Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 29 luglio 2014, n. 33417 - Caduta dalla scala a forbice: assoluzione del legale rappresentante


 

 

Fatto





1. Con sentenza del 28/6/2013 la Corte d'appello di L'Aquila confermava la sentenza con la quale, in data 21/5/2010, il Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, aveva dichiarato G.L. colpevole del delitto p. e p. dall'art. 590, secondo e terzo comma, cod. pen. per avere, in data 13/5/2007, quale legale rappresentante della società A.C. soc. coop. agricola, cagionato, per colpa generica e specifica, consistita nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, lesioni personali gravi al dipendente D.P.

Concesse le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, il L. era stato condannato alla pena (sospesa) di giorni 15 di reclusione.

Secondo la ricostruzione del fatto accolta in sentenza, il D., recatosi in reparto diverso da quello cui era addetto per prendere documenti che gli servivano per effettuare un inventario, aveva ivi notato che sul nastro trasportatore si erano bloccate delle casse; allo scopo di far andare avanti la produzione e anche per un gesto di gentilezza nei confronti di un’operaia del reparto tenuta altrimenti a provvedervi, era salito su una scala legata alla parete in modo tale che impediva di aprirla a forbice; nello scendere dalla scala, però, scivolava e cadeva a terra, sia pure in posizione verticale, procurandosi le lesioni riportate.

Al datore di lavoro si rimproverava la violazione dell'art. 35, comma 4, lett. a) d.lgs. n. 626/94, per non aver preso le misure necessarie affinché l'attrezzatura di lavoro fosse installata in conformità alle istruzioni del fabbricante e utilizzata correttamente: in particolare per avere consentito che la scala a forbice con doppia salita, dell'altezza di 3,20 m, rimanesse fissata alla parete con una catena al fine di evitarne lo scivolamento, laddove essa avrebbe dovuto essere usata solo una volta che fosse stata completamente aperta e con i quattro appoggi a contatto con il suolo.

Secondo la Corte d'appello, tale contestazione aveva ricevuto conferma dell'istruttoria acquisita, potendo ritenersi sufficientemente dimostrato che le modalità di utilizzo della scala non erano conformi a quelle raccomandate nel manuale d'istruzioni della casa produttrice, il quale prevedeva solamente un utilizzo mediante posizionamento della scala a forbice, onde consentire maggiore stabilità all'attrezzo.

Quanto al nesso di causalità, rilevavano i giudici del gravame che «lo scivolamento del D. pur magari dovuto anche ad una sua imprudenza, non si sarebbe verificato o non si sarebbe verificato con le stesse conseguenze dannose se la scala fosse stata appoggiata correttamente e stabilmente a forbice con i quattro appoggi tutti fissati al suolo, in quanto, in tal caso, del tutto verosimilmente il lavoratore avrebbe avuto la possibilità di reggersi o appigliarsi ad un sostegno fisso, oltre che al muro che, in tal caso, avrebbe fiancheggiato, per così dire, la scala stessa, una volta correttamente appoggiata con le due parti dì fianco al muro medesimo».

Osservavano inoltre che l'attività della persona offesa, nell'occasione, «pur non rientrando nelle mansioni proprie del lavoratore, non poteva dirsi costituire una manovra del tutto anomala ed eccezionale», versandosi «in un contesto sicuramente non esorbitante (dal) complessivo processo lavorativo della ditta tanto più che già in passato altri avevano fatto la stessa cosa ... e che sempre il D. già era stato chiamato altre volte dal suo direttore o caporeparto a compiere analoghe operazioni di manutenzione».

Date tali emergenze, secondo la Corte non poteva negarsi la responsabilità del legale rappresentante della società, non essendo emersa una struttura dell'azienda di tale complessità da doversi presumere l'esistenza di una delega implicita in materia di prevenzione infortuni, né essendo sufficiente a tal fine, in assenza di apposita delega, il mero fatto che altri svolgesse le funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

Soggiungeva al riguardo che dalla stessa deposizione del teste D. era peraltro emersa la sussistenza di una prassi di non corretto utilizzo della scala, di ciò potendosi trarre implicita conferma dal fatto stesso che la scala risultava allegata alla parete da una catena, che di per sé dimostrava che l'attrezzo si trovava abitualmente ed usualmente nella posizione descritta.

