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Corte Costituzionale, 18 luglio 2014, n. 218 - D.Lgs. n. 231/2001: l’ente e l’autore del reato non sono coimputati


 

 

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Sabino CASSESE; Giudici : Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale e del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento penale a carico di G.M. ed altri, con ordinanza del 17 dicembre 2012, iscritta al n. 61 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti gli atti di costituzione di G.F. e della RFI spa, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2014 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;
uditi l’avvocato Bruno Assumma per la RFI spa e l’avvocato dello Stato Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Fatto

 


1.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze, con ordinanza del 17 dicembre 2012 (r.o. n. 61 del 2013), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale e «delle disposizioni integrali» del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), nella parte in cui «non prevedono espressamente e non permett[o]no che le persone offese e vittime del reato non possano chiedere direttamente alle persone giuridiche ed agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stesse persone giuridiche e gli enti siano chiamat[i] a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti».
Il giudice rimettente premette che sta trattando un procedimento penale a carico di diverse persone imputate del reato di cui agli artt. 41 e 589, secondo e quarto comma, del codice penale, in relazione all’art. 590, terzo comma, cod. pen., e che al procedimento partecipano, quali enti responsabili per tale reato, a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, le società E. srl e RFI spa.
Nel corso dell’udienza preliminare, le persone offese avevano chiesto di costituirsi parti civili nei confronti di tali società e il giudice a quo, ritenendo che nel procedimento regolato dal d.lgs. n. 231 del 2001 non fosse consentita la costituzione di parte civile, aveva rimesso gli atti, con ordinanza del 9 febbraio 2011, alla Corte di giustizia dell’Unione europea per una decisione sulla questione pregiudiziale relativa alla «compatibilità della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche nel processo penale in relazione alla Direttiva Europea sulla tutela [delle] vittime da reato – art. 9 della Decisione Quadro n. 2001/220/GAI del 15 marzo 2001».
La Corte di giustizia, con la decisione del 12 luglio 2012 (causa C-79/2011), aveva ritenuto «la compatibilità della disciplina italiana di cui al citato Dlgs con il Diritto Europeo nel senso che: “l’art. 9, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel processo penale, deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilità delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima del reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati dallo stesso, nell’ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato”».
Nell’udienza successiva, le persone offese avevano chiesto la citazione, come responsabili civili, ai sensi dell’art. 83 cod. proc. pen., delle società E. srl e RFI spa, ma il giudice rimettente ha ritenuto di non poter accogliere la richiesta, perché l’art. 35 del d.lgs. n. 231 del 2001 stabilisce che nei confronti delle società e degli enti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative all’imputato e l’art. 83 cod. proc. pen. prevede, come si legge nell’ordinanza, «che l’imputato non può essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere».
Secondo il giudice rimettente, le società E. srl e RFI spa sono «“imputate” assieme a “coimputati” propri dipendenti» e quindi non possono essere citate come responsabili civili.
Il giudice chiarisce di non poter addivenire a una lettura costituzionalmente orientata – che ammetta la citazione nel processo penale, come responsabile civile, della persona giuridica citata ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 – nonostante una isolata pronuncia in tal senso della Corte di cassazione (sezione sesta penale, 5 ottobre 2010, n. 2251/2011). Il tenore letterale dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen., infatti, precluderebbe una lettura che faccia assumere «la veste di responsabili civili» a persone cui si è attribuita la qualifica formale di imputati: si tratterebbe di «una forma di “garanzia” applicabile agli imputati e le persone giuridiche/enti sono tali nel processo penale».
Ciò chiarito, la questione sarebbe non manifestamente infondata con riferimento all’art. 3 Cost., in quanto «Nell’attuale processo è ben possibile citare come responsabili civili ex art. 83 c.p.p. le persone giuridiche e gli enti che debbano rispondere dei comportamenti dei loro dipendenti e che “non sono” parimenti incluse nel processo per la forma di responsabilità di cui al Dlgs. 231/2001».
Inoltre, «una compagnia di assicurazione può essere citata come responsabile civile per l’automobilista assicurato che ha causato danni ad un pedone».
