Categoria: Corte di giustizia CE
Visite: 12233

SENTENZA DELLA CORTE (SESTA SEZIONE) DEL 3 FEBBRAIO 1994. - OFFICE NATIONAL DE L'EMPLOI CONTRO MADELEINE MINNE. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: COUR DU TRAVAIL DE LIEGE - BELGIO. - DIRETTIVA 76/207/CEE - LAVORO NOTTURNO DELLE DONNE. - CAUSA C-13/93.

raccolta della giurisprudenza 1994 pagina I-00371

Fonte: Sito web Eur-Lex

 

© Unione europea, http://eur-lex.europa.eu/


Parole chiave


++++
Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Accesso al lavoro e condizioni di lavoro - Parità di trattamento - Direttiva 76/207/CEE - Art. 5 - Efficacia diretta - Normativa nazionale che vieta il lavoro notturno sia agli uomini sia alle donne, ma che prevede regimi derogatori differenziati a seconda del sesso - Inammissibilità in mancanza di una giustificazione attinente alla necessaria protezione della donna - Compito del giudice nazionale qualora sussistano obblighi nei confronti di Stati terzi, imposti da accordi anteriori al Trattato CEE, incompatibili con quelli derivanti dall' art. 5 - Applicazione del principio sancito dall' art. 234 del Trattato in materia di preminenza
(Trattato CEE, art. 234, primo comma; direttiva del Consiglio 76/207/CEE, art. 5)

 

Massima

L' art. 5 della direttiva 76/207, relativa all' attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l' accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, osta a che uno Stato membro il quale vieta il lavoro notturno sia per gli uomini sia per le donne mantenga in vigore regimi derogatori differenziati, che si distinguono fra loro principalmente per il procedimento di adozione delle deroghe e per la durata del lavoro notturno autorizzato, qualora tale differenza non sia giustificata dalla necessità di garantire la protezione della donna, segnatamente per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.
Il giudice nazionale ha l' obbligo di garantire la piena osservanza dell' art. 5 della direttiva, disapplicando ogni contraria disposizione della normativa nazionale, salvoché l' applicazione di una disposizione del genere non sia necessaria per assicurare l' esecuzione da parte dello Stato membro interessato, conformemente all' art. 234, primo comma, del Trattato CEE, di obblighi derivanti da una convenzione stipulata con Stati terzi prima dell' entrata in vigore del Trattato.
Tuttavia, nell' ambito di un procedimento pregiudiziale non spetta alla Corte, ma al giudice nazionale accertare, per stabilire in quale misura tali obblighi ostino all' applicazione dell' art. 5 della direttiva, da un lato, quali siano gli obblighi incombenti allo Stato membro in forza di una convenzione internazionale anteriore e, dall' altro, se le disposizioni nazionali considerate siano state emanate al fine di adempiere questi obblighi.
Parti

Nel procedimento C-13/93,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CEE, dalla Cour du travail di Liegi (Belgio), nella causa dinanzi ad essa pendente tra
Office national de l' emploi (Onem)
e
Madeleine Minne,
domanda vertente sull' interpretazione dell' art. 5 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all' attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l' accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40),
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta dai signori G.F. Mancini, presidente di sezione, C.N. Kakouris, F.A. Schockweiler, P.J.G. Kapteyn (relatore) e J.L. Murray, giudici,
avvocato generale: G. Tesauro
cancelliere: J.-G. Giraud
viste le osservazioni scritte presentate:
- per il governo tedesco, dal signor Ernst Roeder, Ministerialrat presso il ministero federale dell' Economia, in qualità di agente;
- per la Commissione delle Comunità europee, dalla signora Marie Wolfcarius, membro del servizio giuridico, e dal signor Théophile Margellos, avvocato, professore incaricato presso l' università di Picardia, distaccato presso il servizio giuridico, in qualità di agenti,
vista la relazione del giudice relatore,
sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 9 dicembre 1993,
ha pronunciato la seguente

