Cassazione Penale, Sez. 3, 14 aprile 2014, n. 16199 - Reati di abbandono ed illecita gestione di rifiuti, violazione della normativa paesaggistica e antinfortunistica: sequestro preventivo dell'area




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere -
Dott. ACETO Aldo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI GORIZIA;
nei confronti di:
V.T. N. IL (Omissis);
M.G. N. IL (Omissis);
avverso l'ordinanza n. 20/2012 TRIB. LIBERTA' di GORIZIA, del 28/09/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
sentite le conclusioni del P.G. Dott. D'AMBROSIO Vito: annullamento con rinvio.


Fatto

 

1. Il Tribunale di Gorizia, con ordinanza del 28.9.2012 ha rigettato l'appello proposto dal Procuratore della Repubblica avverso il provvedimento con il quale, in data 6.8.2012, il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo di un'area sita in (Omissis), in quanto pertinente ai reati di abbandono ed illecita gestione di rifiuti, violazione della normativa paesaggistica e antinfortunistica, oggetto di provvisoria incolpazione nei confronti di V.T. (legale rappresentante della "POWER COMPANY s.r.l.") e M.G. (imprenditore individuale all'interno della marina "(Omissis)"), essendo entrambi indagati per i reati di cui agli artt. 81 cpv e 110 cod. pen., D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, commi 1 e 2 e art. 256, comma 2 ed il V. anche di quelli previsti e puniti dal D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 182 e 208, art. 256, comma 1; D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis; D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17, comma 1, lett. a), art. 26, comma 1, lett. b), art. 26, comma 3, art. 64, comma 1, lett. c) e art. 71, comma 8, lett. c) (accertati in (Omissis)).

Avverso tale pronuncia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia propone ricorso per cassazione.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge e, premessa una ricostruzione della vicenda processuale, rileva che il Tribunale non avrebbe considerato la prospettazione di nuove ipotesi di reato a carico degli indagati, diverse da quella che aveva portato, in precedenza, al parziale accoglimento di una richiesta di sequestro preventivo, misura poi disposta limitatamente ad alcuni cumuli di rifiuti presenti nell'area.

Osserva il Pubblico Ministero ricorrente che il Tribunale, nel richiamare le argomentazioni sviluppate dal G.I.P. nel provvedimento appellato, non avrebbe considerato la sicura riconducibilità degli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica agli indagati e la irrilevanza, in considerazione del vincolo paesaggistico gravante sull'area, dell'eventuale incidenza sul carico urbanistico degli interventi eseguiti.

Aggiunge, per ciò che concerne le violazioni al D.Lgs. n. 81 del 2008, che i giudici dell'appello non avrebbero tenuto conto di alcune risultanze investigative, concentrando al contrario l'attenzione sulla riconducibilità di quanto rinvenuto all'attività degli indagati ed alla possibilità di estinzione, in via amministrativa, delle violazioni rilevate, senza tuttavia considerare che risulterebbe dimostrata la intenzione di rimediare alla situazione riscontrata.

Conclude osservando che, in ragione di quanto esposto, il provvedimento impugnato risulterebbe sostanzialmente privo di motivazione, non avendo considerato i rilievi mossi nell'atto di appello.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

Diritto

 

3. Il ricorso è fondato.

E' opportuno ricordare, in via preliminare, che questa Corte non ha accesso agli atti del procedimento, cosicchè i plurimi riferimenti ai contenuti degli stessi effettuati in ricorso non possono essere presi in considerazione in questa sede.

4. Ciò premesso, deve altresì rilevarsi che, per ciò che è dato ricavare dal ricorso e dal provvedimento impugnato, nonchè dall'appello del Pubblico Ministero e dal provvedimento di diniego di sequestro preventivo del G.I.P., oggetto di richiami per relationem, la complessa vicenda processuale ha portato ad un primo provvedimento di sequestro preventivo, emesso in parziale accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero e concernente un'area già da questi sottoposta a sequestro probatorio, ipotizzandosi, a carico del solo V.T., i reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2 (deposito incontrollato sul suolo di rifiuti pericolosi e non pericolosi in due siti appositamente recintati, in quantità pari a circa 300 mc., di carcasse di unità da diporto, roulotte, lastre in fibrocemento ed altri materiali puntualmente descritti), D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 5 (miscelazione di rifiuti pericolosi e non pericolosi); D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1-bis, lett. a) (installazione di alcune roulotte e container e di una struttura di 350 mq in area vincolata in assenza di titolo abilitativo) e ritenendosi sussistenti i requisiti di concretezza ed attualità del periculum e di pertinenzialità rispetto ai reati soltanto con riferimento a quelli concernenti la disciplina dei rifiuti.

Il provvedimento non veniva impugnato dal Pubblico Ministero il quale, però, dopo ulteriori indagini, compendiate in due successive annotazioni di servizio della polizia giudiziaria delegata, formulava una seconda richiesta di misura cautelare reale dell'intera marina sulla base di diverse imputazioni provvisorie.

In particolare, si ipotizzava, nei confronti di V.T. e di M.G., il reato di cui agli artt. 81 e 110 cod. pen. e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 256, comma 2 (abbandono di rifiuti concretatosi nella dispersione sul suolo dei residui delle lavorazioni effettuate all'interno della marina e nel deposito incontrollato, in più punti, di rifiuti solidi e liquidi, pericolosi e non pericolosi, oltre che nello stoccaggio di altri quantitativi su un camion con cassone totalmente aperto) e, nei confronti del solo V., dei reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 (smaltimento di rifiuti derivanti da demolizioni, utilizzati per l'imbonimento di un argine), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1- bis (ampliamento di fabbricati preesistenti e costruzione di un pontile galleggiante e due prefabbricati in assenza di titolo abilitativo) nonchè delle violazioni alla disciplina sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17, comma 1, lett. a), art. 26, comma 1, lett. b), art. 26, comma 3, art. 64, comma 1, lett. c) e art. 71, comma 8, lett. c).

