Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 28 agosto 2014, n. 36350 - Lavoratore scivola all'interno di una vasca contenente il liquido ustionante: responsabilità del datore di lavoro


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da: T.I. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 793/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 19/06/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/06/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GERACI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente, l'avv. MONALDI RAFFAELLA del Foro di Roma, che chiede l'accoglimento del proprio ricorso, riportandosi ai motivi;
udito l'avv. OTTOLINI TERESA dell'AVVOCATURA GENERALE INAIL DI ROMA, quale sostituto processuale dell'avv. DE LUCA GIOVANNI del Foro di Brescia. Che deposita revoca della costituzione di parte civile per questo procedimento a carico di T.I..


Fatto


Ricorre per cassazione T.I. avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia che, in parziale riforma di quella in data 22.10.2012 del Tribunale di Bergamo con cui il predetto era stato condannato alla pena condizionalmente sospesa di Euro 200,00 di multa oltre al risarcimento del danno, liquidato in Euro 94.614,33, per il delitto di lesioni colpose aggravate con violazione della normativa a tutela degli infortuni sul lavoro, in danno M.F., liquidava a titolo di risarcimento in favore della parte civile INAIL la somma di Euro 102.851,45.

Durante il lavoro di manutenzione della macchina aziendale denominata "LINEA SAFED 3" ubicata presso lo stabilimento industriale BODYCOTE TRATTAMENTI TERMICI s.p.a., il dipendente M. scivolava con il piede destro e la gamba destra all'interno di una vasca della predetta macchina ove, a causa della presenza di sale liquido ad alta temperatura, subiva una grave ustione degli arti inferiori e la frattura della spalla destra, con una malattia di durata superiore a 40 giorni. Secondo l'imputazione, al T. era contestato di aver, in qualità di titolare della omonima impresa individuale, cagionato al dipendente M. le dette lesioni non avendo adottato le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori (art. 2087 c.c.) e segnatamente la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 34 e 35 (riprodotti nel D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 69, 70 e 71), per aver lasciato scoperta la vasca contenente il liquido ustionante, non opponendo alcuna opera provvisionale per impedire il rischio di contatto con predetto liquido ustionante.

Il ricorrente deduce: 1) il vizio motivazionale in ordine alle censure mosse in relazione all'inefficacia di eventuali dispositivi di protezione individuali ignifughi; 2) la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità. Chiede, inoltre, la sospensione dell'esecuzione della condanna civile.

Il Procuratore generale in sede, all'esito della requisitoria scritta resa ai sensi dell'art. 612 c.p.p., ha espresso parere favorevole all'accoglimento dell'istanza di sospensione. All'odierna udienza il difensore dell'INAIL ha depositato la revoca della costituzione di parte civile nei confronti del ricorrente.


Diritto


L'istanza di sospensione, peraltro non presentata nei termini di legge, cioè in via autonoma e distinta dal ricorso principale, deve ritenersi, già in via preliminare, superata e quindi insuscettibile di essere presa in esame attesa la revoca di costituzione di parte civile, con cui vengono abbandonate le pretese risarcitorie a seguito di accordo transattivo con l'imputato. Nel merito, il ricorso è infondato e va respinto.

A ben vedere, le censure che hanno riproposto, sostanzialmente, le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile che ha valutato i dati tecnici della vicenda in termini ben più approfonditi della sentenza di primo grado.

Invero, è stato osservato che le ustioni gravi riportate dal M. derivarono dal fatto che gli indumenti da questi indossati (scarpe e tuta) presero fuoco a seguito del contatto con il sale a temperatura elevatissima, sicchè risultava del tutto inconferente la censura secondo la quale i sali si sarebbero infilati anche sotto gli indumenti antinfortunistici scarpe e calzoni ignifughi, trattandosi, oltre tutto, di mera ipotesi indimostrata.

Del pari, è stata, con congrua e corretta motivazione, esclusa l'abnormità della condotta del lavoratore, che lavorava in prossimità dell'apertura sulla vasca nello svolgere il compito affidatogli, e ciò in stretta connessione con il profilo colposo contestato al T. ossia di mancata informazione sul rischio, di mancata formazione sulla procedura lavorativa e di mancata vigilanza operativa, circostanze, quindi, eziologicamente collegate alla produzione del sinistro.

Inoltre, è chiaro come il ricorrente abbia preteso di introdurre quello che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, esula dai suoi poteri e cioè la "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito (Sez. Un. N. 6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944). Invero, il motivo di ricorso mira ad una improponibile rivalutazione della prova e si risolve in deduzioni in punto di fatto, insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente giudizio di legittimità, sottraendosi la motivazione della impugnata sentenza ad ogni sindacato per le connotazioni di coerenza, di completezza e di razionalità dei suoi contenuti. Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 3 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2014