3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il L., per mezzo del proprio difensore, sulla base di due motivi, entrambi diretti a contestare l'affermazione della penale responsabilità, sia con riferimento alla ritenuta sussistenza di una posizione di garanzia rilevante rispetto all'evento, sia in punto di nesso causale, sia infine per l'assenza dell'elemento psicologico.

3.1. Con il primo motivo denuncia in sintesi vizio di contraddittorietà della sentenza impugnata per avere, da un lato, dato atto che l'azienda si estendeva su oltre 10.000 m quadri, occupava 1.000 operai, era organizzata in vari reparti, affidati alla responsabilità di capi reparto, dall'altro, ritenuto che dagli atti risulterebbe «un'organizzazione aziendale non particolarmente complessa, tale da far, in ipotesi, reputare come implicita una ripartizione dì funzioni e, quindi, una delega del genere». Sostiene di contro che l'organizzazione aziendale non poteva non ritenersi di per sé complessa stante anche la profonda diversità delle lavorazioni eseguite (macellazione, selezione delle carni, caricamenti, etc.) e che pertanto, in tale situazione, la delega al direttore di stabilimento e ai vari preposti era necessaria, esplicita o comunque implicita nella ripartizione delle funzioni. Deduce quindi che, in tale contesto, «l'aver ritenuto la responsabilità penale del presidente del consiglio di amministrazione in riferimento ad un momentaneo uso di una scala a norma» si risolve in buona sostanza nella prospettazione di profili di responsabilità oggettiva, tanto più trattandosi di un incidente che, per le modalità richiamate, evidenzia connotazioni di assoluta banalità e occasionalità. Lamenta che, peraltro, la sentenza impugnata ha omesso di prendere in esame la doglianza svolta con i motivi di gravame circa il rilievo attribuibile al fatto che la persona offesa ha nell'occorso eseguito un'operazione lavorativa che non avrebbe dovuto eseguire in assenza del responsabile del reparto, momentaneamente allontanatosi, esso stesso preposto anche a rimuovere l'inconveniente che si era verificato sulla linea di produzione.

Sotto altro profilo deduce che l'assunto della Corte territoriale, secondo cui il manuale di istruzioni predisposto dalla casa costruttrice imponeva l'utilizzo della scala esclusivamente nella posizione di apertura a forbice, si pone in aperta contraddizione con quanto risultante dal documento citato, da esso al contrario ricavandosi (in particolare dalle pagine 8 e 35) che l'uso della scala poteva avvenire in entrambe le modalità e, cioè, aperta a forbice o semplicemente appoggiata alla linea di produzione.

3.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in punto di nesso causale.

Iterando specifico motivo di gravame, che assume non essere stato preso in considerazione dalla Corte territoriale, rileva che l'incidente si è verificato non per l'oscillazione della scala ma perché l'operaio, nonostante calzasse scarpe antisdrucciolo, era scivolato: la causa, dunque, era da individuare in un accadimento fortuito che avrebbe potuto verificarsi anche con la scala aperta a forbice.

4. Il ricorrente ha depositato in data 3/6/2014 memoria difensiva con la quale ha ulteriormente illustrato le censure svolte in ricorso.



Diritto





5. La censure dedotte a fondamento del ricorso, congiuntamente esaminabili, sono fondate.

5.1. Occorre anzitutto rilevare che, come questa S.C. ha già avuto modo di chiarire, l'amministratore e legale rappresentante di una società, specie se di ampie dimensioni non può essere, solo per tale carica rivestita, automaticamente ritenuto penalmente responsabile (si verterebbe in una inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva) di ogni violazione degli obblighi antinfortunistici, comunque determinatasi, ove per l'assolvimento degli stessi, per il rispetto delle cautele e delle misure, pur previamente approntate, in relazione a quella attività svolta nel caso concreto, abbia specificamente investito dei preposti, che sono perciò tenuti a far osservare le regole di condotta all'uopo imposte.

