Conclusioni dell'avvocato generale Saggio del 14 marzo 2000. - Bärbel Kachelmann contro Bankhaus Hermann Lampe KG. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Landesarbeitsgericht Hamburg - Germania. - Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Accesso al lavoro e condizioni di lavoro - Parità di trattamento - Condizioni inerenti al licenziamento. - Causa C-322/98.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-07505

 

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1 Con il presente rinvio pregiudiziale il Landesarbeitsgericht Hamburg (Tribunale superiore del lavoro di Amburgo) chiede alla Corte di pronunciarsi sull'interpretazione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976 (1) (in prosieguo: la «direttiva»), la quale dà attuazione, negli Stati membri, al principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professione e le condizioni di lavoro. In particolare la giurisdizione di rinvio chiede l'interpretazione dell'art. 5, n. 1, della suddetta direttiva in relazione alla legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento che, così come interpretata dalla giurisprudenza nazionale prevalente, esclude, nell'ambito della cosiddetta «scelta sociale» del dipendente da licenziare, la comparabilità tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale.

La normativa comunitaria rilevante


2 L'art. 2, n. 1, della direttiva definisce il principio della parità di trattamento. Esso recita: «Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio della parità di trattamento implica l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia». Il successivo art. 5, n. 1, riguarda l'applicazione del suddetto principio a tutte le condizioni di lavoro, tra cui anche quelle concernenti il licenziamento. Esso prevede che «L'applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini ed alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso».

3 L'art. 2 della direttiva 97/80/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso, direttiva, questa, non applicabile ratione temporis al caso di specie, dispone, al n. 1, che, «Ai fini della presente direttiva, il principio della parità di trattamento implica che non deve essere fatta, direttamente o indirettamente, alcuna discriminazione basata sul sesso». Lo stesso articolo, al n. 2, dispone poi che, «Ai fini del principio della parità di trattamento di cui al paragrafo 1, sussiste discriminazione indiretta quando una posizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri colpiscono una quota nettamente più elevata d'individui d'uno dei due sessi a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano adeguati e necessari e possano essere giustificati da ragioni obiettive non basate sul sesso».

La normativa nazionale rilevante


4 La normativa nazionale rilevante nel caso di specie è contenuta nel Kündigungsschutzgesetz (legge sulla tutela contro il licenziamento) (in prosieguo: il «KSchG»). L'art. 1, nn. 1 e 2, di tale legge stabilisce che il licenziamento di un dipendente che ha lavorato ininterrottamente per più di sei mesi nella stessa impresa è inoperante se esso è socialmente ingiustificato, cioè se non è motivato da ragioni legate alla persona o al comportamento del lavoratore, oppure a vincoli che limitano fortemente la libertà d'azione dell'impresa, rendendo necessaria la soppressione di un determinato posto di lavoro. In quest'ultimo caso si ha il cosiddetto «licenziamento per motivi economici».

Il n. 3 dello stesso articolo stabilisce che il licenziamento per motivi economici è ugualmente ingiustificato se il datore di lavoro, nello scegliere quale dipendente licenziare, non ha tenuto conto o ha tenuto insufficientemente conto delle esigenze sociali. Tale paragrafo viene comunemente interpretato nel senso che il datore di lavoro non può decidere liberamente chi licenziare ma deve scegliere, fra tutti i suoi dipendenti che occupano posti di lavoro comparabili a quello da sopprimere, il lavoratore che subirà il danno minore dalla perdita dell'impiego (cosiddetta «scelta sociale»).

5 Il KSchG non precisa cosa si debba intendere per posti di lavoro comparabili ai fini di una scelta sociale. Tuttavia, secondo l'ordinanza di rinvio, dalla giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro; in prosieguo: il «BAG») si evince che, in generale, la comparabilità tra due impieghi deve essere valutata alla luce del contenuto materiale del contratto di lavoro e quindi delle caratteristiche dell'attività svolta. A tal fine non è necessaria una perfetta identità, ma basta che le funzioni, anche se differenti, siano comunque equivalenti. Deriva da ciò che due impieghi sono considerati comparabili quando il datore di lavoro, in virtù del suo diritto di organizzare l'attività dell'impresa, può assegnare uno qualsiasi dei due dipendenti all'altro impiego senza modificare i rispettivi contratti di lavoro. Dalla giurisprudenza del BAG si trae, inoltre, come conseguenza l'impossibilità di considerare comparabili lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale, ciò perché la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno (e viceversa) comporta in ogni caso una modifica del contratto.

