Categoria: Corte di giustizia CE
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Conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven del 29 giugno 1989. - TORFAEN BOROUGH COUNCIL CONTRO B & Q PLC. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: CWMBRAN MAGISTRATES'COURT - REGNO UNITO. - LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI - INTERPRETAZIONE DEGLI ARTT. 30 E 36 DEL TRATTATO CEE - DIVIETO DI ESERCITARE ATTIVITA COMMERCIALI LA DOMENICA. - CAUSA 145/88.

raccolta della giurisprudenza 1989 pagina 03851
edizione speciale svedese pagina 00241
edizione speciale finlandese pagina 00255

Fonte: Sito web Eur-Lex

 

© Unione europea, http://eur-lex.europa.eu/



Signor Presidente,

Signori Giudici,

1 . Nel presente procedimento pregiudiziale, la Corte è nuovamente chiamata a pronunziarsi sulla portata dell' art . 30 del trattato CEE . Dovrete pertanto valutare se il divieto di misure d' effetto equivalente a restrizioni quantitative all' importazione, sancito da detto articolo, trovi applicazione anche nel caso di un provvedimento nazionale che sancisce un divieto di principio di apertura domenicale degli esercizi commerciali .

Antefatti

2 . La controversia principale è un procedimento penale cui ha dato avvio un ente locale britannico, il Torfaen Borough Council ( in prosieguo : "Borough Council "), avverso una grande impresa di negozi di "fai da te", la B & Q plc ( in prosieguo : "B & Q ").

Alla B & Q viene addebitata la violazione degli artt . 47 e 59 del United Kingdom Shops Act 1950 ( in prosieguo : "Shops Act ") per aver aperto al pubblico di domenica il proprio negozio di Cwmbran .

Per quanto riguarda il testo degli articoli dello Shops Act di cui trattasi, rinvio al capitolo I, punto 2, della relazione d' udienza . Come si legge in quest' ultimo, il divieto di cui è causa conosce numerose deroghe; è poi pacifico che la legge sia poco rispettata e che spesso venga applicata solo in via occasionale . Si deve anche osservare che la legge non vige in Scozia .

3 . Le parti nella causa principale concordano nel sostenere che la B & Q ha infranto le disposizioni dello Shops Act e che solo l' art . 30 del trattato CEE può eventualmente fornire una giustificazione del comportamento della B & Q . Le parti concordano parimenti sugli elementi di prova prodotti dalla B & Q a sostegno dell' argomentazione circa le conseguenze del divieto domenicale di commercio sulle importazioni da altri Stati membri . Il giudice a quo ha ritenuto appurati i principali elementi di fatto che risultano da detti elementi di prova ( 1 ) e che possono descriversi nel modo seguente :

1 ) (...) ( irrilevante )

2 ) (...) ( irrilevante )

3 ) Durante l' esercizio 1987/1988, la B & Q ha acquistato merci provenienti da altri Stati membri per un valore di oltre 40 milioni di UKL . Tale importo rappresenta circa il 10% del volume globale degli acquisti della B & Q .

4 ) In seguito all' attuazione del divieto di apertura domenicale, vari negozi della B & Q ( compreso quello di Cwmbran ) hanno sofferto un calo sensibile e persistente del proprio fatturato . E' anche accertato che, lungi dal riassorbirsi col passar del tempo, il calo del fatturato è proseguito . Per gli esercizi 1986/1987 e 1987/1988, il calo del fatturato di detti negozi sarebbe stato pari mediamente a circa il 23 %.

5 ) Il calo del fatturato è generale : esso riguarda cioè tutte le categorie di merci vendute dalla B & Q .

6 ) Il calo è confermato dal volume delle ordinazioni effettuate dalla B & Q presso taluni dei suoi fornitori nella CEE . Dall' entrata in vigore del divieto di apertura domenicale si è rilevata una sensibile diminuzione del volume delle ordinazioni suddette .

7 ) (...) ( irrilevante )

8 ) Da quanto precede discende che l' entrata in vigore del divieto di apertura domenicale determina una diminuzione in termini assoluti del volume delle importazioni nel Regno Unito di numerosi prodotti provenienti da altri Stati membri e venduti dalla B & Q .

4 . Così stando le cose, il giudice nazionale ha deciso di sottoporre a questa Corte tre questioni sulla compatibilità dello Shops Act 1950 con gli artt . 30 e 36 del trattato CEE . Le questioni sono le seguenti :

"1 ) Se una norma di diritto nazionale che vieta l' apertura domenicale di esercizi commerciali per la vendita al fine di vendere al minuto, salvo taluni articoli la cui vendita è consentita, o qualora il divieto provochi un calo in termini assoluti delle vendite in detti esercizi, in particolare quelle di merci prodotte in altri Stati membri, con conseguente riduzione del volume delle importazioni da detti Stati, costituisca una misura d' effetto equivalente a restrizioni all' importazione ai sensi dell' art . 30 del trattato .

2 ) In caso di soluzione affermativa della questione n . 1 ), se tale misura rientri nelle deroghe all' art . 30 previste dall' art . 36, ovvero in altre deroghe ammesse dal diritto comunitario .

3 ) Se sussistano elementi che incidono sulle soluzioni delle questioni nn . 1 ) o 2 ) in modo da rendere il provvedimento di cui è causa un mezzo di discriminazione arbitraria od una restrizione dissimulata al commercio fra Stati membri od una misura sproporzionata od altrimenti ingiustificata ."

I - La prima questione

5 . Con la prima questione, la Corte è invitata a supporre che il divieto domenicale del commercio "provochi un calo (...) delle vendite (...) di merci prodotte in altri Stati membri con conseguente riduzione del volume delle importazioni da detti Stati ". Questo passaggio si fonda sulla supposizione di fatto, cui fa riferimento l' ordinanza di rinvio ( vedasi sopra, paragrafo 3, punti 6 e 8 ), che l' applicazione del divieto domenicale determini indirettamente una diminuzione in termini assoluti del volume delle importazioni nel Regno Unito di numerose merci provenienti da altri Stati membri e vendute nei negozi della B & Q .

L' ordinanza di rinvio della Cwmbran Magistrates' Court è ciò che suole definirsi un "consent order ": le parti hanno cioè trovato un' intesa sul tenore dell' ordinanza, compresa la formulazione delle questioni pregiudiziali . Tuttavia, le osservazioni scritte del Borough Council e del governo britannico e la fase orale del procedimento hanno dimostrato che il modo in cui la Corte deve intendere la prima questione pregiudiziale continua ad essere per vari aspetti fonte di disaccordo .

Se l' ordinanza di rinvio vada "riformulata"


6 . In primo luogo, il governo del Regno Unito osserva che non è dimostrato che la B & Q abbia venduto, di domenica, merci originarie di altri Stati membri . Del resto esso ritiene che, poiché lo Shops Act qualifica come reato non già la vendita ma la semplice apertura del negozio, la B & Q abbia comunque commesso un' infrazione e le questioni pregiudiziali sono pertanto superflue ai fini della soluzione della controversia principale . Ad ogni buon conto, esso chiede alla Corte di precisare che può eventualmente esservi incompatibilità delle norme dello Shops Act 1950 di cui trattasi solo qualora dette norme si applichino a prodotti importati .

In secondo luogo, il governo del Regno Unito e il Borough Council fanno osservare che non è dimostrato che le norme controverse dello Shops Act limitino effettivamente il volume globale delle importazioni nel Regno Unito ( vedasi la relazione d' udienza, capitolo II, punti 1 e 3 ).

Infine, il governo del Regno Unito e il Borough Council hanno esposto in udienza un argomento supplementare a sostegno della tesi per cui la Corte non dovrebbe tener conto dell' incidenza dello Shops Act, rilevata dal giudice nazionale, sulle importazioni nel Regno Unito . Essi hanno affermato che l' effetto cui si riferisce l' ordinanza di rinvio non assume rilievo in quanto colpisce un solo commerciante e nulla dimostra il suo rapporto con un prodotto determinato .

7 . Nessuno dei tre argomenti esposti riesce a convincermi . Quanto all' utilità od alla necessità della questione di cui trattasi, le mie osservazioni saranno brevi . Come indica lo stesso Regno Unito, spetta solo al giudice a quo valutare la necessità o l' utilità di una questione pregiudiziale ( 2 ).

L' asserzione per cui un provvedimento nazionale può essere ritenuto in contrasto con l' art . 30 solo qualora si applichi a prodotti importati è corretta nel senso che l' art . 30 ( come ogni altra disposizione di diritto comunitario ) non è applicabile in situazioni "puramente interne" ( 3 ). Ebbene, il caso di specie è diverso : dal testo della prima questione e dai fatti si evince chiaramente che sussiste qui un "elemento transfrontaliero ".

