Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 12 maggio 2014, n. 19487 - Lavoratore travolto dal treno merci e responsabilità per la mancata cooperazione


 

 

Presidente Brusco – Relatore Ciampi

 

Fatto



1. Con sentenza in data 12 ottobre 2012 la Corte d'appello di Trento confermava la sentenza resa dal Tribunale di Trento in data 26 gennaio 2012, appellata dagli imputati, che aveva dichiarato T.C. e To.It.Lu. colpevoli del reato loro ascritto, condannandoli alla pena di giustizia.
Questi erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato previsto e punito dagli artt. 113 e 589 c.p. anche in riferimento agli artt. 4 comma 2, 4 comma 5 lett. f), 7, comma 2 lett. a) e b) D.lgs.vo n. 626/1994 perché, in concorso fra loro, nelle rispettive qualità di seguito indicate, cagionavano per colpa la morte di B.D. secondo le modalità di seguito descritte.
Il B. , dipendente della ditta PR. S.r.l., con qualifica di operaio specializzato e in funzione di caposquadra, nel corso dello svolgimento dei lavori di perforazione per l'inserimento di tiranti sulla spalla lato (…) del ponte ferroviario al Km (…), subappaltati dalla C. S.p.A. alla PR. S.r.l., verso le 19,45/20,00, essendosi spento il compressore che si trovava sul lato opposto a quello della lavorazione, oltre la linea ferroviaria, attraversava i binari e, riavviato il compressore, riattraversava i binari, venendo così travolto dal treno merci n. (…) che circolava in direzione nord (omissis) . A seguito dell'impatto il B. decedeva. La colpa era consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nelle violazioni delle specifiche norme sopra indicate in quanto:
Il T. in qualità di direttore tecnico e responsabile di cantiere della C. S.p.A., il To. in qualità di legale rappresentante della PR. non cooperavano tra loro per l'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi sul lavoro incidenti sulla predetta attività lavorativa oggetto del subappalto e non coordinavano gli interventi di protezione e prevenzione dei rischi (ad esempio quello dell'attraversamento dei binari e dell'investimento da parte dei treni) cui i lavoratori operanti nel cantiere erano esposti (art. 7 comma 2 lett. a) e b) D.lgs.vo 626/1994); in particolare non si coordinavano tra loro per prescrivere ai dipendenti la cessazione dell'attività lavorativa entro le ore 16,00 (orario dopo il quale non era più presente l'agente RFI deputato al controllo) o per prolungare l'attività di quest'ultimo oltre le ore 16,00, oppure, infine, per vietare dopo tale orario in modo perentorio l'attraversamento dei binari da parte dei lavoratori;
il To. , in qualità di legale rappresentante della ditta PR. elaborava il POS per la sua ditta senza prendere in considerazione specifica il rischio di investimento dei treni e senza individuare le relative misure di protezione e/o prevenzione da adottare (art. 4 comma 2 D.lgs.vo 626/1994).
2. Avverso tale decisione proponevano ricorso a mezzo del proprio difensore il To. ed il T. .
2.1. To.It.Lu. deducendo la errata attribuzione ad esso imputato del motivo di appello relativo alla mancata sottoscrizione del verbale di udienza da parte del tecnico incaricato della stenotipia della fonoregistrazione; la erroneità e contraddittorietà dei fatti enunciati in ordine alla presenza del To. in cantiere; la confusione delle parti in ordine alla attribuzione delle rispettive linee difensive anche con riferimento alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza; il mancato esame del motivo di appello n. 1 relativo alla errata interpretazione ed applicazione dell'art. 7 lett. a) e b) D.lg,vo 626/1994 in ragione di un travisamento dei fatti emersi nel procedimento; la mancanza di motivazione in relazione al motivo di appello sub 3 "mancata applicazione dell'art. 7 comma 3 D.lgs.vo 626/1994; il mancato esame del motivo di appello sub 3 relativo alla "errata interpretazione ed applicazione dell'art. 4 comma 2 D.lgs.vo 626/1994; deduce ancora la colpa esclusiva della vittima anche in relazione al ruolo di caposquadra rivestito ed in linea subordinata l'entità del concorso di colpa riconosciuto solo nella misura del 25%; il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche.