Gli obblighi in subiecta materia, infatti, investono due piani valutativi diversi, ancorché successivi e/o concorrenti, quello dell'approntamento delle misure di cautela ed antifortunistiche, e quello della vigilanza sulla concreta attuazione delle stesse. E non può riconoscersi penale responsabilità all'amministratore che, avendo approntato tutte le misure richieste, abbia delegato un preposto alla organizzazione ed all'espletamento di specifica attività, ove il preposto sia persona tecnicamente idonea e capace, che abbia volontariamente accettato l’incombenza, nella consapevolezza degli obblighi che vengono su di lui ad incombere, e che sia fornita di idonei poteri determinativi e direzionali al riguardo, e sempre che il datore di lavoro, nel più generale contesto della posizione di garanzia che a lui fa capo, non si esima, comunque, dall'obbligo di sorvegliare ed accertare che il preposto usi concretamente ed effettivamente dei poteri all'uopo conferitigli, dando concreta attuazione alle disposizioni impartite e alle misure volta a volta dovute.

Tale obbligo, peraltro, pure va ragguagliato alle connotazioni del caso concreto, tra le quali la organizzazione dell’impresa ed eventualmente la episodicità del fatto e la estemporaneità dei comportamenti serbati: esso, difatti, non può estendersi sino a richiedere la continua presenza sul luogo del datore di lavoro, amministratore di società di notevoli dimensioni, in ognuna delle singole circostanze episodiche in cui il lavoro viene svolto dai dipendenti, obbligo, questo, che la stessa complessa dimensione strutturale dell'azienda può, già di per sé, rendere inesigibile (così Sez. 4, n. 12413 del 08/10/1999 - dep. 30/10/1999, Massarenti A e altro, Rv. 215009; cfr. anche Sez. 4, n. 2592 del 28/09/2006 - dep. 25/01/2007, Di Lorenzo e altro, Rv. 235564, secondo cui «In tema di infortuni sul lavoro, il legale rappresentante di una società di notevoli dimensioni non è responsabile allorché l'azienda sia stata preventivamente suddivisa in distinti settori, rami o servizi ed a ciascuno di questi siano stati in concreto preposti soggetti qualificati ed idonei, nonché dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la completa gestione degli affari inerenti a determinati servizi»).

Ora, su tutti tali aspetti la impugnata sentenza ha del tutto omesso di rendere congrua, logica ed adeguata contezza, palesandosi in particolare - come fondatamente dedotto dal ricorrente - immotivata, se non contraddittoria rispetto alle premesse, l'affermazione secondo cui non sarebbe emersa dall'istruttoria «una struttura dell'azienda di tate complessità da doversi opinare conferita ... una delega implicita in materia di prevenzione infortuni».

Nella sentenza impugnata si dà atto, infatti - sia pure nel riferire i motivi d'appello, ma con indicazione di dati di fatto che non risultano in alcun modo specificamente smentiti, ma sono anzi in varie parti implicitamente confermati (con il riferimento, ad es., al direttore e al capo reparto del D.) e appaiono, comunque, di per sé oggettivamente e univocamente significativi - che la A.C. disponeva di «una struttura di dimensioni particolarmente ampia e circa 1000 dipendenti ed un'area di oltre 10.000 m quadri; ... l'area aziendale era divisa in più reparti, presidiati da responsabile di reparto, dal responsabile della linea di produzione, dai capi turno e dal responsabile del servizio di manutenzione».

È poi erroneo, in tale contesto, l'ulteriore connesso assunto secondo cui la pur ammessa articolazione dell'azienda in reparti, con la previsione di capireparto e direttori di linea, non valesse comunque a comportare, in assenza di delega formale, un trasferimento di compiti specifici e responsabilità di vigilanza circa la corretta osservanza delle misure di prevenzione e delle procedure operative da parte del datore di lavoro alle figure preposte alle singole articolazioni della complessa struttura aziendale.