Il secondo argomento neppure mi sembra si concilii con la giurisprudenza della Corte . Nella sentenza Dassonville avete affermato nettamente, e da allora costantemente ricordato, che come misura d' effetto equivalente va considerata "ogni normativa commerciale che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari" ( 4 ). Conformemente a questa definizione, avete precisato nella vostra giurisprudenza che un operatore economico, che si opponga ad un provvedimento nazionale poiché costituisce una misura d' effetto equivalente soggetta a divieto, non deve dimostrare che detto provvedimento ostacola effettivamente o globalmente gli scambi intracomunitari . La Corte ha respinto l' argomentazione con cui si cercava di dimostrare mediante dati statistici che le importazioni della merce in oggetto erano aumentate ed essa non ha neppure considerato la possibilità che l' ostacolo di cui trattasi sia compensato da altri fattori ( 5 ). Del resto è logico : in effetti, senza la misura restrittiva, le importazioni potrebbero aumentare in maggior misura .

Gli unici casi in cui avete ammesso che un provvedimento non rientrava nell' ambito d' applicazione dell' art . 30 per i suoi effetti sostanziali sono i casi in cui avete dichiarato che la normativa in questione non poteva determinare una restrizione delle importazioni e delle esportazioni fra Stati membri ( 6 ), o i casi in cui il provvedimento in oggetto "non ha in realtà alcun rapporto con l' importazione dei prodotti" ( 7 ). Gli elementi di fatto di queste cause erano di natura molto specifica : si trattava sempre di misure che, come avete concluso in base ad una valutazione empirica, non incidevano o non potevano incidere sugli scambi intracomunitari . Il governo britannico ed il Borough Council lasciano capire che la Corte, nel caso di specie, è alle prese con una situazione analoga e che le suddette sentenze sarebbero quindi determinanti ai fini della soluzione delle questioni pregiudiziali . Ciò mi sembra inesatto : il giudice nazionale ha infatti rilevato un determinato calo delle importazioni nel Regno Unito in seguito al divieto di apertura domenicale degli esercizi commerciali . Per questo la Corte è invitata a ritenere che vi sia un rapporto causale fra la normativa di cui trattasi ed il calo delle importazioni; analogo rapporto non sussisteva nelle cause Oebel, Blesgen e Forest .

8 . Mi trovo in disaccordo anche sul terzo argomento circa la "pertinenza" delle constatazioni di fatto del giudice nazionale . Dalla giurisprudenza della Corte discende che, anche qualora si rilevi un ostacolo agli scambi per un solo commerciante, la normativa che determina l' ostacolo può rientrare nell' ambito di applicazione dell' art . 30 ( 8 ). Quest' approccio mi sembra legittimo . Anche se, quando una sentenza in un procedimento pregiudiziale interpreta il diritto comunitario, l' interpretazione ha efficacia "erga omnes", tuttavia la sentenza è emanata con riguardo all' applicazione di una normativa nazionale ad una situazione di fatto ben determinata, che è alla base della controversia principale . Non è certo sempre possibile ( né augurabile ) che la Corte si pronunci in una sentenza in un procedimento pregiudiziale su situazioni concrete che nulla hanno da spartire col caso di specie nella controversia principale ed i cui precisi elementi di fatto non sono sufficientemente noti o non lo sono affatto .

Infine, vorrei ancora prendere le distanze dall' affermazione per cui, avendo le norme dello Shops Act portata generale, nulla dimostrerebbe che nel caso di specie v' è un ostacolo per una merce determinata . Il procedimento odierno solleva la questione se le norme controverse generino un ostacolo commerciale ai sensi dell' art . 30 nei confronti delle merci vendute dalla B & Q . Ebbene, questo è quanto il giudice nazionale ha esplicitamente constatato ( 9 ).

Se lo Shops Act contenga una "normativa commerciale"

9 . Quanto precede mi induce a concludere che non vi sono motivi convincenti per respingere le supposizioni di fatto, illustrate dal giudice nazionale, in quanto non pertinenti e per modificare i termini della prima questione .

La discussione verte pertanto sulla questione se una normativa nazionale, che s' è dimostrata spiegare un certo effetto restrittivo sulle importazioni, possa ciononostante ancora esser sottratta alla sfera d' applicazione dell' art . 30 del trattato . La B & Q è per la soluzione negativa : le disposizioni controverse dello Shops Act 1950 devono essere integralmente analizzate alla luce del principio enunciato nella sentenza Dassonville e soggiacciono di conseguenza, prima facie, al divieto sancito dall' art . 30 . Ebbene, sia il Borough Council sia il governo britannico e la Commissione hanno affermato che nel caso di specie o detto principio non era applicabile ovvero non se ne poteva dedurre che le norme di cui è causa rientrino nella sfera d' applicazione dell' art . 30 .

10 . A giudizio del Borough Council, la normativa di cui è causa non è neppure una "normativa commerciale" ai sensi della sentenza Dassonville bensì espressione di un "potere di polizia" di cui gli Stati membri continuerebbero a disporre in forza dell' art . 30 . Nelle osservazioni del Borough Council, il concetto di "potere di polizia" o "legge di polizia" è definito primariamente in base agli effetti che possono risultare da provvedimenti del genere . Si tratterebbe di normative il cui rapporto con gli scambi intracomunitari non è sufficientemente diretto ed i cui effetti restrittivi sarebbero conseguenza inevitabile della generale disciplina della vita sociale o della vita commerciale . Il Borough Council sostiene che il divieto sancito dall' art . 30 non riguarda dette normative se esse sono applicate senza distinzioni ( esso ritiene che la propria tesi trovi conferma nelle menzionate sentenze Oebel e Blesgen ).

11 . Il governo del Regno Unito, non ricollegando il proprio argomentare al concetto di "provvedimento di polizia", sostiene che nella giurisprudenza sull' art . 30 del trattato CEE la Corte distingue i provvedimenti applicabili ad un prodotto determinato dai provvedimenti aventi portata generale . Nel caso dei primi, divergenze fra le normative nazionali in vigore determinerebbero pressoché inevitabilmente un ostacolo agli scambi interstatali . Per contro, nel caso di provvedimenti a portata generale, discenderebbe dalla giurisprudenza della Corte che essi non rientrano nella sfera d' applicazione dell' art . 30 del trattato CEE salvo che abbiano carattere discriminatorio o sfavoriscano di fatto le merci importate rispetto ai prodotti nazionali . Le norme sugli orari di lavoro o di apertura o che stabiliscono quali prodotti possono essere venduti in taluni esercizi commerciali rientrano nella generale disciplina della vita sociale o della vita commerciale . Anche quando hanno un determinato effetto restrittivo, esse non ostano all' importazione od alla vendita delle merci importate; la loro incidenza ( supposto che vi sia ) non può essere esattamente determinata .

12 . Ritengo che le tesi del Borough Council e del governo del Regno Unito siano soggette a varie obiezioni . E' realmente difficile applicare il criterio di delimitazione da essi proposto . Cosa significa "rapporto non sufficientemente diretto con gli scambi intracomunitari", "disciplina generale" o "provvedimenti aventi portata generale"? A quanti prodotti o settori industriali deve riferirsi una normativa per essere considerata ed analizzata come normativa avente portata generale?

E' comunque più importante chiedersi se questo approccio non sia in contrasto con la giurisprudenza della Corte . L' enucleazione di una nuova categoria di provvedimenti ( di polizia ) applicabili alla produzione ed alla vendita delle merci, pur non essendo normative commerciali, non è corroborata dalla giurisprudenza della Corte . Questo principio è stato di recente riaffermato nella sentenza 18 maggio 1989, Pharmaceutical Society ( 10 ), in cui avete dichiarato che la norma per cui un farmacista è tenuto a consegnare solo un prodotto farmaceutico indicato specificamente nella ricetta medica poteva costituire una misura d' effetto equivalente . Eppure si trattava di una norma deontologica "neutra" di cui non potevasi dimostrare il rapporto con l' importazione delle merci . Basandosi sulla circostanza che, dopo un breve periodo d' applicazione della normativa, l' importazione di prodotti farmaceutici stranieri era praticamente terminata, la Corte ha cionondimeno concluso che non poteva escludersi la possibilità che la normativa costituisse un ostacolo agli scambi intracomunitari; essa non si è occupata del problema della qualificazione della norma ( se trattavasi di una normativa commerciale o meno ) ( 11 ). Un altro esempio è costituito dalla sentenza nella causa Buet ( 12 ), in cui la Corte ha dichiarato che una norma francese, che vieti la vendita porta a porta di "materiale didattico", andava considerata come un ostacolo all' importazione di materiale per l' apprendimento di una lingua straniera ( vedansi punti da 7 a 9 della motivazione della sentenza ).

Questa giurisprudenza richiama opportunamente il principio per cui la valutazione di una normativa nazionale con riguardo all' art . 30 del trattato CEE deve vertere sugli effetti ( restrittivi degli scambi ) di detta normativa piuttosto che sulla sua natura ( generale o specifica per un prodotto ). Pur se è più agevole dimostrare l' esistenza di un ostacolo nell' ipotesi di una normativa specifica per un prodotto piuttosto che nell' ipotesi di una normativa generale, tuttavia mi sembra chiaro che un ostacolo agli scambi possa essere determinato non solo da una normativa su di un prodotto specifico ma anche da una normativa di natura generale .