Sentenza
Motivazione della sentenza


1 Con sentenza 8 gennaio 1993, pervenuta in cancelleria il successivo 15 gennaio, la Cour du travail di Liegi ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale vertente sull' interpretazione dell' art. 5 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all' attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l' accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40, in prosieguo: la "direttiva").
2 La detta questione è stata sollevata nell' ambito di una controversia fra la signora Minne e l' Office national de l' emploi (in prosieguo: l' "Onem") belga, vertente sull' attribuzione dell' indennità di disoccupazione.
3 Dal 15 luglio 1986 al 31 marzo 1990 la signora Minne, residente in Belgio, ha lavorato a Capellen (Granducato del Lussemburgo) presso un' azienda del settore alberghiero in cui doveva prestare servizio durante le ore notturne. Avendo rinunciato al suo posto di lavoro a seguito del suo trasloco nella provincia di Liegi, la signora Minne ha chiesto di fruire dell' indennità di disoccupazione dal 2 aprile 1990.
4 L' Onem le ha negato la detta indennità per il motivo che essa aveva dichiarato che, per ragioni d' ordine familiare, non era più disposta a lavorare di notte.
5 Il Tribunal du travail di Verviers, adito in primo grado, ha considerato la decisione dell' Onem illegittima perché la normativa belga vieta il lavoro delle donne nel settore alberghiero nelle ore comprese fra la mezzanotte e le 6 del mattino.
6 La legge belga 16 marzo 1971 sul lavoro (Moniteur belge del 30 marzo 1971, pag. 3931, rettifiche in Moniteur belge del 12 ottobre 1971, pag. 12039) definisce, nell' art. 35, il lavoro notturno come "il lavoro effettuato fra le ore 20 e le ore 6". Dispone poi, nell' art. 36, n. 1, primo e secondo comma, che:
"1. Le lavoratrici e i giovani lavoratori non possono lavorare di notte.
Tuttavia il Re può, se necessario alle condizioni che egli stabilisce, autorizzare il lavoro notturno in taluni settori d' attività, imprese o professioni per l' esecuzione di determinati lavori o per determinate categorie di lavoratrici e di giovani lavoratori".
L' art. 37 della stessa legge prescrive, infine, quanto segue:
"I lavoratori diversi da quelli contemplati dall' art. 36, primo comma, e che rientrano nella sfera d' applicazione del capitolo III, sezione II, come è definita dagli artt. 1, 3 e 4 o in base agli stessi articoli, non possono lavorare di notte, salvo:
1 negli alberghi, motel, campeggi e ristoranti, nelle imprese di ristoro e rosticcerie, nei caffè-pasticceria e nelle mescite di bevande;
2 nelle imprese di spettacoli e giochi pubblici;
3 nelle imprese che trattano giornali;
(...)
19 nelle panetterie e pasticcerie".
In base all' art. 36, n. 1, secondo comma, della legge sopra citata, il regio decreto 24 dicembre 1968 sul lavoro delle donne (mantenuto in vigore dall' art. 65, primo comma, della legge 16 marzo 1971) prevede, negli artt. 5 (settore privato) e 6 (settore pubblico), talune deroghe al divieto del lavoro notturno per le sole lavoratrici. L' art. 5 dispone, in particolare, che:
"Il lavoro notturno è autorizzato per le seguenti categorie di lavoratrici di età non inferiore ai diciotto anni e alle condizioni qui appresso elencate:
(...)
C. fino alle ore 24 per quel che riguarda:
1 le lavoratrici occupate negli alberghi, motel e ristoranti, nelle imprese di ristorazione e rosticcerie, nei caffè-pasticceria e nelle mescite di bevande e che non dipendono dalla Commissione paritetica nazionale dell' industria alberghiera;
(...)
F. Nelle imprese che dipendono dalla Commissione paritetica nazionale dell' industria alberghiera:
1 fino alle ore 24 per quel che riguarda:
a) le cameriere di bar o ristorante, a condizione che sia loro concesso nel corso della giornata un periodo di riposo di quattro o cinque ore a seconda che l' azienda fornisca loro, o no, il vitto nei suoi locali;
b) le cameriere d' albergo, in ragione di una su cinque e con un minimo di una cameriera per impresa;
c) le lavoratrici addette al guardaroba e alle toelette, a condizione di non superare le otto ore di lavoro giornaliero;
d) le lavoratrici a retribuzione fissa occupate come: aiutanti di dispensa, aiutanti banconiste, cameriere di caffè, lavapiatti, aiutanti cuoche e cuoche;
e) le lavoratrici occupate nelle stazioni balneari e climatiche, nonché nei centri turistici, in ragione di non più di sessanta turni per anno civile.
