Categoria: Cassazione penale
Visite: 10937


Cassazione Penale, Sez. 4, 27 agosto 2014, n. 36252  - Ribaltamento del carrello elevatore e infortunio mortale


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
P.R. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 1581/2011 CORTE APPELLO di ANCONA, del 03/07/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/06/2014 la relazione latta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CEDRANGOLO Oscar che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile, l'Avv. Campanelli in sostituzione dell'Avv. Uncini Liliana che ha concluso depositando conclusioni scritte e nota spese ed insiste per la conferma della sentenza;
Udito il difensore Avv. Di Mario Nicola che ha concluso insistendo per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto

1. P.R. veniva condannato dal Tribunale di Macerata alla pena ritenuta di giustizia, previo riconoscimento delle attenuanti generiche valutate equivalenti alla contestata aggravante, per il reato di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, secondo la seguente contestazione: reato p.e p. dall'art. 589 c.p., comma 2 perchè nella qualità di leg. rapp.te della P. Sport s.r.l. utilizzatrice del lavoratore interinale C.G., per colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza e nel mancato rispetto dell'art. 8, comma 5, 6, 7, 8 e 9, e D.P.R. n. 547 del 1955, art. 11, commi 3 e 4, e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 38, commi 1 e 2 omettendo di evidenziare e segnalare il tracciato delle vie di circolazione dei mezzi impiegati nel piazzale antistante lo stabilimento e di installare adeguati dispositivi (quali ad es. dissuasori o parapetti per delimitazione percorso) nelle zone di pericolo (in forte pendenza) poste nel piazzale esterno allo stabilimento, al fine di impedire che i carrelli elevatori potessero accedere a dette zone e omettendo altresì di fornire al lavoratore C., incaricato di usare carrelli elevatori, una formazione adeguata sull'uso di dette attrezzature di lavoro, e di fornire allo stesso lavoratore una formazione adeguata e specifica che lo mettesse in grado di usare il carrello elevatore in modo idoneo e sicuro, non impediva che il C., a seguito del ribaltamento dei carrello elevatore che stava manovrando, rimanesse schiacciato sotto di esso e ne cagionava pertanto la morte (in (Omissis)); il P. veniva altresì condannato per il reato contravvenzionale concernente la violazione della normativa antinfortunistica.

Il Giudice di primo grado, richiamando le risultanze dell'istruttoria dibattimentale (dichiarazioni testimoniali e documentazione acquisita), osservava che l'infortunio in oggetto si era verificato perchè, mentre il lavoratore stava transitando alla guida di un carrello elevatore su un tratto (caratterizzato da un certo dislivello) del piazzale esterno, il carrello si era ribaltato travolgendo il C., rinvenuto con il tetto del carrello sul torace.

Il Tribunale affermava quindi che, dalle risultanze istruttorie, era emerso con certezza che il C. non era stato adeguatamente istruito e formato in relazione alle mansioni da lui concretamente svolte e che l'infortunio mortale doveva ritenersi riconducibile a tale circostanza e alla non conformità alla vigente normativa in materia di sicurezza del piazzale antistante lo stabilimento, e, comunque, all'inosservanza da parte del P. - quale datore di lavoro e titolare della posizione di garanzia - dei doveri di vigilanza e controllo; nè, ad avviso del Tribunale stesso, poteva affermarsi che l'evento fosse addebitabile al lavoratore medesimo per avere egli posto in essere una condotta abnorme e cioè un'attività eccezionale ed assolutamente esorbitante dalle proprie mansioni tenendo un comportamento imprudente e negligente tale da interrompere il nesso casuale ed escludere la responsabilità del datore di lavoro: ed invero, precisava il Tribunale, il lavoratore esercitava mansioni di carrellista ed addetto al carico e scarico merci utilizzando tale mezzo, e quindi un'attività per cui era necessario il passaggio sul piazzale ove era avvenuto l'infortunio.