6 Fino alla data dell'ordinanza di rinvio, il BAG non si era mai specificamente pronunciato sulla comparabilità tra impieghi a tempo parziale e impieghi a tempo pieno ai fini di una scelta sociale. Durante l'udienza, tuttavia, la ricorrente ha affermato, senza essere contraddetta, che di recente il BAG ha emanato due sentenze su tale questione. Da queste risulterebbe che, in caso di soppressione di un posto di lavoro a tempo parziale, i dipendenti impiegati a tempo pieno dovrebbero essere presi in considerazione ai fini della scelta sociale se il datore di lavoro, con l'eliminazione del suddetto posto, ha avuto l'unico scopo di ridurre il numero di ore di lavoro complessivamente fornite, e che, invece, gli stessi dipendenti non dovrebbero esservi compresi se tale eliminazione è la conseguenza di una decisione dell'imprenditore di utilizzare, per determinati lavori, esclusivamente lavoratori a tempo pieno, vale a dire di una decisione attinente all'organizzazione dell'impresa dettata, come tale, da criteri di economicità di gestione. In quest'ultimo caso, la decisione del datore di lavoro deve essere considerata espressione del diritto dell'imprenditore di organizzare la sua azienda e, pertanto, non può essere soggetta a nessun tipo di controllo, a meno che risulti manifestamente erronea, irragionevole o arbitraria.

I fatti ed il quesito pregiudiziale

7 La signora Kachelmann (in prosieguo: la «ricorrente») ha lavorato per più di 5 anni con un contratto a tempo parziale (76,92%) presso la succursale di Amburgo della Bankhaus Hermann Lampe KG (in prosieguo: la «Bankhaus») in qualità di impiegata di banca qualificata e redattrice diplomata bilingue tedesco/inglese, con la funzione di gestione dei dossier del settore recupero crediti. Essa è divorziata ed ha tre figli a carico, di cui uno seriamente handicappato.

8 A causa di una riduzione del volume delle sue attività internazionali, la Bankhaus ha deciso di accorpare il settore nel quale lavorava la ricorrente al più ampio settore delle operazioni riguardanti crediti risultanti da documenti. In seguito a ciò, ha ritenuto necessario ridurre i dipendenti e pertanto, con lettera del 21 giugno 1996, ha notificato alla ricorrente il licenziamento per motivi economici con effetto dal 30 settembre 1996.

9 In quel momento la succursale di Amburgo della Bankhaus occupava cinque salariati a tempo parziale, di cui tre uomini e due donne, e ventidue salariati a tempo pieno, di cui dieci uomini e dodici donne. Tra queste ultime era compresa anche la signora Grabbert, impiegata da 5 mesi nel settore crediti.

10 Contro il licenziamento la ricorrente ha presentato ricorso all'Arbeitsgericht Hamburg (Tribunale del lavoro di Amburgo) sostenendo che la Bankhaus, nel prendere la decisione relativa alla soppressione del suo posto di lavoro, non aveva effettuato la scelta sociale prevista dalla legge in quanto non aveva comparato la sua posizione con quella della signora Grabbert che svolgeva un'attività equivalente. Tale comportamento, sempre secondo la ricorrente, doveva considerarsi illegittimo anche alla luce del fatto che essa si era dichiarata disponibile ad allungare il suo orario di lavoro.

11 L'Arbeitsgericht ha rigettato il ricorso il 18 febbraio 1997 affermando che, benché non sussistessero dubbi sul fatto che la ricorrente si trovava in una posizione sociale più debole rispetto a quella della signora Grabbert, la comparazione tra le due lavoratrici non era possibile, ciò perché la signora Grabbert era impiegata a tempo pieno e perché, in ragione di tale circostanza, il datore di lavoro non poteva trasferire la ricorrente sul posto di lavoro della signora Grabbert semplicemente in virtù del suo potere di direzione e senza apportare alcuna modifica al contratto di lavoro.