Osserva poi il giudice rimettente che la possibilità, generalmente riconosciuta, di chiedere nel processo penale il risarcimento dei danni agli enti responsabili in solido con gli autori del reato «sarebbe preclusa per società e persone giuridiche e/o enti che sono inclus[i] nel processo penale come “imputat[i]” per la responsabilità di cui al Dlgs. 231/2001 perché ciò è espressamente vietato ai sensi dell’art. 83 c.p.p.». Si determinerebbe così «una ingiusta disparità di trattamento per persone offese nel processo penale che si trovano ontologicamente e strutturalmente nella stessa posizione».
Vi sarebbe anche «una illogica disparità di situazioni esistenziali giuridiche in fasi diverse delle vicende processuali che riguardano la responsabilità delle persone giuridiche e degli enti». Infatti, rileva il giudice rimettente, «Ai sensi degli artt. 17, lett. a) e 50 del Dlgs. 231/2001 gli stessi enti, nei confronti dei quali sono state applicate misure di tipo interdittivo, anche molto consistenti, nella fase cautelare del procedimento ex Dlgs 231/2001, per ottenere la revoca delle misure devono prima provare di: aver “risarcito integralmente i danni” anche nei confronti delle persone offese dai reati. Tuttavia questa possibilità per le stesse vittime dei reati sarebbe preclusa nel processo penale avviato, se in precedenza non vi sia stata applicazione di misure cautelari e/o di tipo interdittivo nei confronti delle società e degli enti».
2.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 23 aprile 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.
Ad avviso della difesa dello Stato, avendo le persone offese chiesto la citazione, come responsabili civili, delle società citate nel processo penale ex d.lgs. n. 231 del 2001, ben avrebbe potuto il rimettente accogliere la richiesta, aderendo all’interpretazione dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen., data dalla Corte di cassazione con la sentenza del 5 ottobre 2010, n. 2251/2011.
3.– Nel giudizio di costituzionalità si è costituita, con memoria depositata il 23 aprile 2013, G.F., persona offesa dal reato, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen.
La difesa della persona offesa rileva come l’attuale dettato dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen. sia incompatibile con gli artt. 3, 24 e 35 Cost., «nella parte in cui non prevede che, qualora l’imputato sia una persona giuridica, non debbano trovare applicazione i limiti di cui al paragrafo 2 del comma 1 del medesimo articolo».
La disposizione censurata violerebbe, in primo luogo, il principio di ragionevolezza-uguaglianza, in quanto la possibilità della persona offesa di costituirsi parte civile nel processo penale e di citare un terzo a rispondere in solido con l’imputato sarebbe preclusa nell’ipotesi in cui il terzo sia una persona giuridica coimputata insieme ai suoi dipendenti ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001.
La questione, inoltre, sarebbe fondata con riferimento al principio di ragionevolezza-razionalità, in quanto «l’attuale combinato disposto del Dlgs 231/01 con l’art. 83 c.p.p.» comprimerebbe «le garanzie per il lavoratore e i suoi familiari e [garantirebbe] alla persona giuridica un trattamento di favore». Il lavoratore o i suoi familiari, se questi è deceduto, infatti, non potranno far valere, già nel processo penale, la responsabilità civile della persona giuridica corresponsabile del fatto, che normalmente è il soggetto patrimonialmente più dotato.
Con memoria depositata in data 13 giugno 2014, la persona offesa ha ribadito le proprie deduzioni, rilevando come l’attuale assetto normativo determini una tutela differente dei diritti della persona offesa nel processo penale, a seconda della circostanza che la persona giuridica sia o meno imputata nel processo stesso.
4.– Si è costituita, con memoria depositata il 23 aprile 2013, anche RFI spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, e ha concluso chiedendo a questa Corte di dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze.
Con memoria depositata in data 16 giugno 2014, RFI spa – richiamata la giurisprudenza di merito e di legittimità sull’ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo a carico dell’ente responsabile ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 – ha rilevato come la soluzione negativa non possa «considerarsi lesiva del principio costituzionale di cui all’art. 3 Cost., nella sua accezione di parametro valutativo della ragionevolezza intrinseca della norma impugnata, né del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost.».
Per quanto più specificamente concerne la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo, la difesa della parte privata ha rilevato come l’applicabilità dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen. all’ente stesso non presenti profili di incompatibilità con il principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost., anche in considerazione della circostanza che «l’intero corpus normativo del decreto [legislativo n. 231 del 2001] risulta ispirato alla assimilabilità della posizione dell’imputato a quella dell’ente».