2.2. T.C. deduce con un primo motivo la violazione dell'art. 606, 1 comma lett. c) e la nullità dei verbali stenotipici delle udienze dibattimentali in data 12.11., 25.11 e 3.12.2011, per mancata sottoscrizione del tecnico autorizzato e del cancelliere; l'erronea applicazione del disposto di cui all'art. 7 comma 2 L. n. 626 del 1994 in luogo degli artt. 3 e 5 della stessa legge sostenendosi che il coordinamento in materia di sicurezza in un cantiere mobile competa alla committenza attraverso la figura del responsabile per la sicurezza in fase di esecuzione; l'omissione e la illogicità della motivazione in punto di attribuzione al T. dell'obbligo di coordinamento degli interventi di protezione e di cooperazione all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione; la mancanza e contraddittorietà della motivazione in punto di individuazione della condotta addebitata a T.C. ed in punto di nesso di causalità tra la condotta e l'evento; la mancanza ed illogicità della motivazione a fronte della censura della difesa in punto di nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza; la carenza di motivazione in punto di individuazione della posizione di garanzia del ricorrente e delle misure cautelari violate; la contraddittorietà della motivazione in punto di esclusione della efficacia interruttiva del nesso di condizionamento del comportamento del lavoratore; l'illogicità e la carenza di motivazione in punto di applicazione di identico trattamento sanzionatorio in capo ai due coimputati; l'omissione di motivazione in punto di applicazione delle circostanze attenuanti generiche solo equivalenti alla contestata aggravante; la violazione di legge in punto di ritenuta sussistenza di legittimazione attiva alla costituzione di parte civile da parte di D.N.E. convivente; l'omessa statuizione e motivazione sulla impugnazione dell'ordinanza emessa dal giudice di I grado di rigetto della istanza di esclusione della parte civile.
3. La parte civile ha depositato memoria difensiva con cui ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.

Diritto



4. I ricorsi sono infondati. L'infortunio è stato così ricostruito nella gravata sentenza:
"L'incidente avvenne alle 20,00 circa del (omissis) . La squadra lavorava da circa 10 giorni nel cantiere di (omissis) per la collocazione di tiranti su un ponte, unitamente a B. e C. . Il primo accesso in cantiere avvenne dopo un colloquio con To. . Era la prima volta che il P. , dipendente della PR. di To. come operaio generico addetto alle perforazioni effettuava lavori a contatto con la ferrovia. Per il lavoro era necessario attraversare continuamente i binari. I lavori sui binari avvenivano per circa cinque minuti alla volta, con una cadenza di 5-7 volte al giorno. Al momento dell'infortunio mortale la macchina per la perforazione si era incastrata e si era spento il compressore, che era dall'altra parte dei binari. P. attraversò i binari e cercò di accendere il compressore, senza riuscirci. Chiamò B. in aiuto e dopo dieci minuti fecero ripartire la macchina. Riattraversarono mentre il rumore del compressore impediva di sentire quello di un treno in arrivo e il B. venne travolto mentre attraversava. Di solito l'orario di permanenza in cantiere si estendeva dalle 7,30 alle 18,00. Il giorno dell'incidente la squadra arrivò dopo pranzo e cominciarono le perforazioni. Insieme a B. si era deciso di finire il cantiere quella sera, senza dover più tornare. In effetti l'incidente - come ricordato dal Tribunale - avvenne proprio mentre stavano collocando l'ultimo chiodo del cantiere". È altresì emerso che nel cantiere era garantita la presenza di un addetto alle ferrovie (che segnalava a voce l'arrivo dei treni) dalle 8.00 alle 16,00 e che già in altre occasioni era capitato di continuare a lavorare nel cantiere dopo le ore 16,00 senza la scorta dell'addetto alle ferrovie.
La Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilità degli odierni ricorrenti sulla base dei seguenti elementi:
- entrambi gli imputati dovevano considerarsi i soggetti onerati da obbligazioni di garanzia;
- tutte le condotte e le omissioni accertate certamente individuano, secondo la contestazione e dunque nel pieno rispetto del principio di correlazione di cui all'art. 521 c.p.p. la violazione delle obbligazioni di garanzia per la tutela della salute dei lavoratori gravanti sul datore di lavoro e non fatte oggetto di delega liberatoria;
- in particolare il T. non aveva dimostrato in alcun modo la minima attivazione per il coordinamento in vista dell'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dei rischi sul lavoro, ben sapendo che si era chiamati ad operare su una ferrovia ad alta intensità di traffico, quale la direttrice che unisce (…) al (…) in particolare mai vi fu il coordinamento per la prescrizione ai lavoratori di cessare immediatamente l'attività nel momento stesso in cui terminava la scorta del personale RFI;
- in particolare il To. , legale rappresentante della PR. non aveva rilasciato alcuna delega scritta in materia di sicurezza il POS non prevedeva il rischio connesso alla necessità di lavorare su una linea ferroviaria e quindi ogni correlata misura di prevenzione e protezione.
Va premesso, in linea generale, prima di affrontare nel dettaglio i motivi di gravame proposti che la sentenza impugnata ha fornito congrua motivazione, richiamando anche quella di primo grado con la quale comunque si fonde in un unicum inscindibile, in relazione alla responsabilità di entrambi gli odierni ricorrenti e alla sussistenza degli estremi del reato contestato, rispondendo esaurientemente a tutte le deduzioni difensive.
Con il primo motivo di gravame il To. deduce l'errata attribuzione alle sue difese del motivo di appello relativo alla mancata sottoscrizione del verbale di udienza. Trattasi di un evidente errore materiale (di cui peraltro lo stesso ricorrente non indica le conseguenze a lui pregiudizievoli) facilitato dalla assonanza dei cognomi dei due imputati e che comunque in alcun modo inficia la tenuta della gravata sentenza.
A non diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento ai motivi sub B) C) e D) che fanno ugualmente perno su presunte erronee attribuzioni delle rispettive linee difensive, comunque irrilevanti se non altro per l'assorbente motivo che le stesse sono relative a questioni ritenute infondate dalla gravata sentenza.
Con il motivo sub E) il ricorrente To. sostiene che il contratto di appalto tra la C. e PR. avrebbe riguardato esclusivamente un modesto intervento sulle spallette di un ponte ferroviario, senza bisogno di interferire con la linea ferroviaria, per cui le modalità lavorative sarebbero state unilateralmente e a sua insaputa modificate dai rappresentanti di R.F.I. e C. che avrebbero creato la necessità di attraversamento dei binari prima inesistente.
Siffatte deduzioni del ricorrente non appaiono coerenti al contenuto della decisione impugnata che ha invero ricostruito tutte le circostanze del fatto in maniera compiuta né trovano riscontro nelle emergenze processuali considerato il tenore delle deposizioni del teste P. il quale ha riferito che sin dall'inizio dei lavori si rendeva necessario l'attraversamento dei binari e dell'o.d.s della R.F.I. del (omissis) . Va peraltro ricordato che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le regole di prudenza e le norme di prevenzione vincolano permanentemente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni o siti obiettivamente pericolosi.
Le misure di sicurezza, infatti, devono essere predisposte e mantenute, sia pure con diverse modalità, confacenti alla natura del lavoro da svolgere e alla fase produttiva, prima e durante ciascuna fase del processo, ove sussistano situazioni di pericolo per i lavoratori (cfr. ex plurimis Sez. 4, n. 31567 del 2011).
