Cassazione Penale, Sez. 3, 26 giugno 2014, n. 27693 - Installazione di un ponteggio metallico a telaio sprovvisto di marchio di fabbricazione


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
A.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1257/2010 TRIBUNALE di CROTONE, del 14/06/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/06/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore Avv. (Ndr: testo originale non comprensibile).



Fatto



1. Il Tribunale di Crotone, con sentenza del 14.6.2013 ha riconosciuto A.G. responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 135, condannandolo alla pena dell'ammenda, per aver installato un ponteggio metallico a telaio sprovvisto di marchio di fabbricazione, quindi privo di autorizzazione ed utilizzato per effettuare lavori di intonaco alla parete perimetrale esterna di un edificio ( (OMISSIS)).

Avverso tale pronuncia il predetto ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia.

2. Con un unico motivo lamenta la nullità della sentenza perchè l'imputazione reca l'errata indicazione del D.Lgs. 81 del 2008, art. 136, comma 3, mentre la condotta descritta rientrerebbe nella fattispecie contemplata dall'art. 135 del medesimo decreto legislativo. Inoltre, nella motivazione della sentenza, viene effettuato un richiamo, pure ritenuto errato, all'art. 183, comma 3, sempre del medesimo decreto.

Aggiunge che la norma era comunque entrata in vigore poco tempo prima del controllo ed anche l'impresa era di recente costituzione, cosicchè poteva ritenersi giustificata la mancata conoscenza del precetto da parte dell'imputato, il quale versava, in ogni caso, in condizioni di perfetta buona fede o poteva ritenersi, comunque, caduto in errore scusabile, con conseguente difetto dell'elemento soggettivo del reato.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.


Diritto


3. Il ricorso è inammissibile.

Occorre preliminarmente osservare che la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il Collegio condivide, ha chiaramente precisato che qualora un provvedimento giurisdizionale sia impugnato con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente stabilito, il giudice che riceve l'atto di gravame deve limitarsi, secondo quanto stabilito dall'art. 568 c.p.p., comma 5, alla verifica dell'oggettiva impugnabilita del provvedimento e dell'esistenza della volontà di impugnare, intesa come proposito di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, conseguentemente, trasmettere gli atti al giudice competente astenendosi dall'esame dei motivi al fine di verificare, in concreto, la possibilità della conversione (Sez. 1^, n. 33782, 2 agosto 2013; Sez. 5^, n. 21581, 25 maggio 2009; Sez. 3^ n. 19980, 12 maggio 2009; Sez. 3^, n. 2469, 17 gennaio 2008; Sez. 4^, n. 5291, 10 febbraio 2004; Sez. 5^, n. 27644, 26 giugno 2003; Sez. 4^, n. 17374, 14 aprile 2003; Sez. 2^, n. 14826, 28 marzo 2003; Sez. 2^, n. 12828, 19 marzo 2003; Sez. 3^, n. 17474, 9 maggio 2002 SS. UU. n. 45371, 20 dicembre 2001).

A tali principi si è correttamente adeguata la Corte di appello di Catanzaro, che con ordinanza del 28.11.2013, rilevato che la sentenza non è appellabile ai sensi dell'art. 593 c.p.p., comma 3, ha qualificato l'appello come ricorso, trasmettendo gli atti a questa Corte.

Va tuttavia ricordato che l'istituto della conversione della impugnazione previsto dall'art. 568 c.p.p., comma 5, ispirato al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l'atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez. 1^, n. 2846, 9 luglio 1999. V. anche ex pl. Sez. 3^, n. 26905, 16 giugno 2004; Sez. 4^, n. 5291, 10 febbraio 2004).

Ciò premesso, deve dunque rilevarsi che non possono essere prese in considerazione in questa sede tutte le questioni in fatto prospettate nell'impugnazione e concernenti le modalità di acquisto del ponteggio da parte dell'imputato.

4. Fatta tale necessaria precisazione, deve anche rilevarsi come siano del tutto infondate le censure concernenti l'imputazione.

E' infatti vero che il capo di imputazione riportato in sentenza reca un errato richiamo al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 136, comma 3, tuttavia la descrizione della condotta posta in essere risulta completa e puntuale, così da essere perfettamente idonea a consentire all'imputato di ben comprendere l'oggetto della contestazione.

Recita infatti, testualmente, il capo si imputazione: "per avere installato a ridosso del fabbricato sito in (OMISSIS) un ponteggio metallico a telaio sprovvisto di marchio di fabbricazione, quindi privo di autorizzazione ed utilizzato per effettuare lavori di intonaco alla parete perimetrale esterna. Acc. In (OMISSIS)".

La formulazione dell'imputazione con le modalità appena descritte non determinava, dunque, alcuna nullità, in quanto, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, anche la mancata indicazione degli articoli di legge violati è irrilevante quando il fatto addebitato sia puntualmente e dettagliatamente esposto, in modo tale che non possa insorgere alcun equivoco sul pieno esercizio del diritto di difesa (Sez. 6^, n. 45289, 5 dicembre 2011; Sez. 5^ n. 44707, 7 dicembre 2005, citata anche nel provvedimento impugnato; Sez. 1^ n. 18027, 19 aprile 2004; Sez. 4^, n. 39617, 22 novembre 2002; Sez. 6^, n. 3138, 14 settembre 2000 e numerose altre prec. conf.).

5. Parimenti irrilevante risulta l'erroneo riferimento, nella motivazione, ad un risalente precedente giurisprudenziale contenente un richiamo al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 183, comma 3, poichè la menzione della massima, che non ha alcuna attinenza con la vicenda sottoposta all'esame del giudice del merito, non inficia comunque il complessivo contenuto della motivazione, avendo il giudice indicato, seppure sinteticamente, gli elementi sui quali ha fondato il proprio convincimento, richiamando i fatti accertati all'atto del controllo, i documenti acquisiti nel corso dell'istruzione dibattimentale ed il contenuto della deposizione testimoniale di uno dei verbalizzanti.

6. Altrettanto destituite di fondamento risultano, inoltre, le deduzioni concernenti la insussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

Va detto, a tale proposito, che la disposizione violata dall'imputato non può dirsi del tutto nuova rispetto alla previgente normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, prevedendo anche il D.P.R. n. 547 del 1955, art. 22, per le scale aeree ed i ponti mobili sviluppabili, l'obbligo di apposizione di una targa indicante il nome del costruttore, il luogo e l'anno di costruzione e la portata massima.

In ogni caso, è di tutta evidenza che l'inserimento in un particolare ambito professionale, quale quello delle costruzioni edili, comporta un inderogabile onere di adeguata informazione sulle disposizioni che lo disciplinano, tanto più nel caso in cui queste riguardino, come nella fattispecie, la sicurezza dei luoghi di lavoro.

E' pertanto evidente che il non aver ottemperato a tale obbligo di informazione evidenzia la piena sussistenza dell'elemento soggettivo necessario per la configurabilità della contravvenzione contestata ed esclude, contestualmente, la possibilità di ipotizzare la buona fede o l'errore scusabile invocati nell'atto di impugnazione.

7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.



P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2014