2. A seguito di gravame proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Ancona pronunciava declaratoria di estinzione per prescrizione del reato contravvenzionale addebitato al P. e confermava l'affermazione di colpevolezza pronunciata nei confronti del medesimo per il delitto di omicidio colposo, dando conto del convincimento così espresso, a tale ultimo riguardo, con argomentazioni che possono sintetizzarsi come segue: A) apparivano innanzi tutto pienamente condivisibili le argomentazioni già svolte dal primo giudice, in quanto puntuali, esaustive, logicamente concatenate ed aderenti al compendio probatorio acquisito; B) dal complesso degli elementi acquisiti dall'istruttoria dibattimentale - e segnatamente dalla ricostruzione effettuata dal CT del P.M. (le cui argomentazioni e conclusioni risultavano del tutto condivisibili poichè coerenti con i dati oggettivi, tecnicamente corrette e prive di vizi logici), dalle dichiarazioni dei testi, con particolare riferimento alla deposizione del tecnico ASUR (da ritenersi teste qualificato e particolarmente esperto in materia) e dalla documentazione in atti (fotografie e rilievi dei luoghi) - emergeva la ricostruzione dell'infortunio, come compiutamente descritta nella sentenza impugnata che appariva l'unica possibile, alla luce delle risultanze istruttorie; C) il luogo ove si era verificato il ribaltamento del carrello elevatore condotto dal C. era il piazzale antistante lo stabilimento della ditta P., ed era emerso che su tale piazzale i dipendenti della ditta P. transitavano per spostarsi da un reparto all'altro e per provvedere al carico/scarico di merci: il piazzale in questione doveva quindi considerarsi luogo di lavoro, ai fini della normativa antinfortunistica; D) nella concreta fattispecie il C. si era recato all'interno dello stabilimento per prendere il carrello elevatore e quindi recarsi nel piazzale antistante dove S.G. (autotrasportatore) doveva procedere alla consegna di materiale e stava aspettando che il capofficina gli mandasse un dipendente della ditta per effettuare lo scarico del materiale: il ribaltamento del carrello condotto dal C. era avvenuto durante tale tragitto, in un tratto del piazzale pericoloso, poichè caratterizzato da forte pendenza, maggiore del resto del piazzale, come poteva rilevarsi anche dalla planimetria e dalle fotografie rappresentative dello stato dei luoghi presenti in atti; la pericolosità di tale zona era stata confermata da vari dipendenti, sentiti come testi in dibattimento, i quali avevano riferito che anche loro passavano attraverso tale zona per ragioni connesse all'attività lavorativa, prestando particolare attenzione proprio perchè la conoscevano come pericolosa: non vi era alcuna segnalazione, come confermato dai dipendenti sentiti, nè era stato evidenziato il tracciato delle vie di circolazione dei mezzi impiegati nel piazzale antistante lo stabilimento, nè erano state poste in essere misure atte ad impedire l'accesso dei carrelli elevatori nelle suddette zone (misure che sono state poi adottate dalla ditta P. s.r.l. solo successivamente ed in ottemperanza alle prescrizioni impartite dall'ASUR dopo l'infortunio mortale); dal libretto d'uso e manutenzione del carrello elevatore utilizzato dal C. risultava che il mezzo poteva superare, con o senza carico, pendenze del 15-20 %, ma non specificava le condizioni di utilizzo, in cui tali pendenze dovevano essere affrontate e potevano essere superate, ed in particolare non indicava le condizioni plano- altimetriche della strada, la direzione di marcia, la velocità (peraltro il C., a detta dei testi, viaggiava ad una velocità assolutamente moderata) e le condizioni del fondo ed ambientali; E) non risultava che il lavoratore, peraltro assunto con contratto interinale tramite la Manpower SpA, avesse avuto una adeguata formazione - informazione ed un idoneo addestramento in relazione ai rischi specifici inerenti l'utilizzo dei carrelli elevatori: mentre agli atti vi era una certificazione a firma del C. attestante l'avvenuta informazione/formazione generica, non era stata invece consegnata dalla Ditta P. una analoga attestazione relativa alla formazione ed addestramento specifici e per i rischi connessi all'utilizzo di carrelli elevatori; erano state prodotte anche dichiarazioni firmate da altri lavoratori attestanti l'avvenuta esecuzione di tale attività di formazione e addestramento: la mancanza di una certificazione a firma del C., costituiva quindi una circostanza pregnante e di rilevante valenza induttiva in ordine alla carenza di un siffatto addestramento; F) le circostanze e modalità del ribaltamento, quali emerse e riportate nella sentenza impugnata, dimostravano che il fatto non sarebbe avvenuto qualora il datore di lavoro avesse posto in essere le misure antinfortunistiche poi attuate, ed in particolare se il lavoratore C. avesse ricevuto adeguati ed efficaci formazione/informazione e addestramento, con specifico riguardo ai rischi connessi al transito sul piazzale, considerate le condizioni di pericolosità di parte dell'area, la pericolosità del mezzo condotto e le caratteristiche tecniche e di utilizzo del carrello elevatore; G) nella specie, non risultava che il lavoratore avesse posto in essere una condotta di guida del carrello elevatore assolutamente imprudente e vietata, tale che avrebbe comunque determinato il ribaltamento del mezzo anche in una zona pianeggiante, come sostenuto in maniera non coerente con i dati oggettivi dall'appellante. I testi avevano dichiarato che il mezzo procedeva ad una velocità assai contenuta e con le forche abbassate e il ribaltamento era avvenuto proprio in corrispondenza del tratto in cui il dislivello era più forte (come desumibile dalle fotografie in atti): certamente, la condotta tenuta dal lavoratore C. non poteva essere considerata del tutto imprevedibile, eccezionale ed abnorme rispetto al processo lavorativo; H) risultava evidente la sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa dell'imputato P.R. e l'infortuno mortale patito dal C., in quanto l'imputato non aveva curato che fosse fornita al lavoratore una specifica ed adeguata formazione ed uno specifico addestramento circa l'uso del carrello elevatore, non aveva provveduto ad impedire l'accesso del lavoratore in zone di pericolo site nel piazzale antistante lo stabilimento (mediante realizzazione di appositi interventi) e comunque non aveva disposto e controllato l'utilizzo di attrezzature e modalità operative conformi alla normativa di sicurezza ed atte a prevenire la possibilità di danni ai lavoratori.