12 Contro la decisione dell'Arbeitsgericht la ricorrente ha presentato appello al Landesarbeitsgericht Hamburg (Tribunale regionale superiore del lavoro di Amburgo). Questa giurisdizione confermava la pronuncia impugnata riconoscendo che la Bankhaus occupa una lavoratrice a tempo pieno, diversa dalla ricorrente, alla quale sono affidate funzioni paragonabili a quelle svolte dalla ricorrente medesima, ed affermava che, secondo i criteri della scelta sociale definiti nel KSchG, quest'ultima doveva essere considerata maggiormente bisognosa di protezione rispetto alla lavoratrice a tempo pieno. Inoltre, il Landesarbeitsgericht ribadiva che, alla luce della giurisprudenza prevalente (2), è da escludersi che lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale possano essere comparati nell'ambito della scelta sociale per il fatto che la trasformazione di uno dei due rapporti di lavoro nell'altro presuppone una modifica del contratto di lavoro. Tuttavia, il Landesarbeitsgericht ha anche aggiunto che, qualora si ritenesse che la ricorrente non sia paragonabile alla signora Grabbert esclusivamente a causa del fatto che, finora, essa è stata occupata a tempo parziale, il suo licenziamento potrebbe configurare una discriminazione indiretta basata sul sesso, vietata dal diritto comunitario.

13 Ritenendo che la soluzione della controversia dipenda dall'interpretazione della direttiva, il Landesarbeitsgericht ha sospeso il procedimento principale ed ha rivolto alla Corte il seguente quesito pregiudiziale:

«Se l'art. 5, n. 1, della direttiva 76/207/CEE vada interpretato nel senso che, in caso di applicazione dell'art. 1, n. 3, della legge sulla tutela contro il licenziamento (Kündigungsschtzgesetz) - nella fattispecie, nella versione vigente fino al 30 settembre 1996 - le lavoratrici occupate a tempo parziale devono essere considerate, nell'ambito della scelta sociale, paragonabili ai lavoratori o alle lavoratrici occupati a tempo pieno qualora in un settore siano occupate a tempo parziale molte più donne che uomini».

Sulla ricevibilità


14 Il governo tedesco esprime dubbi sulla ricevibilità della domanda pregiudiziale facendo valere che l'art. 5, n. 1, della direttiva, relativo all'applicazione del principio della parità di trattamento alle condizioni di lavoro, comprese quelle inerenti al licenziamento, non avrebbe alcuna rilevanza ai fini della soluzione della controversia principale, in quanto, nel caso di specie, la scelta sociale prevista all'art. 1, n. 3, del KSchG riguarderebbe due lavoratori dello stesso sesso, e precisamente due lavoratori di sesso femminile.

15 Questa tesi non ha fondamento. Occorre innanzitutto considerare, in termini generali, che il rinvio pregiudiziale ha lo scopo «di fornire ai giudici della Comunità gli elementi di interpretazione del diritto comunitario loro necessari per la soluzione di controversie effettive loro sottoposte» (3) e che, affinché questa cooperazione tra giudici nazionali e Corte comunitaria funzioni, è necessaria una separazione di compiti tra queste due categorie di giudici, la quale, secondo una giurisprudenza consolidata, comporta che «spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giudiziale valutare, in particolare, la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza». Da queste premesse la Corte ha tratto la conclusione che essa «può respingere una domanda proposta dal giudice [nazionale] solo qualora appaia in modo manifesto che l'interpretazione di norme comunitarie da esso chiesta non ha alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa a qua, oppure qualora essa non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte» (4).

16 Non mi sembra che, applicando questi criteri, si possa affermare che nella specie la risposta al quesito sia manifestamente irrilevante ai fini della decisione della controversia pendente davanti al giudice nazionale. Occorre invero considerare che il quesito ha per oggetto i possibili effetti discriminatori derivanti, in generale, dall'applicazione della legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento. Ora, come abbiamo già visto, la direttiva attua negli Stati membri, con riferimento ai rapporti di lavoro, proprio il principio fondamentale di non discriminazione basata sul sesso. Mi sembra dunque evidente che il rispetto di questo principio non può non condizionare la corretta applicazione della normativa nazionale pertinente e che pertanto una pronuncia sulla portata del principio comunitario con riferimento all'eguaglianza di trattamento dei lavoratori senza distinzione di sesso al momento del licenziamento vada considerata utile per le valutazioni del giudice nazionale.