Le diverse categorie di "provvedimenti indistintamente applicabili"

13 . Mi si consenta di evocare brevemente, per introdurre questa parte del mio intervento, le osservazioni presentate dalla Commissione . La Commissione muove dalla distinzione generalmente condivisa fra "provvedimenti discriminatori" e "provvedimenti indistintamente applicabili ". Fra questi ultimi essa distingue tre categorie diverse in base alla natura dei provvedimenti . Una prima categoria ricomprende i provvedimenti che disciplinano i requisiti ( natura o composizione, dimensioni, forma, confezionamento, etichettatura e denominazione ) che i prodotti devono possedere per essere immessi sul mercato . Una divergenza tra le normative nazionali quanto a detta prima categoria finisce inevitabilmente col determinare ostacoli agli scambi in quanto in base ad essa delle merci legalmente prodotte o vendute nello Stato membro d' esportazione devono subire degli adattamenti per poter essere vendute nello Stato membro d' importazione . Una seconda categoria ricomprende i provvedimenti che vietano l' importazione e la produzione ( o semplicemente la vendita ) di determinate merci . Detti provvedimenti sanciscono un divieto assoluto d' importazione per le merci di cui trattasi e possono pertanto considerarsi come restrizioni quantitative piuttosto che come misure d' effetto equivalente . La terza categoria fa riferimento alle circostanze ( dove, quando, come, da chi ) in cui i prodotti possono essere venduti od utilizzati . Le restrizioni degli orari d' apertura degli esercizi commerciali rientrano senz' ombra di dubbio in quest' ultima categoria .

Per i provvedimenti della terza categoria, il loro rapporto con le importazioni, a giudizio della Commissione, va ricercato altrove . Detti provvedimenti non ostano alle importazioni ma possono ridurle mediante le restrizioni che impongono agli sbocchi o alle possibilità di utilizzo ( e pertanto alla domanda ) delle merci che rientrano nella loro sfera d' applicazione . Ebbene, detti ostacoli sono assolutamente diversi dagli ostacoli che si ricollegano alle due prime categorie : mentre quelli derivanti dalle prime due categorie sono determinati dalle divergenze fra le normative nazionali, quelli della terza categoria discendono eziologicamente dalla stessa esistenza della normativa; a tal proposito non ha alcun rilievo una eventuale divergenza . Secondo la Commissione, vi sono tre sentenze nella vostra giurisprudenza in cui vi siete pronunciati su provvedimenti della terza categoria : le sentenze Oebel ( 13 ), Blesgen ( 14 ) e Forest ( 15 ). Essa ritiene che queste sentenze siano decisive anche nel procedimento presente .

14 . Prima di esprimere una valutazione personale, ritengo sia utile osservare che è possibile rilevare un' evidente evoluzione nella giurisprudenza della Corte sui provvedimenti nazionali con riguardo all' art . 30 del trattato CEE . Ab initio, era indiscusso che un provvedimento nazionale che comporta una discriminazione ( formale ovvero, come si è ben presto evidenziato, sostanziale ) per le merci importate soggiace al divieto sancito dall' art . 30 . In questo contesto, diverso da quello del caso di specie, avete ritenuto che un provvedimento del genere potesse trovare giustificazione solo in base ad uno dei motivi di cui all' art . 36 .

15 . In seguito avete del pari ritenuto che il divieto sancito dall' art . 30 colpisca anche i provvedimenti applicabili indistintamente alle merci nazionali ed importate . Trattasi, in questo caso, di provvedimenti certamente non discriminatori quanto alla finalità od all' oggetto ma che spiegano di fatto effetti più rilevanti per le merci importate rispetto alle merci nazionali; in altri termini, essi sfavoriscono le merci importate rispetto alle merci nazionali . Nella celebre sentenza "Cassis de Dijon", avete dichiarato che anche simili provvedimenti soggiacciono in linea di principio al divieto sancito dall' art . 30 :

"Gli ostacoli alla circolazione intracomunitaria derivanti da disparità delle legislazioni nazionali relative al commercio dei prodotti di cui trattasi vanno accettati qualora tali prescrizioni possano ammettersi come necessarie per rispondere ad esigenze imperative" ( 16 ).

L' idea fondamentale di questa giurisprudenza è che simili disparità delle normative nazionali possono generare gravi ostacoli agli scambi intracomunitari in quanto possono rendere necessari lavori o spese supplementari affinché la produzione od il commercio del prodotto risponda alle normative, diverse da Stato membro a Stato membro . Dette normative riguardano o il contenuto, le dimensioni, la forma, il peso, la presentazione, l' etichettatura, la denominazione ed il confezionamento dei prodotti ( 17 ) ovvero i metodi di vendita autorizzati ( 18 ). Come la Commissione ha giustamente osservato, in questa categoria vi è un rapporto causale fra divergenza ed ostacolo . Proprio per questo simili provvedimenti sono illegittimi con riguardo all' art . 30, quantomeno non sono necessari a causa di "esigenze imperative" o non trovano giustificazione in base ai motivi di cui all' art . 36 . Questo divieto vige evidentemente solo in mancanza di una disciplina comunitaria, nell' attesa che sia adottata una direttiva di armonizzazione, in applicazione degli artt . 100 e seguenti del trattato CEE .

16 . Nel caso di specie è accertato che la disciplina britannica di cui è causa non ha una diversa incidenza sulle merci importate rispetto ai prodotti nazionali . Il giudice nazionale ha difatti rilevato che il calo delle vendite, determinato dall' attuazione del divieto di apertura domenicale, era generale (" across the board "), nel senso che riguardava tutti i prodotti venduti dalla B & Q . D' altronde la B & Q non ha sostenuto che le disparità fra le legislazioni nazionali sui giorni di chiusura l' obbligasse a differenziare i propri metodi di vendita . Nulla dimostra, di conseguenza, che la produzione o la vendita dei prodotti importati, venduti dalla B & Q, sia più difficoltosa della produzione o della vendita dei prodotti nazionali .

Mi chiedo se, in tal caso, si possa ancora temere che la finalità dell' art . 30, vale a dire l' integrazione dei mercati nazionali, sia compromessa . Nelle conclusioni nella causa Cinéthèque ( 19 ), l' avvocato generale Sir Gordon Slynn ha risposto negativamente :

"Il provvedimento che non riguardi specificamente le importazioni, non operi discriminazioni nei confronti delle importazioni, non renda la vendita dei prodotti più difficile per l' importatore che per il produttore nazionale e non fornisca alcuna protezione ai produttori nazionali non ricade prima facie, secondo me, nell' ambito d' applicazione dell' art . 30, nemmeno qualora determini in pratica una restrizione o una riduzione delle importazioni" ( 20 ).

Ebbene, nel caso della legislazione francese di cui trattavasi nella causa Cinéthèque, non potevasi dimostrare che le importazioni venivano rese "più difficili", come non lo si può dimostrare nel procedimento presente . Come sosteneva l' avvocato generale :

"L' importatore può in pratica importare . Egli si trova quindi esattamente nella stessa situazione del rivenditore nazionale . Quest' ultimo non gode di alcun ulteriore vantaggio rispetto all' importatore, il primo non subisce un maggiore pregiudizio rispetto al rivenditore francese in conseguenza del divieto di utilizzare le videocassette . Il fattore che indurrebbe un rinvenditore in Francia a non acquistare da un distributore francese apparecchi video ( impossibilità di vendere o di dare a noleggio ) è lo stesso che lo indurrebbe a non acquistare da un distributore di un altro Stato membro . Sotto questo profilo i distributori sono in entrambi i casi soggetti alle stesse condizioni commerciali . Essi operano effettivamente sullo stesso mercato . L' art . 30 non poteva avere lo scopo, sotto questo aspetto, di garantire al distributore di un altro Stato membro condizioni più favorevoli di quelle in cui opera il distributore nazionale . Forse, se fosse manifestamente irragionevole porre le merci importate sullo stesso piano delle merci nazionali, il provvedimento potrebbe essere criticabile per questo motivo . Non è questa, però, la situazione nel presente caso e, a mio avviso, la legge di cui trattasi non rientra nella sfera d' applicazione dell' art . 30" ( 21 ).

La Corte non ha accolto detta opinione . Tuttavia, essa ha ammesso nella sentenza che un regime del genere

"(...) non ha lo scopo di disciplinare le correnti di scambio; esso non ha l' effetto di favorire la produzione nazionale rispetto alla produzione degli altri Stati membri, ma quello di promuovere la produzione cinematografica in quanto tale" ( punto 21 della motivazione ).