 

Diritto

 

1.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze, con ordinanza del 17 dicembre 2012 (r.o. n. 61 del 2013), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale e «delle disposizioni integrali» del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), nella parte in cui «non prevedono espressamente e non permett[o]no che le persone offese e vittime del reato non possano chiedere direttamente alle persone giuridiche ed agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stesse persone giuridiche e gli enti siano chiamat[i] a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti».
Come riferisce il giudice rimettente, nell’udienza preliminare di un processo penale nei confronti di diverse persone imputate del reato di cui agli artt. 41 e 589, secondo e quarto comma, del codice penale, in relazione all’art. 590, terzo comma, cod. pen., e nei confronti delle società E. srl e RFI spa, quali enti responsabili per tale reato, a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, le persone offese hanno chiesto la citazione di tali società come responsabili civili, ai sensi dell’art. 83 cod. proc. pen. Il giudice rimettente ha però ritenuto che la richiesta non potesse essere accolta, perché l’art. 35 del d.lgs. n. 231 del 2001 prevede che nei confronti delle società e degli enti si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni relative all’imputato e l’art. 83, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce, come si legge nell’ordinanza, che «l’imputato non può essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere». Perciò, a suo avviso, le società E. srl e RFI spa, essendo «“imputate” assieme a “coimputati” propri dipendenti», non potrebbero essere citate come responsabili civili.
Questa preclusione però, secondo il giudice rimettente, sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe «una ingiusta disparità di trattamento per persone offese nel processo penale», a seconda che gli enti, che devono rispondere dei comportamenti dei loro dipendenti, siano o meno chiamati a partecipare al processo per una loro responsabilità ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, in quanto solamente nel secondo caso, in quello cioè in cui una siffatta responsabilità non sia stata loro addebitata, essi potrebbero essere citati come responsabili civili ex art. 83, comma 1, cod. proc. pen.
L’art. 3 Cost. sarebbe violato, sempre sotto il profilo della disparità di trattamento, anche perché, a differenza degli enti che partecipano al processo ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, «una compagnia di assicurazione può essere citata [nel processo penale] come responsabile civile per l’automobilista assicurato che ha causato danni ad un pedone».
Infine, le norme censurate determinerebbero «una illogica disparità di situazioni esistenziali giuridiche in fasi diverse delle vicende processuali», in quanto gli enti, nei confronti dei quali sono state applicate misure di tipo interdittivo, possono ottenere la revoca delle misure loro applicate, nella fase cautelare del procedimento, solamente se hanno integralmente risarcito il danno nei confronti delle persone offese dai reati: «questa possibilità per le stesse vittime dei reati sarebbe preclusa nel processo penale avviato, se in precedenza non vi sia stata applicazione di misure cautelari e/o di tipo interdittivo nei confronti delle società e degli enti».
2.– La questione è per più ragioni inammissibile.
2.1.– L’ordinanza di rimessione ha contestato «la compatibilità costituzionale in relazione all’art. 3 della Costituzione della Repubblica della attuale formulazione dell’art. 83 del codice di procedura penale e delle disposizioni integrali del Dlgs 231/2001», riferendo così la questione all’intero testo normativo recante la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, senza individuare la disposizione il cui contenuto normativo, in collegamento con quello dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen., determinerebbe la lamentata lesione del principio di uguaglianza.
Così formulata, la questione risulta inammissibile, in quanto, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il giudice a quo è tenuto ad individuare la norma, o la parte di essa, che determina la paventata violazione dei parametri costituzionali invocati (ex plurimis, ordinanze n. 21 del 2003, n. 337 del 2002 e n. 97 del 2000).
