Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, 27 maggio 2014, n. 11831 - Esposizione all’amianto e neoplasia polmonare




Fatto





1. - La sentenza attualmente impugnata, in riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo n. 119/09, condanna la D. s.p.a. al pagamento in favore di S. P. ed A.P. di una somma di denaro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., a titolo di risarcimento del danno subito dal loro dante causa A.P. per aver contratto, a causa della esposizione nel luogo di lavoro alle polveri di amianto e ai lumi di saldatura, la neoplasia polmonare che ne ha provocato il decesso.

La Corte d’appello di Brescia, per quel che qui interessa, precisa che:

a) le mansioni svolte dal P. presso la D., comprese quelle di saldatore svolte con continuità congiuntamente ad altre (manutentore addetto allo smontaggio rifacimento e riparazione dei forni di colata), risultano accertate, nella loro oggettività, e non sono oggetto di contestazione;

b) il CTU nominato in appello per determinare l’entità di esposizione all’amianto subita dal lavoratore ha elaborato, sulla base dei criteri indicati dagli studi di settore, i dati desumibili dalla descrizione delle mansioni tipiche presso lo stabilimento della D. in oggetto, tratti da documentazione ministeriale e dell’INAIL nonché dalla letteratura scientifica;

c) sulla scorta dei dati così stimati è stata accertata una esposizione alle polveri di amianto presso la D. nel periodo 1° dicembre 1975-30 settembre 1985 superiore al limite indicato dal d.lgs. n. 277 del 1991, come riconosciuto dall’INAIL e si è appurato che tale esposizione, sia pure in misura inferiore, è perdurata fino alla fine del 1992;

d) il CTU ha anche accertato l’esposizione a fumi di saldatura, che ha avuto, nel corso degli anni, un apporto sinergico rispetto alla esposizione alle fibre di amianto e alla stessa saldatura del ferro;

e) la CTU ha consentito di accertare che tutti i suindicati fattori di rischio hanno come bersaglio il polmone, mentre è stata esclusa la possibile rilevanza concausale dell’abitudine al fumo di sigarette perché essa era cessata all’età di 27 anni del lavoratore, quindi più di trentanni prima dell’insorgenza del carcinoma polmonare;

d) quanto alla responsabilità della datrice di lavoro ex art. 2087 cod. civ., l’istruttoria svolta ha consentito di escludere che la D. abbia dato prova di avere adottato misure idonee a prevenire o limitare efficacemente la polverosità delle operazioni implicanti la manipolazione dell’amianto e il rischio di inalazione di fumi di saldatura;

e) la società non ha neppure provato di aver provveduto ad istruire e informare i dipendenti in ordine alla pericolosità delle lavorazioni cui erano addetti e alle cautele da osservare, secondo quanto previsto dalla normativa, via via nel tempo, applicabile.

2. - Il ricorso della D. s.p.a., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per un unico, articolato, motivo; resistono, con controricorso, S.P. ed A.P.




Diritto





I - Sintesi dei motivi di ricorso

1. - Il ricorso è proposto per un unico articolato motivo con il quale si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa e insufficiente motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio, rappresentati da: 1) il contenuto delle mansioni del lavoratore; 2) il nesso eziologico tra mansioni e neoplasia polmonare in relazione al livello e all’intensità dell’esposizione all’amianto; 3) l’esclusione de! rilievo eziologico dell’esposizione alle fibre di amianto e ad altri agenti patogeni subita dal lavoratore presso le altre aziende di cui era stato dipendente in passato; 4) l’esclusione della rilevanza causale dell’abitudine al fumo di sigarette del lavoratore.

1.1. - Quanto al contenuto delle mansioni del lavoratore si contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui non sono state oggetto di contestazione le mansioni svolte dal P. presso la D., comprese quelle di saldatore svolte con continuità congiuntamente ad altre (manutentore addetto allo smontaggio rifacimento e riparazione dei forni di colata).

Si sostiene che, invece, la questione è stata molto dibattuta e che l’anamnesi lavorativa del dipendente, come risultante in atti e riferita dal CTU di primo grado, porta ad escludere che il lavoratore si occupasse principalmente di saldature.

Del resto, anche nella CTU di appello non vi sono dati di riferimento di una ipotetica esposizione a sostanze nocive per il periodo 1975 - 1985 trascorso dal lavoratore alla dipendenze della D. nel reparto CEM (come carpentiere).

È invece stato accertato che il periodo più rilevante di esposizione del lavoratore a polveri di amianto è quello compreso tra il 1962 e il 1968, trascorso dal P alle dipendenze della società F.