Devesi al riguardo rammentare che l'art. 1, comma 4-bis, del d.lgs.19 settembre 1994 n. 626, come modificato dal d.lgs. 19 marzo 1996 n. 242, nel disporre che «il datore di lavoro che esercita le attività di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovraintendono le stesse attività, sono tenuti all'osservanza delle disposizioni del presente decreto», comporta - secondo interpretazione pacificamente acquisita nella giurisprudenza di questa S.C. - che i collaboratori del datore di lavoro (dirigenti e preposti), al pari di quest'ultimo, sono da considerare, per il fatto stesso di essere inquadrati come dirigenti e preposti e, nell'ambito delle rispettive competenze ed attribuzioni, destinatari iure proprio dell'osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc (v. Sez. 4, n. 41981 del 07/02/2012 - dep. 25/10/2012, Pittis, Rv. 255001; Sez. 4, n. 19712 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, Guanella e altri, Rv. 243637; Sez. 4, n. 6277 del 06/12/2007 - dep. 08/02/2008, P.M. in proc. Oberrauch e altro, Rv. 238749; Sez. 4, n. 11351 del 20/04/2005 - dep. 31/03/2006, Stasi ed altro, Rv. 233656).

Né può dubitarsi che il comportamento doveroso la cui violazione è addebitata nel caso di specie (quello cioè di assicurarsi che l'utilizzo degli attrezzi di lavoro - nel caso concreto: di una scala a forbice - avvenisse in modo conforme alle prescrizioni della casa produttrice), rientrasse tra i compiti propri del preposto al singolo reparto, senza peraltro evidentemente richiedere alcun impegno di spesa né il dispiegamento di poteri organizzativi esorbitanti quelli che possono ritenersi impliciti nella stessa articolazione in reparti e nel correlato organigramma.

Per converso, la violazione della detta regola di condotta si correla a comportamento che, quand'anche non unico e imprevedibile (la corte di merito accenna all'esistenza di indicazioni testimoniali secondo cui l'operazione di sblocco del carrello era stata svolta altre volte con le stesse modalità dallo stesso D. o da altri: v. pag. 7, in fine, della sentenza impugnata), rimane tuttavia legato a contingenze occasionali del processo produttivo la cui tempestiva ricognizione, date le dette dimensioni dell'azienda, non può pretendersi dal presidente o dal componente del consiglio di amministrazione, ma rimane piuttosto affidata alla concreta, prossima e settoriale opera di vigilanza (e, se del caso, di segnalazione ai livelli sopraordinati) demandata per necessità ai capi-reparto.

5.2. Fondato peraltro si appalesa anche il secondo motivo di ricorso impingente il nesso causale.

L'evento lesivo viene invero ricondotto, sotto il profilo causale, a una condotta omissiva - mancata installazione di una attrezzatura di lavoro in conformità alle istruzioni del fabbricante e/o non aver impedito un utilizzo improprio della stessa - in virtù di un ragionamento ipotetico che risulta però in radice viziato dal mancato o, comunque, palesemente insufficiente svolgimento del doveroso giudizio controfattuale.

Anche ad ammettere che tale violazione sussista - la contestazione sul punto del ricorrente (secondo cui, in realtà, diversamente da quanto postulato dai giudice del merito, le istruzioni consentirebbero un uso della scala anche mediante semplice appoggio a muro) si rivela priva del requisito di autosufficienza (non essendo allegata la parte in questione del manuale di istruzioni, né essendo specificamente indicata la presenza e la collocazione di tale documento nel fascicolo di causa) e comunque inconducente (posto che rimane certo che l'ancoraggio della scala a muro ne impediva in ogni caso una piena esplicazione delle sue potenzialità di utilizzo) - il vizio motivazionale si rende palese nel successivo passaggio logico che consiste nel verificare, per l'appunto alla stregua di un giudizio controfattuale, la causalità della colpa ossia la riconducibilità causale dell'evento lesivo, in quel frangente verificatosi, alla detta omissione.