Con i motivi sub F) e G) strettamente connessi si lamenta la mancata motivazione in ordine al motivo di appello sub 3) circa la mancata applicazione dell'art. 7 comma 3 D.lgs.vo 626/1994, in ragione del fatto che l'onere di coordinamento non spettava alla PR. bensì al datore di lavoro committente che, nel caso specifico, era la RFI quanto alla generalità dei lavoratori commessi alla C. e/o di quest'ultima se riferiti al solo rapporto di subappalto C./PR.. Si sostiene poi che conseguentemente non vi era alcuna necessità che il rischio attraversamento binari fosse considerato dal P.O.S..

I motivi sono infondati.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., tra le altre, Sezione 4, 15 dicembre 2005, n. 5977, Cimenti, Rv. 233245,), infatti, in caso di subappalto dei lavori, ove questi si svolgano - come nel caso di specie - nello stesso cantiere predisposto dall'appaltatore, in esso inserendosi anche l'attività del subappaltatore per l'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, e non venendo meno l'ingerenza dell'appaltatore e la diretta riconducibilità (quanto meno anche) a lui dell'organizzazione del (comune) cantiere (non cessando egli di essere investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria predetta qualità), sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo. La sentenza impugnata ha applicato correttamente i suddetti principi riconducendo - come detto - la responsabilità del To. all'omessa valutazione concreta dei rischi presenti sul cantiere di lavoro ed alla mancata adozione di misure idonee al fine di prevenire detti rischi, fermato conto che i lavori oggetto di subappalto, si svolgevano nello stesso cantiere ove continuava ad operare l'appaltatore.
Non può peraltro essere tralasciato che è fuor di dubbio la invero non contestata qualifica di datore di lavoro ricoperta, al momento del grave incidente, dal To. , in veste di legale rappresentante della ditta subappaltatrice dei lavori di perforazione da eseguirsi per conto della committente. Da tanto discendeva quindi l'obbligo all'osservanza degli adempimenti antinfortunistici nei confronti del B. . Il responsabile della società subappaltatrice risultava quindi titolare di un'ulteriore ed autonoma posizione di garanzia a tutela della incolumità dei propri lavoratori subordinati.
Quanto in particolare alle previsioni del decreto legislativo n. 494 in un complesso contesto, che vede l'interazione tra diversi soggetti, va osservato come tale intervento normativo presta (prestava) speciale attenzione proprio alle situazioni nelle quali si configura la presenza, nel medesimo cantiere, di più imprese. Esso prevede (prevedeva), in alcuni casi, la presenza già nella fase progettuale, della figura del coordinatore per la progettazione. Analogamente, sempre nel caso di compresenza di più imprese, nella fase esecutiva è prevista la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori. Lo stesso decreto dettagliatamente definisce agli artt. 4 e 5, i compiti di tali figure, imponendo particolarmente, nella fase esecutiva che qui interessa, obblighi di coordinamento della cooperazione tra i diversi soggetti coinvolti nel cantiere. La particolare attenzione al tema della coordinamento dell'azione delle imprese operanti nel cantiere, al fine di fronteggiare i rischi risultanti dalla eventuale presenza simultanea o successiva, è altresì rimarcata nel D.Lgs. n. 494, all'art. 12. Tale disciplina costituisce specificazione-di quella generale contenuta nel D.Lgs. n. 626 del 1994 ed in particolare all'art. 7 che pone l’obbligo di cooperazione e di coordinamento tra i datori di lavoro operanti in caso di contratto di appalto.
Detta ultima disposizione nel dettaglio prevede che in caso di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltatrici (o a lavoratori autonomi) tutti i datori di lavoro:
a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto;
b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva.
