Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 novembre 2014, n. 24517 - Infortunio in itinere e requisito della "vivenza a carico"


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FEDERICO ROSELLI - Presidente
Dott. VITTORIO NOBILE - Consigliere -
Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO - Consigliere -
Dott. ADRIANA DORONZO - Rel. Consigliere -
Dott. MATILDE LORITO - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


sul ricorso 11446-2008 proposto da:
S T , S M
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA Omissis, presso lo studio dell'avvocato ANDREA V., rappresentati e difesi dall'avvocato PIERGIOVANNI M., giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro
I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in persona del legale rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati LUIGI L.P., RITA R., giusta procura speciale notarile in atti;
- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1408/2007 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 27/12/2007 R.G.N. 2093/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;
udito l'Avvocato F.E. per delega LP. LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO. che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

FattoDiritto


1. Il Pretore di Prato accolse il ricorso proposto da M S anche per conto del figlio minore T S e condannò l'INAIL al pagamento in loro favore della rendita vitalizia conseguente al decesso di TI S , rispettivamente figlio e fratello dei ricorrenti, morto in seguito ad un incidente stradale occorsogli mentre percorreva la strada che collegava la casa al luogo di lavoro.
2. La sentenza fu appellata dall'INAIL che contestò la necessità dell'uso del mezzo privato (nella specie, un ciclomotore) da parte del lavoratore nonché il requisito della "vivenza a carico", attesa l'entità dei redditi annui del nucleo familiare e l'inefficienza del contributo economico del defunto al mantenimento dei ricorrenti.
3. Il Tribunale rigettò il primo motivo di impugnazione, in ordine alla qualificazione dell'infortunio come in itinere. Accolse il secondo motivo, ritenendo che la produzione in appello della documentazione da cui risultava l'importo della rendita INAIL già goduta dalla ricorrente fosse ammissibile, trattandosi di una prova precostituita, che confermava l'autonomia dei mezzi di sostentamento dei ricorrenti rispetto al minimo contributo dato dal lavoratore deceduto. Rigettò pertanto la domanda.
4. La sentenza fu impugnata con ricorso per cassazione e, con sentenza del 9 settembre 2005, n. 17968, questa Corte cassò la sentenza e rinviò alla Corte d'appello di Firenze sulla base del seguente principio "... esclusa l'ammissibilità del documento prodotto solo in sede di appello (relativo alla rendita vitalizia INAIL della S M, e determinati i redditi di cui tener conto, ai fini della "vivenza a carico", per la S M e per il figlio minore, il giudice di rinvio dovrà, accertato previamente se tali redditi garantivano o meno l'esistenza di mezzi autonomi per i medesimi, valutare, in caso negativo, se l'aiuto economico ai predetti familiari da parte del de cuius comportava o meno che quest'ultimo contribuisse in modo efficiente al loro mantenimento mediante l'indicato aiuto economico ".
5. Con sentenza del 27 dicembre 2007, la Corte d'appello in sede di rinvio ha accolto l'impugnazione proposta dall'INAIL e ha rigettato la domanda.
6. La Corte territoriale ha infatti rilevato che, incontestati a) i redditi prodotti dalla S M e dalla madre convivente; b) la percezione da parte della S M di una rendita INAIL, commisurata all'85% di invalidità, "di importante consistenza"; c) l'apporto mensile del de cuius, pari a £. 200.000 o £. 300.000 mensili, doveva desumersi che l'incidenza del contributo economico dato dal lavoratore deceduto, pari all'incirca al 10-15% del reddito familiare, era minima ed inidonea ad integrare il requisito della "vivenza a carico". Ha aggiunto che i ricorrenti non avevano allegato, né tanto meno provato, le uscite economiche familiari che potessero comprovare una minore consistenza del loro reddito.
7. Contro la sentenza, la M S ed il T S propongono ricorso per cassazione, sostenuto da cinque motivi, cui resiste l'INAIL con controricorso.
8. Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza per vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia, relativo all'ammontare e al pagamento della rendita da infortunio goduta dalla S M Assumono che: a) nella quantificazione dell'indennità la Corte aveva omesso di indicare il criterio seguito, così impedendo il controllo sulla correttezza del ragionamento; b) non vi era prova che nel 1994 -data di riferimento - la rendita fosse stata pagata dall'INAIL; c) l'assunto dell'Istituto circa la percezione da parte dei ricorrenti di un reddito annuo di circa £. 34.000.000 era sfornito di prova.
9. Con il secondo motivo denunciano la violazione degli artt. 85 e 106 d.p.r. n. 1124/1965, per aver il giudice del merito errato nel ritenere che tra i redditi di cui la M S disponeva nel 1994 vi fosse la rendita da infortunio per inabilità permanente, in quanto essa per la sua natura risarcitoria e assicurativa non costituisce reddito.
10. Con il terzo motivo denunciano l'omessa motivazione in ordine alla natura di reddito della presunta rendita infortunistica goduta dalla M S nel 1994.