Il Giudice per le indagini preliminari, riportati integralmente il precedente provvedimento e la richiesta del Pubblico Ministero, rigettava la richiesta non rinvenendo elementi di novità rispetto alla precedente, rilevando il difetto di specificità dell'imputazione riguardo ad alcuni elementi (individuazione dei soggetti che ponevano in essere le lavorazioni dalle quali originavano i rifiuti, tipologia dei rifiuti medesimi, data di realizzazione dell'imbonimento dell'argine, e di realizzazione dei manufatti in assenza di titolo abilitativo) ed osservando, rispetto alle violazioni delle norme antinfortunistiche, che le stesse, oltre ad essere definibili in via amministrativa ed essere ininfluenti rispetto alla misura richiesta, si fondavano su dati indiziari ritenuti quantomeno equivoci sulla base di dati fattuali specificamente indicati.

Osservava inoltre il G.I.P. che non risultavano neppure approfondite, attraverso le ulteriori indagini, alcune questioni evidenziate nel precedente provvedimento, quali i contenuti delle dichiarazioni rese dal V. ed altri dati fattuali specificamente indicati, rilevando che, in attesa "di un approccio più approfondito, analitico e selettivo della complessa fattispecie", non poteva applicarsi la misura richiesta impedendo l'attività di un'attività economica lecita quale quella esercitata nella marina.

Il Pubblico Ministero proponeva appello ponendo dettagliatamente in evidenza le ragioni per le quali riteneva errate le argomentazioni sviluppate dal G.I.P. per giustificare il diniego, ritenuto comunque immotivato e, sotto altri aspetti, illogico.

A ciò il Tribunale ha dato riscontro con l'ordinanza impugnata, nella quale, richiamato integralmente l'appello del Pubblico Ministero e le motivazioni del G.I.P., indicate come pienamente condivisibili e fatte proprie, ha rilevato che nell'impugnazione non verrebbe in alcun modo contrastato il difetto di novità delle incolpazioni posto in evidenza nel provvedimento di diniego della misura e che risulterebbe priva di rilevanza la mera esistenza di attività in atto in difetto di ulteriori specificazioni, ricordando come il G.I.P., nel precedente provvedimento, avesse posto in dubbio la responsabilità del V. circa le condizioni dell'area al momento dell'accertamento, evidenziando la possibilità di ostacoli alla rimozione dei rifiuti.

Il Tribunale conclude osservando che il Pubblico Ministero, attraverso l'appello, avrebbe sostanzialmente inteso criticare il primo provvedimento del G.I.P..

5. Alla luce di quanto sopra richiamato, rileva il Collegio che pur non potendosi considerare i reiterati richiami a dati fattuali ed atti del procedimento effettuati dal Pubblico Ministero ricorrente, emerge con chiarezza, dal mero confronto tra le imputazioni provvisorie richiamate nel primo provvedimento del G.I.P. e quelle riportate nel secondo provvedimento (quello oggetto dell'appello non accolto con l'impugnata ordinanza) la diversità delle condotte contestate, che attengono a fatti storici diversi e ad altri reati.

Vero è che il Giudice per le indagini preliminari aveva escluso la sussistenza di una sostanziale novità nel nucleo essenziale delle nuove contestazioni, ma tali argomentazioni erano state diffusamente censurate, in ogni loro contenuto, dal Pubblico Ministero nell'atto di appello.

Alle specifiche doglianze della Procura il Tribunale non ha, tuttavia, fornito alcuna risposta, limitandosi al mero richiamo per relationem del provvedimento impugnato, accompagnato da alcune righe di generici riferimenti ai contenuti del primo provvedimento del G.I.P..

Deve osservarsi, a tale proposito, che l'art. 325 cod. proc. pen. consente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324 cod. proc. pen. solamente per violazione di legge.

Sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali, richiamando la giurisprudenza costante, hanno ricordato che "...il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dall'organo investito del procedimento" (SS.UU. n. 25932, 26 giugno 2008, Conf. Sez. 5 n. 43068, 11 settembre 2009, V. anche Sez. 6 n. 6589, 11 febbraio 2013).

Tale situazione risulta essersi concretata nella fattispecie, atteso che la motivazione del provvedimento, sul punto specifico, è meramente apparente, che non soddisfa in alcun modo l'esigenza di adeguata illustrazione delle ragioni sulle quali si fonda la decisione e che non prende in minima considerazione le pertinenti critiche dedotte dal Pubblico Ministero nell'appello.

Si tratta, ad avviso del Collegio, di un'ipotesi che rientra a pieno titolo nella violazione di legge che legittima il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., atteso che, come questa Corte ha avuto più volte modo di rilevare, la motivazione soltanto apparente, come pure la totale mancanza di motivazione, integrano la violazione di legge, segnatamente dell'art. 125 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 1 n. 6821, 21 febbraio 2012; Sez. 5 n. 35532, 1 ottobre 2010; Sez. 6 n. 7472, 20 febbraio 2009; Sez. 5 n. 8434, 28 febbraio 2007; Sez. 4 n. 5302, 10 febbraio 2004).

Nel caso in esame, come si è detto, la motivazione del provvedimento impugnato si concreta nel mero richiamo in termini apodittici al provvedimento del G.I.P. e alla conseguente acritica reiezione delle censure prospettate nell'atto di appello.

6. La rilevata violazione di legge risulta assorbente rispetto alle ulteriori deduzioni formulate in ricorso.

L'ordinanza impugnata deve conseguentemente essere annullata con rinvio al Tribunale di Gorizia per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Gorizia.

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2014