Anche se è fatto obbligo in particolare al datore di lavoro committente di promuovere la cooperazione ed il coordinamento (comma 2), tale obbligo che non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, non esonera comunque gli ulteriori soggetti coinvolti nell'appalto. Il legislatore ha infatti mostrato particolare consapevolezza dei rischi derivanti dall'azione congiunta di diverse organizzazioni e ne ha disciplinato la prevenzione, imponendo un penetrante reciproco obbligo di tutti i soggetti coinvolti di coordinarsi e di interagire con gli altri in modo attento e consapevole, affinché risulti sempre garantita la sicurezza delle lavorazioni.
Con i motivi sub H) ed I) si lamenta che l'impugnata sentenza non avrebbe tenuto conto della esclusiva colpa della vittima e del ruolo di capo squadra da questa rivestita quanto al verificarsi dell'evento e comunque, in subordine, dell'entità del ritenuto concorso, stabilito nella giudicata "modesta" quota del venticinque per cento.
Sul punto è sufficiente osservare che in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, o comunque il titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. Sez. 4, n. 40164 del 3.6.2004, Rv. 229564). Invero, nella specie, la condotta del lavoratore che ha provveduto all'attraversamento dei binari per effettuare l'intervento manutentivo, da un lato - come sottolineato nella gravata sentenza - non presentava nessuno scostamento dalla procedura che ordinariamente si sarebbe dovuta adottare per portare a termine il lavoro affidato alla squadra, dall'altro era certamente valutabile e prevedibile ex ante.
Quanto al secondo aspetto va ricordato il costante orientamento di questa Corte, secondo cui le statuizioni del giudice di merito in ordine alla quantificazione delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima nella determinazione causale dell'evento costituiscono apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità. (cfr. Ex plurimis, Sez. 4, n. 43159 del 20/06/2013, Rv. 258083).
Né sussiste vizio di motivazione essendo la sentenza di primo grado (sul punto espressamente richiamata dalla Corte territoriale), pervenuta alla determinazione della percentuale di responsabilità della vittima nella misura suindicata, dopo aver congruamente raffrontato i comportamenti dei protagonisti delle vicenda e valutato i fatti come concretamente si svolsero.
Con il motivo di gravame sub L) sono sollevate, infine, censure relativamente al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche. Anche in tal caso le censure sono infondate.
Va ricordato che questa Corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata ha stabilito che le statuizioni relative alla pena ed al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in cassazione soltanto nella ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto detta soluzione la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (cfr. Cass. 1, 15542/01, Pelini). Nel caso di specie, il giudice di merito, con adeguata motivazione, ha spiegato di non ritenere i ricorrenti meritevoli della prevalenza delle attenuanti. Si tratta di considerazioni ampiamente giustificative del diniego della prevalenza, che le censure proposte non valgono a scalfire.
5. Con il primo motivo di ricorso il T. deduce l'inosservanza di norme processuali e la nullità dei verbali stenotipia delle udienze dibattimentali del 12.11, 25.11.2011 e 3.12.2012 per la mancata sottoscrizione del tecnico autorizzato. Sul punto la gravata sentenza, da un lato ha chiarito, sulla scia un orientamento giurisprudenziale più recente rispetto a quello di segno contrario richiamato dal ricorrente, come, in tema di documentazione degli atti, non determina nullità la mancanza di sottoscrizione da parte del tecnico sulle trascrizioni stenotipiche delle udienze o nel testo delle relative registrazioni, dall'altro ha attestato che il verbale (ed. riassuntivo) di udienza risulta regolarmente sottoscritto dal giudice e dal cancelliere. Orbene, come ha già affermato questa Corte (Sez. 1, 11.1.2007, Risaliti, Rv. 235684), contrariamente al convincimento difensivo, in tema di documentazione degli atti, bisogna distinguere il verbale riassuntivo che deve necessariamente essere sottoscritto a pena di nullità ai sensi dell'art. 142 c.p.p. dall'ausiliario del giudice, dalla trascrizione stenotipica delle udienze o dal testo della relativa registrazione, documenti che devono essere uniti agli atti del processo insieme ai nastri; in questo ultimo caso la omessa sottoscrizione da parte del tecnico non è prevista a pena di nullità anche perché è sempre possibile procedere ad una rilettura. Non sussiste quindi il denunciato vizio di nullità, non senza considerare - come già evidenziato nella impugnata sentenza - che comunque il difensore non allega che il contenuto del verbale trascritto non sia corrispondente a quello della fonoregistrazione.