(...)".
7 Dopo l' annullamento della sua decisione da parte del Tribunal du travail di Verviers, l' Onem ha interposto appello dinanzi alla Cour du travail di Liegi. Quest' ultima, dubitando della compatibilità della normativa belga con il diritto comunitario, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:
"Se l' art. 5 della direttiva 76/207/CEE imponga allo Stato membro, che preveda nel proprio diritto interno il principio del divieto generale di lavoro notturno tanto per i lavoratori quanto per le lavoratrici, di rispettare un rigoroso parallelismo in ordine alle deroghe ammesse per gli uni e per le altre, salvo il caso in cui una disparità di trattamento tra uomini e donne sia giustificata, astenendosi dall' instaurare per gli uni e le altre regimi derogatori differenziati, soprattutto per quanto riguarda la procedura di adozione delle deroghe e la durata del lavoro notturno autorizzato, quali i regimi introdotti nell' ordinamento belga dagli artt. 36 e 37 della legge 16 marzo 1971 sul lavoro e dagli artt. 5 e 6 del regio decreto 24 dicembre 1968 sul lavoro femminile".
8 Con la sua questione il giudice nazionale mira in sostanza a far stabilire se l' art. 5 della direttiva osti a che uno Stato membro, che vieta il lavoro notturno sia per gli uomini sia per le donne, mantenga in vigore regimi derogatori diversi per l' uno e per l' altro sesso.
9 Nella sentenza 25 luglio 1991, causa C-345/89, Stoeckel (Racc. pag. I-4047), la Corte ha dichiarato che l' art. 5 della direttiva è sufficientemente preciso per porre a carico degli Stati membri l' obbligo di non stabilire come principio legislativo il divieto del lavoro notturno delle donne, anche se quest' obbligo comporta deroghe, mentre non vige alcun divieto del lavoro notturno per gli uomini.
10 Nella fattispecie, diversamente dal caso di cui trattavasi nella sopra citata sentenza, la discriminazione risiede non nel principio del divieto del lavoro notturno, che vale indistintamente per gli uomini e per le donne, ma nelle deroghe ad esso apportate. Risulta infatti dalla sentenza di rinvio che la differenza fra i due regimi di deroghe sta non tanto nel numero o nella natura delle eccezioni da essi previste quanto nei procedimenti di adozione delle stesse e nelle condizioni cui esse sono subordinate. Infatti, le deroghe previste per gli uomini sono elencate nella legge, mentre quelle che vigono per le donne sono stabilite, ai sensi dell' art. 36, n. 1, della stessa legge, da un regio decreto. Inoltre, per quanto riguarda le donne, il lavoro notturno autorizzato è talvolta limitato a determinate ore della notte, mentre ciò non avviene per gli uomini.
11 Occorre chiedersi se tale differenza di trattamento sia giustificata alla luce dell' art. 2, n. 3, della direttiva, ai sensi del quale quest' ultima non osta alle disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità. Come la Corte ha rilevato nella sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punto 44), la direttiva, menzionando la gravidanza e la maternità, mira a garantire, da un lato, la protezione della condizione biologica della donna e, dall' altro, le relazioni particolari fra la donna e il figlio.
12 Dalla normativa di cui trattasi nel caso presente non risulta - come ha peraltro osservato il giudice del rinvio - che la natura delle differenze fra i due regimi di deroghe sia giustificata dalla necessità di garantire la protezione della condizione biologica della donna o dalle relazioni particolari esistenti fra la donna e il figlio. Di conseguenza, la disparità di trattamento non può essere giustificata alla luce dell' art. 2, n. 3, della direttiva.
13 Da quanto precede risulta che l' art. 5, n. 1, della direttiva osta a che uno Stato membro mantenga in vigore nella sua normativa deroghe a un divieto generale del lavoro notturno che sono subordinate a condizioni più restrittive per le donne rispetto agli uomini e che non possono essere giustificate né dalla necessità di garantire la protezione della condizione biologica della donna né dalle relazioni particolari fra la donna e il figlio.