3. Ricorre per cassazione il P., per mezzo dei suoi due difensori, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione sotto plurimi profili che possono così riassumersi: a) la Corte d'Appello non avrebbe offerto adeguata motivazione essendosi limitata a condividere acriticamente le conclusioni del consulente del P.M. e la sentenza di primo grado, senza confrontarsi con le deduzioni contenute nella relazione del consulente della difesa del P., in particolare ritenendo evitabile l'evento prescindendo tout court dagli esiti del giudizio controfattuale espressi nella relazione dell'ing. T. allegata al ricorso; b) evocando la giurisprudenza in materia di questa Corte - ed in particolare le sentenze n. 43966/09 e n. 38991/10 - il ricorrente sostiene cha la Corte distrettuale avrebbe privilegiato un'interpretazione formale e statica delle previsioni antinfortunistiche, omettendo qualsiasi indagine individualizzante della colpa, obliterando ogni rilievo espositivo sulla questione giuridica della "rimproverabilità soggettiva della condotta al suo autore (nei termini della cd. causalità della colpa)" (cos' testualmente a pag. 5 del ricorso); c) ancora, la Corte distrettuale avrebbe omesso di valutare le considerazioni e valutazioni tecniche del consulente di parte ing. T. secondo cui l'evento sarebbe stato causato da una anomala ed implausibile brusca e totale sterzata a destra, manovra che sarebbe stata compatibile solo con una velocità di marcia prossima ai valori estremi del mezzo (10 km/h): sicchè, il carrello, con una siffatta manovra, non avrebbe mantenuto un assetto longitudinale neppure se si fosse trovato su di un tratto perfettamente pianeggiante.

