Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 07 aprile 2014, n. 15490 - Infortunio mortale di un lavoratore e omessa vigilanza di un datore di lavoro: sentenza da rifare


Fatto





1. Il GIP del Tribunale di Taranto, con sentenza del 24/2/2009, dichiarato C. G., legale rappresentante della s.r.l. E.G., colpevole del reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen., avendo, per colpa generica e specifica, causato la morte del lavoratore dipendente D.B. (deceduto a seguito delle gravi ustioni riportate dopo essere stato investito dalle fiamme improvvisamente sviluppatesi dai vapori di carburante, ancora presenti all'interno di autoveicolo, non bonificato, che il predetto era intento a demolire, mediante l'uso di cannello ossipropanico, senza che il medesimo indossasse gli indumenti ignifughi di protezione e seguisse le procedure di cautela del caso), riconosciute le attenuanti generiche con criterio di equivalenza ed effettuata la riduzione del rito, condannò il medesimo alla pena sospesa stimata di giustizia.

2. La Corte d'appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, con sentenza dell'11/6/2012, giudicando sulla impugnazione proposta dal detto imputato, confermata nel resto la decisione di primo grado, riconosciute prevalenti le attenuanti generiche, ridusse la pena che, ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689/1981, convertì nella corrispondente pena pecuniaria; inoltre, revocò la sospensione condizionale e concesse la non menzione.

3. L'imputato propone ricorso per cassazione, corredato da due motivi con i quali vengono denunziati vizi motivazionali in questa sede rilevabili.

3.1. Con il primo motivo il C. assume che la Corte di Taranto aveva offerto giustificazione illogica ed apparente in ordine alla penale responsabilità per omessa vigilanza. Secondo l'assunto impugnatorio la Corte territoriale aveva finito per condannare il ricorrente su basi oggettive, a cagione della mera posizione ricoperta. Ciò era irragionevole ed ingiusto, non potendosi pretendere dal datore di lavoro la diuturna e assillante vigilanza sul rispetto da parte dei dipendenti delle procedure di sicurezza previste. Né, a tal fine, poteva pretendersi, quali che fossero le dimensioni della struttura aziendale, la nomina di un controllore. In ogni caso, l'avversato modo di ragionare collide, seguendo il ragionamento impugnatorio, col principio costituzionale della personalità della penale responsabilità.

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non aveva motivato sulla circostanza che nell'azienda era prevista una "scala gerarchica" secondo la quale "il preposto alla demolizione delle carcasse era M.D. , inquadrato quale responsabile dell'area taglio, come risulta dall'organigramma in atti". Se ciò si fosse considerato l'inferire della Corte tarantina avrebbe perso di significato.



Diritto





4. Il ricorso merita di essere accolto nei termini di cui appresso. Non è dubbia la correttezza dell’incipit della sentenza gravata: il datore di lavoro è garante, fra l'altro, del puntuale rispetto delle misure prevenzionali, se del caso, quando le dimensioni aziendali ciò rendano inevitabile, delegando soggetto all'uopo incaricato, dotato dei necessari poteri e delle specifiche competenze.

Proprio a quest'ultima evenienza aveva fatto esplicito riferimento l'imputato nel proprio atto d'appello (pag. 5, penultimo capoverso). La Corte territoriale, ignorando la rilevante circostanza, che il C. assumeva risultare dall'organigramma in atti, della presenza di un dipendente (tale M.D.) preposto al taglio delle carcasse dei mezzi da demolire, con ragionamento, pertanto, gravemente illogico, in quanto ingiustificatamente apodittico, ha concluso semplicisticamente, per la penale responsabilità del C. che non poteva discolparsi in quanto "avere (...) adempiuto a tutti gli obblighi di prevenzione degli infortuni previsti dalla legge (...) non lo esonerava dall'obbligo di controllare e garantire l'effettiva osservanza delle misure di prevenzione da parte dei lavoratori".

Evidente la severa inadeguatezza del costrutto motivazionale, non essendo da esso consentito trarre i necessari elementi valutativi per misurare la dimensione aziendale e, di converso, l'esigibilità del compito di sorveglianza personale posto personalmente a carico del datore di lavoro. Né, tantomeno, per poter vagliare le procedure adottate e l'eventuale scostamento da esse da parte della vittima; la tempistica dell'infortunio, in relazione alla possibilità di un utile intervento prevenzionale, pur se surrogatorio o, molto più semplicemente, ostativo.

Del pari, la motivazione si mostra gravemente orfana dei dati di conoscenza concernenti le competenze ed abilità del lavoratore rimasto vittima dell'incidente.

Non è superfluo, infine, ricordare che ove la dimensione e complessità aziendale avessero reso necessario l'esercizio del dovere di vigilanza mediante soggetto all'uopo delegato, di quest'ultimo si sarebbe reso necessario conoscere dei relativi poteri e delle pertinenti competenze e qualifiche, in definitiva, delle concrete attitudini ad impedire pericolosi scostamenti dalle procedure di sicurezza.

In ogni caso, infine, non poteva passare in silenzio l'attento scrutinio del sinistro, al fine di accertare se esso sia dipeso da manovra e/o procedura, oltre ad eventuale mancata adozione dei presidi individuali di sicurezza, non prontamente ed efficacemente emendabile; o, seppure, esso ha finito per incarnare e rendere tragicamente palpabile approssimativi e inadeguati procedimenti aziendali, affidamento di attività rischiose a soggetti non adeguatamente qualificati, predisposizione di sistemi di vigilanza non perfettamente efficienti.

4.1. S'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla luce delle osservazioni di cui sopra.



P.Q.M.





Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello di Lecce.