Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 13 giugno 2014, n. 25222 - Morte di un meccanico schiacciato da un TIR e responsabilità


 





REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
M.G. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 517/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del 10/12/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/06/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. CAPALDO Carolina in sostituzione dell'Avv. DE CARO Agostino che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.




Fatto


1. In data 10/12/2012 la Corte d'Appello di Salerno ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Salerno il 3/07/2009, che aveva condannato M.G. alla pena di mesi 8 di reclusione nonchè al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, sulla base dell'imputazione del reato di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 2, perchè, nella qualità di presidente e legale rappresentante della Trasporti Portuali Salernitani e della CAPS - Cooperativa autotrasportatori portuali salernitani, per colpa generica e specifica aveva cagionato il (Omissis) la morte del meccanico dipendente L. R., schiacciato dal TIR sotto il quale stava lavorando per la regolazione dei freni. In particolare, all'imputato era stato addebitato di aver omesso di far adottare, come previsto dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 373, le necessarie misure e cautele supplementari in ordine ai lavori di manutenzione di macchine e mezzi e di provvedere, come previsto dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 22, alla formazione dei lavoratori, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni.

2. La Corte di Appello, richiamata la pronuncia di primo grado, condividendone le argomentazioni, ha sottolineato come la dinamica del sinistro fosse stata ricostruita sulla base della deposizione dell'agente di polizia giudiziaria intervenuto prontamente sul posto, che aveva visionato le immagini dell'infortunio, ripreso in diretta da telecamere poste nei locali dell'azienda. Ed il giudice di primo grado aveva ritenuto provato che L.R. fosse rimasto schiacciato dalla ruota posteriore destra di un'autoarticolato sotto il quale si era posizionato per effettuare un lavoro di registrazione dei freni posteriori, lavoro sollecitatogli dall'autista del mezzo, che si era posto alla guida del camion azionandone la messa in moto e determinando uno spostamento del pesante veicolo.

3. Ricorre per cassazione M.G., con atto sottoscritto dal difensore, censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla configurazione del reato di omicidio colposo, travisamento della prova in relazione alla sussistenza di nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento, nonchè vizio di motivazione sul medesimo punto per contraddittorietà rispetto alle risultanze processuali. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero affermato, in contrasto con quanto accertato dal consulente tecnico della difesa, che l'imputato avrebbe omesso di predisporre una buca all'interno della quale si sarebbe potuto posizionare il meccanico, attribuendo maggiore valenza alle dichiarazioni dell'ispettore del lavoro sulla base di congetture ed illazioni, non avendo l'ispettore escluso la presenza delle buche e avendo i testimoni escussi in dibattimento attestato la presenza delle fosse d'ispezione, provandone la conoscenza e l'utilizzo da parte di tutti i lavoratori.

La decisione di non utilizzare la buca predisposta per quel genere di operazioni, si assume, sarebbe stata assunta autonomamente dal lavoratore, il quale neppure avrebbe utilizzato i cunei ferma ruote, certamente disponibili presso l'officina, con un comportamento anomalo e disattento determinante la causa primaria ed unica dell'evento. I testimoni escussi nell'istruttoria dibattimentale avrebbero asserito la corretta osservanza della normativa di sicurezza in tema di infortuni nonchè lo svolgimento di corsi di aggiornamento, ai quali partecipavano tutti i dipendenti. A ciò deve aggiungersi, secondo il ricorrente, che il M. aveva delegato tutte le incombenze relative alla sicurezza del lavoro alla persona tenuta a svolgere le mansioni collegate al servizio di prevenzione degli infortuni sul lavoro, mentre la Corte avrebbe sminuito il ragionamento difensivo senza adeguata motivazione, limitandosi ad affermare l'insussistenza di deleghe scritte, pur in presenza di tutta la documentazione sulla sicurezza del lavoro;

b) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 69 e 133 c.p., in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con regime di prevalenza sulla contestata aggravante nonchè vizio di motivazione sul punto. Secondo il ricorrente, la pena irrogata sarebbe eccessiva rispetto al comportamento posto in essere dall'imputato, irrispettosa dei parametri stabiliti dall'art. 133 c.p., e incomprensibilmente determinata sulla base di un mero giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante, pur essendo l'imputato incensurato ed essendo minimo il livello di colpa).

c) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata revoca delle statuizioni civili di condanna al risarcimento dei danni, nonchè vizio di motivazione sul punto. Nonostante i parenti della vittima fossero stati risarciti dall'assicurazione dell'imputato, dandosi atto nell'atto di transazione e quietanza sottoscritto dalle parti civili della rinuncia ad ogni pretesa e azione in qualsiasi sede, i giudici di merito avrebbero completamente trascurato tale circostanza, sostenendo che il risarcimento per i danni derivanti da circolazione stradale non ristorasse completamente i familiari della vittima.



Diritto


1. Le censure concernenti la ricostruzione della dinamica dell'infortunio ed il giudizio circa il nesso di causalità tra condotta omissiva ascritta all'imputato ed evento mortale sono infondate.