Con il secondo ed il terzo motivo di gravame - che possono essere trattati congiuntamente con il motivo sub 8 - il ricorrente lamenta, da un lato, che la Corte territoriale lo abbia ritenuto responsabile dell'omesso coordinamento e collaborazione previsto dall'art. 7 comma 2, D.lgs.vo n. 626 del 1994, senza tener conto che si sarebbe stati in presenza nella fattispecie concreta di un cantiere mobile e temporaneo, il che avrebbe dovuto invece imporre ai sensi dell'art. 3 della legge n. 494 del 1996 la designazione di un coordinatore per la progettazione, nonché di un coordinatore per l'esecuzione dei lavoro, designazione che avrebbe dovuto competere alla committenza R.F.I.; dall'altro l'omissione ed illogicità della motivazione quanto all'attribuzione ad esso ricorrente dell'obbligo di coordinamento e cooperazione e conseguentemente quanto alla individuazione della posizione di garanzia. I motivi sono infondati alla luce di quanto sopra osservato circa gli obblighi dei soggetti coinvolti in un appalto. Le figure richiamate dal ricorrente, introdotte dall'art. 5 D.Lgs. n. 494 del 1996 in attuazione della Direttiva 92/57/CEE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute nei cantieri temporanei o mobili, devono assicurare, nel caso della effettuazione dei lavori, il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione ed hanno il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, di vigilanza sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni. Ne consegue che esse sono responsabili delle conseguenze derivanti dalla violazione di tali posizioni di garanzia che sono tuttavia autonome e si affiancano a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, non sostituendole (cfr. Sez. 4, n. 38002 del 09/07/2008, Rv. 241217). Per altro verso, nulla consente di ritenere che la committente abbia impedito ali' appaltatore di porre in essere opere tese a rimuovere la situazione di pericolo.
Con il quarto motivo il T. denuncia vizio di carenza ed illogicità della motivazione determinato da travisamento della prova in punto di dichiarata insussistenza di coordinamento in vista dell'attuazione delle misure di prevenzione e l'omessa motivazione sui motivi di appello. Osserva la Corte: non sussiste il dedotto travisamento della prova. Come giustamente osservato dal Procuratore Generale in udienza lo stesso ricorrente, infatti, fa riferimento (cfr. pag. 35 del ricorso) ad una diversa valutazione delle circostanze probatorie che, "se convenientemente valutate" avrebbero potuto determinare una decisione diversa rispetto a quella adottata nei confronti del T. . Si è evidentemente al di fuori del vizio denunciato che richiede il travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr. Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Rv. 256837), ovvero quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Rv. 257499 Giova peraltro ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la nozione di "prova decisiva", rilevante, ai sensi dell'ari. 606 c.p.p., comma 1, lett. d); invero, la prova può ritenersi decisiva solo quando risulti idonea a superare contrasti e conseguenti dubbi emergenti dall'acquisito quadro probatorio, oppure nel caso in cui sia atta di per sé ad inficiare l'efficacia dimostrativa di altra o altre prove di sicuro segno contrario: e che tale non è quella abbisognevole di comparazione - quale la prova contraria - con gli elementi già acquisiti, non per negarne l'efficacia dimostrativa, bensì per comportarne un confronto dialettico al fine di effettuare una ulteriore valutazione per quanto oggetto del giudizio (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 17050 in data 11.04.2006, dep. 18.05.2006, Rv. 233729). Peraltro la sentenza impugnata ha enunciato e motivato in termini assolutamente congrui e comunque niente affatto illogici il difetto di coordinamento in capo all'imputato, ritenendo in conferenti le risultanze processuali enunciate dal ricorrente.