È da aggiungere che l’ordinanza di rimessione presenta anche un petitum incerto, perché non chiarisce quale dovrebbe essere l’intervento additivo che secondo il giudice rimettente occorrerebbe adottare per eliminare la pretesa illegittimità costituzionale.
L’ordinanza, dopo un riferimento all’impossibilità per i danneggiati, e in particolare per le persone offese, di costituirsi parte civile nei confronti degli enti che partecipano al giudizio quali responsabili «per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n 231 del 2001), ha escluso, richiamando l’art. 83, comma 1, cod. proc. pen., anche la possibilità che tali enti siano citati nel processo penale quali responsabili civili.
È con riferimento a tale esclusione che è stata poi argomentata la questione di legittimità costituzionale; però nel dispositivo il giudice rimettente non censura l’asserita impossibilità di citare l’ente come responsabile civile, ma più genericamente denuncia «che le persone offese e vittime del reato non possano chiedere direttamente alle persone giuridiche ed agli enti il risarcimento in via civile e nel processo penale nei loro confronti dei danni subiti e di cui le stesse persone giuridiche e gli enti siano chiamat[i] a rispondere per il comportamento dei loro dipendenti».
Ciò posto, e a prescindere dalla considerazione che la responsabilità degli enti a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, prima che per il comportamento dei dipendenti, è prevista per i reati commessi da “soggetti in posizione apicale” (artt. 5, comma 1, lettera a, e 6 del d.lgs. n. 231 del 2001), è da rilevare che la formulazione del petitum è generica, perché non viene indicato lo strumento giuridico attraverso il quale dovrebbe darsi alle «persone offese e vittime del reato» la possibilità di chiedere, nel processo penale, agli enti il risarcimento del danno, il che potrebbe avvenire sia consentendo la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente, sia consentendo la citazione di questo come responsabile civile.
La generica e incerta formulazione del petitum, sotto il profilo dell’individuazione della specifica disposizione censurata e della pronuncia da adottare per eliminare la denunciata illegittimità costituzionale, rende la questione inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 60 del 2014 e n. 16 del 2011; ordinanze n. 318 del 2013 e n. 113 del 2012).
2.2.– Anche per un’altra ragione la questione è inammissibile.
Secondo il giudice rimettente l’art. 83, comma 1, cod. proc. pen. stabilirebbe che «l’imputato non può essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere», e poiché, nel processo instaurato per l’accertamento della responsabilità penale della persona fisica-autore del reato e della responsabilità amministrativa dell’ente, quest’ultimo è imputato «assieme a “coimputati” propri dipendenti», non potrebbe essere consentita una sua citazione anche come responsabile civile: l’imputato e l’ente sarebbero infatti coimputati del medesimo reato.
Secondo il giudice rimettente il tenore letterale dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen. precluderebbe una lettura che faccia assumere «la veste di responsabili civili» a persone cui si è attribuita la qualifica formale di imputati: si tratterebbe di «una forma di “garanzia” applicabile agli imputati e le persone giuridiche/enti sono tali nel processo penale».
Però è fondatamente contestabile che l’ente possa essere considerato coimputato dell’autore del reato. Infatti si è ritenuto che, nel sistema delineato dal d.lgs. n. 231 del 2001, l’illecito ascrivibile all’ente costituisca una fattispecie complessa e non si identifichi con il reato commesso dalla persona fisica (Cassazione, sezione sesta penale, 5 ottobre 2010, n. 2251/2011), il quale è solo uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la responsabilità amministrativa, unitamente alla qualifica soggettiva della persona fisica, alle condizioni perché della sua condotta debba essere ritenuto responsabile l’ente e alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio di questo. Ma se l’illecito di cui l’ente è chiamato a rispondere ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincide con il reato, l’ente e l’autore di questo, non possono qualificarsi coimputati, essendo ad essi ascritti due illeciti strutturalmente diversi.