Essa ha però ritenuto che il divieto sancito dall' art . 30 fosse applicabile in linea di principio :

"Tuttavia, l' applicazione di un siffatto regime può intralciare gli scambi intracomunitari di videocassette a causa della diversità dei sistemi normativi vigenti nei vari Stati membri e delle condizioni relative alla rappresentazione delle opere cinematografiche nelle sale di proiezione . Di conseguenza, il divieto di utilizzazione stabilito da tale regime è compatibile col principio della libera circolazione delle merci sancito dal trattato solo purché gli eventuali ostacoli derivantine per gli scambi intracomunitari non vadano al di là di quanto necessario per garantire il raggiungimento dello scopo perseguito e purché questo scopo sia legittimo con riguardo al diritto comunitario" ( punto 22 della motivazione ).

17 . Mediante tali considerazioni la Corte ha precisato che il divieto di cui all' art . 30 può trovare applicazione anche nel caso di una normativa che non discrimini i prodotti importati e neppure renda più difficile la produzione o la vendita delle merci importate rispetto alle merci nazionali . Secondo me, così stanno le cose se una normativa, in quanto tale o in quanto elemento del contesto giuridico od economico generale, può avere l' effetto di proteggere un mercato nazionale o di rendere l' accesso a detto mercato illegittimamente più difficile, meno redditizio o meno attraente per gli operatori economici di altri Stati membri .

Ciò si è effettivamente verificato nella causa Cinéthèque : in effetti, la Corte aveva rilevato che il divieto di diffusione imposto dalla disciplina francese aveva in genere maggiore durata che in altri Stati membri ( 22 ). Detto divieto di diffusione aveva l' effetto di precludere temporaneamente l' accesso al mercato francese alle imprese di altri Stati membri che operavano nel settore delle videocassette e non erano soggette ad una disciplina tanto severa nel paese d' esportazione . L' ostacolo agli scambi intracomunitari che ne derivava era quindi determinato non già ( tanto ) dalla divergenza delle legislazioni ( divergenza sussistente anche in questo settore ) bensì dalla stessa esistenza della normativa . Una situazione del genere poteva effettivamente compromettere l' integrazione del mercato e giustificava assolutamente il ricorso all' art . 30 .

18 . Infatti, la sentenza Cinéthèque rappresenta una nuova applicazione della regola Dassonvile, così come applicata alle normative nazionali che, pur non svantaggiando le merci importate rispetto ai prodotti nazionali, rendono l' accesso ai nuovi mercati e la penetrazione di questi da parte di imprese di altri Stati membri impossibili, più difficoltosi ( più onerosi ) o molto meno attraenti ( non redditizi ). In una situazione del genere, non si devono porre a confronto le merci importate e nazionali bensì i mercati nazionali fra loro . Corollario del divieto delle restrizioni quantitative di cui all' art . 30, che è uno dei pilastri essenziali dell' unità del mercato comune, è infatti che tutti i mercati nazionali della Comunità devono restare sufficientemente accessibili alle imprese degli Stati membri . Prima di far luce su questo punto, vorrei innanzitutto esaminare la giurisprudenza della Corte riguardo a questa "nuova" situazione .

Una nuova svolta nella giurisprudenza della Corte

Varie sentenze recenti hanno dimostrato che la sentenza Cinéthèque non costituiva una decisione isolata, al contrario essa prestava un' altra, nuova dimensione all' applicazione dell' art . 30 . A tal proposito, penso in particolare alle cause Succédanés de lait en poudre et de lait concentré ( 23 ), Warner Brothers ( 24 ), Buet ( 25 ) e Pharmaceutical Society ( 26 ).

19 . Nella causa Succédanés de lait en poudre et de lait concentré, la Commissione contestava la normativa francese che sanciva un divieto assoluto di porre in commercio ed importare qualunque prodotto inteso a sostituire il latte in polvere o il latte concentrato . Pur non comportando nessuna protezione della produzione nazionale e non determinando nessuna discriminazione nei confronti dei prodotti importati, detta normativa aveva l' effetto di chiudere ermeticamente il mercato francese ai prodotti cui essa si riferiva . Il divieto poi non era limitato nel tempo e ciò ne rendeva gli effetti ancora più rilevanti rispetto al divieto nella causa Cinéthèque . La Corte ha quindi concluso senz' altro che l' applicazione della normativa ai prodotti importati non era in contrasto col diritto comunitario solo in quanto poteva trovar giustificazione nell' art . 36 od in base ad esigenze imperative ( 27 ).

20 . Il procedimento Warner Brothers verteva su una normativa danese che conferiva al titolare del diritto d' autore di un' opera musicale o cinematografica il diritto di opporsi, per un certo periodo, al noleggio di videocassette della sua opera . La Corte ha osservato che la messa in commercio di videocassette ( soprattutto quando trattasi di cassette registrate e non di cassette ancora vuote ) avveniva sempre di più per il tramite del noleggio di dette cassette . Ebbene, secondo la Corte, stando così le cose, il divieto del noleggio sancito in Danimarca poteva avere l' effetto di ostacolare ( 28 ) gli scambi intracomunitari di videocassette messe in libera pratica in un altro Stato membro ed ivi non soggette ad un analogo divieto di noleggio ( 29 ). L' approccio è pertanto lo stesso adottato nel procedimento Cinéthèque : la normativa può avere l' effetto di rendere l' accesso al mercato danese impossibile o quantomeno molto più difficoltoso per le imprese che esercitano il noleggio di videocassette in uno Stato membro che non impone restrizioni ( ovvere impone restrizioni meno severe ) al noleggio di videocassette .

Il procedimento Buet verteva su una normativa francese che vietava la vendita porta a porta di materiale didattico . Benché non sia emerso ( come nel procedimento Oosthoek ( 30 )) che vi fosse una divergenza fra le normative nazionali tale da determinare una discriminazione di fatto per la produzione o per la messa in commercio dei prodotti importati, detta normativa poteva avere l' effetto di proteggere il mercato francese rispetto ad un venditore di materiale d' insegnamento di una lingua straniera, ciò a maggior ragione allorquando il provvedimento di cui trattavasi sottraeva all' operatore interessato un metodo di vendita mediante il quale realizzava quasi tutte le proprie vendite ( 31 ).

Nel procedimento Pharmaceutical Society, la Corte ha rilevato che, poco dopo l' introduzione ( o la reintroduzione ) della norma deontologica controversa, i prodotti farmaceutici stranieri erano stati quasi completamente eliminati dal mercato britannico ( 32 ). Questo dato può essere considerato come prova sufficiente del fatto che la norma controversa aveva di fatto l' effetto di rendere più difficoltoso lo smercio dei prodotti farmaceutici stranieri rispetto ai prodotti nazionali . Questa sentenza può anche interpretarsi - a mio giudizio, più esattamente - nel senso che l' eliminazione dal mercato dei prodotti farmaceutici stranieri dimostra che l' applicazione della norma controversa ha avuto l' effetto di proteggere il mercato britannico .

Definizione del concetto di scompartimentazione del mercato


21 . Come è evidente, in queste recenti sentenze la Corte ha inteso valutare non già se vi fosse una discriminazione nei confronti dei prodotti importati bensì se il mercato comune fosse suddiviso in mercati nazionali distinti . A tal proposito, è opportuno effettuare un raffronto con la giurisprudenza della Corte in materia di divieto delle intese di cui all' art . 85 . In effetti, l' isolamento o la scompartimentazione dei mercati sono concetti noti in questa materia . Inoltre, nella sentenza Dassonville, la Corte si è rifatta, quasi parola per parola, ai termini già utilizzati per definire l' espressione "pregiudicare il commercio fra Stati membri", di cui all' art . 85 . Nella sentenza 30 giugno 1966, LTM ( 33 ), la Corte ha dichiarato più in particolare che un accordo può pregiudicare il commercio tra gli Stati se può prevedersi che esso

"possa esercitare un influsso diretto o indiretto, attuale o potenziale, sulle correnti di scambi fra Stati membri, influenza atta ad ostacolare la realizzazione di un mercato unico tra detti Stati" ( vedasi il dispositivo a pag . 283 ).

Nella sentenza Dassonville ( 34 ), la Corte ha dichiarato :

"ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura d' effetto equivalente a restrizioni quantitative" ( punto 5 della motivazione ).

Del resto, nei due settori, la Corte ha respinto la teoria dell' equilibrio economico degli effetti dell' intesa o della normativa commerciale ( 35 ) ( 36 ).

22 . Non si deve approfondire qui il raffronto fra l' art . 30 e l' art . 85 circa gli ostacoli agli scambi intracomunitari di cui a questi due articoli . Essi sono formulati diversamente non solo in quanto si rivolgono a diversi destinatari ( rispettivamente gli Stati membri e le imprese ) e si riferiscono pertanto ad altri tipi di ostacoli ( rispettivamente i provvedimenti nazionali e le intese ). L' esigenza poi che l' ostacolo incida sugli scambi intracomunitari, enunciata all' art . 85, funge ( fra l' altro, ma per taluni autori, esclusivamente ) da norma per la delimitazione dell' ambito d' applicazione del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale .

Ebbene queste differenze nulla mutano quanto al fatto che i due articoli ( come altri ) perseguono lo stesso scopo fondamentale così come enunciato agli artt . 2 e 3 del trattato CEE, vale a dire l' instaurazione ed il mantenimento di un mercato comune ( ed il ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri ). A tal fine, essi vietano ( fra l' altro ) rispettivamente i provvedimenti nazionali e gli accordi fra imprese che sono responsabili, nel commercio interstatale, della scompartimentazione del mercato comune in mercati nazionali distinti .

Considerato detto obiettivo generale del trattato e tenuto conto del parallelismo, sopra ricordato, dei termini utilizzati dalla Corte per definire gli ostacoli al commercio fra gli Stati, di cui agli artt . 30 e 85, è chiaro che, per comprendere il concetto di "scompartimentazione" ( ovvero "isolamento ") del mercato, occorre far riferimento alla ricca giurisprudenza della Corte in ordine all' art . 85 .

23 . Nella giurisprudenza relativa all' espressione "pregiudicare il commercio interstatale" di cui all' art . 85, si possono distinguere due casi di isolamento del mercato : il caso in cui un accordo orizzontale o verticale, concluso in genere, ma non esclusivamente, fra imprese stabilite in paesi diversi, isola di per sé un mercato nazionale, per esempio suddividendo semplicemente il mercato unico (" ognuno a casa sua ") ovvero impedendo le importazioni parallele provenienti da altri Stati membri, ed il caso poi in cui un accordo, per esempio un accordo sui prezzi, anche concluso fra imprese stabilite in un solo Stato membro, rende l' accesso ad un mercato nazionale più difficoltoso, considerato il contesto giuridico ed economico generale . Nel primo caso, il divieto di cui all' art . 85, n . 1, trova applicazione pressocché automatica ( 37 ) a causa della protezione territoriale assoluta che l' accordo garantisce alle imprese interessate mediante l' assoluta chiusura del mercato nazionale . Nel secondo caso il divieto di cui all' art . 85, n . 1, trova applicazione ( 38 ) solo qualora possa dimostrarsi in base al "contesto giuridico ed economico generale" che l' accordo, che in ipotesi abbraccia "l' intero territorio di uno Stato membro", ha, per la sua stessa natura,

"l' effetto di rinforzare le scompartimentazioni nazionali ( 39 ) e di conseguenza ostacola la compenetrazione economica voluta dal trattato ed altresì protegge i prodotti nazionali, ( rendendo ) più difficile l' azione o la penetrazione, sul mercato nazionale di cui trattasi, di produttori o commercianti di altri Stati membri" ( 40 ).

Per applicare l' art . 30 nella situazione di cui oggi ci occupiamo e che riguarda un provvedimento nazionale non discriminatorio e che neppure sfavorisce le merci importate, ma la cui sola esistenza può compromettere l' integrazione dei mercati fra gli Stati membri ( vedasi sopra, punti 17 e 18 ), io ritengo si debba far ricorso ad una distinzione analoga a quella fra l' isolamento del mercato nazionale mediante misure di chiusura assoluta e l' isolamento del mercato nazionale mediante provvedimenti intesi a rendere più difficile l' accesso a detto mercato .

Se la normativa nazionale di cui è causa isola già di per sé il mercato nazionale, l' art . 30 trova applicazione automatica ( 41 ). Così è per le normative nazionali che ( come nelle cause Cinéthèque o Succédanés de lait en poudre et de lai concentré ) sanciscono un divieto assoluto ( pur se limitato nel tempo ) di immissione in commercio ( paragonabile, a giudizio della Commissione ( 42 ), ad una restrizione quantitativa ).

Se il provvedimento nazionale di cui è causa si limita a rendere l' accesso al mercato nazionale più difficile, il divieto di cui all' art . 30 trova applicazione solo ( 43 ) se dal contesto giuridico ed economico generale risulta che detto provvedimento compromette la compenetrazione economica dei mercati nazionali voluta dal trattato . In tal caso, l' isolamento del mercato va considerato sufficientemente probabile in base ad un certo numero di dati quantitativi i quali dimostrano che l' applicazione della disciplina ha un simile "effetto di rinforzare l' isolamento", rendendo il mercato a tal punto inaccessibile ( oneroso, non redditizio ) che si deve ipotizzare la scomparsa dal mercato della maggior parte delle merci importate . Così stavano le cose, ad esempio, nelle cause Warner Brothers e Buet, da un canto, e nella causa Pharmaceutical Society, dall' altro . Nelle cause Warner Brothers e Buet, l' inammissibile effetto di rinforzare l' isolamento derivava dall' esclusione per i prodotti di cui trattavasi di un metodo di vendita essenziale . Nella causa Pharmaceutical Society, si è potuto constatare che, poco dopo la pubblicazione della norma deontologica di cui era causa, la quota di mercato delle merci importate si era praticamente ridotta a zero ( 44 ).

24 . Ancora tre osservazioni su quanto precede . In primo luogo : nel caso ricordato di una normativa nazionale "che rinforzi l' isolamento" non si potrebbe certo far ricorso ad una regola "de minimis", in quanto, in questa ipotesi, l' applicazione del divieto di cui all' art . 30 presuppone un ostacolo grave, non solo sensibile, del commercio fra Stati membri . In secondo luogo : in una situazione del genere spetta al giudice nazionale valutare il contesto giuridico ed economico generale e dedurne, se del caso, l' esistenza di un rafforzamento dell' isolamento, cui fa riferimento il trattato, e quindi un ostacolo vietato al commercio fra Stati membri . Tale valutazione non è agevole; essa però non differisce da quella già attribuita al giudice nazionale nell' ambito dell' art . 85, n . 1, cui ho già fatto riferimento . In terzo luogo : dalla giurisprudenza della Corte si evince che nei casi di scompartimentazione del mercato, vale a dire in caso di isolamento del mercato nazionale e nel caso in cui l' accesso al mercato è reso più difficile, la normativa nazionale di cui trattasi può trovare giustificazione in uno dei motivi elencati dall' art . 36 e in base ad "esigenze imperative ".

Mancanza d' effetto di scompartimentazione del mercato nel procedimento odierno

25 . Trasponendo quanto precede al procedimento odierno, si rileva che non è emerso che una normativa del genere di quella di cui trattasi nella causa principale abbia l' effetto, per i prodotti venduti dalla B & Q, di isolare il mercato nazionale o di renderne l' accesso più difficile . Una normativa del genere certo non contiene divieti di vendita, paragonabili ad una restrizione quantitativa che ha l' effetto di isolare il mercato nazionale; essa non ha neppure l' effetto di rendere l' accesso a detto mercato più difficile sì da compromettere la compenetrazione economica dei mercati nazionali .

Certo si è rilevato che l' applicazione del divieto di apertura domenicale determinava un calo del fatturato : esso determina un calo delle vendite delle merci offerte dalla B & Q pari a circa il 23 %. Tuttavia, nulla dimostra che una normativa del genere abbia un qualsivoglia effetto di scompartimentazione del mercato comune . Essa dunque non ha l' effetto di rendere l' accesso al mercato nazionale ( od un' azione sul mercato nazionale ) nettamente più difficile per le imprese degli altri Stati membri ( come potrebbe evincersi, fra l' altro, dalla circostanza che, come nel procedimento Pharmaceutical Society, la quota di mercato dei prodotti nazionali cresce in modo sensibile a danno delle merci importate ). Neppure si può sostenere ( come nei procedimenti Warner Brothers o Buet ) che una normativa del genere escluda un metodo di vendita primario per penetrare nel mercato nazionale od operarvi . In effetti, anche qualora l' apertura domenicale di un punto vendita rappresenti un efficace metodo di vendita di articoli di "fai da te" e giardinaggio, il relativo divieto non sembra sia tale da rinforzare l' isolamento del mercato tanto da rendere l' accesso al mercato nazionale molto più difficile ( oneroso ) o molto meno attraente ( non redditizio ) per i produttori od i commercianti delle merci provenienti da altri Stati membri .

Stando così le cose, l' applicazione di una normativa analoga a quella di cui trattasi nella causa principale non è a mio giudizio atta a limitare il commercio intracomunitario così da doversi far ricorso all' art . 30 del trattato, pur se essa ha una certa incidenza ( sfavorevole ) sensibile sulle importazioni delle merci di cui trattasi .

II - In via subordinata : la seconda e la terza questione


26 . Prima di esaminare la seconda e la terza questione pregiudiziale ( in materia delle deroghe di cui agli artt . 30 e 36 ), vorrei ancora osservare che la soluzione alternativa all' approccio di cui sopra ( che limita in un certo grado la portata della formula Dassonville ) mi pare consista in un' applicazione "meccanica" della formula seguente : ogni provvedimento nazionale la cui eliminazione potrebbe determinare un aumento ( diretto o indiretto, in atto o in potenza ) delle importazioni è perciò in contrasto col diritto comunitario purché non trovi giustificazione in "esigenze imperative" od in forza dell' art . 36 . Pertanto, in base a questa tesi, il trattato consente solo gli ostacoli "ragionevoli", intendendosi per "ragionevole" ( nella giurisprudenza della Corte ): necessario, proporzionato e meno restrittivo possibile .

