Cassazione Penale, Sez. 4, 04 agosto 2014, n. 34267 - Elusione dei dispositivi di sicurezza di una tracciatrice e responsabilità datoriale



 

 

 

"In tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per uno dei "garanti" della sicurezza sul posto di lavoro, che si sia reso comunque responsabile di specifiche violazioni di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire pure la condotta colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata (v, tra le tante, Sezione 4, 22 gennaio 2007, Pedone ed altri). Poichè le norme di prevenzione antinfortunistica - come già sopra ricordato - mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (Sez. 4, 29 gennaio 2007, Di Vincenzo)."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHI Luisa - Presidente -
Dott. CIAMPI F. M. - rel. Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TORINO;
nei confronti di:
C.E. N. IL (OMISSIS);
Avverso la sentenza del GUP presso il TRIBUNALE DI TORINO del 24 ottobre 2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, lette le conclusioni del PG in persona del Dott. POLICASTRO Aldo che ha chiesto l'annullamento con rinvio.






Fatto


1. Con sentenza ex art. 425 c.p.p. in data 24 ottobre 2013 il GUP presso il Tribunale di Savona dichiarava non luogo a provvedere nei confronti di C.E. in ordine all'imputazione di cui all'art. 590, commi 1 e 3, in relazione all'art. 583 c.p. perchè il fatto non costituisce reato. Era stato allo stesso contestato di aver cagionato, nella sua qualità di datore di lavoro della ITALTRECCE S.r.l., con colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a Ca.Ro., dipendente di tale ditta con qualifica di responsabile del reparto tracciatrici, lesioni personali, in particolare omettendo di impedire che i lavoratori ed in particolare il Ca. eludessero i dispositivi di sicurezza - di cui era dotata la tracciatrice (in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. f) ed in particolare, operando su tale tracciatrice, essendo necessario intervenire su un filo di rame spezzato per provvedere alla legatura delle due estremità dello stesso, inseriva una baionetta all'interno di un interruttore di interblocco, eludendo il dispositivo di sicurezza della tracciatrice e operando in prossimità della zona pericolosa della macchina, il suo braccio destro veniva catturato dai fusi in movimento e si cagionava lesioni consistite in un grave trauma di schiacciamento e trazione dell'arto superiore, con frattura esposta di radio ed ulna, stiramento del fascio vascolo nervoso ulnare al canale cubitale, ferita lacero contusa al dorso radiale volo ulnare al gomito.

2. Avverso tale decisione proponeva ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, deducendo l'erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.


Diritto


3. Il ricorso è fondato.

Va premesso che sia in giurisprudenza che in dottrina, si è dell'avviso che all'udienza preliminare debba riconoscersi natura processuale e non di merito, non essendovi alcun dubbio circa la individuazione della finalità che ha spinto il legislatore a disegnare e strutturare l'udienza preliminare quale oggi si presenta, all'esito dell'evoluzione legislativa registrata al riguardo, e nonostante l'ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova: lo scopo (dell'udienza preliminare) è quello di evitare dibattimenti inutili, non quello di accertare la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato. Di tal che, il giudice dell'udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall'acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente l'art. 425 c.p.p., comma 3 "gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio": tale disposizione è la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell'udienza preliminare non è l'innocenza, bensì - dunque, pur in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell'eventualità del dibattimento) - l'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio. Insomma, il provvedimento ai sensi dell'art. 425 c.p.p., pur motivato sommariamente, in effetti assume natura di sentenza sol perchè la valutazione dopo il contraddittorio svolto in udienza- preliminare è difforme da quella del pubblico ministero, ed implica assunzione del giudice della scelta d'inibire allo stato l'esercizio dell'azione penale contro l'imputato, salvo potenziale revoca. Pertanto, a fronte del ricorso, va tenuto in conto che il controllo di questa Corte sulla sentenza non può comunque avere ad oggetto gli elementi acquisiti dal P.M., bensì solo la giustificazione resa dal giudice nel valutarli. Quindi l'unico controllo ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) ed e) consentito in sede di legittimità della motivazione della decisione negativa del processo, qual è la "sentenza di non luogo a procedere", concerne la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d'insieme degli elementi acquisiti dal pubblico ministero (Cass. pen. Sez. 4, n. 2652 del 27.11.2008, Rv. 242500). Diversamente, si giunge ad attribuire al giudice di legittimità un compito in effetti di merito, in quanto anticipatorio delle valutazioni sulla prova da assumere. E tanto si pone in contraddizione insanabile con la possibilità di revoca della sentenza da parte dello stesso giudice per le indagini preliminari, sopravvenute o scoperte nuove fonti di prova da combinare eventualmente con quelle già valutate (art. 434 c.p.p.). In altri termini, paradossalmente, questa Corte potrebbe pregiudicare l'esito di un eventuale giudizio (Cass. pen. Sez. 5, n. 14253 del 13.2.2008, Rv. 23949). Invero, la previsione di cui all'art. 425 cod. proc. pen., comma 3, - per la quale il G.U.P. deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori- è qualificata dall'ultima parte del suddetto comma 3 che impone tale decisione soltanto ove i predetti elementi siano comunque inidonei a sostenere l'accusa in giudizio. Ne deriva che solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale probatorio raccolto - e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell'imputato - può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere. (Cass. pen. Sez. 5, n. 22864 del 15.5.2009, Rv. 244202 e successive conformi).