17 Il governo tedesco fa altresì valere che gli elementi fattuali riportati dal giudice nazionale nell'ordinanza di rinvio sarebbero insufficienti per consentire alla Corte di pronunciarsi. Anche questo rilievo è, a mio parere, privo di fondamento. Infatti, come ha osservato la Commissione, l'ordinanza, anche se è formulata in modo sintetico e anche se non precisa le categorie di lavoratori alle quali occorre fare riferimento per stabilire se vi sia discriminazione in ragione del sesso, contiene tuttavia sufficienti informazioni sul contesto giuridico e sui fatti per consentire alla Corte di statuire utilmente.

18 Infine, durante l'udienza è stato osservato che la domanda pregiudiziale sarebbe diventata inutile a seguito di una recente pronuncia del BAG che avrebbe definito i criteri in base ai quali deve effettuarsi la comparazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale ai fini della scelta sociale (5). Anche questo rilievo è senza fondamento. Occorre infatti ricordare che, come ha affermato la Commissione, l'esigenza di garantire la certezza del diritto basta di norma a giustificare l'intervento della Corte di giustizia (6), a parte il fatto che, se il giudice nazionale, il quale si può supporre conosca la nuova giurisprudenza tedesca, non ha ritirato la sua domanda, è ragionevole presumere che egli consideri ancora necessaria la risposta per la soluzione della controversia principale.

19 Per queste considerazioni, ritengo che il quesito proposto dal giudice nazionale vada considerato ricevibile e che la Corte debba pronunciarsi sul merito.

Sul merito

20 Il giudice nazionale chiede se gli artt. 2 e 5, n. 1, della direttiva, vietando qualsiasi discriminazione diretta e indiretta nelle condizioni di lavoro, siano di ostacolo all'applicazione dell'art. 1, n. 3, della citata legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento che considera i lavoratori a tempo pieno non comparabili con quelli a tempo parziale ai fini della cosiddetta scelta sociale che il datore di lavoro è chiamato ad effettuare nel caso in cui venga soppresso, per economicità di gestione, un impiego a tempo parziale.

21 Manifestamente la richiamata normativa tedesca non dà luogo ad alcuna forma di discriminazione diretta tra lavoratori per la semplice ragione che i criteri di comparabilità che essa prevede non prendono in considerazione distinzioni basate sul sesso. Ciò evidentemente non esclude, quanto meno in via astratta, che essa possa dar luogo a una qualche forma di discriminazione indiretta. E' quanto in sostanza vi chiede di stabilire il giudice del rinvio.

22 A questo riguardo la Corte ha ripetutamente affermato che «una normativa nazionale comporta una discriminazione indiretta ai danni dei lavoratori di sesso femminile qualora, pur essendo formulata in modo imparziale, svantaggi di fatto una percentuale notevolmente più elevata di donne rispetto agli uomini, salvo che tale disparità di trattamento sia giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso» (7).

23 Orbene, per quanto riguarda la categoria dei lavoratori a tempo parziale, è agevole rilevare che di norma essa è caratterizzata dalla netta prevalenza di donne, con la conseguenza che un eventuale trattamento sfavorevole di tale categoria si risolve di fatto, quasi automaticamente, in una discriminazione basata sul sesso. La giurisprudenza della Corte ha sin qui avuto modo di pronunciarsi in casi nei quali il trattamento sfavorevole delle donne derivava da una normativa che direttamente discriminava il lavoro a tempo parziale (8), ed ha considerato che le disposizioni nazionali davano luogo a discriminazione indiretta nei confronti delle donne e diretta nei confronti del lavoro a tempo parziale.

Nel caso di specie, invece, la discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale è, anch'essa, indiretta, considerato che il trattamento penalizzante di detta categoria non è previsto espressamente dal regime nazionale, tuttavia l'applicazione di questo regime potrebbe avere effetti discriminatori.