Con il quinto motivo ed il sesto motivo si lamenta la mancanza e contraddittorietà della motivazione e la violazione di legge quanto alla individuazione della condotta addebitata all'imputato ed al nesso della medesima con l'evento. Va rimarcato al riguardo come la gravata sentenza abbia sottolineato come sia stato accertato che il T. non ha mostrato in alcun modo la minima attivazione per il coordinamento in vista della attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi sul lavoro, né in proprio né a mezzo di delega a soggetto qualificato, pur sapendo che si trattava di operare su di una ferrovia ad alta intensità di traffico, qual è la direttrice che unisce (…) al (…), né si è preoccupato del tipo di lavorazione che doveva essere effettuata ed in particolare della circostanza che i lavoratori dovevano più volte al giorno attraversare i binari, né ha mai prescritto che i lavoratori cessassero immediatamente l'attività nel momento stesso in cui terminava la scorta del personale RFI (pagg. 19 e 20) e come di fatto "il B. ed i colleghi erano praticamente abbandonati a sé stessi in un cantiere posto a rilevante distanza dal loro luogo di provenienza" (pag. 21). Quanto al nesso di causalità, alla luce delle considerazioni sopra espresse, non è dubitabile che ove il T. avesse adempiuto agli obblighi di prevenzione sullo stesso incombenti l'evento non si sarebbe verificato.
Con il settimo motivo è dedotta la violazione dell'art. 521 c.p.p., che disciplina la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza. Secondo tale norma il giudice, pur potendo dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, è tenuto a disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerti che il fatto è diverso da come descritto nell'imputazione. Secondo il ricorrente, tale norma sarebbe stata violata in quanto non sarebbe stata contestata al T. la qualifica di responsabile della sicurezza assegnatagli nella sentenza di primo grado.
Il motivo è infondato: come precisato da questa Corte, (Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Rv. 257902), in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa Come affermato dalle Sezioni
Unite di questa Corte (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carrelli, Rv. 248051) per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può esaurirsi nel mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Ad ulteriore specificazione è stato affermato che, a fondamento del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza sta l'esigenza di assicurare all'imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell'imputazione. Ne discende che il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita. Pertanto, nei limiti di questa garanzia, quando nessun elemento che compone l'accusa sia sfuggito alla difesa dell'imputato, non si può parlare di mutamento del fatto e il giudice è libero di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più appropriata alle norme di diritto sostanziale. In altri termini, quindi, siffatta violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza (Sez. 5, n. 2074 del 25/11/2008, Fioravanti, Rv. 242351; Sez. 4, n. 10103 del 15/01/2007, Granata, Rv. 236099; Sez. 6, n.34051 del 20/02/2003, Ciobanu, Rv.226796; Sez. 5A, n. 7581 del 5/05/1999, Graci, Rv. 213776; Sez. 6A, n. 9213 del 26/09/1996, Martina, Rv. 206208; Sez. 6A, n. 7955 del 21/04/1995, P.M. in proc. Innocenti, Rv. 202572; Sez. 1A, n. 2421 del 26/01/1995, Di Raimondo, Rv. 200474; Sez. 2, n. 5907 dell'11/04/1994, De Vecchi, Rv. 197831). Nella specie tale violazione deve certamente escludersi in relazione all'ampio spettro della imputazione così come ab origine formulata.
Per i motivi sub 9), 10) e 11) si rinvia alle considerazioni svolte quanto alla posizione del T. che ha proposto sui punti indicati (comportamento del lavoratore, concorso di colpa e mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti) analoghe lagnanze.
Con il dodicesimo e tredicesimo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ammissione della parte civile da parte del giudice di primo grado D.N.E. , convivente del B. , oggetto dell'ordinanza emessa dal giudice di primo grado in data 12 novembre 2011.