Diritto


1. Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

1.1. Per quel che concerne le censure di vizio motivazionale in ordine alla ritenuta colpevolezza, le stesse riguardano apprezzamenti di merito che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione. Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte narrativa relativa) e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio sul lavoro oggetto del processo. La Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio, posizione di garanzia del P., nesso di causalità tra la condotta omissiva contestata all'imputato e l'evento, comportamento del lavoratore) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dell'odierno ricorrente. Con le dedotte doglianze quest'ultimo, per contrastare la solidità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non ha fatto altro che riproporre in questa sede - attraverso considerazioni e deduzioni svolte anche in chiave di puro merito - tutta la materia del giudizio, adeguatamente trattata, in relazione ad ogni singola tematica, dalla Corte territoriale. Sicchè le critiche mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata si risolvono in censure che tendono per lo più, sostanzialmente, ad una diversa valutazione delle risultanze processuali non consentita nel giudizio in Cassazione. Ed invero, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dandone una corretta e logica interpretazione, con esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti; se abbiano, quindi, correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). E poichè il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o - a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 - da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame", tanto comporta, quanto al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che la parte ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro l'iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 30.4.1997, n. 6402; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24; in termini sostanzialmente identici, ancorchè con riferimento alla materia cautelare, id., Sez. Un., 19.6.1996, n. 16; e non dissimilmente, id., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 25.10.1994, n. 19/1994; e, con riguardo al giudizio, id., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). Inoltre, l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, proprio perchè l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi - come s'è detto - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289; id., Sez. Un., 30.11.2000, n. 5854/2001; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24). Alla stregua di tali consolidati, ed ormai pacifici, principi e dei conseguenti limiti del giudizio di legittimità in tema di vizio della motivazione, deve riconoscersi che la sentenza impugnata, quanto alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio costato la vita al lavoratore C.G. ed alla ritenuta colpevolezza del P., risulta priva di qualsiasi connotazione di illogicità.

2.1. E va altresì evidenziato che già il primo giudice aveva affrontato e risolto le questioni qui sollevate dal ricorrente, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti ai fini dell'esame della posizione dell'imputato; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, la sentenza dei giudici di seconda istanza legittimamente integra quella del Tribunale e rende quindi ancor più incisiva e pregnante la valutazione delle risultanze probatorie acquisite, avendo la Corte territoriale fornito ulteriori ed autonome considerazioni a fronte delle deduzioni dell'appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione ("ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497). A fronte delle integrative pronunce di primo e secondo grado il ricorrente, come detto, ha formulato argomentazioni ripetitive di quanto già prospettato ai giudici di primo e secondo grado.

3. Con riferimento ai temi riproposti anche in questa sede dal ricorrente è solo il caso di aggiungere, "ad abundantiam", qualche ulteriore considerazione.

3.1. Quanto alla tesi difensiva circa l'asserita insussistenza di una colpa in concreto riconducibile soggettivamente al P., ci si trova di fronte a prospettazioni formulate in difetto di correlazione con i contenuti della decisione impugnata. Il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro", è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori (e la corte territoriale nel caso in esame ha dato atto della accertata mancanza di adeguato addestramento del lavoratore con specifico riferimento alla guida del carrello elevatore) - e dalla conseguente necessità di adottare certe misure di sicurezza - alla predisposizione di queste misure (con obbligo, quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, di mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore), e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle.

3.2. Per quel che riguarda il nesso di causalità, i giudici del merito ne hanno ravvisato la sussistenza muovendo dalle conclusioni cui era pervenuto il consulente del P.M. e valutando le omissioni addebitate all'imputato, la condotta del lavoratore, nonchè l'acquisito compendio probatorio (testimonianze, documentazione fotografica, etc), correttamente individuando appunto in tali omissioni la causa del ribaltamento del mezzo alla cui guida si trovava il lavoratore. Orbene, in tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se logicamente e congruamente motivato, come nel caso di specie, l'apprezzamento, positivo o negativo che sia, dell'elaborato peritale e delle relative conclusioni (o delle conclusioni del consulente tecnico del P.M., come nella concreta fattispecie): il giudice del merito può attenersi alle conclusioni del perito (o del consulente tecnico del P.M.), ove le condivida, rimettendo al suo elaborato il relativo supporto razionale. Certo, il giudice di merito ha l'obbligo di motivare il proprio convincimento con criteri che rispondano ai principi scientifici oltrechè logici. Ma è altresì certo che il giudice stesso può fare legittimamente propria, allorchè gli sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purchè dia congrua ragione della scelta, e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire ("ex plurimis", Sez. 4, n. 11235 del 05/06/1997 Ud. - dep. 09/12/1997 -Rv. 209675). Entro questi limiti, è del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per sè, l'omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della perizia (o della relazione del consulente tecnico del P.M.), poichè la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all'onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (così, "ex plurimis", Sez. 5, n. 10835 del 08/07/1988 Ud. - dep. 11/11/1988 - Rv. 179651). Ciò è quanto si è verificato nel caso di specie, laddove la Corte distrettuale ha raccolto, e motivatamente condiviso, le indicazioni fornite dal consulente del P.M., ed ha disatteso quindi, con puntuale argomentazione, le prospettazioni difensive dell'imputato.