24 Nella sentenza Bötel (9) la Corte ha preso in esame una normativa simile a quella per cui è causa, cioè un caso in cui gli effetti discriminatori derivanti dall'applicazione di una normativa nazionale formalmente neutra a situazioni specifiche, ed ha stabilito che tali effetti sono incompatibili con il principio di eguaglianza quando danno luogo ad un trattamento differenziato e penalizzante dei lavoratori a tempo parziale, trattamento, questo, che a sua volta comporta, almeno di norma, una discriminazione basata sul sesso. Nel caso preso in esame dalla Corte veniva in considerazione una normativa nazionale in virtù della quale i membri di una commissione interna che partecipavano a corsi di formazione necessari per svolgere le attività proprie della commissione dovevano essere dispensati dai loro obblighi di lavoro senza riduzione dello stipendio. La Corte ha ritenuto che tale normativa comportava una discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale (e quindi delle donne) perché i corsi di formazione avevano una durata eccedente l'orario individuale di lavoro degli occupati a tempo parziale, con la conseguenza che questi ultimi ricevevano per le ore impegnate nel corso una somma inferiore all'importo del compenso per le ore non lavorate corrisposto, per la stessa causale, ai lavoratori a tempo pieno.

25 La normativa tedesca oggi in discussione prevede che l'imprenditore, quando decide la soppressione di un posto di lavoro per motivi di economicità di gestione, ha l'obbligo di scegliere secondo criteri sociali il lavoratore che dovrà essere licenziato e di compiere una tale scelta tra lavoratori comparabili. Nel far ciò egli dovrà fare in modo che la sua scelta cada sul lavoratore che con il licenziamento subisce il danno comparativamente minore. Ciò rende necessario identificare tra quali categorie di lavoratori deve essere operato il confronto.

Come si è accennato in precedenza, i giudici tedeschi, nell'interpretare la nozione di comparabilità, hanno affermato che essa ricorre solo quando il datore di lavoro può trasferire i lavoratori da un posto di lavoro all'altro senza dover anche modificare il loro contratto di lavoro. Ciò evidentemente presuppone che la sostanza del rapporto sia la medesima e che quindi il confronto tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale sia escluso. Gli stessi giudici hanno infatti osservato che il trasferimento di un lavoratore da un posto di lavoro a tempo parziale ad un posto di lavoro a tempo pieno (e viceversa) comporta la modifica del contratto poiché queste due categorie di lavoratori non sono comparabili.

Da ciò si ricava, a mio parere, che in caso di soppressione di un impiego a tempo parziale le situazioni che possono essere prese in considerazione e messe a confronto ai fini della scelta sociale sono solo quelle dei lavoratori a tempo parziale e che pertanto solo costoro subiscono le conseguenze pregiudizievoli della soppressione del posto: la situazione sociale di questi lavoratori, anche nel caso in cui si tratti di lavoratori più svantaggiati rispetto a quelli a tempo pieno, sarà infatti valutata con riferimento ai soli lavoratori a tempo parziale, limitando le garanzie per i lavoratori riconducibili alla legge tedesca. Ne segue che, se tra i lavoratori occupati a tempo parziale la percentuale delle donne è nettamente prevalente rispetto a quella degli uomini, il numero dei lavoratori di sesso maschile presi in considerazione ai fini della scelta sociale sarà necessariamente ridotto, con la conseguenza ulteriore che non sarà garantita un'adeguata tutela ai fini della conservazione del posto di lavoro alle lavoratrici che si trovino in condizioni particolarmente svantaggiate e che pertanto hanno bisogno di tale speciale tutela.

26 La Bankhaus contesta questa analisi. Essa sostiene che, in realtà, nel caso di specie, l'applicazione della normativa nazionale non comporterebbe alcuna conseguenza sfavorevole né per i lavoratori a tempo pieno né per quelli a tempo parziale, ciò perché, da un lato, nel caso di soppressione di un posto di lavoro a tempo parziale i lavoratori a tempo pieno sarebbero esclusi dalla scelta sociale e non correrebbero quindi il rischio di essere licenziati e, dall'altro, in caso di soppressione di un posto di lavoro a tempo pieno i lavoratori a tempo parziale non sarebbero compresi tra coloro che possono essere licenziati. Ciò dimostrerebbe, sempre secondo la Bankhaus, che, in realtà, non solo la normativa ma anche la sua applicazione risulterebbero, nel complesso, neutre in quanto le differenti situazioni di svantaggio che si creano a seconda che la soppressione riguardi un impiego a tempo parziale o a tempo pieno si compenserebbero tra di loro. Questo ragionamento non convince. Non sembra infatti corretto ritenere che una eventuale situazione di svantaggio creata dall'applicazione di una normativa nazionale possa essere considerata legittima e, per quanto rileva nella presente causa, compatibile con la direttiva se «compensata» dagli effetti dell'applicazione della stessa normativa ad una situazione differente.

