Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 6, 23 settembre 2013, n. 39255 - Reato di maltrattamenti  e violenza privata nei rapporti di lavoro




 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola - Presidente -
Dott. IPPOLITO F. - rel. Consigliere -
Dott. LANZA Luigi - Consigliere -
Dott. PATERNO' RADDUSA Benedet - Consigliere -
Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
Procuratore generale della Repubblica della Corte di appello di Lecce;
nel procedimento penale nei confronti di:
M.C. nato a (Omissis);
C.G. nato a (Omissis);
MI.Ca. nato a (Omissis);
N.L. nato a (Omissis);
C.V. nato a (Omissis);
contro la sentenza del g.u.p. del Tribunale di Taranto, emessa in data 11/04/2012;
- udita la relazione del cons. Dott. IPPOLITO F.;
- udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. IACOVIELLO F. M., che ha concluso per il rigetto del ricorso;
- udito il difensore degli imputati avv. ALBANESE E., che si è associato alla richiesta del P.C..


Fatto

 


Il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Lecce (sezione distaccata di Taranto) ricorre per cassazione contro la sentenza sopra indicata, con cui il giudice dell'udienza preliminare del locale Tribunale ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti degli imputati in epigrafe indicati, in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 572 c.p., perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

2. Agli imputati, tutti dipendenti dell'Ilva di Taranto, operanti con diverse funzioni (capo reparto, capo del personale, responsabile delle manutenzioni meccaniche) all'interno del reparto Man-Laf dello stabilimento siderurgico, era stato contestato di avere maltrattato, con modalità varie, L.M.F., operaio addetto alle pulizie del suddetto reparto, adibendolo a diverse e meno qualificanti mansioni (a seguito di un incidente occorsogli mentre era alla guida di un mezzo meccanico) e determinando ai suoi danni anche ripetuti provvedimenti disciplinari, sino al licenziamento.

Il Tribunale ha escluso la sussistenza del delitto contestato, in adesione alla consolidata giurisprudenza di legittimità che esclude la configurabilità del reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) nei rapporti di lavoro in grandi aziende, potendosi integrare tale fattispecie soltanto se il rapporto tra datore di lavoro (o suoi delegati o rappresentanti) e il dipendente assuma natura parafamiliare in quanto caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudine di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (Cass. Sez. 6^, n. 16094 dell'11.4.2012, 252609; Id. n. 43100 del 20.10.2011, rv. 251368; Id. n. 685 del 22.9.2010, rv. 249186).

3. Il ricorrente, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), deduce erronea applicazione della legge penale per avere il Tribunale escluso anche la configurabilità nei fatti del delitto di violenza privata (art. 610 c.p.), nonchè vizio di motivazione con riferimento alla insussistenza di una condotta di coartazione o di minaccia.

Diritto


1. In accoglimento della richiesta formulata dal Procuratore generale d'udienza, il ricorso va rigettato per infondatezza.

2. Indipendentemente dalla astratta configurabilità del c.d. "mobbing" nel reato di violenza privata, il giudice del merito ha escluso che nella concreta condotta realizzata dagli imputati (avere adibito il L. a diverse e meno qualificanti mansioni, a seguito di un incidente occorso mentre il predetto era alla guida di un mezzo meccanico; avere precostituito, a carico del L., plurime relazioni interne - sfociate in altrettanti procedimenti disciplinari, e infine nel licenziamento - su episodi di asserita inoperosità, irriverenza e mancato rispetto verso i superiori) possa ravvisarsi il reato di violenza privata.

E ciò in quanto nella prima di tali condotte non è state rilevato alcun connotato di violenza o minaccia, essendo essa consistita in un atto di organizzazione interna del lavoro; nelle altre difetta l'elemento della costrizione a "tollerare qualche cosa" (secondo la lettera dell'art. 610 c.p.), avendo il L., tramite il suo avvocato, contestato e reagito ai vari provvedimenti disciplinari.

3. Osserva il Collegio che - come ha correttamente rilevato il giudice del merito - affinchè possa dirsi integrato il delitto di violenza privata è necessaria la individuazione di una condotta violenta o minacciosa da parte dell'agente, che abbia l'effetto di costringere ingiustamente il soggetto passivo a "fare, tollerare od omettere qualche cosa". L'azione, la tolleranza o l'omissione, cui sono finalizzate la violenza o la minaccia, deve essere determinata e specifica, giacchè in caso contrario potranno ravvisarsi altri reati (minaccia, molestie, ingiuria...), ma non la violenza privata. In mancanza di tale effetto - nel caso in esame escluso in fatto dal giudice del merito - non è configurabile la fattispecie prevista dall'art. 610 c.p., per mancanza di un elemento costitutivo del delitto.

Nella specie il giudice dell'udienza preliminare, ha ritenuto, con motivazione.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2013