1.1. Nella sentenza impugnata, la Corte territoriale ha richiamato il rilievo effettuato dall'ispettore del lavoro, secondo il quale l'attività di registrazione dei freni non era affatto contemplata nel documento di valutazione dei rischi, risultando conseguentemente inesistente qualunque attività di formazione dei dipendenti con riferimento a tale fase del processo lavorativo; ha sottolineato come, per eseguire l'operazione di registrazione dei freni, non essendo prevista l'installazione del freno di stazionamento, fosse necessaria la presenza di una buca di ispezione, non rilevata all'interno dell'officina nell'immediatezza del fatto, condividendo le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di primo grado in merito al fatto che fosse più attendibile la versione dell'ispettore del lavoro che quella del consulente tecnico della difesa, che aveva attestato la presenza di una buca di ispezione eseguendo i suoi rilievi circa un anno dopo l'incidente. Sulla base di tali acquisizioni, la Corte territoriale ha ritenuto provato che il lavoratore non fosse stato adeguatamente informato sui rischi relativi alla particolare attività e che, al momento del sinistro, non esistessero i dispositivi di sicurezza imposti dalla normativa per quel tipo di operazione, attribuendo rilievo dirimente al fatto che, dai documenti di valutazione dei rischi, già nel 2003, ossia due anni prima dell'infortunio, emergessero carenze strutturali dell'officina e la necessità di un'immediata revisione, da tanto desumendo l'inattendibilità della ricostruzione del sinistro effettuata dal consulente tecnico della difesa, così come delle dichiarazioni dei testi già in tal senso valutate dal giudice di primo grado. Nella sentenza impugnata si è, dunque, ritenuto che le carenze rilevate fossero state causa dell'infortunio e che non fosse emerso alcun comportamento anomalo del lavoratore, dovendosi collegare l'evento a deficit strutturali dell'azienda del M., non improntata al rispetto dei principi di sicurezza dei lavoratori, al punto da adibire lavoratori non specializzati a mansioni per le quali non avevano la specifica competenza e formazione, come nel caso del L., assunto come saldatore e adibito a compiti di meccanico specializzato.

1.2. Le argomentazioni svolte dal giudice di merito non prendono spunto, come asserito nel ricorso, da un travisamento delle risultanze istruttorie. Occorre, infatti, rimarcare come le circostanze sviluppate nel ricorso fossero state già prospettate alla Corte di Appello che, nel pervenire alla decisione qui impugnata, ne ha opportunamente tenuto conto, nuovamente esaminando e confrontando le affermazioni dell'ispettore del lavoro e quelle del consulente tecnico della difesa ed escludendo, tuttavia, con puntuale motivazione, che potesse confermarsi la tesi propugnata dalla difesa dell'imputato, secondo la quale nel luogo in cui si era verificato il sinistro era presente una buca d'ispezione all'interno della quale il meccanico si sarebbe potuto e dovuto posizionare. Quanto alle deposizioni testimoniali richiamate a sostegno della tesi difensiva, è sufficiente sottolineare che la Corte di Appello ha condiviso la dettagliata e motivata ricostruzione della dinamica dell'infortunio presente nella sentenza di primo grado (pag. 3), in cui si è anche fornita adeguata giustificazione delle ragioni per le quali dovesse privilegiarsi la valenza probatoria delle deposizioni degli agenti di polizia giudiziaria (pagg. 4 - 5) e si è ampiamente argomentato in merito alle diverse risultanze istruttorie concernenti lo stato dei luoghi e l'utilizzo di una "officina meccanica" non conforme alla normativa in materia (pagg. 7 - 12), nonchè in relazione alle ragioni per le quali talune deposizioni testimoniali siano state ritenute smentite dalla documentazione acquisita agli atti.

1.3. Ed è appena il caso di ricordare che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, non è consentito dedurre in sede di ricorso per cassazione il travisamento del fatto, data la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, mentre il diverso vizio del travisamento della prova ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, non potendosi configurare tale vizio qualora nel ricorso si tenda esclusivamente, come nel caso in esame, ad una diversa prospettazione dei fatti sulla base di un'alternativa valutazione delle emergenze istruttorie più favorevole al ricorrente, investendo questa Corte di un compito che non le è proprio, ossia quello di reinterpretare gli elementi di prova già valutati dal giudice di merito.

1.4. In punto di ricostruzione del nesso di causalità tra la colposa omissione ascritta all'imputato e l'infortunio mortale, dunque, la sentenza ha correttamente posto in evidenza la correlazione tra quest'ultimo e l'assenza di dispositivi di sicurezza, l'omessa valutazione del rischio e l'omessa formazione del lavoratore in relazione alla specifica attività di registrazione del sistema frenante dei veicoli aziendali, nel pieno rispetto della più moderna concezione della materia prevenzionistica, attuativa delle Direttive Europee (89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE, 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE), che attribuisce al datore di lavoro non solo l'obbligo di attuare le singole norme cautelari ma anche quello di dotarsi di una rete gestionale i cui requisiti sono rigidamente predeterminati dal legislatore attraverso l'imposizione, tra gli altri, dell'obbligo di elaborazione del documento di valutazione dei rischi (D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, ora D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 28 e 29) e degli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori (D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 21 e 22, ora D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 36 e 37).