Detta soluzione alternativa comporta il pesante svantaggio ( come risulterà poi dall' esame dei motivi di giustificazione ) che la Corte sarà inevitabilmente sempre più chiamata a valutare la ragionevolezza delle opzioni politiche degli Stati membri nei numerosissimi campi in cui non si ha a che fare con una discriminazione od uno svantaggio, diretto od indiretto, sostanziale o giuridico, per le merci importate ( 45 ). Ci si può allora chiedere se non vi sia "UEberforderung" del giudice comunitario che si troverà in effetti di fronte a varie nuove "esigenze imperative" e motivi di giustificazione . Costantemente gli saranno sottoposti, nell' ambito dell' art . 30, provvedimenti nazionali che comportano opzioni politiche e gli sarà chiesto di ampliare l' elenco non limitativo delle esigenze imperative . E' ben probabile che detto elenco divenga sempre più ampio e finisca col coincidere con una specie di competenza residuale degli Stati membri ( 46 ). In considerazione di ciò, mi sembra debba preferirsi, come suggerivo sopra, una definizione a priori della portata e dei limiti dell' art . 30 in base alle finalità generali di dette disposizioni e del trattato .

27 . Qualora riteniate comunque che un divieto di apertura domenicale degli esercizi commerciali vada considerato come un ostacolo al commercio intracomunitario ai sensi dell' art . 30 del trattato CEE, valuteremo ora in via subordinata se detto ostacolo sia necessario a soddisfare le esigenze imperative o ad uno o più motivi d' interesse generale di cui all' art . 36 del trattato .

Il Borough Council ritiene che vi siano diversi modi di giustificare l' ostacolo . A suo giudizio, la protezione dell' ambiente di lavoro e la tutela della salute e della prosperità ( ovvero del benessere ) dei lavoratori rappresentano nel caso di specie esigenze imperative che rendono necessaria la normativa di cui è causa . Quanto all' art . 36, il Borough Council ritiene che la normativa trovi giustificazione nella tutela della salute e della vita delle persone, nell' ordine pubblico e nella moralità pubblica .

La tesi del governo del Regno Unito è più semplice : esso ritiene che lo Shops Act risponda all' esigenza imperativa del mantenimento della caratteristica della domenica come giorno senza attività commerciali; in subordine, la normativa troverebbe giustificazione, in forza dell' art . 36, nella tutela dell' ordine pubblico . In base alla sentenza Cinéthèque, il governo del Regno Unito ed il Borough Council ritengono di poter concludere che, giacché si può considerare ammissibile un provvedimento in quanto "esigenza imperativa", non debba esservi necessariamente una perfetta conformità tra le esigenze imperative e il provvedimento di cui è causa .

28 . Qualunque siano, nel caso di specie, le esigenze imperative od i motivi di giustificazione ammissibili, occorre risolvere preventivamente un' altra questione : se uno Stato membro che fa applicare una data normativa solo sporadicamente ( 47 ) possa poi dedurne la necessarietà per soddisfare esigenze imperative . Trattasi di questione delicata . Una soluzione negativa equivale all' applicazione di una determinata forma del principio "estoppel", qualora si tratti di valutare se un' esigenza imperativa può ritenersi ammissibile : in base a detto principio, uno Stato membro non sarebbe legittimato ad aggirare il diritto comunitario in base ad una "necessità" da esso invocata ma da esso nei fatti trascurati ( 48 ). Sarei tentato d' escludere che possa invocarsi una necessità imperativa se è accertato che uno Stato membro trascura del tutto di farvi fronte . Non si può sostenere che le cose stiano così per quanto riguarda la normativa britannica, di cui è causa nel procedimento odierno . Pur se, stando a talune indicazioni, lo Shops Act è applicato solo in via sporadica od incoerente ( a tal riguardo, vedasi, in prosieguo, punto 32 ), tuttavia esso non è caduto in desuetudine ( ciò è dimostrato, fra l' altro, dal fatto che il parlamento britannico ha respinto nel 1985 un progetto di legge inteso ad abrogare lo Shops Act ).

29 . Vorrei valutare innanzitutto se il ricorso ai motivi di giustificazione invocati in forza dell' art . 36 sia legittimo . Quanto alla tutela della moralità pubblica, questa viene presentata dal Borough Council nelle sue osservazioni come la preoccupazione di non offendere la sensibilità di taluni soggetti aprendo i negozi la domenica . Detta preoccupazione non mi pare discenda dal concetto di "moralità pubblica ". Pur se nella sentenza Henn e Darby ( 49 ) la Corte ha dichiarato che spetta in linea di principio a ciascuno Stato membro determinare gli imperativi della moralità pubblica nell' ambito del proprio territorio in base alla propria scala di valori e nella forma da esso scelta, tuttavia il principio per cui la finalità dell' art . 36 non è quella di riservare talune materie all' esclusiva competenza degli Stati membri ( 50 ) fa sì che la Corte debba esercitare un certo controllo su ciò che uno Stato membro ritiene rientri nella nozione di moralità pubblica . Ebbene, la preoccupazione di non offendere la sensibilità religiosa non mi pare rientri in detta nozione .

Non mi pare nemmeno che venga in considerazione la tutela dell' ordine pubblico . Per invocare detto motivo di giustificazione, la cui portata va intesa in senso stretto ( 51 ), è necessaria

"l' esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività ". ( 52 )

Ciò non viene certo in considerazione nel caso di specie .

30 . Dobbiamo poi valutare se le esigenze imperative addotte siano ammissibili in quanto tali . Non può negarsi che la categoria delle esigenze imperative non è limitativa ( come invece è per l' elencazione di cui all' art . 36 del trattato CEE ). La protezione dell' ambiente di lavoro ( cui si riferisce esplicitamente l' art . 100 A del trattato CEE ) e la tutela della salute e del benessere dei lavoratori dipendenti o degli indipendenti ( una sottocategoria della "salute delle persone" cui fa riferimento l' art . 36 ) può senza dubbio considerarsi come un' esigenza imperativa . Il "mantenimento della domenica come giorno senza attività commerciali" mi pare susciti qualche riserva . Se si tratta di un' espressione generica che fa riferimento alle ricordate esigenze imperative, esso non deve essere considerato separatamente . Tuttavia, risulterà allora difficile dimostrarne il carattere proporzionato ( vedasi, in prosieguo, il punto 31 ). Per contro, se si fa riferimento ad un' esigenza imperativa a sé stante e se lo si vede per esempio come la preoccupazione di dare ai cittadini la possibilità di dedicare lo stesso giorno ad ogni specie di attività ( non lavorativa, per esempio religiosa ) ed ai contatti sociali, lo si può accettare, anche se comunque con notevoli esitazioni : si dimostra così difatti quanto sia facile far valere nuove esigenze imperative, prima facie giustificate, e quanto sia difficile per la Corte valutarle oggettivamente .

31 . Ebbene, anche qualora si ammetta una delle esigenze imperative ricordate, occorre ancora accertare se la normativa di cui è causa, nella sua forma attuale, sia necessaria a realizzare l' esigenza imperativa addotta e sia proporzionata a tal fine .

Si consideri innanzitutto l' ipotesi per cui la domenica viene considerata giorno di riposo destinato alla tutela della salute e del benessere dei lavoratori dipendenti ed indipendenti . A tal proposito la Commissione ha osservato che detto obiettivo poteva essere raggiunto in modo meno restrittivo : vale a dire limitando le ore lavorative ( per i lavoratori dipendenti ) ovvero autorizzando ( od obbligando ) gli indipendenti a scegliere un giorno qualunque di chiusura piuttosto che imporre la domenica . L' affermazione della Commissione va specificata . Nessuno contesterà che la scelta di un giorno determinato è più restrittiva per la libertà della persona . Tuttavia, la questione è se detta scelta determini una restrizione del commercio intracomunitario al di là di quanto necessario . Se si muove dall' idea che la domenica è, per la vendita dei prodotti di cui trattasi, un giorno più favorevole degli altri giorni della settimana ( 53 ), la possibilità di scegliere un giorno qualunque produce invero effetti meno restrittivi sul commercio intracomunitario .

Diverso è il caso, se si ammette ( come suggerivo sopra al punto 30, con grande esitazione ) che il divieto di apertura domenicale è inteso a soddisfare la preoccupazione di promuovere, in quel giorno, ogni specie di attività ( non lavorativa ) ed i contatti sociali . In tal caso, l' imposizione di un giorno di chiusura generalizzata, già tradizionalmente usato da una gran parte della popolazione per simili attività e contatti, è necessaria per raggiungere l' obiettivo cui si tende ed è proporzionata a detto obiettivo .