11. Con il quarto motivo censurano nuovamente la violazione degli artt. 85 e 106 d.p.r. n. 1124/1965, per avere il giudice del merito compiuto una valutazione cumulativa delle posizioni reddituali dei familiari superstiti, anziché valutare distintamente la loro posizione economica ai fini della "vivenza a carico", e senza considerare che il T S all'epoca del decesso del lavoratore minorenne, era del tutto privo di mezzi di sussistenza.
12. Con il quinto motivo deducono la violazione degli artt. 2697 cc, 115 cpc. e 106 d.p.r. n. 1124/1965, per avere il giudice del merito erroneamente ritenuto che i ricorrenti fossero onerati della prova delle uscite patrimoniali, dovendosi invece solo valutare, ricorrendo al fatto/notorio, se i loro redditi superassero o no la cosiddetta soglia di povertà o sussistenza.
13. Ragioni di priorità logica e di connessione consigliano di trattare dapprima il secondo e il terzo motivo di ricorso. Essi sono infondati.
14. Il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 106 (T.U.) definisce la vivenza a carico nei seguenti termini: "Agli effetti dell'art. 85, la vivenza a carico è provata quando risulti che gli ascendenti si trovino senza mezzi di sussistenza autonomi sufficienti e al mantenimento di essi concorreva in modo efficiente il defunto". Sono dunque necessari due presupposti: a) il pregresso ed efficiente concorso del lavoratore deceduto al mantenimento degli ascendenti mediante aiuti economici che, per la loro costanza e regolarità, costituivano un mezzo normale, anche se parziale, di sostentamento; b) la mancanza, per gli ascendenti, di autonomi e sufficienti mezzi di sussistenza (Cass., 4 febbraio 2008, n. 2630; Cass., 25 agosto 2006 n. 18520; Cass., ord., 26 giugno 2014, n. 14498).
15. Il concetto di "sufficienza" dei mezzi di sussistenza non è legislativamente determinato, così come non sono specificamente individuati i cespiti e i debiti rilevanti per la sua definizione: la giurisprudenza di questa Corte, nell'esercizio della sua funzione nomofilattica, ha tuttavia ritenuto che, così come formulata, la norma riecheggi l'espressione "mezzi necessari per vivere" di cui all'art. 38, comma 1, Cost., piuttosto che "mezzi adeguati di vita del lavoratore", di cui al comma 2 dello stesso articolo (Cass., n. 2630/2008 cit.; Cass., 28 dicembre 2011, n. 29238). Il che porta ad includere la norma in esame, nell'ambito del più generale sistema di sicurezza sociale, nel modello fondato sulla solidarietà collettiva che garantisce ai "cittadini", ove ad alcuni eventi si accompagnino situazioni di bisogno, "i mezzi necessari per vivere", e non invece nel diverso modello, normalmente realizzato mediante gli strumenti mutualistico-assicurativi, che prevede il riconoscimento ai "lavoratori" della diversa e più elevata garanzia del diritto a "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita", prescindendo da uno stato di bisogno (Corte Cost, 19 gennaio 1995, n. 17).
16. Il requisito in esame è dunque da intendersi nel senso di un rapporto diretto di dipendenza economica dei congiunti con il lavoratore infortunato con la conseguenza che, ai fini della sussistenza del diritto alla rendita, non è sufficiente la dimostrazione della sola circostanza della loro convivenza con l'assicurato o che da questi ottenevano un parziale mantenimento (Cass., 4 marzo 2002, n. 3069; Cass., 24 maggio 1996, n. 4805; Cass., 11 febbraio 1985 n. 1135).
17. Ciò posto, deve condividersi il rilievo che il giudice del rinvio ha dato al reddito derivante dalla rendita da inabilità permanente goduta dalla MS, giacché essa, svolgendo la funzione di surrogare un reddito da lavoro cessato a causa dell'infortunio che ne costituisce il titolo, si risolve in una fonte di sostentamento e di introito per chi la percepisce (cfr. in tema di gratuito patrocinio, Cass., 6 marzo 1999, n. 1934).
18. In ragione di questa funzione, la rendita da inabilità permanente entra a far parte dei cespiti rilevanti per la valutazione della sussistenza o no dello stato di dipendenza economica dell'ascendente, ovvero del requisito della "vivenza a carico". Risultano così infondate le doglianze relative al secondo e al terzo motivo di ricorso.
19. Ciò premesso e passando all'esame del primo motivo, deve rilevarsi la sua infondatezza.
20. L'accertamento compiuto dal giudice del merito nell'escludere, ai fini della rendita in questione, che gli odierni ricorrenti si siano trovati, a seguito della morte del TI S , senza mezzi di sussistenza autonomi sufficienti, si fonda sulla circostanza che la M S è titolare di un reddito annuo di £. 7.921.000, cui deve aggiungersi quello prodotto dalla madre (£. 9.735.000) e quello derivante dalla rendita da inabilità. La Corte fiorentina ha ritenuto tali circostanze di fatto pacifiche e non più in discussione e sulla base delle stesse ha svolto il suo ragionamento, il quale risulta adeguatamente motivato e logicamente corretto, anche nella parte in cui ha indicato i parametri (percentuale di inabilità e retribuzioni convenzionali) per l'esatta quantificazione della rendita e per la stima del reddito familiare complessivo.