14 Si deve tuttavia aggiungere che la sentenza di rinvio menziona varie convenzioni relative al lavoro notturno delle donne, che vincolano lo Stato belga. Fra di esse figura la Convenzione dell' Organizzazione internazionale del lavoro 9 luglio 1948, n. 89, relativa al lavoro notturno delle donne occupate nell' industria (in prosieguo: la "convenzione n. 89"), ratificata dal Regno del Belgio con legge 21 marzo 1952 (Moniteur belge del 22 giugno 1952, pag. 4690). Nelle sue osservazioni il governo tedesco ha sostenuto che il Regno del Belgio era tenuto ad adempiere gli obblighi imposti dalla detta convenzione e pertanto aveva il diritto, in base all' art. 234, primo comma, del Trattato CEE, di disapplicare la direttiva nei punti in cui questa confligge con la convenzione n. 89.
15 A tale proposito va osservato - senza che occorra chiedersi se il caso di specie rientri nella sfera d' applicazione della convenzione - che il Regno del Belgio ha denunciato la convenzione stessa per conformarsi ai suoi obblighi comunitari.
16 Si deve inoltre rilevare che la sentenza di rinvio non consente di stabilire in quale misura le norme nazionali che risultano incompatibili con l' art. 5 della direttiva fossero destinate a dare attuazione alla convenzione n. 89.
17 Poiché il governo tedesco ha sostenuto che la denuncia della convenzione è divenuta efficace solo nel febbraio 1993, e quindi successivamente all' epoca degli antefatti della causa principale, occorre ricordare che nella sentenza 2 agosto 1993, causa C-158/91, Levy (Racc. pag. I-0000), la Corte ha dichiarato che il giudice nazionale ha l' obbligo di garantire la piena osservanza dell' art. 5 della direttiva, disapplicando ogni contraria disposizione della normativa nazionale, a meno che l' applicazione di una disposizione del genere sia necessaria per assicurare l' esecuzione da parte dello Stato membro interessato, conformemente all' art. 234, primo comma, del Trattato CEE, di obblighi derivanti da una convenzione stipulata con Stati terzi prima dell' entrata in vigore del Trattato.
18 Tuttavia, nell' ambito di un procedimento pregiudiziale non spetta alla Corte, ma al giudice nazionale accertare, per stabilire in quale misura tali obblighi ostino all' applicazione dell' art. 5 della direttiva, da un lato quali siano gli obblighi incombenti allo Stato membro in forza di una convenzione internazionale anteriore e, dall' altro, se le disposizioni nazionali considerate siano state emanate al fine di adempiere questi obblighi.
19 Alla luce delle considerazioni sopra svolte, la questione pregiudiziale in esame dev' essere risolta nel senso che l' art. 5 della direttiva 76/207 osta a che uno Stato membro che vieta il lavoro notturno sia per gli uomini sia per le donne mantenga in vigore regimi derogatori differenziati, che si distinguono fra loro principalmente per il procedimento di adozione delle deroghe e per la durata del lavoro notturno autorizzato, qualora tale differenza non sia giustificata dalla necessità di garantire la protezione della donna, segnatamente per quanto riguarda la gravidanza e la maternità. Nel caso in cui tali disposizioni nazionali siano state emanate dallo Stato membro per adempiere obblighi imposti da una convenzione internazionale stipulata con Stati terzi prima dell' entrata in vigore del Trattato, l' art. 5 della direttiva non può trovare applicazione.

Decisione relativa alle spese

Sulle spese

20 Le spese sostenute dal governo tedesco e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Dispositivo

Per questi motivi,
LA CORTE
(Sesta Sezione),
pronunciandosi sulla questione sottopostale dalla Cour du travail di Liegi con sentenza 8 gennaio 1993, dichiara:

L' art. 5 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all' attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l' accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, osta a che uno Stato membro il quale vieta il lavoro notturno sia per gli uomini sia per le donne mantenga in vigore regimi derogatori differenziati, che si distinguono fra loro principalmente per il procedimento di adozione delle deroghe e per la durata del lavoro notturno autorizzato, qualora tale differenza non sia giustificata dalla necessità di garantire la protezione della donna, segnatamente per quanto riguarda la gravidanza e la maternità. Nel caso in cui tali disposizioni nazionali siano state emanate dallo Stato membro per adempiere obblighi imposti da una convenzione internazionale stipulata con Stati terzi prima dell' entrata in vigore del Trattato, l' art. 5 della direttiva non può trovare applicazione.


Vai al testo in inglese