tema di rapporto di causalità, la legge penale accoglie il principio di equivalenza delle cause, riconoscendo il valore interruttivo della seriazione causale solo a quelle che sopravvengono del tutto autonomamente, svincolate dal comportamento del soggetto agente e assolutamente autonome, e non già a quelle che abbiano causato l'evento in sinergia con la condotta dell'imputato e, pertanto, non assolutamente svincolate da quest'ultima.

Con riferimento al caso qui in esame, il comportamento del dipendente, tenuto durante la esecuzione del lavoro al quale questi era addetto - lavoro che tra l'altro ben poteva comportare (così come ha di fatto comportato, secondo la ricostruzione del fatto così come operata dai giudici di merito e come sostenuta dallo stesso ricorrente) la necessità transeunte di eliminare dal quanto usato nel lavoro da filamenti di resina non può, proprio in quanto tenuto nell'ambito del lavoro svolto e non totalmente svincolato dalla esecuzione del medesimo, essere considerato - per quanto caratterizzato da grave imprudenza - abnorme nel senso inteso dalla giurisprudenza di legittimità.

Non vale a far diversamente opinare l'avvenuto richiamo, da parte del ricorrente, a quanto affermato nella sentenza di questa Corte 25-9-2001 n. 44206, Intrevado E., a tenore della quale "In tema di responsabilità colposa per infortuni maturati nell'ambito di un cantiere edile, il comportamento del soggetto che violi con consapevolezza le cautele disposte allo specifico scopo di prevenire la presenza di persone in un'area tipicamente ed inevitabilmente pericolosa, introducendosi arbitrariamente nel fondo, comporta una interruzione del nesso causale tra l'evento ed ogni violazione di prescrizioni antinfortunistiche eventualmente riferibile all'interessato quale datore di lavoro".

È evidente, infatti che il suddetto, pienamente condivisibile, principio di diritto è stato enunciato con riferimento ad una fattispecie concreta che nulla ha a che vedere con quella qui in esame (invero, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso, nella suddetta sentenza la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni occorse a persona - per altro sua dipendente - precipitata nel vano destinato ad alloggiare l'ascensore di un edificio in costruzione, considerando che l'interessato, introdottosi abusivamente nel cantiere fuori dell'orario di lavoro, aveva rimosso la rudimentale staccionata).

Le ulteriori, pur pregevoli, argomentazioni del ricorrente in tema di individuabilità anche nel lavoratore dipendente, ai sensi del D.Lgs. n. 626/1994, di "uno dei soggetti della sicurezza" (tanto che la violazione del suoi doveri in materia è penalmente sanzionata dall'art. 93 del citato D.Lgs., così come integrato e modificato dal successivo D.Lgs. n. 242/1996), nonché in tema di testimonianza resa da P. V. (la cui mancata considerazione da parte dei giudici di merito non dà luogo ad omessa motivazione, posta la irrilevanza del suo deposto in ordine alla tesi difensiva invocante il disposto del secondo comma dell'art. 41 c.p.p.) circa i corsi di formazione frequentati dai dipendenti, la presenza di cartelli di divieto di avvicinarsi alle macchine in moto e la illustrata necessità di effettuare la pulitura dell'albero di trasmissione a macchina spenta, valgono indubbiamente ad evidenziare un consistente concorso di colpa del M. nella causazione dell'infortunio del quale egli è rimasto vittima (egli subì nell'occorso, l'amputazione traumatica dell'arto superiore destro), ma non valgono, per le ragioni già dette (l'infortunio non si sarebbe verificato ove fossero stati doverosamente segregati gli elementi rotanti), a far assurgere a circostanza sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento - tale quindi da far considerare tamquam non esset sotto il profilo (con)causale la condotta omissiva e violatrice di legge dell'imputato - il pur notevolmente imprudente comportamento tenuto dal lavoratore così come ricostruito nel caso concreto.

Conclusivamente, va affermato che correttamente (donde la infondatezza delle censure di violazione di legge e di manifesta illogicità di motivazione avanzate dal ricorrente) i giudici di merito (le motivazioni delle cui sentenze reciprocamente si integrano) hanno escluso il ricorso della ipotesi di interruzione del nesso causale contemplata nel secondo comma dell'art. 41 c.p., avendo motivatamente ravvisato una indubbia sinergia ed interdipendenza delle condotte dell'imputato e della persona offesa nella concausazione dell'evento, sì che entrambe e ciascuna hanno costituito causa del medesimo in base al principio della causalità materiale fondato sull'equivalenza delle condizioni (vedasi, tra le altre, Cass. Sez. IV 19-12-1996 n. 578, Fundarò).

Per le sin qui esposte ragioni il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 7 luglio 2005.

Depositata in cancelleria il 6 ottobre 2005.