27 Una volta riconosciuto che la normativa tedesca per cui è causa dà luogo ad una disparità di trattamento in danno dei lavoratori a tempo parziale, si deve ora stabilire se e a quali condizioni tale disparità dia luogo, anche solo potenzialmente, ad una discriminazione basata sul sesso. Per far ciò è necessario individuare il gruppo di lavoratori di riferimento, cioè il gruppo di lavoratori da prendere in considerazione per verificare se esista una sproporzione tra il numero degli addetti di sesso femminile e quello degli addetti di sesso maschile. Su tale punto le parti propongono tesi contrastanti.

28 La Bankhaus e il governo tedesco sostengono che il gruppo di riferimento per verificare l'esistenza della sproporzione dovrebbe essere quello dei lavoratori a tempo parziale impiegati nell'azienda e che, di conseguenza, nella specie sarebbe da escludere qualsiasi effetto discriminatorio in danno della ricorrente, considerato che, al momento del suo licenziamento, nella Bankhaus erano impiegati cinque lavoratori a tempo parziale di cui tre donne e due uomini. La ricorrente sostiene invece che, per verificare l'esistenza di eventuali effetti discriminatori della normativa nazionale nei confronti delle donne, si dovrebbe fare riferimento all'insieme dei lavoratori impiegati a tempo parziale in Germania. Il giudice del rinvio propone una tesi intermedia, ritenendo che il gruppo di riferimento sia costituito da tutti i lavoratori occupati in un determinato settore.

29 Sono del parere che debba essere seguita la tesi prospettata dal giudice del rinvio. Non avrebbe senso infatti fare riferimento ai lavoratori a tempo parziale impiegati nell'azienda per accertare l'eventuale esistenza di una prevalenza netta del lavoro femminile rispetto a quello maschile. Occorre infatti considerare che la situazione di una sola azienda, soprattutto se si tratta di un'azienda di dimensioni limitate, può non essere significativa per desumere, dalla percentuale di donne in essa presenti tra i lavoratori a tempo parziale, una discriminazione indiretta in danno delle donne conseguente alla scelta (sociale) di procedere al licenziamento di una donna a seguito della soppressione di un posto di lavoro a tempo parziale. Egualmente non mi sembra ragionevole fare riferimento all'insieme dei lavoratori occupati a tempo parziale in un paese membro, considerato che le modalità del lavoro e i problemi occupazionali si presentano di norma con caratteristiche differenziate da settore a settore e che tale stato di cose non può essere trascurato quando, a seguito della soppressione di un posto di lavoro, l'imprenditore ricorre alla cosiddetta scelta sociale. Mi sembra invece ragionevole, proprio per queste ultime considerazioni, fare riferimento ai lavoratori occupati a tempo parziale nel settore cui appartiene l'impresa nel cui ambito è stato soppresso un posto di lavoro a tempo parziale. Ciò comporta che la differenza di trattamento dei lavoratori a tempo parziale rispetto a quelli a tempo pieno si risolve in una discriminazione basata sul sesso solo se, nel settore produttivo cui appartiene l'azienda nella quale è stato soppresso un posto di lavoro a tempo parziale, gli impiegati a tempo parziale di sesso femminile siano in numero nettamente prevalente rispetto a quelli di sesso maschile. In ogni caso, comunque, tale valutazione spetta al giudice nazionale che, sulla base dei dati in suo possesso, deve verificare se esista una sproporzione e valutarne l'entità.

30 Nel caso in cui si riscontri l'esistenza di una simile situazione, tuttavia, è ancora necessario verificare un ultimo elemento: se la disparità di trattamento tra le due categorie di lavoratori possa considerarsi giustificata da ragioni obiettive ed estranee a qualsiasi discriminazione basata sul sesso. In altri termini, se l'applicazione della normativa nazionale persegua obiettivi tali da giustificare il trattamento differenziato e se i mezzi utilizzati per raggiungere il suddetto obiettivo risultino necessari e non sproporzionati.