Al quale fine occorreva chiedersi se, in presenza di un corretto adempimento dell'obbligo di consentire e, anzi, assicurare un utilizzo dell'attrezzo conforme alle dette prescrizioni, l'evento si sarebbe o meno ugualmente verificato.

Un tal giudizio (c.d. predittivo) non può prescindere, da un lato, dall'accertamento delle reali ed effettive modalità dell'evento, come storicamente verificatosi (c.d. giudizio esplicativo), dall'altro, dalla ricostruzione di quale dovesse ritenersi la condotta pienamente osservante dell'obbligo prevenzionistico rimasto inadempiuto (da operarsi anch'essa comunque con criteri ex post trattandosi di accertamento che - per quanto contiguo a quello propriamente riguardante l'elemento soggettivo del reato, quest'ultimo invece da condurre con critero ex ante - attiene all'accertamento del nesso di causalità).

Orbene, con riferimento al primo profilo, risulta inequivocamente acclarato in giudizio che l'evento si è determinato in via del tutto accidentale e in forza di una dinamica che in realtà prescinde del tutto dalla posizione della scala: si è trattato, infatti, di un mero scivolamento dell'operaio nel discendere dalla scala; sfortunata evenienza che nulla autorizza a ritenere sia stata anche solo occasionata o favorita dal fatto che la scala fosse appoggiata al muro anziché aperta a forbice.

Non può in particolare ipotizzarsi che ad originare l'incidente sia stata una precaria stabilità della scala (che anzi l'essere la stessa fissata con una catena al muro autorizza semmai l'opposta presunzione di una sua fissa stabilità).

Frutto poi di una mera congettura, difficilmente avallabile anche solo sul piano logico e delle regole di comune esperienza, appare la considerazione svolta nella sentenza impugnata secondo cui, ove la scala fosse stata aperta a forbice con i quattro appoggi fissati al suolo, in tal caso «il lavoratore avrebbe avuto la possibilità di reggersi o appigliarsi e sostegno fisso, oltre che al muro che, in tal caso, avrebbe fiancheggiato ...la scala stessa».

Quanto al secondo profilo, non è poi dubitabile che condotta osservante del dovere prevenzionistico in ipotesi violato sarebbe stata quella volta ad assicurare un utilizzo della scala conforme alle prescrizioni e che, per converso, scopo di quella norma, è quello (e solo quello) di prevenire i rischi derivanti da un uso difforme e anomalo dell'attrezzo, tra i quali però, con ogni evidenza, non rientra lo scivolamento o l'inciampo del piede dell'utilizzatore da uno dei gradini.

Non può, dunque, nemmeno dubitarsi che una tale condotta pienamente osservante non avrebbe potuto neppur essa evitare l'evento date le descritte caratteristiche di casualità e indipendenza causale dalla posizione della scala, non potendosi certamente ipotizzare, in particolare, che se la scala fosse stata aperta a forbice e fissata sui quattro appoggi al terreno, il lavoratore non avrebbe potuto scivolare o inciampare o, pur cadendo, avrebbe potuto comunque reggersi (cosa che, ripetesi, non si vede in base a quali regole di esperienza possa affermarsi, né per contro per quale motivo debba ritenersi impedita dal fatto che, anziché essere aperta sui due lati, la scala era fissata alla parete).

6. Il vizio motivazionale che emerge dalle superiori considerazioni, risolvendosi nel difetto di un positivo e congruamente motivato accertamento del nesso causale nei termini sopra descritti e per entrambi i profili - considerati, evidenzia per converso l'assenza di un elemento costitutivo del reato ascritto in sentenza.

Risultando il fatto accertato in modo incontroverso in tutti i suoi aspetti rilevanti ai fini della decisione e non potendosi pertanto ragionevolmente ipotizzare margini per una sua diversa ricostruzione, la sentenza impugnata va pertanto annullata, ai sensi dell'art. 620 lett. l cod. proc. pen., senza rinvio, per insussistenza del fatto.



P.Q.M.





Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.