1.2. - Con riguardo al nesso eziologico tra mansioni e neoplasia polmonare in relazione al livello e all’intensità dell’esposizione all’amianto si rileva che la Corte bresciana, sull’erroneo presupposto dell’avvenuta esposizione del lavoratore a polveri di amianto quando lavorava alle dipendenze della D. ha: a) affermato l’eziopatogenesi lavorativa della neoplasia polmonare (sulla base della seconda CTU di appello); b) escluso tout court la rilevanza causale del fumo di sigarette (in contrasto con quanto ritiene la scienza medica, anche con riguardo ad una limitata abitudine al fumo); c) escluso la "rilevanza causale esclusiva" della esposizione ad analoghi fattori patogeni avvenuta presso precedenti datori di lavoro.

Si sostiene che dalle CTU non sarebbe emersa una intensità di esposizione cumulativa - cioè per tutta la vita lavorativa - del P. superiore 2 ffml/anni, quindi molto bassa rispetto al valore di almeno 25 fibre/ml/anni considerato dalla scienza medica gli elementi di derivazione di un carcinoma del polmone all’esposizione alle fibre di asbesto.

1.3. - In conclusione si sottolinea come la Corte territoriale, recependo acriticamente le valutazioni dei CTU - ma non considerandone gli accertamenti obiettivi - sulla base di un erronea qualificazione delle mansioni del lavoratore nel periodo 1975-1985 come saldatore - anziché come manutentore presso il reparto CEM - effettuata in via induttiva ha altrettanto induttivamente presunto la sussistenza del nesso eziologico tra esposizione e malattia e, per il riconoscimento del espositivo, si è limitata a citare quello necessario per ottenere il beneficio previdenziale da parte dell’INAIL, largamente inferiore ai parametri fomiti dalla più accreditata dottrina scientifica per l’individuazione del rischio professionale specifico.

Inoltre, la Corte bresciana ha attribuito alla D. l’esclusiva responsabilità del danno, trascurando il rilievo eziologico delle altre aziende presso le quali il lavoratore aveva in passato lavorato, con esposizioni alle fibre di amianto di maggiore intensità e senza attribuire alcuna rilevanza causale all’abitudine al fumo di sigarette del lavoratore.

II - Esame delle censure

2. - Tutte le censure non sono da accogliere in quanto, a fronte di una motivata valutazione di merito delle risultanze probatorie di causa, effettuata dalla Corte d’appello sulla base di una ben giustificata adesione alle conclusioni della disposta CTU, la società ricorrente finisce in realtà per esprimere un mero, quanto inammissibile, dissenso valutativo, anziché denunciare errori di logica giuridica che sono gli unici che, in questa sede, possono rilevare al fine dell’affermazione della insufficienza, incongruità o incoerenza della motivazione della sentenza impugnata (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

In particolare alla suddetta conclusione si perviene ove si consideri che ciascuna delle questioni sulla quale si incentrano le attuali censure - che, peraltro, impongono in apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, nella specie incensurabili in sede di legittimità, perché fomiti di congrua motivazione — risulta essere stata esaminata dalla Corte d’appello con attenzione e risolta non sulla base di un acritico recepimento delle conclusioni della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, ma con l’esposizione, in modo puntuale, delle ragioni della propria adesione alle suindicate conclusioni del CTU, basate su accertamenti particolarmente complessi.

Di tale complessità la sentenza ha dato conto in modo adeguato e, del resto, essa è facilmente desumibile dalla considerazione secondo cui l’arco temporale interessato dalla presente vicenda va dagli anni sessanta agli anni novanta e questo, che già di per sé è un elemento che rende particolarmente difficile la ricostruzione dei fatti, con riguardo alla materia di cui si tratta assume una valenza ancor più significativa, dal punto di vista dell’evoluzione normativa, venendo in rilievo anche l’esposizione all’amianto (unitamente a quella ad altri fattori patogeni).

3. - È noto, infatti, che gli interventi normativi, comunitari e nazionali, che si sono succeduti in materia di progressiva riduzione e di finale eliminazione dei rischi derivanti dall’uso dell’amianto, hanno preso le mosse dalla direttiva CEE n. 477 del 1983, cui hanno fatto seguito la direttiva n. 382 del 1991 (anch’essa specificamente riguardante la nocività dell’amianto) e altre direttive concernenti la protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro (vedi, per tutte: Corte costituzionale, sentenza n. 434 del 2002)..