3.3. Circa la condotta del lavoratore, è sufficiente ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme (Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004 Ud - dep. 13/10/2004 - Rv. 229564, imp. Giustiniani); orbene, nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento dell'operaio infortunatosi, giacchè deve definirsi imprudente il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007 Ud. - dep. 04/07/2007 - Rv. 236991). Se è vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi lavoratori giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e altro): la Corte distrettuale ha, con congruità, motivato nel senso che la condotta tenuta dal C. in occasione dell'infortunio "de quo" non era affatto eccentrica nè disfunzionale rispetto all'attività lavorativa, ed ha in particolare sottolineato che, come emerso dalle deposizioni testimoniali, al momento del ribaltamento, il carrello, alla cui guida era appunto il C., procedeva ad andatura di prudenza.

4. Non può infine valere a corroborare la tesi difensiva - in relazione alle modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006 (cd. Legge Pecorella) all'art. 606 c.p.p. - il contenuto della consulenza di parte redatta dall'ing. T. ed allegata al ricorso.

A fronte dei motivi di ricorso formulati dal ricorrente, compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte distrettuale, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata. In realtà, le deduzioni del ricorrente non risultano in sintonia con il senso dell'indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (Sez. 6, Sentenza n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri) la Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente. Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla stregua dei contenuti concettuali dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso: semmai, può parlarsi di "travisamento della prova", che, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che il Giudice di merito, cioè, incorra in una utilizzazione di un'informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460, P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della legge n. 46 del 2006 ha introdotto un onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell'art. 606, comma 1, lett. e) - nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente "specificamente indicati" - detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell'art. 581 c.p.p., lett. c) (secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere "l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta"). Con la conseguenza che sussiste a carico del ricorrente - accanto all'onere di formulare motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell'art. 581 c.p.p. - anche un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell'atto nel fascicolo del giudice et similia (cfr. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri). In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone, inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena altrimenti l'impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all'esame diretto degli atti (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 1 n. 16223 del 02/05/2006, Rv. 233781 imp. Scognamiglio): manifesta illogicità motivazionale assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle argomentate risposte fornite dalle integrative pronunce di primo e secondo grado alle questioni poste dalla difesa dell'imputato. Ma v'è di più, posto che, sempre con riferimento alla portata delle innovazioni della L. n. 46 del 2006 relativamente allo specifico caso di ricorso per cassazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), non è sufficiente: a) che gli atti del processo evocati con il ricorso siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità; b) nè che tali atti possano essere astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Occorre invece che gli "atti del processo", presi in considerazione per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione, siano "decisivi", ossia autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del "testo del provvedimento impugnato", anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all'intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, imp. Capri ed altri). Tenendo conto di tutti i principi testè ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base della censura appena esaminata non valgono a scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del fatto facendo riferimento all'art. 606 c.p.p., lett. e): pur asserendo di volere contestare l'omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, il ricorrente, in realtà, ha piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito. Le allegazioni difensive non valgono dunque a disarticolare l'apparato argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado (trattasi di doppia conforme); e ciò, anche con riferimento alla consulenza di parte richiamata con il ricorso ed a questo allegata.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè a rimborsare alle parti civili le spese sostenute per questo giudizio liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.

Rifletta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore alle parti civili che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2014