32 . Sino ad ora, ho riservato nella mia analisi poco spazio alla complessità ed all' incoerenza ( sia ratione personae sia ratione loci ) della disciplina di cui trattasi nella causa principale, che la B & Q ha censurato dettagliatamente, e poco spazio del pari al controllo sporadico del rispetto di detta disciplina . Pur se condivido la tesi iniziale della B & Q per cui la giustificazione di una data normativa va valutata tenendo conto degli elementi di fatto della normativa stessa, tuttavia l' argomentare della B & Q riguarda in primo luogo l' efficacia e la coerenza della disciplina . Ebbene, il diritto comunitario contempla un altro genere di imperativi : l' ostacolo che la normativa concretamente determina dev' essere proporzionato allo scopo perseguito, esso cioè non deve avere sugli scambi intracomunitari effetti restrittivi più rilevanti di quanto necessario per realizzare lo scopo perseguito; a tal proposito, nessun rilievo assume la questione se la normativa raggiunga lo scopo assegnatole ( 54 ). La "ragionevolezza" di un provvedimento viene in considerazione nel diritto comunitario solo nella misura in cui il provvedimento non costituisca uno strumento di discriminazione arbitraria o di restrizione dissimulata . Nel caso di specie trattasi senz' altro di una discriminazione arbitraria per le merci di altri Stati membri o di una protezione dissimulata del mercato interno . La circostanza che la norma non sia applicabile o non sia applicata od attuata uniformemente all' interno di un unico Stato membro può rappresentare motivo di ricorso nel diritto nazionale ma non per il diritto comunitario .

A sostegno di quanto precede, faccio rinvio alla sentenza Henn e Darby ( 55 ) che riguardava l' applicazione di un divieto d' importare "articoli indecenti od osceni" nel Regno Unito . Si discuteva qui anche della giustificazione di una norma del diritto britannico che non trovava uniforme applicazione in tutto il territorio del Regno Unito; era inoltre emerso ( diversamente dalla controversia presente ) che nella prassi le norme più severe venivano applicate alle merci importate . Anche allora vi veniva chiesto se il divieto costituisse una discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata . Al proposito, avete ritenuto quanto segue :

"(...) prescindendo infatti dalle divergenze delle norme che vanno applicate in materia nelle varie parti costitutive del Regno Unito, e nonostante talune eccezioni di portata limitata che esse stabiliscono, dette leggi hanno, nel loro complesso, lo scopo di vietare o, almeno, di frenare la produzione e il commercio di pubblicazioni o di oggetti di natura indecente od oscena" ( punto 21 della motivazione ).

Stando così le cose, la Corte concludeva che, benché le merci importate siano sottoposte alle norme di legge più rigorose, la normativa

"(...) non ( poteva ) quindi considerarsi alla stregua di una misura destinata a proteggere indirettamente un prodotto nazionale qualsiasi, né come provvedimento inteso a stabilire una discriminazione arbitraria fra le merci di tal genere particolare, a seconda che esse siano prodotte nel territorio nazionale o in un altro Stato membro" ( ibidem ).

33 . Concludendo la rassegna degli eventuali motivi di giustificazione, vorrei ancora evidenziare quanto segue : a mio giudizio, la valutazione effettuata dimostra esaurientemente che un provvedimento, che uno Stato membro presenti come necessario, può spesso essere valutato solo qualora la Corte sia disposta ad addentrarsi in settori in cui sono state effettuate scelte politiche e per cui il diritto comunitario non appresta o non fornisce assolutamente criteri di valutazione . Per questo propongo di eludere, per quanto possibile, una tale delicata valutazione dei provvedimenti nazionali analoghi a quello di cui trattasi nel caso di specie mediante un' interpretazione dell' art . 30 conforme al trattato .

Le soluzioni che propongo delle questioni pregiudiziali

34 . In conclusione, vi suggerisco di risolvere le questioni pregiudiziali dal Cwmbran Magistrates' Court nel senso seguente :

"Una normativa nazionale che vieta l' apertura domenicale di esercizi commerciali per la vendita al minuto, salvo taluni articoli la cui vendita è consentita, non soggiace al divieto di cui all' art . 30 se non determina una discriminazione di fatto per le merci importate rispetto ai prodotti nazionali senza sfavorire i primi e se essa neppure ha l' effetto di isolare il mercato interno dello Stato membro interessato o di renderne l' accesso particolarmente più difficile o di minor interesse per le merci importate cui la normativa si applica ."

Tuttavia, qualora riteniate che una normativa del genere rappresenti, per principio, una misura di cui all' art . 30, vi propongo in via subordinata di risolvere le questioni pregiudiziali nel senso seguente :

"Gli artt . 30 e 36 del trattato CEE non ostano a che una normativa nazionale vieti l' apertura domenicale di esercizi commerciali per la vendita al minuto, salvo taluni articoli la cui vendita è consentita, se detta normativa non determina una discriminazione di fatto per le merci importate rispetto ai prodotti nazionali e se gli ostacoli al commercio intracomunitario eventualmente derivanti dall' applicazione di detto divieto non vanno al di là di quanto necessario per promuovere le attività non lavorative ed i contatti sociali in un giorno determinato già utilizzato a tal fine da una gran parte della popolazione ."

(*) Lingua originale : l' olandese .

( 1 ) Vedasi punto 7 dell' ordinanza di rinvio .

( 2 ) Questo principio è stato ammesso nella giurisprudenza della Corte dalle origini e non è stato mai posto in discussione . Vedasi, per esempio, sentenza 19 dicembre 1968, Salgoil ( causa 13/68, Racc . 1968, pag . 631, in particolare pag . 641 ) e sentenza 30 aprile 1986, Asjes ( cause riunite da 209 a 213/84, Racc . 1986, pag . 1457, punto 10 della motivazione ). La Corte si è discostata da detto principio solo in casi del tutto eccezionali . Vedasi sentenza 11 marzo 1980, Foglia I ( causa 104/79, Racc . 1980, pag . 745, in particolare punti da 6 a 11 della motivazione ) e sentenza 16 dicembre 1981, Foglia II ( causa 244/80, Racc . 1981, pag . 3045 ).

( 3 ) Vedasi, ad esempio, sentenza 8 dicembre 1987, Gauchard ( causa 20/87, Racc . 1987, pag . 4879, in particolare punti da 10 a 12 della motivazione ).

( 4 ) Sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Racc . 1974, pag . 837, punto 5 della motivazione ( il corsivo è mio ).

( 5 ) Vedasi sentenza 24 novembre 1982, Commissione / Repubblica d' Irlanda ( causa 249/81, Racc . 1982, pag . 4005, punti da 22 a 27 della motivazione ).

( 6 ) Sentenza 14 luglio 1981, Oebel ( causa 155/80, Racc . 1981, pag . 1993, punto 20 della motivazione ).

( 7 ) Sentenza 31 marzo 1982, Blesgen ( causa 75/81, Racc . 1982, pag . 1211, punto 9 della motivazione ); vedasi anche sentenza 25 novembre 1986, Forest ( causa 148/85, Racc . 1986, pag . 3449 ), in cui la Corte ha concluso al punto 19 della motivazione : "tale misura (...) non sembra pertanto avere, in realtà, alcun legame con l' importazione (...) né essere di natura tale da ostacolare il commercio fra gli Stati membri ".

( 8 ) L' esempio più recente è la sentenza 16 maggio 1989, Buet ( causa 382/87, Racc . 1989, pag . 1235; vedasi, in particolare, punto 7 della motivazione .

( 9 ) Vedasi, sopra, paragrafo 3, punto 8 . Dette constatazioni di fatto del giudice a quo poggiano fra l' altro sulla dichiarazione di un fornitore olandese della B & Q ( vedasi allegato 4 all' ordinanza di rinvio ), per cui gli ordini ricevuti dalla B & Q erano diminuiti del 31,5% durante il periodo d' applicazione del divieto del commercio domenicale .

( 10 ) Sentenza nelle cause 266 e 267/87, Royal Pharmaceutical Society of Great Britain, Racc . 1989, pag . 1295 .

( 11 ) Vedasi, però, le conclusioni ( in senso contrario ) dell' avvocato generale Darmon in data 10 marzo 1989, in particolare i punti da 19 a 28 .

( 12 ) Sentenza 16 maggio 1989, già citata alla nota 8 .

( 13 ) Sentenza 14 luglio 1981, già citata alla nota 6 .

( 14 ) Sentenza 31 marzo 1982, già citata alla nota 7 .

( 15 ) Sentenza 25 novembre 1986, già citata alla nota 7 .

( 16 ) Sentenza 20 febbraio 1979, Rewe ( causa 120/78, Racc . pag . 649, punto 8 della motivazione ).

( 17 ) Un esempio noto è costituito dalla sentenza 10 novembre 1982, Rau ( causa 261/81, Racc . pag . 3961, in particolare punto 13 della motivazione ), che riguardava una normativa belga che autorizzava la vendita o l' importazione di margarina solo se imballata sotto forma di cubi .