I motivi sono infondati. Infatti, quanto alla risarcibilità del danno sia patrimoniale che morale, l'elaborazione giurisprudenziale l'ha estesa da tempo anche ai conviventi della vittima (V. Sez. 1, Sentenza n. 3790 del 04/02/1994 Ud. Rv. 199108; Sez. 4, Sentenza n. 33305 del 08/07/2002 Cc. Rv. 222366) in quanto, agli effetti della legitimatio ad causam, del soggetto, convivente di fatto della vittima dell'azione di un terzo, viene in considerazione non già il rapporto interno tra i conviventi, bensì l'aggressione che tale rapporto ha subito ad opera del terzo. Conseguentemente, mentre è giuridicamente irrilevante che il rapporto interno non sia disciplinato dalla legge, l'aggressione ad opera del terzo legittima il convivente a costituirsi parte civile, essendo questi leso nel proprio diritto di libertà, nascente direttamente dalla istituzione, alla continuazione del rapporto1, diritto assoluto e tutelabile erga omnes, senza, perciò, interferenze da parte dei terzi. È pur vero, quanto al danno patrimoniale, che non ogni convivenza, anche soltanto occasionale, può ritenersi sufficiente a fondare un'azione risarcitoria, consistendo il danno patrimoniale risarcibile nel venir meno degli incrementi patrimoniali, che il convivente dì fatto era indotto ad attendersi dal protrarsi nel tempo del rapporto; esso in tanto può essere risarcito, in quanto la convivenza abbia avuto un carattere di stabilità tale da far ragionevolmente ritenere che, ove non fosse intervenuta l'altrui azione, la convivenza sarebbe continuata nel tempo.
Per il caso di specie, da un lato la Corte territoriale ha congruamente motivato in ordine alla stabilità della convivenza (la coppia era in attesa di un figlio nato pochi giorni dopo la morte del padre e tutti i testi hanno confermato che la coppia aveva programmato lo sviluppo della convivenza), dall'altro, in relazione ai danni morali, è necessario verificare, in diritto, se alla D.N. convivente della vittima, spetti il diritto al risarcimento a tale titolo o, meglio se gli era riconosciuta la possibilità di costituirsi parte civile nel procedimento penale de quo. Innanzitutto a riguardo va preso in considerazione il combinato disposto dell'art. 74 c.p.p. e art. 185 c.p., tale ultima norma non fa riferimento alla sola persona offesa dal reato, ma al danneggiato in genere. Copiosa è la giurisprudenza, a partire dagli anni 70 sia di merito che di legittimità, che riconosce il diritto al risarcimento dei danni morali e, quindi, la possibilità di costituzione come parte civile nel processo penale, in materia di reati ambientali, o di attentato alla salute pubblica, ad enti ed associazioni portatori di diritti ed. adespoti, intesi questi come aventi ad oggetto interessi diffusi e collettivi, non riferibili ad una pluralità determinata di individui, ma al contrario comuni a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. Ma al di là di questo fenomeno, non si può escludere che una persona fisica, in conseguenza della uccisione di una persona, cui era legata intimamente da un rapporto di affectio familiaris, per la definitiva perdita di tale rapporto, possa subire l'incisione di un interesse giuridico, diverso dal bene salute, quale è quello all'interesse e all'integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo), e ciò in quanto l'interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli affetti. Trattasi di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c., nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad una riparazione ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza il limite ivi previsto in correlazione all'art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in materia di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato. Va da sé che in tal caso, in riferimento alla mera ipotetica titolarità di tale diritto, va verificata la concreta lesione che comporta il risarcimento del danno, verifica che è demandata al giudice della liquidazione. Peraltro la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando impregiudicato l'accertamento riservato al giudice della liquidazione dell'esistenza e dell'entità del danno, senza che ciò comporti alcuna violazione del giudizio formatosi sull'an; Sez. 5, Sentenza n. 191 del 19/10/2000, Rv. 218077; Sez. 5, Sentenza n. 2435 dei 19/01/1993, Rv. 193807).
6. Al rigetto dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile che si liquidano in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.