Orbene nel caso di specie, il G.U.P. è incorso in palesi omissioni valutative, e sulla base della motivazione adottata può evincersi che non abbia correttamente formulato la prognosi di inutilità del dibattimento.

Ed invero come sottolineato dal ricorrente il giudicante ha evidenziato l'ambiguità della fattispecie in esame, in cui pur essendo emerso che l'utilizzo delle trecciatrici senza le adeguate protezioni era voluto in quanto i dispositivi erano stati asportati per comodità di lavoro, circostanza nota al C., la circostanza che successivamente all'intervento della ASL, lo stesso C. aveva ripristinato i dispositivi di sicurezza, mostrando la sua contrarietà all'utilizzo di dispositivi che comunque eludessero l'interblocco della macchina, rendeva "fortemente labili ed inidonei a sostenere in giudizio l'accusa a carico dell'imputato".

Tale impostazione trascura evidentemente l'ulteriore pacifica circostanza che tali dispositivi erano a disposizione di tutti all'interno di un cassetto, con la conseguenza che appariva necessario il vaglio dibattimentale al fine di accertare - come rilevato dal ricorrente- se il C. fosse disposto a "tollerare o, peggio ancora, a volere deroghe alle norme di sicurezza dei lavoratori". Il giudice dell'udienza preliminare nel provvedimento impugnato ha affermato che non "non vi era prova" a riguardo, "argomentazione che doveva rimanere estranea (per quanto sopra detto in ragione della rilevata natura della sentenza ex art. 425 c.p.p.) al campo di valutazione del GUP ai fini della pronuncia di una sentenza di non doversi procedere". In quest'ottica, parimenti inconferenti appaiono poi le considerazioni del GUP in merito al comportamento imprudente della parte lesa, considerato, peraltro, che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio dell' attività lavorativa, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione da parte del lavoratore subordinato. Tale conclusione è fondata sulla disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, secondo le quali, il datore di lavoro o comunque la persona dallo stesso delegata, è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Ne consegue che il titolare della posizione di garanzia ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera, essendo tale posizione di garanzia estesa anche al controllo della correttezza dell'agire del lavoratore, essendo imposto al "garante" (anche) di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela. In tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per uno dei "garanti" della sicurezza sul posto di lavoro, che si sia reso comunque responsabile di specifiche violazioni di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire pure la condotta colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata (v, tra le tante, Sezione 4, 22 gennaio 2007, Pedone ed altri). Poichè le norme di prevenzione antinfortunistica - come già sopra ricordato - mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (Sez. 4, 29 gennaio 2007, Di Vincenzo).

4. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Torino per l'ulteriore corso.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Torino.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2014