( 18 ) Vedasi, ad esempio, sentenza 15 dicembre 1982, Oosthoek ( Racc . 1982, pag . 4575, in particolare punto 15 della motivazione ), relativa ad un divieto di far uso di talune forme di pubblicità e di taluni metodi di promozione .

( 19 ) Questa controversia ( sentenza 11 luglio 1985, cause riunite 60 e 61/84, Racc . 1985, pag . 2605 ) riguardava la questione se una legge francese, che sanciva il divieto ( temporaneo ) del principio di vendere o di noleggiare videocassette di un' opera cinematografica in diffusione nelle sale cinematografiche, fosse in contrasto con l' art . 30 del trattato CEE .

( 20 ) Racc . 1985, pag . 2611 .

( 21 ) Racc . 1985, pagg . 2611 e 2612 .

( 22 ) Vedasi punto 19 della motivazione .

( 23 ) Sentenza 23 febbraio 1988, Commissione / Francia ( causa 216/84, Racc . 1988, pag . 793 . Questa sentenza è stata di recente nuovamente confermata dalla sentenza 11 maggio 1989, Commissione / Germania, "Sucédanés de lait" ( causa 76/86, Racc . 1989, pag . 1021 ). Esamineremo in prosieguo soltanto la prima sentenza .

( 24 ) Sentenza 17 maggio 1988, causa 158/86, Racc . 1988, pag . 2605 .

( 25 ) Citato sopra alla nota 8 .

( 26 ) Sentenza 18 maggio 1989, già citata alla nota 10 . Nelle cause Oebel, Blesgen e Forest ( citate nelle note 6 e 7 ), la Corte avrebbe del pari potuto pronunciarsi nello stesso senso se avesse riconosciuto l' esistenza di un ostacolo .

( 27 ) Vedasi punto 7 della motivazione . Del resto il governo francese non aveva contestato l' applicabilità del divieto dell' art . 30 : vedasi punto 4 della motivazione . Era peraltro già appurato che l' art . 30 trovava applicazione nel caso di divieti di immissione in commercio senza limitazioni temporali . Vedasi, ad esempio, sentenza 17 dicembre 1981, Frans-Nederlandse Maatschappij voor Biologische Producten ( causa 272/80, Racc . 1981, pag . 3277 ).

( 28 ) Come nella causa Cinéthèque, si deve in effetti prevedere che, venuto a scadenza il termine piuttosto lungo del divieto, diminuisca l' interesse per le videocassette di un film .

( 29 ) Vedasi punto 19 della motivazione .

( 30 ) Citata alla nota 18 .

( 31 ) Vedansi punti 7 ed 8 della motivazione .

( 32 ) Vedasi punto 18 della motivazione .

( 33 ) Vedasi sentenza 30 giugno 1966, LTM/MBU ( causa 56/65, Racc . 1966, pag . 261 ).

( 34 ) Già citato alla nota 4 .

( 35 ) Per quanto riguarda le intese, vedasi sentenza 13 luglio 1966 Consten-Grundig ( cause riunite 56 e 58/64, Racc . 1966, pag . 457 ); per quanto riguarda le normative commerciali, vedasi sentenza 24 novembre 1982, causa 249/81, già citata alla nota 5 .

( 36 ) Vi sono anche differenze di applicazione . E' così, per esempio, che, per quanto riguarda l' art . 30, non si potrebbe ricorrere alla regola "de minimis" ( vedasi sentenza 5 aprile 1984, Van de Haar en Kaveka de Meern, cause riunite 177 e 178/82, Racc . 1984, pag . 1797, punto 13 della motivazione ). Quanto all' art . 85, detta regola trova invece applicazione in quanto il commercio fra gli Stati membri deve essere pregiudicato in modo sensibile ( vedasi sentenza 9 luglio 1969, Voelk-Verwaecke, causa 5/69, Racc . 1969, pag . 295 ).

( 37 ) Fatta salva comunque la regola "de minimis" ed eventualmente, ma in via del tutto eccezionale, l' art . 85, n . 3 .

( 38 ) Nuovamente, fatta salva la regola "de minimis" e l' art . 85, n . 3 .

( 39 ) Il testo olandese, che fa fede, faceva uso dell' espressione "versterking van de nationale drempelvorming ". Nelle conclusioni odierne, il termine "drempelvorming" viene tradotto per chiarezza linguistica in modi diversi, come "rinforzare la scompartimentazione del mercato" ovvero "rendere l' accesso al mercato più difficile ".

( 40 ) Sentenza 17 ottobre 1972, Cementhandelaren / Commissione ( causa 8/72, Racc . 1972, pag . 977, punti 29 e 30 della motivazione ). Questa causa riguardava un' intesa orizzontale fra produttori . La Corte aveva in precedenza già dichiarato che anche un' intesa verticale, avente un' incidenza solo limitata, vale a dire un cosiddetto "contrat de brasserie" fra un produttore di birra locale ed un cliente locale, può essere in contrasto col divieto di cui all' art . 85, n . 1, considerato il contesto giuridico ed economico generale . Vedasi sentenza 12 dicembre 1967, Haecht / Wilkin ( causa 23/67, Racc . pag . 479 ).

( 41 ) Fatta salva evidentemente l' applicazione dell' art . 36 o di "esigenze imperative" come si evince dalla sentenza Cinéthèque della giurisprudenza successiva .

( 42 ) Vedasii sopra il punto 13 .

( 43 ) Nuovamente, fatta salva l' applicazione dell' art . 36 o di "esigenze imperative ".

( 44 ) Vedansi punti 4 e 18 della motivazione .

( 45 ) Oltre che ad una limitazione del commercio domenicale, il pensiero corre anche alle restrizioni al diritto di stabilimento nell' ambito di una normativa sull' assetto territoriale ( vedasi sentenza Gauchard, citata sopra alla nota 3 ), alle normative che stabiliscono un sequestro dei beni in caso di mancato pagamento dell' imposta ( vedasi causa 69/88, pendente dinanzi alla Corte ), all' imposizione dei limiti di velocità, ecc .

( 46 ) La Corte ha sempre confermato che l' art . 36 del trattato CEE non aveva lo scopo di riservare talune materie alla competenza esclusiva degli Stati membri . Vedasi sentenza 10 luglio 1984, causa 72/83, Campus Oil Limited, Racc . 1984, pag . 2727, punto 32 della motivazione, e sentenza 12 luglio 1979, causa 153/78, Commissione / Germania, Racc . 1979, pag . 2555, punto 5 della motivazione, ed i precedenti ivi menzionati . A mio giudizio, detto principio vale altresì per le esigenze imperative .

( 47 ) Lo Home Office Report (" The Shops Act - Late night and Sunday opening : Report of the Committee of inquiry into proposals to amend the Shops Act", presentato al parlamento del Regno Unito nel novembre 1984 e che trovasi come allegato 2 nelle osservazioni della B & Q ) fa fede del fatto che l' applicazione dello Shops Act è affidata dal 1974 alle autorità comunali . Ebbene talune autorità hanno deciso di non applicare affatto la legge; molte altre autorità comunali intervengono solo in caso di rimostranza ( paragrafo 25 del Report ). Vi si dice poi che pochissimi comuni adottano una politica intesa a perseguire coloro che aprono un esercizio commerciale fuori dei periodi autorizzati ( ibidem ).

( 48 ) Il principio "estoppel" veniva menzionato nella sentenza 10 febbraio 1983, causa 230/81, Lussemburgo / Parlamento, Racc . 1983, pag . 255, punti da 22 a 26 della motivazione . Vedasi anche le conclusioni dell' avvocato generale Mancini, pag . 293, in particolare pag . 295 .

( 49 ) Sentenza 14 dicembre 1979, causa 34/79, Racc . 1979, pag . 3795 . Vedasi anche sentenza 11 marzo 1986, causa 121/85, Conegate, Racc . 1986, pag . 1007, in particolare punti 14 e 15 della motivazione .

( 50 ) Vedasi la giurisprudenza ricordata alla nota 46 .

( 51 ) Sentenza 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau, Racc . 1977, pag . 1999, punto 33 della motivazione ( con rinvio alla sentenza 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn, Racc . 1974, pag . 1350 ).

( 52 ) Sentenza Bouchereau, citata alla nota 51, punto 35 della motivazione . Vedasi anche le conclusioni dell' avvocato generale Warner, pag . 2016, in particolare pagg . da 2024 a 2026 .

( 53 ) Ciò era stato rilevato dal giudice a quo . Vedasi sopra, paragrafo 3, punto 4 .

( 54 ) Sussistono numerosi dubbi in proposito : tutti i motivi di giustificazione addotti presuppongono che i negozi restino chiusi la domenica; ebbene, lo Shops Act consente di fatto l' apertura domenicale, quantomeno allorquando si vendano solo "prodotti esonerati ". Nella realtà questa scappatoia è pienamente sfruttata . Vedasi lo Home Office Report, paragrafo 22, citato alla nota 47 .

( 55 ) Citato alla nota 49 .


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