21. In particolare, la Corte ha dato rilievo alla mancanza di una specifica contestazione da parte dei ricorrenti in ordine al fatto, allegato dall'INAIL "fin dall'atto di costituzione in primo grado", della percezione da parte della M S della rendita commisurata ad un inabilità dell'85%, nonché in merito alla presumibile entità del reddito famigliare, rimarcando che era loro onere fornire la prova o quantomeno l'allegazione dei fatti necessari a integrare la "vivenza a caricò".
22. Il principio enunciato dalla Corte di cassazione nella sentenza rescindente risulta così rispettato, giacché il giudizio è stato emesso sulla base di una rivalutazione dei fatti già accertati e delle altre evidenze istruttorie (come, appunto, la non contestazione), senza attingere elementi di convincimento dal documento tardivamente prodotto dall'INAIL, comprovante l'ammontare della rendita, ritenuto inammissibile da questa Corte.
23. A fronte di questa motivazione, i ricorrenti avevano l'onere di indicare le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invocano il controllo di illogicità e di adeguatezza della motivazione, al fine di consentire l'apprezzamento causale del vizio denunciato. In particolare, essi omettono di richiamare le difese - e il luogo e il tempo della loro deduzione - dirette a contrastare le circostanze di fatto ritenute dalla corte d'appello "non più in discussione", costituite dalla percezione, anche nel 1994, della rendita da parte della M S nella percentuale indicata e posta dal giudice del merito a fondamento del calcolo del suo importo.
24. Deve aggiungersi che la censura in esame si presenta priva del carattere della decisività, non avendo i ricorrenti indicato quale sia l'errore metodologico o di calcolo commesso dalla Corte ed il risultato favorevole cui sarebbe pervenuta ove avesse fatto applicazione dei diversi, e asseritamente corretti, criteri. In tema di ricorso per cassazione, infatti, costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (v. Cass., 31 luglio 2013, n. 18368; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608), che, altrimenti, il ricorso si risolverebbe nell'investire la Corte di cassazione del mero controllo dell'iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla sua funzione che è quella di condurre ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito (Cass., 14 febbraio 2013, n. 3668).
25. Con il quarto motivo i ricorrenti pongono la questione della conformità alle norme di cui agli artt. 85 e 106 D.P.R. n. 1124/1965 della. valutazione cumulativa dei redditi prodotti dai familiari superstiti compiuta dal giudice del merito, ritenendo invece che una corretta interpretazione delle norme in esame comporti una valutazione distinta per ciascuna posizione economica.
26. Il motivo è inammissibile.
27. La questione non risulta affatto affrontata nella sentenza impugnata, la quale ha valutato del tutto marginale il contributo del de cuius (pari a circa £. 200.000/300.000) rispetto all'ammontare complessivo dei redditi familiari.
28. Dal ricorso per cassazione non risulta, in ossequio al principio di autosufficienza, quando e dove siano state allegate le circostanze relative alla mancanza di mezzi di sostentamento propri del ricorrente TS nonché alla specifica destinazione delle somme versate dal lavoratore deceduto al mantenimento di quest'ultimo. Neppure risultano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con l'interpretazione delle norme proposta, e ciò costituisce ragione di inammissibilità del mezzo (cfr. Cass., ord., 26 giugno 2013, n. 16038; Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 15 febbraio 2003, n. 2312).
29. In mancanza di tali specifiche deduzioni, la decisione della Corte d'appello appare coerente rispetto ad una domanda fondata sul presupposto che il contribuito versato dal lavoratore deceduto fosse destinato al bilancio della famiglia d'origine, nella sua composizione complessiva, e tanto è coerente con l'obbligo posto dall'art. 315 cc. a carico del figlio di contribuire al mantenimento della famiglia "finché convive con essa", nonché con quello imposto dall'art. 147 cc. al genitore (nella specie la M S ) di mantenere la prole (cfr. su fattispecie analoghe, Cass., 2 febbraio 2005, n. 1999; Cass., 4 marzo 2002, n. 3069).
30. Il quinto motivo è infondato.
Correttamente la sentenza ha ritenuto che fosse onere dei ricorrenti provare la (eventuale) sussistenza di uscite patrimoniali (debiti verso terzi, mutui, ecc.), tali da ridurre il reddito complessivo familiare, e ciò al fine di comprovare la "vivenza a carico". Non sussiste pertanto la denunciata violazione di legge.
30. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 152 disp. att. c.p.c, nel testo anteriore all'entrata in vigore del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326, nella specie inapplicabile ratione temporis: infatti le limitazioni di reddito per la gratuità del giudizio introdotte da tale ultima norma non sono applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del giudizio sia stato depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003 (ex multis, Cass., 1 marzo 2004, n. 4165; Cass., Sez. Un. S.U., 24 febbraio 2005, n. 3814).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese. Roma, 24 settembre 2014