31 A tale proposito bisogna premettere che, secondo una giurisprudenza oramai consolidata, «spetta in ultima analisi al giudice nazionale, che è il solo competente a valutare i fatti e ad interpretare il diritto nazionale, stabilire se ed entro quali limiti una disposizione di legge la quale si applichi indipendentemente dal sesso del lavoratore, ma colpisca di fatto le donne più degli uomini, sia giustificata da motivi obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso». Ciò nonostante «la Corte, chiamata a fornire al giudice nazionale risposte utili, è competente a fornire delle indicazioni, tratte dal fascicolo della causa a qua come pure dalle osservazioni scritte ed orali sottopostele, idonee a mettere il giudice nazionale in grado di decidere» (10).

32 Come rileva la Commissione, nell'ordinanza di rinvio non sono espressamente indicate possibili giustificazioni alla disparità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno conseguente all'applicazione della normativa tedesca sulla scelta sociale. Come ho già detto, il giudice del rinvio si limita a precisare che, secondo la giurisprudenza del BAG, in via generale due impieghi non possono essere considerati comparabili quando lo spostamento del lavoratore da un impiego all'altro comporterebbe una modifica del contratto di lavoro, e che, dal momento che la trasformazione di un impiego da tempo parziale a tempo pieno (e viceversa) richiede la modifica del contratto, viene esclusa la comparabilità tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale nel quadro di una scelta sociale.

33 Non mi sembra che queste considerazioni possano valere a giustificare una differenza di trattamento tra le due categorie di lavoratori.

Al riguardo si deve, in primo luogo, considerare che l'applicazione della normativa nazionale alla luce della giurisprudenza appena citata comporta che l'esclusione dei lavoratori a tempo pieno nella scelta sociale avvenga in modo automatico e generalizzato, sulla base della presunzione che la differenza di orario di lavoro escluda sempre e comunque la possibilità che un lavoratore a tempo parziale possa prendere il posto di un lavoratore a tempo pieno, rendendo necessaria una modifica del contratto ed una trasformazione del rapporto d'impiego. La Corte ha più volte ripetuto che «una semplice generalizzazione riguardante determinate categorie di lavoratori non consente di trarne criteri obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione» (11). Di conseguenza, anche se in linea generale si può ritenere che l'orario di lavoro sia un elemento di cui tenere conto nell'ambito della comparazione tra due impieghi, tuttavia, il suo peso effettivo dipende necessariamente dalle circostanze di specie. Nell'ambito di tali circostanze, inoltre, questo è solo uno degli elementi da considerare insieme, ad esempio, al tipo di mansioni svolte oppure alla possibilità di ripartire i compiti tra i vari dipendenti in modo differente, senza pregiudicare l'efficienza del lavoro. La necessità di modificare il contratto di lavoro, quindi, deve essere valutata di volta in volta alla luce dei fatti.

In secondo luogo, tanto nel caso in cui sia inevitabile una trasformazione del contratto di lavoro, quanto nel caso in cui non sia necessaria alcuna modifica per permettere al lavoratore a tempo parziale di prendere il posto del lavoratore a tempo pieno, la comparabilità tra le due categorie di lavoratori nell'ambito della scelta sociale deve essere sempre valutata in relazione alla contrapposizione d'interessi che, inevitabilmente, si viene a creare tra, da un lato, il diritto dell'imprenditore di organizzare il lavoro nella sua azienda in piena libertà e, dall'altro, il diritto dei lavoratori a tempo parziale (e quindi delle donne) a non essere discriminati. Tra questi due interessi si deve individuare caso per caso quello prevalente, meritevole come tale di una più intensa tutela (12). E' persino superfluo aggiungere che l'identificazione nei singoli casi dell'interesse prevalente, essendo legata all'accertamento delle circostanze proprie di ciascun caso, appartiene esclusivamente al giudice nazionale.

In definitiva, quindi, si può ritenere che la disparità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno nell'ambito di una scelta sociale da effettuare in seguito alla decisione di sopprimere un impiego a tempo parziale possa trovare una giustificazione obiettiva solo nel caso in cui il giudice nazionale accerti che, alla luce dei fatti, non sussiste la comparabilità tra le due categorie di lavoratori se non a prezzo di una limitazione della libertà del datore di lavoro sproporzionata rispetto all'obiettivo della tutela dei lavoratori a tempo parziale, cui di norma va riconosciuto un rilievo primario.