2. La censura che attiene al vizio di motivazione in merito alla tesi difensiva concernente la delega dei compiti in materia di sicurezza sul lavoro, è infondata.

2.1. Esclusa la prova di deleghe scritte in materia di sicurezza, la Corte ha sottolineato come fosse emerso che sul luogo non esistessero altre figure oltre al datore di lavoro adibite a dare disposizioni "nel piazzale", implicitamente negando rilievo ai documenti attestanti la nomina del responsabile del servizio di prevenzione ed il progetto di sicurezza da quest'ultimo predisposto.

2.2. La pronuncia risulta, sul punto, congruamente motivata e rispettosa di alcuni fondamentali principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare:

a) il principio secondo il quale la ripartizione interna delle specifiche competenze nell'ambito di un'impresa non esonera il titolare dall'osservanza degli obblighi derivanti dalla normativa prevenzionistica, a meno che tale esonero non risulti da delega espressa, inequivoca, certa e purchè l'evento lesivo non sia determinato da difetti strutturali aziendali ovvero non derivi causalmente dalla violazione di compiti non delegabili (Sez. 4^, n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv. 257168; Sez. 4^, n. 39158 del 18/01/2013, Zugno e altri, Rv.256878);

b) il principio secondo il quale la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non corrisponde a quella del delegato per la sicurezza (Sez. 4^, n. 37861 del 10/07/2009, Pucciarini, Rv. 245276), in linea peraltro con la funzione consultiva prevista dal testo normativo, che individua i compiti, e non gli obblighi, del servizio di prevenzione e sicurezza;

c) il principio secondo il quale le scelte generali di politica aziendale, dalle quali possono derivare carenze strutturali, e l'organizzazione della sicurezza, di cui l'elaborazione del documento di valutazione dei rischi costituisce l'architrave, non sono delegabili (Sez. 4^, n. 4968 del 6/12/2013, dep. 31/01/2014, Vascellari, Rv. 258617; Sez. 4^, n. 12794 del 6/02/2007, P.G. in proc. Chirafisi, Rv. 236279).

3. Le censure concernenti il giudizio di equivalenza delle circostanze del reato e, in generale, la misura della pena sono manifestamente infondate.

3.1. La sentenza impugnata ha fornito congrua motivazione sul punto, sottolineando l'applicazione dì una sanzione determinata in misura prossima al minimo edittale nonostante si trattasse di un fatto grave e si fosse in presenza di macroscopiche violazioni in materia antinfortunistica.

3.2. A ciò deve aggiungersi che la valutazione degli elementi sui quali si fonda la concessione delle attenuanti generiche, ovvero il giudizio di comparazione delle circostanze, nonchè in generale la determinazione della pena, rientrano nei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui esercizio, se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all'art. 133 c.p., è censurabile in Cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz'altro escludersi, avendo il giudice fornito adeguata e logica motivazione con riferimento alla congruità della pena irrogata in relazione alle modalità del fatto.

4. In merito alla censura concernente l'integrale riparazione del danno ad opera della compagnia assicuratrice del veicolo, la Corte ha sottolineato come la morte del congiunto delle parti civili dipendesse, non solo dall'errata manovra dell'autista del camion ma, anche, dalla colposa omissione delle cautele antinfortunistiche da parte del datore di lavoro, la cui percentuale di concorso nella causazione dell'evento non risultava essere stata oggetto di valutazione nè di calcolo nell'accordo transattivo intervenuto tra le parti civili e l'assicuratore del veicolo.

4.1. Trattasi di argomentazione logicamente ineccepibile e pienamente rispettosa del principio secondo il quale il vincolo di solidarietà passiva tra assicuratore ed assicurato in materia di responsabilità civile da circolazione dei veicoli, e la conseguente efficacia ai sensi dell'art. 1304 c.c., a vantaggio dell'assicurato dell'atto transattivo stipulato tra il danneggiato e l'assicuratore, deve intendersi limitata all'importo del cosiddetto massimale (Sez. 3^, civile, n. 23057 del 30/10/2009, Rv. 610108; Sez. 3^, civile, n. 10115 del 2/08/2000, Rv. 539046).

4.2. Da tale principio consegue che il giudice penale legittimamente può confermare le statuizioni civili concernenti la condanna generica del datore di lavoro, coobbligato con il conducente e l'assicuratore di un veicolo per il danno cagionato con distinte condotte dalla violazione di norme relative alla circolazione stradale e di norme relative alla sicurezza del lavoro, posto che la transazione intervenuta tra la costituita parte civile e l'assicuratore del mezzo, ancorchè comprensiva della clausola di rinuncia ad ogni pretesa nei confronti di ogni altro obbligato o coobbligato, non esclude il diritto del danneggiato di ottenere dai coobbligati ad altro titolo il risarcimento del danno nella misura eccedente i limita del massimale, ove eventualmente accertato dal giudice tenuto alla liquidazione.

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2014