Per dare attuazione alla suindicata normativa comunitaria fu emesso il d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277 - il quale, tra l’altro, all’art. 31 fissò i valori limite di esposizione alla polvere di amianto, espressi come media ponderata in funzione del tempo di riferimento di otto ore - e fu poi emanata la legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto).

4. - Peraltro, questa Corte, in più occasioni, ha posto in rilievo che, nella legislazione nazionale, la pericolosità della lavorazione dell’amianto era stata affermata da epoca ben anteriore agli anni settanta (per la relativa ricostruzione, vedi, per tutte: Cass. Cass. 16 febbraio 2012, n. 2251).

In particolare, Cass. 9 maggio 1998, n. 4721 ha richiamato al riguardo fonti remote, quali: a) R.D. 14 giugno 1909, n.442, recante il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, che all’art. 29 tab. B n. 12, includeva la filatura e tessitura dell’amianto tra i lavori insalubri o pericolosi; b) d.lgt. 6 agosto 1916, n. 1136, art. 36, tab. B, n. 13, recante il regolamento per l’esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli; c) R.D. 7 agosto 1936 n. 1720 che, approvando le tabelle indicanti i lavori vietati ai fanciulli e alle donne minorenni, prevedeva alla tab. B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri, tra cui la lavorazione dell’amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura (n. 5).

Le fonti meno remote richiamate dalla stessa giurisprudenza sono: d) la legge delega 12 febbraio 1955, n. 52 (art. 1, lett. F); e) il D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303; f) il D.P.R. 20 marzo 1956, n. 648; g) il regolamento 21 luglio 1960, n.1169, che all’art. 1 prevede che la presenza di amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio.

La stessa giurisprudenza ha, inoltre, posto in evidenza come detta pericolosità sia evidenziata anche dalla norma che prevede l’attribuzione del premio supplementare stabilito dall’art. 153 del T.U. n. 1124 del 1965, per le lavorazioni per le quali è obbligatoria l’assicurazione contro la silicosi e l’asbestosi (ali. 8), per le quali è presupposto un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi (secondo Cass. 20 agosto 1991, n. 8970).

A maggior ragione, da epoca remota, era nota la nocività dell’inalazione dei gas o vapori nocivi o dei fumi tossici (quali i fumi di saldatura), come si desume dagli artt. 20 e 21 del D.P.R. n. 303 del 1956, citati nella sentenza attualmente impugnata.

5. - Questo è il quadro normativo - implicitamente preso in considerazione dalla Corte territoriale - nel quale deve essere inserita la presente vicenda caratterizzata dalla esposizione del P. a molteplici fattori di rischio, nel corso di una articolata e complessa vita lavorativa, che ha avuto inizio nel settembre 1962 (presso la F. s.p.a, come addetto alla riparazione a al montaggio/smontaggio di carrozze ferroviarie, operazioni implicanti, secondo la società ricorrente, il contatto con pannelli rivestiti di amianto), per proseguire poi presso la L. e presso la I. (per periodi più brevi), fino alla assunzione, negli anni settanta, alle dipendenze della D.

In quest’ultima situazione la Corte bresciana riferisce che le mansioni svolte dal P , comprese quelle di saldatore svolte con continuità congiuntamente ad altre (manutentore addetto allo smontaggio rifacimento e riparazione dei forni di colata), risultano accertate, nella loro oggettività.

Tale affermazione - nel primo motivo del ricorso - non risulta efficacemente contestata, in conformità con il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. e all’art. 369, n. 4, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011,n. 22726).

6. - E il suddetto inconveniente si riscontra non soltanto per l’affermazione in sé, ma anche con riguardo alle conseguenti statuizioni della Corte bresciana, secondo cui il CTU nominato in appello, in base ad un metodo scientifico di comprovata affidabilità — e necessariamente di tipo induttivo, come ben precisato nella sentenza - ha accertato una esposizione alle polveri di amianto presso la D. nel periodo 1° dicembre 1975-30 settembre 1985 superiore al limite indicato dal d.lgs. n. 277 del 1991, come riconosciuto dall’INAIL ed ha appurato che tale esposizione, sia pure in misura inferiore, è perdurata fino alla fine del 1992.