Sotto questo aspetto, quindi, la disposizione dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen., alla quale il giudice rimettente fa riferimento, non costituirebbe un impedimento alla citazione dell’ente come responsabile civile.
Anche sotto un altro e più decisivo aspetto, inoltre, la disposizione in questione non potrebbe costituire l’impedimento ravvisato dal giudice rimettente.
Poiché il responsabile civile è chiamato a rispondere del fatto illecito commesso da altri, la sua citazione presuppone logicamente che egli non sia civilmente responsabile per fatto proprio. È per questa ragione che l’imputato può assumere la veste di responsabile civile per il fatto dei coimputati solo se non è affermata la sua responsabilità penale, ossia «per il caso in cui venga prosciolto o sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere» (art. 83, comma 1, cod. proc. pen.); altrimenti dall’affermazione della responsabilità penale deriva la responsabilità civile per lo stesso fatto, e quindi l’impossibilità di assumere per questo la posizione processuale di responsabile civile.
La disposizione in esame, quindi, diversamente da quanto ritiene il giudice rimettente, non costituisce una «forma di “garanzia” applicabile agli imputati», e quindi anche agli enti, ma rappresenta uno sviluppo del principio secondo cui una persona non può essere contestualmente chiamata a rispondere per lo stesso fatto, sia come autore, sia come responsabile civile per la condotta del coimputato.
Il significato dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen. è diverso da quello che gli attribuisce il giudice rimettente, per il quale la disposizione stabilirebbe che «l’imputato non può essere chiamato a rispondere in via civile nel processo penale per il fatto dei coimputati, qualora prima non sia stato prosciolto o non sia stata pronunziata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere». Una norma di questo genere non avrebbe senso, perché nella fase processuale successiva a una sentenza di proscioglimento non sarebbe possibile la citazione del responsabile civile e dunque non potrebbe stabilirsi che il coimputato, per essere citato come responsabile civile, debba prima essere stato prosciolto.
Secondo la disposizione in questione, «L’imputato può essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati per il caso in cui venga prosciolto o sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere», e il significato è ben diverso da quello che gli ha attribuito il giudice rimettente. La citazione dell’imputato come responsabile civile per il fatto dei coimputati non è esclusa prima del suo proscioglimento, ma è ammessa sotto condizione, nel senso che produce effetto solo nel caso in cui l’imputato venga prosciolto od ottenga una sentenza di non luogo a procedere. Questo è il significato delle parole «può essere citato come responsabile civile […] per il caso in cui».
Che il significato sia questo è confermato dalla Relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale, la quale, dopo aver precisato che «Per quel che attiene alla legittimazione passiva dell’imputato, si è ritenuto di reintrodurre la stessa formula dell’art. 107 comma 1 ultima parte del codice vigente», chiarisce che in tal modo si è consentita «all’imputato l’acquisizione di una posizione processuale che, sebbene condizionata al suo proscioglimento, è operante sin dal momento in cui è possibile la citazione del responsabile civile». È da aggiungere che l’art. 107, primo comma, del codice di procedura penale del 1930, da cui deriva la disposizione in esame, era formulato in modo ancora più chiaro, stabilendo che: «Anche l’imputato può essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati, per il caso in cui venga prosciolto dalla responsabilità penale».
In conclusione, con riferimento alla ratio e alla portata normativa dell’art. 83, comma 1, cod. proc. pen., la questione, come si è visto, muove da un erroneo presupposto interpretativo e ciò comporta un’ulteriore ragione di inammissibilità (sentenze n. 249 del 2011 e n. 125 del 2009).
per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale e del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.

 

F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI