SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 19 giugno 2014 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 45 TFUE – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 7 – Nozione di
“lavoratore”– Cittadina dell’Unione europea che ha rinunciato a lavorare a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto»

 

Fonte: Sito web Eur-Lex

 

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Nella causa C-507/12,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Supreme Court of the United Kingdom (Regno Unito), con decisione del 31 ottobre 2012, pervenuta in cancelleria l’8 novembre 2012, nel procedimento
Jessy Saint P.
contro
Secretary of State for Work and Pensions,
con l’intervento di:
AIRE Centre,

LA CORTE (Prima Sezione),
composta da A. Tizzano (relatore), presidente di sezione, A. Borg Barthet, E. Levits, M. Berger e S. Rodin, giudici,
avvocato generale: N. Wahl
cancelliere: M.-A. Gaudissart, capo unità
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 novembre 2013,
considerate le osservazioni presentate:
– per la sig.ra Saint P., da R. Drabble, QC, incaricato da M. Spencer, solicitor;
– per l’AIRE Centre, da J. Stratford, QC, e M. Moriarty, barrister, incaricati da D. Das, solicitor;
– per il governo del Regno Unito, da V. Kaye e A. Robinson, in qualità di agenti, assistiti da B. Kennely e J. Coppel, barristers;
– per il governo polacco, da B. Majczyna e M. Szpunar, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da C. Tufvesson, J. Enegren e M. Wilderspin, in qualità di agenti;
– per l’Autorità di vigilanza AELS, da X. Lewis, M. Moustakali e C. Howdle, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 dicembre 2013, ha pronunciato la seguente

Sentenza

 


1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della nozione di «lavoratore» ai sensi dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 7 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche GU L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la sig.ra Saint P. al Secretary of State for Work and Pensions (in prosieguo: il «Secretary of State») in merito al rifiuto di quest’ultimo di concederle un’indennità integrativa del reddito.

Contesto normativo
Diritto dell’Unione

3 I considerando da 2 a 4 e 31 della direttiva 2004/38 prevedono quanto segue:
«(2) La libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali nel mercato interno che comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale libertà secondo le disposizioni del trattato [CE].
(3) La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.
(4) Per superare tale carattere settoriale e frammentario delle norme concernenti il diritto di libera circolazione e soggiorno e allo scopo di facilitare l’esercizio di tale diritto, occorre elaborare uno strumento legislativo unico per modificare parzialmente il regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità [(GU L 257, pag. 2), come modificato dal regolamento (CEE) n. 2434/92 del Consiglio, del 27 luglio 1992 (GU L 245, pag. 1)] e per abrogare i seguenti testi legislativi: la direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità [(GU L 257, pag. 13)]; la direttiva 73/148/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1973, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi [(GU L 172, pag. 14)]; la direttiva 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno [(GU L 180, pag. 26)]; la direttiva 90/365/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale [(GU L 180, pag. 28)] e la direttiva 93/96/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, relativa al diritto di soggiorno degli studenti [(GU L 317, pag. 59)].
(...)
(31) La presente direttiva rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; in conformità con il divieto di discriminazione contemplato nella Carta gli Stati membri dovrebbero dare attuazione alla presente direttiva senza operare tra i beneficiari della stessa alcuna discriminazione fondata su motivazioni quali sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza ad una minoranza etnica, patrimonio, nascita, handicap, età o tendenze sessuali».
4 Ai sensi dell’articolo 1, lettera a), della direttiva 2004/38:
«La presente direttiva determina:
a) le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari».
5 L’articolo 7 della suddetta direttiva, intitolato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», prevede, ai suoi paragrafi 1 e 3, quanto segue:
«1. Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:
a) di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante (...)
(...).
3. Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:
a) l’interessato è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b) l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un’attività per oltre un anno, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro;
c) l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi;
d) l’interessato segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l’attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito».
6 L’articolo 16, paragrafi 1 e 3, della medesima direttiva così dispone:
«1. Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. (...)
(...)
3. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo».

Il diritto del Regno Unito


7 La legge del 1992 sui contributi e sulle prestazioni in materia di previdenza sociale (Social Security Contributions and Benefits Act 1992) ed il regolamento (generale) del 1987 in materia di indennità integrativa del reddito [Income Support (General) Regulations 1987] costituiscono la normativa applicabile all’indennità integrativa del reddito.
8 L’indennità integrativa del reddito è una prestazione concessa in base al reddito a diverse categorie di persone, tra le quali figura, in forza dell’articolo 4ZA di detto regolamento, in combinato disposto con il punto 14, lettera b), dell’allegato 1B dello stesso regolamento, quella delle donne che sono o sono «state [incinte] ma solo per il periodo che inizia undici settimane prima della settimana presunta del parto e termina quindici settimane dopo la data della fine della gravidanza».
9 La concessione di detta prestazione presuppone, in particolare, ai sensi dell’articolo 124, paragrafo 1, lettera b), della legge del 1992 sui contributi e sulle prestazioni in materia di previdenza sociale, che i redditi del beneficiario non superino l’«importo applicabile» stabilito. Se tale importo è pari a zero, non è concessa alcuna prestazione.
10 Ai sensi del punto 17 dell’allegato 7 del regolamento (generale) del 1987 in materia di indennità integrativa del reddito, l’importo applicabile stabilito per una «persona proveniente dall’estero» è pari a zero.
11 L’articolo 21AA, paragrafo 1, di tale regolamento definisce la nozione di «persona proveniente dall’estero» come «un richiedente che non risieda abitualmente nel Regno Unito (…)».
12 Ai sensi dell’articolo 21AA, paragrafo 2, di detto regolamento, per poter essere considerato residente abitualmente nel Regno Unito, colui che richiede l’indennità integrativa del reddito deve essere titolare di un «diritto di soggiorno» in tale Stato membro.
13 Ai sensi dell’articolo 21AA, paragrafo 4, del medesimo regolamento:

«Un richiedente non è considerato persona proveniente dall’estero qualora sia:
a) un lavoratore subordinato ai sensi della direttiva [2004/38];
b) un lavoratore autonomo ai sensi di tale direttiva;
c) una persona che conservi una delle qualità di cui supra, alle lettere a) o b), ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, di tale direttiva;
d) una persona che sia un familiare, ai sensi dell’articolo 2 di tale direttiva, di una persona di cui supra, alle lettere a), b) o c);
e) una persona che abbia un diritto di soggiorno permanente nel Regno Unito, ai sensi dell’articolo 17 di tale direttiva».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14 La sig.ra Saint P. è una cittadina francese giunta il 10 luglio 2006 nel Regno Unito, ove ha lavorato essenzialmente come insegnante ausiliaria dal 1° settembre 2006 al 1° agosto 2007. Successivamente, essa si è iscritta all’università di Londra ad un corso che le consentisse di ottenere un certificato di abilitazione all’insegnamento, il cui periodo di studi previsto era dal 17 settembre 2007 al 27 giugno 2008.
15 Durante tale periodo, ha avuto per lei inizio una gravidanza, con data prevista del parto il 2 giugno 2008.
16 Il 22 gennaio 2008, sperando di trovare lavoro in una scuola secondaria, la sig.ra Saint P. si è iscritta ad un’agenzia di lavoro interinale e il 1° febbraio 2008 ha abbandonato il corso seguito presso l’università di Londra. Poiché non vi erano posti di lavoro disponibili presso una scuola secondaria, essa ha lavorato come interinale presso scuole materne. Il 12 marzo 2008, quasi al sesto mese di gravidanza, la sig.ra Saint P. ha tuttavia abbandonato tale impiego, in quanto il lavoro, che consisteva nell’occuparsi di bambini delle scuole materne, era diventato troppo faticoso per lei. Essa ha cercato per alcuni giorni, senza successo, un lavoro più adatto al suo stato di gravidanza.
17 Il 18 marzo 2008, ossia undici settimane prima della data prevista del parto, la sig.ra Saint P. ha presentato una domanda di indennità integrativa del reddito. Poiché tale domanda è stata respinta dal Secretary of State con decisione del 4 maggio 2008, essa ha proposto un ricorso dinanzi al First-tier Tribunal.
18 Il 21 agosto 2008, ossia tre mesi dopo la nascita prematura di suo figlio, la sig.ra Saint P. ha ripreso il lavoro.
19 Con decisione del 4 settembre 2008, il First-tier Tribunal ha accolto il suo ricorso. Tuttavia, il 7 maggio 2010 l’Upper Tribunal ha accolto il ricorso proposto dal Secretary of State avverso tale decisione. Poiché la Court of Appeal ha confermato la decisione dell’Upper Tribunal, la Sig.ra Saint P. ha adito il giudice del rinvio.
20 Quest’ultimo giudice si chiede se una donna incinta che cessi temporaneamente di lavorare a causa della gravidanza debba essere considerata un «lavoratore» ai fini della libera circolazione dei lavoratori sancita dall’articolo 45 TFUE e del diritto di soggiorno conferito dall’articolo 7 della direttiva 2004/38.
21 A tale proposito, il giudice del rinvio constata che né l’articolo 45 TFUE, né l’articolo 7 della citata direttiva, definiscono la nozione di lavoratore.
22 Pertanto, detto giudice considera, in sostanza, che, sebbene adottando la stessa direttiva il legislatore dell’Unione abbia avuto l’intenzione di codificare la legislazione e la giurisprudenza esistenti, esso non ha voluto tuttavia escludere un’evoluzione ulteriore della nozione di lavoratore in considerazione di situazioni non espressamente previste al momento di tale adozione. Di conseguenza, la Corte potrebbe, tenendo conto di circostanze particolari quali quelle che caratterizzano la gravidanza e il periodo immediatamente successivo al parto, decidere di estendere tale nozione alle donne incinte che lasciano il proprio impiego per un periodo ragionevole.
23 Ciò considerato, la Supreme Court of the United Kingdom ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il diritto di soggiorno conferito a un “lavoratore subordinato” dall’articolo 7 della direttiva [2004/38] debba essere interpretato nel senso che si applica soltanto alle persone che i) si trovano in un rapporto di lavoro esistente, ii) sono, quantomeno in alcune circostanze, alla ricerca di un’occupazione, o iii) rientrano nell’ambito di applicazione delle ipotesi previste dall’articolo 7, paragrafo 3 [di tale direttiva], oppure se [l’]articolo [7 di detta direttiva] debba essere interpretato nel senso che non osta a riconoscere tale diritto ad altre persone che conservano la qualità di “lavoratori subordinati” a tal fine.
2) a) Se, in quest’ultimo caso, esso si applichi ad una donna che, ragionevolmente, abbia cessato di lavorare o abbia interrotto la ricerca di un’occupazione, a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto.
b) In caso affermativo, se essa abbia diritto all’applicazione della definizione, fornita dal diritto nazionale, del momento in cui tale scelta è ragionevole».

Sulle questioni pregiudiziali

24 Con le sue questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione, e in particolare, gli articoli 45 TFUE e 7 della direttiva 2004/38, debbano essere interpretati nel senso che una donna, che cessi di lavorare o di cercare un impiego a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto, conservi la qualità di «lavoratore» ai sensi dei suddetti articoli.
25 Al fine di rispondere a tali questioni, è opportuno innanzitutto ricordare che dai considerando terzo e quarto della citata direttiva risulta che quest’ultima ha lo scopo di superare un approccio settoriale e frammentario del diritto fondamentale e individuale dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ai fini di agevolare l’esercizio di tale diritto mediante l’elaborazione di un atto legislativo unico che codifichi e riveda gli strumenti del diritto dell’Unione anteriori a tale medesima direttiva (v., in tal senso, sentenza Ziolkowski e Szeja, C-424/10 e C-425/10, EU:C:2011:866, punto 37).
26 A tale proposito, dall’articolo 1, lettera a), della direttiva 2004/38 risulta che quest’ultima mira a precisare le condizioni di esercizio di tale diritto, tra le quali figura, per quanto concerne i soggiorni di durata superiore a tre mesi, in particolare, quella prevista dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, secondo la quale i cittadini dell’Unione devono possedere la qualità di lavoratore subordinato o di lavoratore autonomo nello Stato membro ospitante (v., in tal senso, sentenza Brey, C-140/12, EU:C:2013:565, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).
27 L’articolo 7, paragrafo 3, della citata direttiva precisa che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della stessa direttiva, il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva, nondimeno, la qualità di lavoratore in casi particolari, ossia qualora egli sia temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio, qualora in talune ipotesi si trovi in stato di disoccupazione involontaria o ancora qualora segua, a determinate condizioni, un corso di formazione professionale.
28 Orbene, si deve rilevare che l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 non prevede espressamente il caso di una donna che si trovi in una situazione particolare a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto.
29 A tale riguardo, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la gravidanza deve essere nettamente distinta dalla malattia nel senso che lo stato di gravidanza non è in alcun modo assimilabile ad uno stato patologico (v., in tal senso, in particolare, sentenza Webb, C-32/93, EU:C:1994:300, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).
30 Ne consegue che una donna che si trovi nella situazione della sig.ra Saint P., che cessi temporaneamente di lavorare a causa delle ultime fasi della gravidanza e del periodo successivo al parto, non può essere qualificata come persona temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38.
31 Tuttavia, non risulta né dall’articolo 7 di detta direttiva nel suo complesso, né da altre disposizioni della stessa direttiva che, in siffatte circostanze, un cittadino dell’Unione che non soddisfi le condizioni previste da detto articolo sia, per tale ragione, sistematicamente privato dello status di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 45 TFUE.
32 Infatti, la codificazione, voluta dalla citata direttiva, degli strumenti del diritto dell’Unione anteriori alla stessa, che mira espressamente ad agevolare l’esercizio del diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, non può di per sé limitare la portata della nozione di lavoratore ai sensi del Trattato FUE.
33 A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 45 TFUE, in quanto definisce l’ambito di applicazione di una libertà fondamentale prevista dal Trattato FUE, deve essere interpretata estensivamente (v., in tal senso, sentenza N., C-46/12, EU:C:2013:97, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
34 È in tale prospettiva che la Corte ha affermato che ogni cittadino di uno Stato membro, indipendentemente dal suo luogo di residenza e dalla sua cittadinanza, che si sia avvalso del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e abbia esercitato un’attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello di residenza, rientra nella sfera di applicazione dell’articolo 45 TFUE (v., in particolare, sentenze Ritter-Coulais, C-152/03, EU:C:2006:123, punto 31, e Hartmann, C-212/05, EU:C:2007:437, punto 17).
35 In tal modo la Corte ha precisato anche che, nell’ambito dell’articolo 45 TFUE, deve considerarsi lavoratore la persona che fornisce, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni a corrispettivo delle quali riceve una retribuzione. Una volta cessato il rapporto di lavoro, l’interessato perde, in linea di principio, la qualità di lavoratore, fermo restando tuttavia che, da un lato, questa qualifica può produrre taluni effetti dopo la cessazione del rapporto di lavoro e che, dall’altro, una persona all’effettiva ricerca di un impiego deve del pari essere qualificata come lavoratore (sentenza Caves Krier Frères, C-379/11, EU:C:2012:798, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
36 Di conseguenza, e ai fini della presente causa, occorre sottolineare che la libera circolazione dei lavoratori implica il diritto per i cittadini degli Stati membri di circolare liberamente nel territorio degli altri Stati membri e di soggiornarvi al fine di cercarvi un lavoro (v., in particolare, sentenza Antonissen, C-292/89, EU:C:1991:80, punto 13).
37 Ne consegue che la qualifica di lavoratore ai sensi dell’articolo 45 TFUE, nonché i diritti derivanti da un siffatto status, non dipendono necessariamente dall’esistenza o dalla effettiva prosecuzione di un rapporto di lavoro (v., in tal senso, sentenza Lair, 39/86, EU:C:1988:322, punti 31 e 36).
38 In tali condizioni, non si può affermare, contrariamente a quanto asserito dal governo del Regno Unito, che l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 elenchi in maniera esaustiva le circostanze nelle quali un lavoratore migrante, che non si trovi più in un rapporto di lavoro, possa tuttavia continuare a beneficiare di detto status.
39 Nella fattispecie, dalla decisione di rinvio emerge che, senza che ciò sia contestato dalle parti nel procedimento principale, la sig.ra Saint P. ha svolto attività subordinate nel territorio del Regno Unito, prima di cessare di lavorare, meno di tre mesi prima della nascita di suo figlio, a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo immediatamente successivo al parto. Senza aver lasciato il territorio di tale Stato membro durante il periodo di interruzione della sua attività professionale, essa ha ripreso a lavorare tre mesi dopo la nascita di suo figlio.
40 Orbene, la circostanza che dette limitazioni costringano una donna a cessare di esercitare un’attività subordinata durante il periodo necessario al suo ristabilimento non è, in linea di principio, idonea a privare tale persona della qualità di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 45 TFUE.
41 Infatti, la circostanza che una siffatta persona non sia stata effettivamente presente sul mercato del lavoro dello Stato membro ospitante per alcuni mesi non implica che tale persona abbia cessato di far parte di detto mercato durante tale periodo, purché essa riprenda il suo lavoro o trovi un altro impiego entro un termine ragionevole dopo il parto (v., per analogia, sentenza Orfanopoulos e Oliveri, C-482/01 e C-493/01, EU:C:2004:262, punto 50).
42 Per determinare se il periodo intercorso tra il parto e la ripresa del lavoro possa essere considerato ragionevole, è compito del giudice nazionale interessato tenere conto di tutte le circostanze specifiche del procedimento principale e delle norme nazionali applicabili che disciplinano la durata del congedo di maternità, conformemente all’articolo 8 della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1).
43 La soluzione accolta al punto 41 della presente sentenza è conforme alla finalità, perseguita dall’articolo 45 TFUE, di consentire ad un lavoratore di spostarsi liberamente nell’ambito del territorio degli altri Stati membri e di soggiornarvi al fine di svolgervi un’attività lavorativa (v. sentenza Uecker e Jacquet, C-64/96 e C-65/96, EU:C:1997:285, punto 21).
44 Infatti, come affermato dalla Commissione europea, una cittadina dell’Unione sarebbe dissuasa dall’esercitare il suo diritto di libera circolazione se, nel caso in cui fosse incinta nello Stato ospitante e lasciasse per tale motivo il suo impiego, sia pur soltanto per un breve periodo, essa rischiasse di perdere la qualità di lavoratore in tale Stato.
45 Inoltre, va ricordato che il diritto dell’Unione garantisce alle donne una tutela particolare in caso di maternità. A tale proposito, occorre rilevare che l’articolo 16, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, prevede, ai fini del calcolo del periodo ininterrotto di cinque anni di soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante che consente ai cittadini dell’Unione di acquisire il diritto di soggiorno permanente in tale territorio, che la continuità della residenza non è pregiudicata, in particolare, da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità.
46 Orbene, in forza di tale tutela, se un’assenza motivata da un evento rilevante come la gravidanza o la maternità non pregiudica la continuità della residenza di cinque anni nello Stato membro ospitante necessaria per la concessione di tale diritto, le limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo immediatamente successivo al parto, che costringono una donna a smettere temporaneamente di lavorare, non possono, a fortiori, comportare per quest’ultima la perdita della qualità di lavoratore.
47 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio dichiarando che l’articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che una donna, che smetta di lavorare o di cercare un impiego a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto, conserva la qualità di «lavoratore» ai sensi di tale articolo, purché essa riprenda il suo lavoro o trovi un altro impiego entro un ragionevole periodo di tempo dopo la nascita di suo figlio.


Sulle spese


48 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
L’articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che una donna, che smetta di lavorare o di cercare un impiego a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto, conserva la qualità di «lavoratore» ai sensi di tale articolo, purché essa riprenda il suo lavoro o trovi un altro impiego entro un ragionevole periodo di tempo dopo la nascita di suo figlio.

Firme


 

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