Conclusioni

34 Alla luce delle considerazioni svolte suggerisco alla Corte di rispondere al quesito proposto dal Landesarbeitsgericht Hamburg come segue:

«Gli artt. 2 e 5, n. 1, della direttiva 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che essi sono di ostacolo ad una disposizione come quella di cui all'art. 1, n. 3, della legge tedesca sulla tutela contro il licenziamento che, secondo l'interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza tedesca, non considera comparabili i lavoratori a tempo parziale ed i lavoratori a tempo pieno ai fini della scelta sociale che il datore di lavoro è chiamato ad operare in caso di soppressione di un posto di lavoro a tempo parziale, ciò sempreché nel settore produttivo cui appartiene l'impresa considerata il numero di donne occupate a tempo parziale è nettamente superiore al numero di uomini occupati a tempo parziale e sempreché la detta applicazione non sia giustificata da criteri obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso».

(1) - GU L 39, pag. 40.

(2) - V. paragrafo 6 delle presenti conclusioni.

(3) - Sentenza 11 marzo 1980, causa 104/79, Foglia/Novello I (Racc. pag. 745, punto 11).

(4) - Sentenza 29 giugno 1999, causa C-60/98, Butterfly (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 13, corsivo aggiunto). V. inoltre, limitatamente alle più recenti, sentenze 28 novembre 1991, causa C-186/90, Durighello (Racc. pag. I-5773, punti 8 e 9); 26 ottobre 1995, causa C-143/94, Furlanis (Racc. pag. I-3633, punto 12); 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punti 59-61), e 5 giugno 1997, causa C-105/94, Celestini (Racc. pag. I-2971, punti 21 e 22).

(5) - V. paragrafo 7 delle presenti conclusioni.

(6) - Sentenza 12 febbraio 1974, causa 146/73, Rheinmühlen-Düsseldorf (Racc. pag. 139, punto 3).

(7) - Sentenza 30 novembre 1993, causa C-189/91, Kirsammer-Hack (Racc. pag. I-6185, punto 22). V., inoltre, sentenze 2 ottobre 1997, causa C-100/95, Kordig (Racc. pag. I-5289, punto 30); 9 febbraio 1999, causa C-167/97, Seymour-Smith e Perez ( Racc. pag. I-623, punto 52) e 10 febbraio 2000, causa C-50/96, Deutsche Telekom (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 28).

(8) - V., specialmente in materia di parità di retribuzione, sentenze 13 maggio 1986, causa 170/84, Bilka (Racc. pag. 1607); 27 giugno 1990, causa C-33/89, Kowalska (Racc. pag. I-2591), e 7 febbraio 1991, causa C-184/89, Nimz (Racc. pag. I-297).

(9) - Sentenza 4 giugno 1992, causa C-360/90, Bötel (Racc. pag. I-3589). V. inoltre sentenze 6 febbraio 1996, causa C-457/93, Lewark (Racc. pag. I-243), e 7 marzo 1996, causa C-278/93, Freers e Speckmann (Racc. pag. I-1165).

(10) - Sentenza Seymour-Smith e Perez, citata, punti 68 e 69. V. anche sentenze Freers e Speckmann, citata, punto 24, e sentenza 30 marzo 1993, causa C-328/91, Thomas e a. (Racc. pag. I-1247, punto 13).

(11) - Sentenza 2 ottobre 1997, causa C-1/95, Gerster (Racc. pag. I-5253, punto 39). V. inoltre sentenza Kordig, citata, punto 23, e sentenza Nimz, citata, punto 14.

(12) - Non è inutile ricordare che recentemente la Corte, nella sentenza 10 febbraio 2000, cause riunite C-270/97 e C-271/97, Sievers e Schrage (non ancora pubblicata in Raccolta), riferendosi alla compatibilità dell'esclusione dei lavoratori a tempo parziale dall'iscrizione ad un regime professionale di previdenza sociale con il principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, e quindi in un contesto diverso da quello del caso di specie, ha affermato che «la finalità economica perseguita dall'art. 119 del Trattato e consistente nell'eliminazione delle distorsioni di concorrenza tra imprese situate nei diversi Stati membri riveste un carattere secondario rispetto all'obiettivo sociale di cui alla stessa disposizione, la quale costituisce l'espressione di un diritto fondamentale della persona umana». Ritengo che l'affermata illegittimità della presa in considerazione ai fini della scelta sociale dei soli lavoratori a tempo parziale sia riconducibile proprio a questo principio.


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