Ne consegue che tale obiezione avanzata dalla ricorrente — specificamente nel terzo motivo - a proposito del tipo di metodologia adottata dal CTU al riguardo, pur suggestiva, è tuttavia priva di pregio, in quanto come si è detto essendo nella legislazione nazionale, prima ancora dell’inizio del rapporto di lavoro del P , da tempo noto il contenuto fortemente nocivo della lavorazione dell’amianto e degli altri fattori patogeni di cui si tratta, conseguentemente anche la letteratura scientifica conosciuta all’epoca in cui si svolse la prestazione lavorativa ne era al corrente, visto che, anche per l’amianto (la cui nocività è emersa in un momento successivo rispetto a quella degli altri fattori nocivi de quibus) i primi studi scientificamente validi sull’argomento sono comparsi in Italia alla metà degli anni sessanta (arg. ex Cass. 23 settembre 2010 n. 20142; Cass. 23 maggio 2003, n. 8204 e Cass. 14 gennaio 2005, n. 644).

Né va omesso di rilevare che, diversamente da quel che sostiene la ricorrente, dalla sentenza impugnata risulta che alla stima dell’entità di esposizione all’amianto subita dal lavoratore sulla base delle mansioni svolte non si è pervenuti utilizzando esclusivamente l’archivio Amyant dell’INAIL, ma desumendo i relativi dati dalla descrizione delle mansioni tipiche presso lo stabilimento della D. in oggetto anche dagli atti di indirizzo ministeriali riguardanti la società e dalla letteratura scientifica e poi effettuando la relativa elaborazione con l’algoritmo formulato dalla HVBG ad uso degli istituti assicurativi tedeschi.

La Corte bresciana, oltre a motivare correttamente sul punto, aggiunge che il suddetto procedimento - basato su studi di settore - non è stato contestato dalla società, neppure attraverso i rilievi critici del proprio consulente tecnico.

E tale ultima affermazione non risulta censurata nel presente ricorso.

7. - Del pari esauriente e ben motivato risulta l’accertamento compiuto dal Giudice del merito - sempre sulla base della suddetta CTU di appello - sull’eziopatogenesi lavorativa della neoplasia polmonare, contestato nel secondo motivo del presente ricorso.

Al riguardo è stato sottolineato come sia stata riscontrata l’esposizione a fumi di saldatura, che ha avuto, nel corso degli anni, un apporto sinergico rispetto alla esposizione alle fibre di amianto e alla stessa saldatura del ferro e come tutti i suindicati fattori di rischio - riscontratisi nel periodo in cui il P ha lavorato alle dipendenze della D. hanno come bersaglio il polmone.

Conseguentemente, è stata affermata la responsabilità della datrice di lavoro ex art. 2087 cod. civ. sottolineandosi che l’istruttoria svolta ha consentito di escludere che la D. abbia dato prova di avere adottato misure idonee a prevenire o limitare efficacemente la polverosità delle operazioni implicanti la manipolazione dell’amianto e il rischio di inalazione di fumi di saldatura, conosciute all’epoca (1972-1995).

8. - Tale statuizione non viene censurata nel presente ricorso, nel quale invece si contestano l’esclusione della rilevanza concausale dell’abitudine al fumo di sigarette del lavoratore e la mancata affermazione della "rilevanza causale esclusiva" della esposizione ad analoghi fattori patogeni avvenuta presso precedenti datori di lavoro.

L’esclusione dell’efficacia concausale dell’abitudine al fumo risulta essere stata affermata in adesione al rilievo del CTU secondo cui, essendo tale abitudine cessata all’età di 27 anni del lavoratore, quindi più di trent’anni prima dell’insorgenza dei carcinoma polmonare, si sarebbe prodotto un annullamento del conseguente rischio di contrarre il carcinoma polmonare.

Tale affermazione - di per sé logica e non meritevole di censure in questa sede, in assenza di idonei argomenti specifici sul punto - si accorda con il successivo rilievo secondo cui, nel caso in esame, vi è stata una sinergia concausale di più fattori di rischio in ambito lavorativo che hanno dato luogo ad una forma particolarmente aggressiva di carcinoma polmonare, tale da escluderne la preesistenza molti anni prima dell’evento letale.

Quest’ultima osservazione, così come vale per l’abitudine al fumo porta anche ad escludere che potesse essere affermata la "rilevanza causale esclusiva" della esposizione ad analoghi fattori patogeni avvenuta presso precedenti datori di lavoro, salvo restando che, sull’eventuale imputabilità dell’evento dannoso anche - e non soltanto - ad altre imprese datrici di lavoro, la Corte bresciana ha precisato che, tale ultima evenienza, potrebbe, tutt’al più, comportare "una coobbligazione solidale, rispetto alla quale ogni obbligato è tenuto per l’intero, salva l’azione di regresso (art. 1299 cod. civ.).

III - Conclusioni

9. - In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza.



P.Q.M.





Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.